Le due anime dello sviluppo rurale
Lo sviluppo in favore dei territori rurali, in termini di politica economica, ha svariate anime. Due però sono le principali: la politica di sviluppo rurale, ovvero la politica disegnata a livello comunitario e finanziata dal secondo pilastro della PAC e la politica regionale (comunitaria, finanziata dai fondi strutturali e dal cofinanziamento nazionale-regionale; la politica nazionale finanziata dal Fondo per le aree sottoutilizzate)1. Queste politiche impattano nei territori rurali, con una differenza sostanziale: la politica di sviluppo rurale è espressamente disegnata con una strategia di sviluppo in favore dei territori rurali; la politica regionale “cade” sui territori rurali, ma con strategie disegnate o in un’ottica settoriale - diversa da quella agricola (ad esempio gli interventi in favore dell’ambiente o in favore dei trasporti) - o in un’ottica di sviluppo locale (ad esempio il caso dei Progetti Integrati Territoriali)2.
Il Documento Strategico Preliminare Nazionale (DSPN) è stato recentemente pubblicato dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS), del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per conto di tutte le amministrazioni centrali e in partenariato con le rappresentanze istituzionali degli enti locali e delle parti economiche e sociali. Nel fare il punto su quanto è stato realizzato nel periodo 2000-2006, il DSPN lancia le prime idee per una strategia futura3. Esso non soltanto considera i sistemi agro-alimentari alla stregua di altri sistemi produttivi chiave per il Paese (come quelli industriali e quelli turistici), ma individua i sistemi rurali come entità territoriali, alla stregua delle città, alla base del prossimo disegno di programmazione (il futuro QSN).
Pur riconoscendo la necessità di continuare a ragionare per grandi temi e per settori (ad esempio Ricerca e innovazione; Ambiente e risorse naturali e culturali e altri), il DPSN afferma l’importanza che priorità e criteri delineati per grandi temi, vengano poi declinati attraverso una dimensione territoriale. E’ nella particolare articolazione di risorse e di soggetti e di interessi nel territorio, infatti, che le singole azioni “settoriali” possono integrarsi. Il territorio, in questo caso i diversi sistemi rurali con le loro differenti caratteristiche, è considerato il punto di partenza per l’integrazione delle due “anime” della politica in favore dei territori rurali (la politica di sviluppo rurale e la politica regionale). L’idea di disegnare la prossima programmazione sulla base di diverse declinazioni territoriali (tra cui appunto i sistemi rurali) racchiude il convincimento che, sebbene le politiche siano tante e con organizzazioni di “governance” assai complesse, i “territori” per i quali le diverse politiche vengono disegnate non cambiano, come non cambiano le loro necessità e le loro potenzialità.
In un territorio come quello italiano, caratterizzato dalla continua alternanza tra città e campagna, è decisamente riduttivo immaginare i territori rurali come un alter ego rispetto alle città, realtà anche queste assai eterogenee, che vanno da comuni di medie dimensioni al grande centro urbano. I territori rurali sono tanti, diversi per bisogni e potenzialità, ed è fuori dubbio che tra i fattori che li caratterizzano, il rapporto con le città è uno dei più importanti. Per questo si è deciso nel DPSN, in linea con quanto sta avvenendo nella discussione in corso per il Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale, di dare una declinazione diversa delle aree rurali secondo le tipologie di aree che a loro volta dovrebbero essere “il minimo comune multiplo” che possa permettere alle due politiche per lo sviluppo dei territori rurali -la politica di sviluppo rurale e la politica di sviluppo regionale-, di potersi integrare.
Alla base della riflessione del disegno della nuova strategia per il periodo di programmazione 2000-2006 c’è infatti l’esperienza passata. Il Seminario organizzato a Roma il 10 marzo 2005 dall’Unità di valutazione degli investimenti pubblici (Uval) e dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea) su “Valutazione e sviluppo delle aree rurali”4 ha permesso di mettere a fuoco una serie di messaggi fondamentali provenienti dalle diverse attività di valutazione, ma anche più in generale dagli avanzamenti conoscitivi del Paese su queste questioni, che dovrebbero fungere da “punti di riferimento e di partenza” per il prossimo periodo di programmazione. Verranno richiamati in questo articolo alcuni dei messaggi chiave emersi in tale occasione.
