Di riforma in riforma
Tra gli ultimi mesi del 2006 ed i primi del 2007 dovrebbero essere portate a termine le riforme delle OCM Ortofrutta e Vino. Si tratta dell’ultimo passaggio di un processo che, a partire dalla Riforma Fischler del 2003 e nel breve giro di poco più di 3 anni, ha rinnovato la principale politica economica della UE, la PAC appunto, ridefinendola profondamente almeno fino al 2013. Ma riformare la PAC sembra ormai un’”avventura” senza soluzione di continuità. Già nel 2007 si avvierà il dibattito sul cosidetto "health check" [link] previsto per il 2008 e che, secondo le parole del Commissario Fischer Böel, non consisterà di semplici aggiustamenti di basso profilo, bensì di un'ulteriore spinta al rinnovamento di una politica settoriale di fronte alle nuove sfide che è chiamata ad affrontare.
A fondamento di questo continuo processo di riforma si trova certamente l’esigenza di razionalizzare e rendere più efficace l’intervento di politica economica in ragione dei limiti dell’attuale PAC vista dall’interno del mondo agricolo (Sotte, 2006). Ma ancora più importante sembra, oggi, intervenire sui limiti della PAC vista dall’esterno del settore primario. A fronte di nuove priorità della UE, diviene inderogabile ridefinire le condizioni di compatibilità politica della PAC rispetto ad esse. Infatti, la forza che sembra esercitare maggiore pressione verso ulteriori passi di riforma proviene dallo stesso bilancio dell’Unione e dalla competizione che, su questo, si è innescata tra PAC e le altre politiche comunitarie. L’accordo di basso profilo del dicembre del 2005 sulle prospettive finanziarie 2007-2013 ha “affamato” le altre politiche della UE (a cominciare dallo stesso II pilastro della PAC, per finire alla politica di coesione e per la competitività e l’occupazione, cioè i Fondi Strutturali). In sostanza, in questa luce, proporre un’ulteriore riforma della PAC non significa nient’altro che percorrere la strada di un suo “dimagrimento”, al fine di indirizzare risorse altrove. E’ questa, in sostanza, la cosiddetta “linea Blair” proposta e fortemente sostenuta dal premier britannico durante il lungo e complesso negoziato che ha portato all’accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013. Linea che ha trovato sostenitori anche in Italia (Agrisole, 2005) e che, in realtà, ripropone nei caratteri generali le conclusioni dello studio condotto dal cosiddetto Gruppo Sapir (AA.VV., 2004).
La questione di fondo è se questa politica economica settoriale così rilevante nel budget della UE, sia coerente con gli obiettivi strategici dell’Unione, obiettivi su cui sono state ridefinite le altre politiche, ed in particolare l’azione dei Fondi Strutturali. Non è solo un problema di qualche punto percentuale spostato dalla PAC verso altri usi. Il punto vero è se la PAC e i Fondi Strutturali nei territori in cui intervengono, pur agendo su settori e meccanismi diversi, siano capaci di “remare” nella stessa direzione, quella delle grandi strategie della UE, cioè la cosiddetta Strategia (o Agenda) di Lisbona.
L’ipotesi sottostante la “linea Blair” è che la PAC non costituisca una politica capace di dare un contributo nella direzione della Strategia di Lisbona, mentre invece lo siano altre politiche dell’UE. Vista l’impossibilità costitutiva della UE di percorrere la strada del deficit spending, ciò implica necessariamente reindirizzare le attuali risorse della PAC verso altre politiche comunitarie. Ma quanto sappiamo della validità di questa ipotesi?
PAC e coesione regionale
Questo dovrebbe essere il cardine intorno a cui ruota ogni ulteriore ipotesi di riforma della PAC, cioè la sua relazione ed il suo contributo ai grandi obiettivi della UE: che contributo dà la PAC alla Strategia di Lisbona e, in particolare, agli obiettivi di coesione socio-economica? Che evidenza empirica abbiamo su questi temi? Della grande quantità di studi sulla PAC, orientanti in maggioranza all’analisi dei suoi impatti all’interno del settore primario e sui mercati agricoli, solo una parte nettamente minoritaria si è interrogata circa i suoi effetti sulla crescita delle regioni europee e sulla sua interazione con le altre politiche UE a ciò finalizzate.
