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Il contesto di riferimento
Da tempo si discute delle difficoltà in cui versa il settore agricolo. La generalizzata contrazione dei redditi che ha colpito la quasi totalità dei 27 paesi dell’UE1 è l’espressione della crisi in cui si dibatte il settore primario, i cui margini sono compressi dall’aumento dei costi di produzione, da un lato, e dalla contrazione dei prezzi corrisposti loro da trasformazione/distribuzione e dal calo dei consumi conseguente alla più generale crisi economico-finanziaria, dall’altro.
Alla politica, pertanto, è affidato il compito di intervenire per fornire, a breve, misure anticrisi in grado di alleviare le difficoltà immediate delle aziende agricole e, nel medio periodo, per individuare strategie e strumenti che, puntando alla crescita del settore agricolo, si pongano come obiettivo l’aumento della competitività e dell’efficienza, il rafforzamento delle filiere, la sostenibilità economica e ambientale, rispondendo, in tal modo, alle necessità degli agricoltori, delle loro famiglie e dei consumatori, nonché alle istanze della società.
La tanto attesa comunicazione della Commissione europea sulla Politica agricola comune (PAC) post-2013 (European Commission, 2010a) si inserisce in questo clima di rinnovate aspettative per il ruolo della politica. Dalla Comunicazione ci si attendeva che individuasse il percorso per uno sviluppo strategico dell’agricoltura che tenesse conto dei nuovi compiti affidati al settore e dei più ampi obiettivi della strategia “Europa 2020” (European Commission, 2010b).
Il dibattito che ha preceduto il varo del documento, sia quello sviluppatosi autonomamente, sia quello stimolato dalla consultazione pubblica lanciata dalla Commissione nell’aprile 2010, ha focalizzato l’attenzione sull’architettura della PAC e la sua composizione in pilastri, sul ruolo e la forma dei pagamenti diretti, sull’ammontare di risorse finanziarie (intrecciandosi, qui, il dibattito sul bilancio dell’UE) e sull’allocazione della spesa tra pilastri, nonché sull’equità distributiva dei pagamenti diretti2.
Nell’ambito della prima questione, la distinzione in pilastri e il loro numero è direttamente collegato al ruolo e alle funzioni attribuite alla PAC. Tra i fautori del pilastro unico prevale la visione di un sostegno finalizzato alla produzione di beni pubblici ambientali a dimensione transnazionale (AA.VV, 2009; Zahrnt, 2009), o alla creazione di una politica ambientale e rurale europea (Dutch Ministry, 2009; WWF, 2008). Chi appoggia il mantenimento dei due pilastri auspica, al tempo stesso, una più rigida divisione tra il primo e il secondo e un rafforzamento del secondo in chiave ambientale (Buckwell, 2009; Nunez-Ferrer, Kaditi, 2006; Cooper, Hart, Baldock, 2009; Bureau e Mahé, 2008 e 2009). Chi, infine, prospetta la creazione di un terzo pilastro affida ad esso le risorse per un significativo incremento in attività di ricerca e sviluppo in sintonia con la strategia “Europa 2020” (NFU, 2010; Dairy UK, 2010).
Direttamente connessa alle funzioni della PAC è la questione del ruolo e della forma che dovranno assumere i pagamenti diretti. Alcune proposte prevedono l’elargizione di un aiuto selettivo e contrattuale come remunerazione dei beni e servizi pubblici forniti dall’agricoltura, con un’ampia eterogeneità riguardo alla loro definizione (beni pubblici genuinamente ambientali, sicurezza alimentare, produzione sostenibile, occupazione, vitalità delle aree rurali, valori culturali), ai loro effetti spaziali (dimensione nazionale/transnazionale), ai livelli di implementazione (uno o più livelli a seconda degli impegni), alla presenza/assenza di condizionalità. In altri casi l’aiuto è visto in funzione della protezione e stabilizzazione dei redditi o per mantenere il cosiddetto valore di esistenza dell’agricoltura; in entrambi i casi si tratterebbe di un aiuto regionalizzato, vale a dire elargito a tutti gli agricoltori e di uguale ammontare nella regione e, pertanto, del tutto indipendente da ciò che l’agricoltore fa/non fa e quindi del costo del fare/non fare3. Per arrivare, infine, a proposte tese a trasferire alla competenza degli Stati membri i pagamenti diretti e le misure di sviluppo rurale, liberando risorse dal bilancio UE a favore di altre politiche/obiettivi comunitari (Ecorys BV, CPB, IFO, 2008).
