Un approccio pluridisciplinare
Gli anni che sono ormai trascorsi nel mio non breve percorso in quel vasto campo di studi che siamo soliti chiamare Economia agraria, mi portano a constatare che un vecchio professore che mi introdusse agli studi accademici aveva ragione.
Aveva ragione quando mi invitava a coltivare con grande curiosità approcci pluridisciplinari nei miei studi. Allora sembrava un’eresia, poteva avere, rispetto a un giovane studioso, un vago sentore di arroganza e per taluno sapeva di superficialità.
Oggi dobbiamo confermare che il vecchio studioso aveva ragione. Aveva ragione allora, ma ne ha ancor più oggi in un’epoca in cui constatiamo come il progresso delle scienze derivi dall’accurata ibridazione di saperi.
Ed ha ragione parlando delle ricerche relative a quel vasto insieme di oggetti di studio e di politica che chiamiamo sistemi agricoli, sistemi agroforestali, sistemi territoriali agricoli, sistemi rurali, sistemi agroindustriali a seconda dell’accento che poniamo.
E questa dimensione pluridisciplinare non può separarsi, come la constatazione degli eventi conferma, da un approccio sopranazionale ai problemi.
Occorre guardare al mondo agricolo italiano, nel contesto europeo, con la lezione della storia delle nostre campagne nella mente, ma con una forte sensibilità verso la modernizzazione e i processi di internazionalizzazione che possono ancora più incisivamente marcarlo nei tempi futuri.
Come giustamente continuano a fare le organizzazioni rappresentative di quel mondo, ma non solo, nonostante il più contenuto ruolo nell’economia nazionale, non possiamo dimenticare che l’agricoltura, le foreste e la pesca continuano a mantenere un peso specifico significativo nella produzione agricola dell’Unione europea fatta di merci agricole, animali e vegetali, di materie prime per la trasformazione o il consumo, di servizi e attività terziarie.
Ed è per questo che dobbiamo spaziare nelle nostre analisi e ricerche dai diritti essenziali all’alimentazione a quelli della remunerazione del giusto compenso per il produttore, dalla valorizzazione delle biomasse agricole e forestali, dalle condizioni per lo sviluppo rurale sostenibile al valore dei servizi ricreativi, dall’impatto sulle bilance commerciali, e le relative guerre, alla funzione sociale degli agricoltori. E potrei continuare.
L’economista agrario: una figura complessa
Ma accanto a questi molteplici obiettivi per una professione articolata qual è quella dell’economista agrario (figura complessa da definire, come mi sovviene in una battuta di Giuseppe Orlando in un convegno SIDEA di molti anni fa a Perugia) se ne affacciano altri di frontiera, fondati sulle analisi economiche e sociali delle problematiche dell’alimentazione e della sicurezza degli alimenti, ma anche sulle implicazioni della salute e del benessere animale.
Dietro le questioni relative alla prevenzione, sorveglianza dei rischi sanitari connessi all’alimentazione, dietro il marketing e la comunicazione alimentare ci sono politiche, costi, meccanismi di valutazione che si rifanno tutti al vecchio concetto di valore. Quanto vale una sana alimentazione in una società sviluppata? Ed in una società in via di sviluppo che richiede la messa a punto di politiche alimentari?
E quali sono le implicazioni economiche rispetto alle condizioni del benessere animale negli allevamenti, benessere il cui rispetto viene chiesto sempre più ad alta voce legittimamente dalle associazioni di protezione animale e dai consumatori sempre più accorti dei paesi sviluppati?
In questo gioco articolato di obiettivi, di campi di ricerca da coltivare, si deve guardare saggiamente al crescente peso degli spazi forestali nelle economie rurali. Certamente occorrerà rafforzare la nostra attenzione verso i problemi economici e politici dei sistemi forestali che per effetto di lenti processi di rinaturalizzazione di antiche aree di coltivazione vedranno crescere il loro ruolo in relazione al sommarsi all’antica funzione di produzione di provvigioni legnose, di quella di produzione di biomasse, di protezione dei territori, di bacini di sequestro del carbonio, di territori per la ricreazione e la salvaguardia dei valori di biodiversità.
E con lo stesso impegno dovremo rafforzare le attenzioni verso le risorse ittiche interne ed in mare aperto, sconfiggendo qualche pigrizia di attenzione che gli studiosi di economia, fatte salve alcune eccezioni, hanno per lungo tempo avuto, fermando le loro attenzioni dove la terra finiva e cominciava il regno delle acque.