Un messaggio chiave delle attività valutative è stato la loro incapacità (ma spesso anche della programmazione) di mettere il territorio al centro dell’attività di valutazione, e quindi anche di quella di programmazione. Questo è avvenuto solo in rare eccezioni (si pensi all’iniziativa comunitaria Leader o alle diverse esperienze di programmazione integrata) che però costituiscono esperienze di nicchia, benché di rilevante importanza. Troppo spesso nel programmare, come anche nel valutare, ci si è dimenticati dei territori e dei soggetti che su di essi gravitano (operatori economici e/o semplici cittadini). Per questo si è deciso che la prossima volta bisognerà partire anche dai territori (che sono stati definiti nel caso che ci riguarda sistemi rurali), riconoscendo le loro peculiarità e le loro differenze.
Si è dunque ammesso, ad esempio, che un territorio rurale peri-urbano non avrà le stesse caratteristiche e gli stessi bisogni di un territorio rurale intermedio, a forte specializzazione agricola. Il primo avrà probabilmente più bisogno di interventi di valorizzazione delle aree verdi e delle zone agricole peri-urbane e di soluzioni equilibrate e sostenibili, che riescano a contemperare esigenze residenziali con il diritto di vivere in aree verdi e piacevoli; il secondo richiederà scelte importanti, come l’investimento in servizi essenziali se si reputa che questi ultimi possano essere centrali per reinnestare un processo di sviluppo, o migliorarne uno già in atto. Questo anche per assicurare condizioni di vivibilità per i giovani che scelgono di costruirsi un futuro in un’area rurale, e per facilitare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro (che nelle aree rurali non significa più esclusivamente in agricoltura)5.
Un discorso a sé meriteranno quei territori marginali (che spesso coincidono con condizioni di accessibilità particolarmente gravose, come ad esempio alcune aree di montagna o di alta collina) che, anche alla luce delle evoluzioni della PAC, eliminando i sussidi alle produzioni e venendo meno la copertura dalla garanzia dei prezzi, in alcuni casi (coltivazioni ed aree differenti) stanno già optando per la dismissione delle coltivazioni (il caso del grano duro in Italia). Queste aree, già spesso caratterizzate da trend demografici e occupazionali preoccupanti (forte senilizzazione della popolazione; venir meno dei giovani, alti tassi di disoccupazione giovanile e femminile), verranno sottoposte ad un ulteriore stress, con il ridursi anche dei redditi agricoli. Si pone qui un serio problema di politica economica, ma anche di chiara strategia politica.
L’esperienza passata
Ad oggi, la politica di sviluppo rurale del Paese ha ancora un carattere fortemente settoriale e fatica a diventare una politica trasversale, legata al territorio. La maggior parte degli interventi in favore dei territori rurali, nel 2000-2006 è costituita ancora da incentivi alle aziende agricole principali beneficiarie di questi programmi. Altri soggetti, altrettanto importanti, quali Comuni, gruppi di Comuni, Gal, altri operatori economici e “popolazioni rurali” hanno beneficiato in maniera marginale di queste politiche. Ne consegue che l’obiettivo di miglioramento della competitività delle filiere agro-alimentari e quello ambientale (di gestione del territorio) sono quelli che hanno ottenuto il grosso dei finanziamenti nel periodo 2000-2006, mentre l’obiettivo di diversificazione dei redditi e di miglioramento della vita delle popolazioni rurali è stato scarsamente perseguito6. La conoscenza messa a disposizione dalla ricca attività di valutazione perseguita nel periodo 2000-2006 segnala che ad oggi l’obiettivo competitività, anche se con difficoltà ad esempio collegate alla capacità di raggiungimento dei target fissati o al mancato collegamento delle diverse misure in un’ottica di filiera produttiva o territoriale, è stato perseguito da tutte le Regioni con notevoli investimenti finanziari (più difficile è invece dare un giudizio generale sugli effetti che questi investimenti hanno avuto sulla competitività del settore, sebbene alcune evidenze emergano in relazione a casi specifici)7. Al contrario, l’obiettivo di sviluppo dei territori rurali, che aveva il duplice scopo di creare nuove opportunità di lavoro e rendere la vita nelle aree rurali più vivibile, benché registri esperienze pilota interessanti in alcune Regioni del Paese , nel complesso ha stentato a decollare e si è concretizzato in iniziative di tipo prevalentemente “infrastrutturale” (progetti specifici per l’irrigazione interaziendale, l’elettrificazione di zone rurali e soprattutto la costruzione o ristrutturazione di strade rurali).