E’ certo difficile, oggi, valutare la coerenza della PAC passata e attuale con gli obiettivi della Strategia di Lisbona, cioè il rilancio della competitività fondata su capitale umano, innovazione e conoscenza in un quadro di sostenibilità ambientale e, soprattutto, di crescente coesione socio-economica. Si tratta di una strategia recente, enunciata solo nel 2000, e che è “entrata” nella definizione delle politiche della UE a pieno titolo solo nel periodo di programmazione 2007-2013. Di certo, però, ci si può chiedere che ruolo e che grado di compatibilità la PAC abbia avuto fin qui circa la coesione socio-economica. Questa, pur entrando a tutti gli effetti nell’ottica della Strategia di Lisbona e rimanendo centrale nel periodo di programmazione 2007-2013, è in realtà un obiettivo già presente dalla riforma dei Fondi Strutturali del 1988 (art. 2 del Trattato), e da allora sempre ribadita come principale linea di intervento nella forma di finanziamenti a favore dei paesi e, soprattutto, delle regioni in ritardo di sviluppo (le “regioni dell’Obiettivo 1”, almeno fino al prossimo periodo di programmazione).
Abbiamo oggi sufficienti elementi conoscitivi per provare ad impostare una risposta circa il fatto che PAC abbia in qualche modo interferito con le politiche che la UE ha realizzato a favore delle regioni dell’Obiettivo 1 al fine di ridurne i divari di crescita. Eppure, i contributi empirici al proposito sono decisamente sporadici. In effetti, le indagini su come le risorse dell’Obiettivo 1 abbiano o meno favorito il processo di convergenza a favore delle regioni in ritardo di sviluppo sono ormai consolidate, sebbene non numerosissime anche per le difficoltà nella reperibilità dei dati. Inserite nel filone “floridissimo” degli studi sulla convergenza in crescita, diversi problemi metodologici ne risultano già chiariti ed alcuni risultati assodati (Dall’erba e de Groot, 2006; Esposti e Bussoletti, 2006).
Il problema è come di inserire la PAC in questo quadro, compito in verità non semplice. In primo luogo, perché non è facile disporre dei dati relativi alla spesa della PAC a livello di regioni europee. La stessa Commissione e la stessa Eurostat non dispongono di questa informazione se non in modo frammentario e incompleto. Essa va quindi ricostruita. In secondo luogo, perché si pone un problema teorico-metodologico. Come la PAC interviene nei processi di convergenza? E, più in generale, in che modo la PAC condiziona (positivamente o negativamente) la crescita economica di una regione e, quindi, come le distorsioni nella distribuzione delle risorse della PAC tra regioni si traducono in una distorsione dei relativi percorsi di crescita?
Effetto distributivo o contro-trattamento?
A tale questione si possono tentare due tipi di risposte. O meglio, le poche indagini empiriche condotte sul tema l’hanno affrontato secondo questi due distinti punti di vista. Il primo è quello che potremmo chiamare “questione distributiva”; il secondo “ipotesi di contro-trattamento”.
In effetti, l’analisi dell’impatto regionale o territoriale della PAC è divenuto un fronte di ricerca rilevante soprattutto nell’ultimo decennio (Sotte 1995; Laurent e Bowler 1997; Shucksmith et al., 2005; Tarditi e Zanias 2001; Anders et al. 2004; Bivand e Brunstad 2003; Hansen, 2005). In gran parte dei casi, laddove si voglia verificare se davvero la PAC sia di aiuto o di ostacolo alla convergenza in crescita delle regioni più povere verso le più ricche, prevale l’approccio della “questione distributiva”. Il recente studio di Shucksmith et al. (2005) ben sintetizza l’esito prevalente di queste ricerche, anche perché fa riferimento sia alla PAC precedente al 2003 che a quella riformata. In sostanza, questo voluminoso studio evidenzia come le risorse della PAC non vadano in maggiore misura alle regioni più povere; anzi, sembra vero piuttosto il contrario, cioè che la PAC favorisca le regioni ricche; o, almeno, questo risulta su scala europea, giacché su territori più limitati (singoli stati membri o regioni) il quadro non è altrettanto chiaro (Anders et al., 2004; Hansen, 2005). Spingendosi un po’ oltre le conclusioni di questo studio (citato dallo stesso Blair a perorazione della sua “linea”), se ne è dedotto che la PAC abbia addirittura condotto a disuguaglianze più accentuate tra le regioni europee ricche e povere (Segrè, 2005).