Una road map in questo senso dovrebbe derivare dalla progettazione dello sviluppo rurale in atto in Europa con riferimento all’orizzonte 2007-2013. E qui occorre interrogarsi su quanto siamo realmente pronti ad affrontare questo percorso con riferimento ad una cultura di contesto, e ad un impianto della governance, sia istituzionale che procedurale di questa nuova programmazione che ci proietta in un’Europa sempre più vasta, fonte di preoccupazioni ma anche di opportunità.
La cultura di contesto richiede approcci di sempre maggiore e migliore coinvolgimento delle realtà locali con un dialogo tra centro e periferie che pure in questi anni, per effetto di vari strumenti europei (uno per tutti si rammenti l’approccio LEADER), è stato già adottato ma che richiede ancora ulteriori sviluppi attraverso il coinvolgimento dei poteri locali, ma anche dei movimenti di rappresentanza degli interessi che accostino di più le esigenze dei consumatori a quelle dei produttori. D’altro canto, anche a livello centrale le auspicate politiche di modernizzazione implicano un ulteriore coinvolgimento delle differenti branche di governo, sia a livello centrale che locale rafforzando l’interlocuzione di chi ha la responsabilità specifica del governo dell’agricoltura con il mondo della salute, dell’ambiente, dell’energia, della salute, della finanza.
Tutto ciò perseguendo obiettivi di snellimento delle procedure per rendere partecipi in modo efficace, sollecito ed equo i beneficiari dell’azione pubblica.
Nuovi sentieri per la ricerca
In questo quadro la ricerca e la formazione sono ingredienti essenziali per accompagnare lo sviluppo lungo questa traiettoria.
Certamente i livelli di istruzione degli operatori del sistema si sono sensibilmente accresciuti dagli anni della prima politica agricola comune, ma oggi occorre rafforzare ancor più la capacità di comprendere, governare e utilizzare il cambiamento sul piano della formazione, dai livelli tecnici a quelli universitari, determinando migliori sinergie tra sistemi di formazione per le agricolture, per il vivente e per l’ambiente e il territorio.
Fermenti sono in nuce anche per quanto riguarda la stessa denominazione delle sedi dell’alta formazione come le stesse università, alcune delle quali pensano ad una nuova denominazione delle proprie Facoltà di Agraria, operazione che ovviamente non si può ritenere di mera facciata.
Ovviamente non è solo questione nominalistica ma di approccio strategico.
Ed ovviamente tutto ciò si accompagna con la necessità di messa a punto di nuove strategie di ricerca con particolare riferimento alla ricerca applicata.
L’obiettivo dichiarato dall’Unione europea di costruire una bio-economia fondata sulla conoscenza, coniugando l’impegno di ricercatori, mondo professionale, mondo dell’industria ed altri portatori di interessi, spinge a percorrere con più incisività nuove strade partendo dall’affermazione che ovviamente alla base della bio-economia europea c’è il potenziale di risorse biologiche rinnovabili alla cui domanda occorre dare risposte in termini sia quantitativi che qualitativi.
Una ricerca che deve porsi al centro della progettazione e degli accordi internazionali e degli obblighi assunti dall’Unione europea con riferimento allo sviluppo sostenibile e che risponda tanto alla revisione della Politica agricola comune, quanto agli impegni assunti in tema di commercio internazionale, alla Strategia Forestale Europea ed al relativo Piano di azione, così come alla Strategia europea dei biocarburanti, alla Strategia europea per le politiche di sanità animale, o al nuovo Piano di azioni tecnologiche in materia ambientale.
In questo breve articolo, non è ovviamente possibile entrare nei dettagli di ciascuna di queste sfide affascinanti. Le ho solo evocate per far comprendere quanto ampi siano gli orizzonti verso i quali volgere il nostro sguardo avendo la capacità di portare contributi di ciascuna delle nostre “professioni” ma con una visione pluridisciplinare.
Questo è il l’orizzonte che vedo in primo luogo per i colleghi della mia “professione” (gli economisti agrari) ed in particolare per quelli più giovani, che mi permetto di sollecitare ad inoltrarsi con curiosità e coraggio lungo nuovi sentieri.
Ed a tutti va ovviamente l’esortazione a dirigere la propria azione in un’ottica di internazionalizzazione con riferimento ad uno dei molteplici aspetti che possono essere considerati, quali l’Unione europea, le economie più sviluppate, quelle in transizione, le aree dell’arretratezza.
Per concludere, mi sembra opportuno segnalare la necessità di integrare questo nostro modo di interrogarci sullo sviluppo con la riflessione sugli aspetti etici, sociali e più ampiamente culturali dello sviluppo anche al fine di valutare gli impatti delle nostre scelte sulle generazioni future.