Crisi alimentare e politiche agricole

Crisi alimentare e politiche agricole
a Università di Milano, Dipartimento di Economia e Politica Agraria, Agroalimentare e Ambientale

Introduzione

Anche se già sembrano spegnersi i riflettori sulla crisi alimentare mondiale esplosa fra la seconda metà del 2007 e i primi mesi del 2008 grazie ad una forte ripresa della produzione (International Grains Council, 2008; European Commission’s J.R.C., 2008), in realtà tutta la vicenda non può essere archiviata senza una riflessione su alcuni aspetti che nell’urgenza del momento sembrano essere stati trascurati. È appena il caso di ricordare come il fatto più evidente sia stato costituito dall’improvvisa impennata dei prezzi dei principali alimenti di base e dalle conseguenze che essa ha prodotto sul sistema agricolo mondiale. A distanza di pochi mesi si sono moltiplicate le analisi sui fattori che hanno scatenato la crisi. Su quali siano vi è una sostanziale convergenza di vedute, che però cessa nel momento in cui si cerca di assegnare un ben definito peso a ciascuno di essi. Il caso più clamoroso e, forse, più dibattuto è, ad esempio, quello del ruolo giocato dalla nuova domanda, reale e potenziale, di cereali e oleaginose per usi energetici. In realtà nella crisi alimentare si sono intrecciati elementi generali di contesto ed altri specifici del settore agricolo. Fra i primi vi è l’impennata del petrolio e dei prodotti energetici, quella delle altre materie prime, la turbolenza dei mercati finanziari mondiali, la crisi dei mutui sub prime americani, la crescita della domanda di ogni genere di beni in particolare nei paesi emergenti. Fra gli altri, insieme all’espansione ed alla diversificazione della domanda alimentare negli stessi paesi, vi sono l’incremento della domanda dei paesi in via di sviluppo e il contemporaneo rallentamento dell’offerta nei paesi sviluppati collegato all’evoluzione delle politiche agrarie. Quest’ultimo elemento ha coinciso con annate siccitose in Australia e in Asia orientale e con il sensibile incremento dell’impegno a favore dei cosiddetti biocarburanti, in parte concretamente avviato, come negli Usa, in parte potenziale, come nell’Ue ed in altri paesi.

Il mondo di fronte ad una crisi inattesa, ma non imprevedibile

È presto per poter dire se la crisi sia superata ed i suoi eccessi vadano semplicemente ascritti all’effetto amplificatore della globalizzazione su prezzi agricoli in tensione oppure se invece essa sia il primo episodio di una nuova fase dell’economia agricola a livello mondiale. Anche su questo aspetto il dibattito non è mancato e sono state formulate diverse ipotesi sugli scenari possibili: si veda ad esempio il documento Chatham House (2008) che ne presenta un quadro che appare molto condivisibile e completo. Negli scorsi mesi il mondo è apparso colpito dalla subitaneità di una crisi che ha interessato, sia pure in modi assai diversi, tutti i paesi. Essa è sembrata in grado di incrinare una sorta di ingiustificata e acritica fiducia nelle illimitate possibilità del mondo di soddisfare le più svariate esigenze alimentari, aprendo la strada, per reazione, ad una specie di millenarismo ancor più ingiustificato che è arrivato a preconizzare la contrazione della popolazione mondiale e, comunque, la forzata riduzione della dieta alimentare. Si è così assistito ad una serie di reazioni che hanno coinvolto tutti i paesi secondo logiche assai diverse. Da questo punto di vista può essere utile distinguere tre tipi di situazioni: a) i paesi in via di sviluppo con seri problemi di insufficiente disponibilità alimentare, i cosiddetti paesi della fame; b) i paesi che si sono liberati di recente da questo assillo, ma che sono a rischio per una vasta serie di cause e temono di essere risospinti in quella condizione; c) i paesi sviluppati con elevati livelli quali-quantitativi dei consumi. La cronaca degli scorsi mesi mostra che le reazioni sono state molto diverse nei tre diversi gruppi: il primo ha visto aggravarsi i suoi già seri problemi per l’effetto concomitante degli aumenti dei prezzi degli alimenti e dell’energia, finendo sempre più lontano dagli obiettivi dei Millennium Goals; il secondo ha dovuto affrontare disordini e proteste sociali anche violenti da parte di una popolazione che temeva di perdere ciò che aveva di recente conquistato; il terzo ha avuto reazioni varie improntate ad una sostanziale epidermicità e che hanno creato una curiosa miscela di preoccupazione a parole per i poveri del mondo, di incredulità di fronte ad un fatto, come la carenza di alimenti, che sembrava relegato ad un passato ormai sepolto, di assurdi rimedi come la riscoperta dell’autarchia e del protezionismo, il ritorno ad agricolture idilliache e scarsamente produttive. Il tutto però non ha impedito il mantenimento dei precedenti usi alimentari, lasciando ad altri il compito di correggere i propri in un’inedita versione del concetto del “nimby” (1). La crisi ha suscitato una serie di reazioni che si sono tradotte in genere in provvedimenti di politica agraria che, nell’insieme appaiono incoerenti, improvvisati, ma soprattutto inadeguati ad affrontare la situazione.

