Il tema della responsabilità sociale si sta spostando sempre più da una visione strettamente legata all’impresa ad una più ampia, che vede sguardi differenti posarsi sui diversi elementi in gioco: l’impresa, il prodotto, i soggetti, le relazioni, i servizi. Si tratta di un concetto e di pratiche nate nel contesto occidentale, che trovano spazio anche in altri paesi, soprattutto ad opera delle multinazionali, chiamate a rispondere “globalmente” alle richieste dei consumatori e della società civile. In questo breve contributo sarà messo in evidenza come il concetto si sia sviluppato nel nostro ambiente e difficilmente possa rispondere alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo (PVS). Sarà inoltre introdotto il concetto di “responsabilità sociale del territorio”, che potrebbe non solo rappresentare un’opportunità per le imprese e i territori europei ma rispondere anche alle esigenze dei PVS.
La responsabilità sociale d’impresa in Europa e nel mondo
Il concetto di responsabilità sociale connesso alle dinamiche economiche è molto antico e trova spazio nella nostra cultura già a partire da Aristotele, che nel 387 a.c. aveva individuato una relazione tra economia ed etica considerandole entrambe branche della filosofia. Tutte e due, infatti, secondo Aristotele avevano lo scopo “sociale” di indirizzare le Polis e i governi nella creazione responsabile e diffusa di benessere e felicità. Da allora, il rapporto tra etica ed economia ha avuto sviluppi alterni, passando da fasi in cui i due concetti sono stati presi in considerazione in assoluta separatezza (scuola neoclassica, teoria dell’homo economicus) a fasi in cui sono invece stati considerati molto legati. Ciò è avvenuto soprattutto negli anni recenti, a partire dagli anni Settanta, con la globalizzazione. Il concetto di responsabilità sociale, però, è stato connesso alla teoria dello stakeholder approach solo nel 1984, grazie al filosofo Robert Edward Freeman. Quello della Responsabilità sociale d’impresa (RSI), così com’è oggi configurato, è quindi un concetto recentemente maturato nel nostro contesto, che risponde ad esigenze proprie della nostra società, che non ha problemi di approvvigionamento delle risorse alimentari, ha acquisito una maggiore competenza nella scelta del cibo e predilige, almeno nella fascia medio-alta della popolazione, alimenti di qualità, legati al territorio e con valore aggiunto derivante dalla crescente attenzione all’ambiente e alla società.
La RSI viene definita nel Libro verde della Commissione delle Comunità Europee del 2001 come “Integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Ma l’affermazione sul mercato delle imprese multinazionali ha richiesto un confronto con ordinamenti giuridici e istituzioni diverse, che hanno stimolato la ricerca di nuove forme di controllo e legittimazione dell’azione responsabile, in particolare in territori con istituzioni poco consolidate come i Paesi in via di sviluppo.
L’attenzione all’evoluzione del concetto e delle pratiche di RSI è stata evidenziata dal Parlamento europeo, con la Risoluzione 2006/2133 (INI) del 13 marzo 2007 sulla RSI, che chiede di spostare l'accento “dai "processi" ai "risultati", con un conseguente contributo misurabile e trasparente da parte delle imprese alla lotta contro l'esclusione sociale e il degrado ambientale in Europa e nel mondo”. La stessa Risoluzione suggerisce inoltre che “le valutazioni e il controllo delle imprese europee riconosciute responsabili si estendano anche alle loro attività e a quelle dei loro sub-contraenti al di fuori dell'Unione europea, al fine di garantire che la RSI sia di beneficio anche ai paesi terzi e segnatamente ai paesi in via di sviluppo, in conformità delle convenzioni dell’OIL per quanto riguarda, segnatamente, la libertà sindacale, il divieto del lavoro minorile, del lavoro forzato e, in modo più specifico, quelle relative alle donne, degli immigrati, degli autoctoni e dei gruppi minoritari”1.
Nel contesto internazionale, i modi di applicare la RSI possono essere diversi, ma tutti concorrono ad assicurare all’impresa la crescita di consenso da parte dell’opinione pubblica per mezzo della fiducia guadagnata nei confronti degli stakeholder. I campi di applicazione, quindi, possono essere l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, i diritti umani, la legalità, il rapporto con i consumatori. L’attenzione al territorio e all’ambiente, la gestione delle risorse idriche, la riduzione delle emissioni nell’atmosfera rappresentano elementi particolarmente significativi per le politiche europee e per le strategie delle imprese che operano nei PVS. L’attenzione viene posta anche ai diritti dei lavoratori. Tuttavia, uno dei motivi che continua a spingere le multinazionali a spostare le produzioni, soprattutto quelle industriali, nei PVS è proprio il basso costo della manodopera e le minori tutele dei lavoratori, che permettono maggiore flessibilità attraverso condizioni di lavoro peggiori (in termini di orari, turni, sicurezza, ecc.).