Comune a tutte le posizioni è la necessità di sganciare i pagamenti diretti dal riferimento storico, individuando criteri distributivi in grado di pervenire ad una maggiore equità distributiva tra Stati membri e aziende.
Nell’ambito della consultazione pubblica sul futuro della PAC, culminata nella Conferenza del luglio 2010, queste diversità di vedute hanno dato vita a visioni sostanzialmente riconducibili, sia pure con importanti sfaccettature, ad alcune macro-categorie: i fautori di "un ritorno al passato", vale a dire di una PAC e di un primo pilastro rivolti essenzialmente a sostenere la funzione produttiva dell’agricoltura, in alcuni casi, anche attraverso il ripristino di aiuti accoppiati alla produzione; i difensori dello status quo, con opportuni aggiustamenti; i fautori degli aiuti diretti come remunerazione dei beni pubblici prodotti dall’agricoltura; fino ad arrivare alle posizioni più radicali di chi propone lo smantellamento della PAC, e il trasferimento delle sue funzioni a livelli amministrativi più bassi, sostituita da una politica ambientale più incisiva.
Gli obiettivi della PAC post-2013 secondo la Comunicazione
Il frutto di questo approfondito processo di analisi e di consultazione si è concretizzato in un documento, la Comunicazione appunto, che si presenta tanto ambizioso e completo sul fronte degli obiettivi e delle sfide individuate, quanto deludente sul versante delle strategie e degli strumenti proposti. È come se, pur riconoscendo la validità e l’opportunità dei suggerimenti ricevuti, la Commissione non potesse o non volesse forzare la mano sul fronte della pratica implementazione di quelle proposte.
L’architettura degli interventi, infatti, non si discosta di molto da quella dell’attuale PAC e, di conseguenza, risulta del tutto inadeguata a rispondere alle sfide future con le quali l’agricoltura è chiamata a confrontarsi. Volendo riassumere il concetto, si potrebbe dire che l’opzione preferita della Comunicazione, cioè quella verso la quale propende la Commissione, è quella che ci saremmo attesi come risultato dell’Health Check, proprio perché non particolarmente invasiva ma comunque funzionale alla riforma più incisiva che ci si aspettava per il post-2013.
La Commissione presenta tre opzioni di riforma: il mantenimento dello status quo con qualche aggiustamento soprattutto sul fronte della distribuzione della spesa tra paesi; la riforma preferita che prevede una redistribuzione delle risorse finanziarie tra paesi e tra beneficiari; lo smantellamento della PAC. A ben guardare, la Commissione di fatto, propone due opzioni di riforma, in quanto la prima e la seconda si differenziano per piccoli aggiustamenti. A queste si affianca l’ultima opzione che è tanto radicale (graduale abbandono delle misure di sostegno al reddito e della maggior parte delle misure di mercato e spostamento della politica verso obiettivi ambientali e di cambiamento climatico) da essere fuori discussione.
La Comunicazione individua tre sfide principali alle quali rispondere negli anni fino al 2020 - sicurezza alimentare, intesa come sicurezza degli approvvigionamenti, comunitari e mondiali, in quantità e qualità; salvaguardia dell’ambiente e mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; equilibrio territoriale - ai quali corrispondono tre obiettivi prioritari che prevedono interventi in favore dei redditi agricoli, della competitività del settore e delle zone svantaggiate (obiettivo 1: Una produzione alimentare efficiente); aumentare l’offerta di beni pubblici ambientali, favorire la crescita verde e combattere il cambiamento climatico (obiettivo 2: Una gestione sostenibile delle risorse naturali e un’azione per il clima); sostenere l’occupazione nelle aree rurali, promuovere la diversificazione e favorire la diversità strutturale dei sistemi agricoli (obiettivo 3: Uno sviluppo territoriale equilibrato).