Una rilettura in chiave di politica agraria

Le cronache degli ultimi mesi recano abbondanti tracce delle decisioni di politica agraria adottate dai diversi paesi. Fra le prime si segnala, ad esempio, la decisione della Russia di imporre un rigido blocco dei prezzi dei prodotti alimentari, forse anche in relazione all’imminente tornata elettorale che l’attendeva, una misura che, spesso invocata, si è storicamente dimostrata inefficace. Un secondo genere di misure, inaugurato dall’Ucraina per il frumento, è stato quello di limitare o bloccare le esportazioni delle commodities nell’intento di evitare un’eccessiva salita dei prezzi causata dalla riduzione dell’offerta sul mercato interno. Un terzo tipo di provvedimenti si è indirizzato al razionamento o al contingentamento dell’offerta per frenare la domanda. Altri paesi hanno cercato di aiutare la domanda degli strati della società più esposti alle conseguenze dei rincari. Fra gli esempi dei provvedimenti più curiosi da citare, infine, si può inserire il blocco attuato dal governo indiano nei confronti dei mercati a termine per contrastare la speculazione e adottato, pur conoscendone e proclamandone l’inefficacia, per assecondare una parte della coalizione di governo. Un altro esempio-limite è quello di un’importante catena della grande distribuzione inglese che nei punti vendita localizzati in aree a elevata presenza di immigrati forti consumatori di riso limitava l’acquisto a due confezioni pro capite, senza vincoli sul formato delle confezioni stesse. Nel complesso vi è stata una riscoperta del ruolo delle politiche agrarie testimoniata dalla numerosità degli interventi assunti dai vari paesi. Secondo una stima del giews/ Fao (2008) nel periodo compreso fra aprile e luglio del 2008 sono stati adottati nel mondo 53 provvedimenti di politica agraria che si sono sommati ai 65 esistenti alla data d’inizio per una quota del 42% del totale (vedi Tabella 1). La maggior parte di essi, 38, pari al 72%, ha riguardato misure relative alla produzione e al commercio estero mentre quelli connessi a politiche a favore dei consumatori sono stati soltanto il restante 28% del totale. Al contrario, sui 65 in essere ad aprile, 32, pari al 49%, appartenevano alla prima categoria mentre 33 (51%) erano assegnabili alla seconda. A conclusioni analoghe arriva anche la rassegna contenuta in (World Bank 2008).

Tabella 1 - Sintesi dei provvedimenti di politica agraria e alimentare per categorie e periodo di adozione