Il concetto di RSI continua ad essere quindi espressione del pensiero europeo nel quadro del pensiero di tipo occidentale (Pocar, 2008), che (a volte) tollera altre visioni del mondo che si discostino parzialmente dalla propria e che tende ad assimilare tali visioni alla propria. Nelle pratiche di responsabilità sociale delle imprese occidentali, risulta importante rispondere formalmente alle richieste sempre più attente dei consumatori, senza preoccuparsi in maniera sostanziale dell’impatto delle proprie azioni nei PVS. In tali paesi, inoltre, le uniche pratiche vicine al nostro concetto di RSI sono quelle che fanno riferimento al commercio equo e responsabile, che prevedono il giusto prezzo per il produttore, il contatto diretto tra produttore e consumatore, la possibilità di ottenere un prefinanziamento per la produzione e per il suo miglioramento, l’attenzione all’ambiente naturale e sociale. Queste esperienze presentano il forte limite di collocarsi in una dimensione marginale rispetto alla globalizzazione del sistema di produzione e commercializzazione, costituendo soprattutto un esempio, una testimonianza, di un modo diverso di organizzare la filiera.
Altri esempi di “alleanze” tra imprese e altri soggetti si trovano in diversi paesi e ad hanno come oggetto la produzione, la qualità, la commercializzazione, lo sviluppo tecnologico, con vantaggi sia in termini di rafforzamento della capacità di concludere accordi di sub-fornitura con le multinazionali sia in termini di ottimizzazione delle capacità produttive. Tuttavia, nella maggioranza dei casi le alleanze non avvengono tra PVS e il ruolo delle multinazionali risulta molto forte, come nel caso della Nestlè che, per far fronte alla crisi del prezzo del caffè, ha costruito un’alleanza con i produttori per creare un circuito corto di commercializzazione e far crescere il valore aggiunto nei luoghi di origine attraverso il miglioramento della qualità e lo sviluppo del mercato interno. Un esempio analogo è quello di Illy, che nei Paesi produttori, oltre a promuove tecniche agronomiche a basso impatto ambientale, ha avviato con le Università del caffè di San Paolo, Bangalore e Bogotà corsi stanziali o itineranti nelle zone di produzione dedicati ai coltivatori “perché anche la diffusione del sapere genera benessere e ottimizza le risorse, alimentando la catena del valore che contraddistingue l’azienda”2. Inoltre, l’azienda ha promosso le produzioni di qualità anche dei piccoli produttori di caffè organizzando un premio per i produttori di caffè di alta qualità. Molti proprietari terrieri hanno così iniziato a sviluppare un prodotto di qualità, investendo maggiormente nella produzione ed Illy ha iniziato ad allacciare rapporti diretti con questi produttori, eliminando così la figura dei cosiddetti “attraversatori”, i mediatori, e riducendo i passaggi della filiera. Dal 2008 l’azienda ha istituito anche il “Diploma di sostenibilità”, che considera l’atteggiamento sostenibile dei produttori partecipanti dal punto di vista sociale, economico e ambientale.
Responsabilità sociale del territorio
La responsabilità sociale del territorio (RST) - che da qualche tempo affianca la RSI, da cui prende le mosse - è un concetto ancora poco definito, sul quale da poco sono state avviate serie riflessioni e che si sta manifestando ancora in poche realtà operative. Il paradigma è molto simile a quello della RSI, anche se cambia il contesto di riferimento e si ampliano le categorie di analisi. La RST evoca, infatti, una visione collettiva dello sviluppo, in cui non è la singola impresa ad essere chiamata a relazionarsi con gli altri soggetti, ma è la comunità - il territorio, appunto - che viene assunto come sistema.
Rispetto alla RSI, nella RST cambiano i soggetti della relazione: il nucleo centrale del sistema di relazioni non è più la singola impresa, ma la comunità locale, con un passaggio significativo ad un sistema-rete multi-nodale, in cui i diversi soggetti sono parimenti promotori della responsabilità e dello sviluppo. Il suo obiettivo risiede nel miglioramento della qualità della vita della comunità e nel coniugare istanze economiche con uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
La RST, in un sistema sempre più competitivo, permette di incrementare il valore del capitale intangibile, relazionale e reputazionale di tutti i soggetti del territorio e quindi di aumentare la competitività del territorio nel suo insieme. In questo senso, la RST si delinea come una direzione di senso che l’intera collettività si dà, sulla base di valori condivisi, capace di innescare un circolo virtuoso, in cui i benefici si riversino tanto sul singolo quanto sulla collettività.