Gli strumenti della PAC post-2013 nella Comunicazione della Commissione
Questo corposo insieme di obiettivi sarebbe assicurato, secondo la Commissione, attraverso un sistema di pagamenti diretti rivisto, un insieme di misure di mercato semplificate e una blanda revisione della politica di sviluppo rurale.
Riguardo al sistema dei pagamenti diretti, la Commissione afferma la necessità di procedere ad un riesame della distribuzione (tra beneficiari) dei pagamenti diretti al fine di renderla condivisibile e giustificabile agli occhi dei contribuenti. Questa sembra essere la maggiore preoccupazione della Commissione; infatti, al di là dell’abbandono del criterio storico e della conseguente “regionalizzazione” degli aiuti (a livello di Stato membro o di regione), il nuovo sistema, pur nella sua nuova formulazione per livelli di impegno, non si discosta dall’attuale pagamento unico. Della affermata necessità di tenere conto, nella quantificazione dei pagamenti diretti, di criteri economici, in quanto finalizzati a garantire un reddito di base, e ambientali, in quanto preposti alla fornitura di beni pubblici, non si ritrova a: la componente “ecologica” dei pagamenti diretti, cioè quella che si somma alla componente di base e che dovrebbe contribuire a garantire il sostegno ai beni pubblici, non è altro che “la” componente di base con un rafforzamento dei criteri ambientali della condizionalità. Nessuna delle sue componenti è commisurata alle condizioni reddituali del beneficiario o ai costi sostenuti per l’ottenimento del bene pubblico o alla quantità di bene pubblico prodotto (Anania, 2010). Né vi è alcun riferimento alle recenti analisi dell’OCSE (2008) relative alla dubbia efficacia ed efficienza del disaccoppiamento nel garantire beni pubblici in quantità e qualità adeguate ai bisogni della società, sulla base del quale si è sviluppato il dibattito in Svizzera sul futuro dei pagamenti diretti e che ruota attorno ai concetti del targeting (maggiore orientamento dei pagamenti diretti verso obiettivi concreti) e tailoring (calcolo del loro ammontare e della loro durata in funzione dell’obiettivo da raggiungere) (Consiglio federale, 2009; Barth, 2010).
Un sistema così concepito non risolve nessuna delle criticità rilevate riguardo al pagamento unico attualmente esistente e, di conseguenza, non risponde a nessuno degli obiettivi cui, secondo la Commissione, dovrebbe tendere: garanzia della produzione, garanzia del reddito, fornitura di beni pubblici. Su quest’ultimo punto, in particolare, è quanto meno superficiale pensare che la sola componente “ecologica” dei pagamenti diretti possa essere la risposta alla complessa questione dei beni pubblici.
Ancora, nonostante i passi già compiuti nell’ambito dell’Health Check, si propone di semplificare ulteriormente la condizionalità, aumentandone, forse, il livello di gradimento presso gli agricoltori e le Amministrazioni pubbliche ma riducendo, di fatto, la sua rilevanza politica e il suo potere coercitivo.
Sul fronte delle misure di mercato il documento è piuttosto vago, pur riconoscendo l’evidente stato di incertezza in cui versa l’agricoltura europea, sia per la perdita di competitività sui mercati internazionali, sia per l’accentuata volatilità dei prezzi e dei redditi anche come conseguenza di eventi climatici che nella loro eccezionalità stanno divenendo una costante con la quale l’attività agricola è chiamata a fare i conti. Nonostante le accertate difficoltà del settore primario, la Commissione non avanza nessuna proposta innovativa ma, piuttosto, esprime la necessità di una razionalizzazione e semplificazione dello strumento dell’intervento inteso come rete di sicurezza e di non meglio specificate politiche per migliorare il funzionamento della filiera alimentare.