Ad un’analisi più attenta, però, questa conclusione sembra un po’ fuorviante. In primo luogo, perché indirizzare maggiori risorse alle regioni ricche non implica necessariamente un aumento dei divari; è, infatti, tutto da dimostrare l’impatto che tali maggiori risorse realmente hanno sulla crescita delle rispettive regioni. In secondo luogo, perché un’analisi distributiva andrebbe condotta in maniera più completa. Al bilancio dell’UE, infatti, contribuiscono in misura maggiore le regioni ricche. Le risorse a favore delle regioni dell’Obiettivo 1 costituiscono di per sé, quindi, una redistribuzione netta a favore di queste ultime. Se anche i flussi finanziari della PAC fossero a favore delle regioni ricche, ciò non implicherebbe che questi realizzino una redistribuzione in senso opposto al punto da anare la redistribuzione netta a favore delle regioni arretrate. Al contrario, visto che le regioni ricche contribuiscono maggiormente al bilancio della PAC, potrebbe comunque darsi che anche la PAC determini un contributo redistributivo netto a favore delle regioni povere o, più semplicemente, che essa abbia un effetto o in termini netti. Allorché si presti maggiore attenzione a questi aspetti, il fatto che la PAC contrasti con gli obiettivi di coesione, in realtà, appare molto meno chiaro.
Ma la “questione distributiva”, nasconde un problema più complesso, appunto l’“ipotesi di contro-trattamento”. Il fatto che la PAC determini un effetto redistributivo tra territori e, quindi, condizioni i rispettivi percorsi di crescita intaccando la convergenza e la coesione, implicitamente assume che 1000 Euro aggiuntivi di flusso finanziario della PAC determinino necessariamente un impatto positivo sull’economia regionale. Ma è davvero così? Il problema della coerenza della PAC con le politiche di coesione, in realtà, sta proprio nel fatto che la prima può interferire con quei percorsi di crescita che le seconde vorrebbero innestare nelle regioni “arretrate”.
L’ipotesi è, cioè, che proprio nelle regioni Obiettivo 1 la PAC di fatto eserciti una sorta di effetto contrario (contro-trattamento) rispetto all’azione dei Fondi Strutturali. Perché dovrebbe accadere ciò? Semplicemente, perché la PAC sostiene selettivamente un settore, l’agricoltura ed in particolare alcune sue componenti, laddove l’uscita delle regioni “povere” dell’UE dalla loro condizione di ritardo relativo passa anche attraverso una riduzione di peso del settore agricolo o, almeno, di alcune componenti del settore agricolo. Sull’ipotesi di contro-trattamento della PAC contributi di verifica empirica sono molto scarsi, anche in relazione alle già menzionate difficoltà metodologiche e di reperimento di dati. Per primi, Rodrìguez-Pose e Fratesi (2002) e Bivand e Brunstad (2003) hanno preso in considerazione i periodi di programmazione 1989-93 e 1994-99 per verificare se i flussi regionali della PAC abbiano dato un contributo negativo o positivo all’effetto delle politiche strutturali nelle regioni dell’Obiettivo 1 nel favorire la convergenza in crescita. Sebbene risultino in qualche modo surrogare l’ipotesi di contro-trattamento, questi studi non sembrano fornire una risposta adeguata al problema in virtù di una serie di debolezze d’impostazione e nei dati impiegati (Esposti, 2006).
Un recente lavoro di ricerca (Esposti, 2006) ha cercato di affrontare il problema in maniera diretta, modificando il tradizionale modello di convergenza in crescita di stampo neoclassico per tenere in considerazione le differenze settoriali ed il ruolo della PAC nel remunerare il lavoro agricolo, e cercando di ricostruire un dataset appropriato circa i flussi finanziari di PAC e Fondi Strutturali nelle regioni europee nel periodo 1989-2000. I risultati di questo studio “disinnescano” in parte il conflitto tra la PAC e le politiche di convergenza regionale. Emerge, infatti, che la PAC non ha sostanzialmente alcun impatto sulla crescita regionale e, d’altra parte, gli stessi Fondi Strutturali nelle regioni dell’Obiettivo 1 hanno sì un impatto positivo sui percorsi di convergenza, che pure si osservano, ma si tratta di un impatto di entità invero quasi trascurabile. Quindi, non ci sarebbe effetto di contro-trattamento ma, paradossalmente, non c’è neanche un effetto di “trattamento” significativo.