Le dinamiche relazionali assumono chiaramente un ruolo centrale, in quanto orientano il processo nel suo insieme, permettono la condivisione e la gestione dei legami fiduciari, contribuiscono alla creazione della comunità. I soggetti pubblici possono rappresentare l’elemento strategico per riuscire a fare sistema in modo efficace e raggiungere un elevato livello di inclusione e partecipazione dei diversi soggetti: imprese, società civile, istituzioni.
Lo spostamento dell’asse del soggetto principale verso un’ottica che privilegia la comunità risulta significativo innanzitutto perché è direttamente finalizzato a realizzare l’obiettivo strategico della competitività del territorio, in una chiave responsabile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Tale ottica, inoltre, trova notevoli affinità con l’idea del distretto e del reticolo di relazioni che lo connota. Non è tuttavia facile individuare i passaggi necessari per spostare veramente l’ottica dall’individuale al collettivo. Non a caso le esperienze di questo tipo sono ancora limitate e le riflessioni in corso d’opera.
La dimensione della relazione con il contesto sociale può diventare un elemento di rilancio del sistema economico individuando nel capitale sociale il motore dello sviluppo, muovendosi in una dimensione in cui la comunità locale - di cui l’impresa fa parte - entra in relazione con tutti gli attori, tra cui quelli economici. È fondamentale però l’inclusione di tutti i soggetti e la loro effettiva partecipazione alle decisioni, con un coinvolgimento diretto della cittadinanza nella gestione della res publica e, di conseguenza, un passaggio da un modello negoziale ad uno deliberativo (Donolo, 2005). Per fare ciò, occorre passare da una struttura piramidale, presente nelle organizzazioni rappresentative, a una reticolare, propria delle organizzazioni a responsabilità diffusa, nella quale la presenza di più competenze è auspicata e valorizzata.
Dal punto di vista micro, il modello di RST mette al centro dell’attenzione l’impresa collaborativa, che considera la responsabilità sociale non residuale ma centrale nella gestione dell’impresa, con un approccio nuovo alla gestione, al controllo e alla rendicontazione delle performance aziendali. In questo senso, le relazioni rappresentano un asset cruciale.
Anche in questo caso alcune esperienze legate al commercio equo e solidale possono essere considerate un valido esempio di sviluppo di pratiche di RST.
Responsabilità sociale del territorio e prospettive nei Paesi in via di sviluppo
Nei PVS la prospettiva di una responsabilità sociale centrata sul territorio più che sull’impresa può rappresentare sicuramente un’opportunità di sviluppo in termini sociali ed economici. Essa offre infatti maggiori possibilità di declinare gli aspetti etici dell’agire economico secondo le caratteristiche di contesti specifici, facendo leva sulle risorse culturali e sociali del territorio. Si tratta in qualche modo di un concetto che, seppur maturato nel nostro contesto, si presta maggiormente ad interpretazioni proprie delle diverse culture.
Se assumiamo lo sviluppo - inteso come crescita del capitale umano e sociale e come sostenibilità complessiva - come la categoria più adeguata per misurare l’eticità degli aspetti economici e non economici della globalizzazione (Caselli, 2003), la RST, centrata come è sulle persone e sui processi endogeni, potrebbe rappresentare la giusta prospettiva di lavoro nei PVS. La produzione di valore, inoltre, è una filiera e "lega gli attori che fanno parte di un sistema economico in una successione senza soluzione di continuità, dal livello locale a quello nazionale, ciascuno dei quali ha una sua totale originalità in quanto coincide con l’apporto originale della mission di ciascuno" (Caselli, 2003).
Riferimenti bibliografici
- Commissione delle Comunità Europee, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Libro Verde, Bruxelles, 2001
- Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2007 sulla responsabilità sociale delle imprese: un nuovo partenariato (2006/2133(INI))
- Caselli C., Etica e responsabilità d’impresa nelle relazioni internazionali, ISTEI, Università degli studi di Milano Bicocca, 2003
- Cotera A., ortiz H. (a cura di), Comercio justo en America Latina. Atti del convegno, Lima 2003
- Donolo C. Dalle politiche pubbliche alle pratiche sociali nella produzione di beni pubblici? Osservazioni su una nuova generazione di policies, Stato e mercato n. 73, 2005
- Peraro F., Vecchiato G. (a cura di), Responsabilità sociale del territorio, Franco angeli, 2007
- Pocar V., Pluralità delle menti e pluralità dei diritti, in Scienza & società, n. 3-4, 2008