Sul fronte dello sviluppo rurale, al di là delle enunciazioni di principio, gli adeguamenti proposti non sembrano in grado di superare le criticità che l’attuale programmazione ha messo in evidenza, in termini di rigidità della spesa e di difficoltà di attuazione dei programmi. Il rafforzamento è visto in chiave ambientale e non si capisce come questo potrebbe condurre, da solo, a rafforzare la coesione sociale e territoriale e a promuovere l’occupazione e la diversificazione nelle aree rurali. Inoltre, a dispetto di quanto enunciato nel documento stesso, la Commissione non risolve il problema della sovrapposizione tra pilastri, ma, semmai, lo inasprisce. Infatti, introducendo un obiettivo ambientale (la componente ecologica) dentro al pagamento unico non fa altro che aumentare la confusione tra primo e secondo pilastro, aggravata dalla terza componente dei pagamenti diretti, quella in favore delle zone caratterizzate da specifici vincoli naturali, che sarebbe integrativa del sostegno di cui i medesimi agricoltori beneficerebbero nell’ambito dello sviluppo rurale. Inoltre, aumentando il grado di confusione tra i pilastri, propone di predisporre il pacchetto di strumenti per la gestione dei rischi nell’ambito dello sviluppo rurale. E ancora, i temi della competitività, dell’innovazione, della qualità, della fluttuazione dei redditi sono tirati in ballo con riferimento ad entrambi i pilastri della PAC, a testimonianza di una irrisolta questione di competenze nonostante le tante proposte emerse nel dibattito precedente, che non trova altra differenziazione se non quella relativa al tipo di programmazione (annuale nel primo pilastro, pluriennale nel secondo).
Alcune considerazioni conclusive
Il documento della Commissione sembra fare proprie, in linea di principio, le più importanti novità emerse nel dibattito che ha preceduto il varo della Comunicazione - remunerazione di beni pubblici, greening dei pagamenti diretti, equa distribuzione delle risorse, efficacia ed efficienza dell’intervento - più come atto dovuto e per tenere conto delle critiche via via emerse che per una reale convinzione dell’utilità dell’operazione. Proprio per questo, la Comunicazione sul futuro della PAC è un documento deludente, sia riguardo alla coerenza che alla qualità dei contenuti. Si ravvisa, infatti, uno scollamento tra sfide/obiettivi individuati e strumenti conc pit per il loro raggiungimento a causa di uno scarso “coraggio” e reale spirito innovativo nel disegnare tali strumenti.
Le passate riforme della PAC ci avevano consegnato documenti di avvio dei negoziati dalla forte carica riformatrice, della quale continuava a rimanere traccia anche dopo che le inevitabili concessioni fatte sul tavolo delle trattative politiche ne avevano annacquato i contenuti (De Filippis, 2010). L’attuale Comunicazione, proprio perché poco audace in partenza, lascia presagire l’approvazione di una riforma che non si discosterà molto dalla continuazione dell’attuale PAC e nella quale, dopo le trattative, sopravvivranno, forse, il definitivo accantonamento del criterio storico di elargizione degli aiuti (con un periodo transitorio più o meno lungo) e la redistribuzione delle risorse tra paesi (in presenza di correttivi tali da non stravolgere le situazioni di partenza). Tant’è che in Italia il dibattito è totalmente assorbito dalla scelta dei criteri di ripartizione delle risorse per individuare quello meno penalizzante per il nostro paese e, al contempo, capace di aggregare il maggior consenso possibile attorno a esso.
È davvero questa la PAC di cui abbiamo bisogno? È davvero questa la PAC che consentirà di recuperare credibilità agli occhi della società e dei contribuenti? È davvero questa la PAC che renderà il settore agricolo dinamico e competitivo? È davvero questa la PAC che vogliamo mettere sul tappeto nella partita sulle risorse di bilancio?
Riferimenti bibliografici
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- 1. Nel 2009 il reddito agricolo per unità di lavoro annuo nell’UE è calato, rispetto all’anno precedente, dell’11,6%. Sul totale dei 27 paesi, solo 6 hanno fatto registrare un aumento del reddito. Per l’Italia la contrazione è stata pari al 20,7% (EUROSTAT, 2010).
- 2. Per un approfondimento delle posizioni espresse dai numerosi studi che hanno preceduto il lancio della Comunicazione si veda MiPAAF, INEA, 2010.
- 3. Si veda il dibattito sul futuro della PAC ospitato su AGRIREGIONIEUROPA.