Considerazioni conclusive
Questa letteratura, ancora abbozzata, suggerisce comunque alcune considerazioni sul tema dell’impatto della PAC e delle altre politiche della UE sulla crescita delle regioni. In primo luogo, gli economisti, e gli economisti agrari in particolare, hanno sempre studiato molto nel dettaglio gli effetti della PAC interni al settore, molto poco i suoi effetti sulla crescita. Poiché la questione di “quale e quanta PAC nel futuro della UE” sta tutta nella sua compatibilità con gli obiettivi di rilancio di competitività e crescita, nonché di coesione, questo dovrebbe essere il tema centrale, più delle stesse tematiche “interne” al settore.
In secondo luogo, è evidente che se di questi effetti sulla crescita, e così anche degli effetti di redistribuzione netta, nei territori della UE ne sappiamo ancora troppo poco, ciò è dovuto anche al fatto che non abbiamo sufficienti ed affidabili informazioni a livello regionale circa l’applicazione delle varie politiche. In questa direzione bisognerebbe lavorare maggiormente.
In terzo luogo, il dibattito sugli ulteriori passi di riforma della PAC secondo la “linea Blair” dovrebbe dipendere essenzialmente da questa evidenza empirica. Se, infatti, la PAC esercita un effetto positivo sulla crescita economica delle regioni in ritardo di sviluppo non è essa stessa una valida componente del “puzzle” che costruisce la Strategia di Lisbona? Se, invece, la PAC ostacola le altre politiche proprio su questo fronte, non è forse meglio pensare di differenziarla secondo il grado di sviluppo regionale, cioè, estremizzando, consentire alle regioni più arretrare di “convertire” il contributo PAC in altre politiche di sviluppo? Infine, se anche riteniamo la PAC inefficace rispetto alle grandi strategie della UE, ciò non vuole dire che le altre politiche lo siano. Se queste stesse sono inefficaci, non diviene forse prioritario partire da una loro più profonda ridefinizione piuttosto che intervenire sulla PAC stessa?
Riferimenti Bibliografici
- AA.VV. (2004), Europa un'agenda per la crescita: Rapporto Sapir, Bologna: Il Mulino. Agrisole (2006), “Vaciago: bene la linea Blair”, 15-21 lug., p. 3.
- Anders S., Harsche J., Herrmann R., Salhofer K. (2004), “Regional income effects of producer support under the CAP”, Cahiers d’Economie et Sociologie Rurales 73:103-121.
- Bivand R., Brunstad R.J. (2003), “Regional growth in Western Europe: an empirical exploration of interactions with agriculture and agricultural policy”, in B. Fingleton, ed. European Regional Growth. Berlino: Springer-Verlag, pp. 351-373.
- Dall’erba S., De Groot, H.L.F. (2006), “A Meta-Analysis of Thirty Years of EU Regional Policy valuation”, lavoro presentato al 46° Congresso dell’European Regional Science Association (ERSA), 30 Agosto - 3 Settembre, Volos (Grecia).
- Esposti R. (2007), “Regional growth and policies in the European Union: Does the Common Agricultural Policy have a counter-treatment effect?”, American Journal of Agricultural Economics, 89 (1) (in corso di pubblicazione).
- Esposti R., Bussoletti S. (2006), “The impact of Objective 1 funds on regional growth convergence in the EU. A panel-data approach”, XVIII Villa Mondragone International Economic Seminar, Europe: A New Economic Agenda, CEIS-Roma, 26-27 Giugno.
- Hansen H. (2005), “Effects of agricultural policy measures on gross transfers to farmers: intertemporal and interregional evidence from the PAC”, Atti XI EAAE Congress – Copenhagen, The Future of Rural Europe in the Global Agri-Food System (CD ROM e [link]).
- Laurent C., Boiler I. (eds.) (1997), CAP and the Regions: Building a Multidisciplinary Framework for the Analysis of EU Agricultural Space, Paris: INRA Editions.
- Rodrìguez-Pose A., Fratesi U. (2002), Unbalanced development strategies and the lack of regional convergence in the EU, Research Papers in Environment Analysis n.76, London School of Economics.
- Segrè A. (2005), “Chi si arricchisce con la nuova PAC”, Terra e Vita, 37, p. 3.
- Shucksmith M., Thomson K., Roberts D. (eds.) (2005), CAP and the Regions: Territorial Impact of Common Agricultural Policy, Wallingford: CAB International.
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- Sotte F. (ed.) (1995), The regional dimension in agricultural economics and policies, Proceedings of the 40th EAAE Seminar - Ancona, CNR-RAISA.
- Tarditi S., Zanias G. (2001), “Common agricultural policy”, in R. Hal, A., Smith, and L. Tsoukalis, eds. Competitiveness and cohesion in EU policies, Oxford: Oxford University Press, pp. 179-216.