Fonte: FAO, GIEWS

La crisi, la politica agraria e la nostra agricoltura

Mentre il mondo si affannava con le politiche agrarie, da noi il dibattito di fatto non è mai decollato. Sul piano europeo la presentazione delle proposte dell’Health Check non ha tenuto in gran conto quanto stava avvenendo. I documenti comunitari, frettolosamente predisposti negli scorsi mesi, appaiono più come difese d’ufficio della PAC e dell’Health Check, che come riflessioni legate alla contingenza. Tutti concordano ad esempio nel presentare come risposte alla crisi agricola mondiale tre provvedimenti: a) la sospensione del set aside; b) la sospensione dei dazi all’importazione; c) l’aumento del 2% delle quote latte. Come è noto, il primo era già previsto nelle linee guida dell’Health Check, che ne prevede la soppressione; il secondo risale all’impianto originario delle OCM già dagli anni Sessanta che nel caso di carenza di prodotto prevedevano misure come questa a favore dell’approvvigionamento del mercato europeo, e il terzo fa parte della progressiva eliminazione del regime delle quote latte annunciata da tempo. Gli altri interventi proposti dall’UE al momento sono ancora da riempire di contenuti.
Sul piano nazionale si sono colti solo timidi accenni su due aspetti di richiamo per il grande pubblico, e cioè quello dei paesi poveri e quello dei prezzi al consumo. Il primo giocato molto sull’emotività, il secondo connesso ai problemi interni di calo del potere d’acquisto e di povertà delle fasce più deboli della popolazione. Quello che è mancato, a nostro avviso, è un dibattito sulle politiche agrarie che collegasse in maniera organica la situazione del momento e le politiche degli scorsi anni con la riforma della PAC del 1992 e le sue prospettive per i prossimi anni. Per consentire l’avvio della discussione sarebbero necessarie sia un’analisi delle cause recenti e remote della crisi sia l’elaborazione di potenziali scenari (Gilbert, 2008; Chatham House, 2008). Nel caso italiano si è registrato quasi contemporaneamente un certo interesse attorno al tema della liberalizzazione dei mercati che in una sua versione troppo ampia e sregolata viene definita in senso negativo come “mercatismo”. In effetti, come abbiamo visto a livello mondiale, nella maggior parte dei paesi che hanno ritenuto di intervenire durante la crisi, si è registrata una forte propensione al ritorno a politiche protezionistiche, in qualche caso accompagnata da un sotterraneo e male inteso neo- malthusianesimo. Il ripiegamento su queste posizioni sembra una paradossale conseguenza di un processo di liberalizzazione che si è manifestato sempre più rapido e pervasivo. Come in tutte le situazioni del genere, alle prime difficoltà scatta la molla del ricorso al protezionismo come forma estrema di difesa. La teoria economica e l’esperienza dimostrano che si tratta di una scelta miope e controproducente, ma è difficile resistere alle sue lusinghe, anche perché permette di recuperare spazi agli elementi più deboli del sistema economico che ne traggono un sollievo sia pure di breve durata. Nel caso dell’agricoltura, da sempre abituata al sostegno accordato dalle diverse politiche agrarie e di recente esposta ad una crescente competizione, la tentazione e le pressioni sono ancora più forti ed hanno immediatamente trovato un inconsapevole sostegno in un’opinione pubblica frastornata. In realtà si saldano diverse posizioni, in particolare quelle classiche del protezionismo agricolo e quelle legate al sostegno alle produzioni di nicchia. Molti documenti fra quelli citati insistono sul fatto che alla base dell’attuale crisi vi sia stato nei paesi industrializzati un effettivo “disinvestimento” in agricoltura. Concordiamo con questa tesi, confortati dall’arresto dell’introduzione di progresso tecnico e dalla stasi dei rendimenti produttivi, ma il problema che si pone, se si accetta questa critica, è serio. Esso, infatti, mette in discussione una certa logica della PAC degli ultimi decenni che di fatto, pur aprendo il mercato europeo alla concorrenza mondiale, non ha puntato ad incrementare la competitività del sistema agricolo europeo. Nel caso italiano, questo contrasto è ancora più evidente se si considera la rilevanza delle produzioni tipiche, come salumi, formaggi, pasta, che tuttavia hanno bisogno di materie prime in misura crescente che il sistema nazionale non riesce a fornire. La crisi, indipendentemente dallo scenario verso il quale si incamminerà l’agricoltura mondiale, deve costituire un’occasione per rivedere criticamente l’impostazione della PAC, tenendo presente che il rischio di una possibile carenza di prodotti alimentari su vasta scala non è poi così remoto.

Note

(1) L’acronimo significa not in my back yard e si riferisce al diffuso comportamento di coloro che si dichiarano a favore, ad esempio, di infrastrutture pubbliche, purché ciò non coinvolga le loro proprietà.

Riferimenti bibliografici

  • Chatham House (2008), Thinking about the future of food, The Chatham House Food Supply Scenarios, Briefing Paper, London
  • Commissione Europea (2008), Far fronte alla sfida dell'aumento dei prezzi alimentari - Linee d'intervento dell'UE , European Commission, Brussels Council of European Union (2008), Brussels European Council 19/20 June 2008 – Presidency conclusions, Brussels
  • European Commission (2008), High prices on agricultural commodity markets: situation and prospects, European Commission, Brussels
  • European Commission's Joint Research Centre (2008), Crop yield forecasts for 2008, Brussels
  • Gilbert C.L. (2008), What has the food summit achieved, working paper University of Trento, sintesi pubblicata in [link]
  • International Grains Council (2008), Grain market report n°381, IGC, London
  • Mitchell, Donald (2008), Note on Rising Food Prices, policy research working paper n°4682, World Bank, Washington
  • vonWitzke H., Noleppa S., Schwarz G. (2008), Global agricultural market trends and their impacts on European Union agriculture, working paper 84/2008, Humboldt Universitat Berlin
  • World Bank (2008), Rising food prices: Policy options and World Bank response, World Bank, Washington
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