Interventi più innovativi, in favore della Diversificazione delle attività nelle aree rurali, come ad esempio interventi in favore della trasformazione di prodotti tipici, la valorizzazione integrata di risorse locali quali prodotti alimentari specifici collegati anche a interventi in favore dell’artigianato locale e del turismo, hanno trovato poco spazio nella programmazione8. In generale, c’è stata una vera e propria mancanza di idee innovative per realizzare l’obiettivo di creare nuove opportunità di lavoro e la diversificazione ha interessato principalmente la realizzazione o il potenziamento degli agriturismi, tralasciando altre occasioni interessanti, quali quelle legate alle attività artigianali e al settore dei servizi, ambientali, culturali o socio-sanitari. Scarso anche il perseguimento dell’obiettivo del miglioramento della qualità della vita nelle aree rurali che si sarebbe dovuto realizzare attraverso interventi che migliorassero il livello dell’offerta e dell’accessibilità di servizi per le aree rurali, ovvero servizi di assistenza sanitaria, creazione di asili nido, miglioramento o potenziamento dei servizi di trasporto ed infine diffusione della cultura del riciclaggio dei rifiuti9. Ovviamente il quadro della spesa e degli interventi di politica economica prescelti può cambiare notevolmente se si scende al livello delle singole Regioni, ma resta comunque una situazione assai preoccupante nel complesso. Ne risulta infatti una fotografia abbastanza deludente degli interventi a favore dello sviluppo rurale che, lontani dal saper integrare le risorse sui territori, valorizzare le produzioni attraverso strategie di qualità, offrire alternative interessanti di reddito per le popolazioni rurali e innalzare il livello della qualità delle loro esistenze, si sono limitati a creare infrastrutture, di cui alcune di base (strade rurali e elettrificazione) e distribuire incentivi alle aziende agricole.
Se l’obiettivo di “migliorare la qualità della vita e creare nuove opportunità di lavoro” resta un obiettivo prioritario di politica economica in favore dello sviluppo delle aree rurali (alcune delle quali sottoposte a rilevanti stress demografici), è possibile continuare a rispondere con politiche che pongano al loro centro prevalentemente l’azienda agricola e non sempre in un’ottica di filiera? E’ possibile continuare a perseguire la diversificazione dei redditi esclusivamente attraverso il finanziamento degli agriturismi? Quanta occupazione garantisce l’agricoltura nelle aree rurali italiane? L’unico dato attualmente disponibile è il dato Ocse che ci dice che l’agricoltura, nelle aree prevalentemente rurali di tutta l’area Ocse garantisce meno del 10% dell’occupazione, in Italia questa percentuale è passata dal 12% nel 1990, al 9% nel 2000. Senza voler entrare nella discussione sulla validità o meno della definizione Ocse in relazione alla delimitazione del territorio rurale del Paese a causa delle caratteristiche del nostro territorio, dove realtà rurali e urbane convivono in maniera estremamente legata, è indubbio che sempre di più altri settori sono fonti di reddito importanti nelle aree rurali (il settore dei servizi e, in alcuni casi, anche il settore industriale).
Si possono cercare delle spiegazioni al perché la politica di sviluppo rurale resta marcatamente settoriale ed ai limiti di realizzazione sopra elencati. Non ci si deve dimenticare che si tratta di una politica giovane ed in fieri. Queste caratteristiche vengono spesso dimenticate, perché la si confonde con la politica agricola, che ha ben più lunga tradizione e che è stata la prima politica “comunitaria”. Inoltre la politica di sviluppo rurale comunitaria, e quindi anche quella Italiana, nasce come politica agricola strutturale, con l’obiettivo principale di ammodernamento del settore agricolo. Negli anni questa politica ha subito notevoli evoluzioni (prima e seconda riforma dei Fondi Strutturali; Conferenza di Cork e di Salisbugo) e ad oggi essa svolge un doppio ruolo: quello di trovare risposta ai grandi problemi strutturali del settore agricolo italiano e quello di dare impulso ai territori rurali. Il rischio è quello del Paradosso di Caballero, così definito alla Territorial Policy Conference Ocse di Oaxaca (Messico, 2005), ovvero il fatto che ci si trova di fronte ad una politica che si da strategie lodevoli, obiettivi importanti ma che nella realtà ottiene risultati limitati e che ottiene i suoi migliori risultati in esperienze che restano di nicchia (come ad esempio alcune esperienze registrate all’interno del iniziativa comunitaria Leader o altre esperienze di progettazione integrata in aree rurali)10.
Quali gli ingredienti per fare il salto di qualità?
Affinché la politica in favore dello sviluppo dei territori rurali possa migliorare è necessario lavorare su una serie di fattori chiave.
a) Il primo è sicuramente di carattere conoscitivo. Deve essere sviluppata e migliorata l’analisi delle aree rurali in un’ottica territoriale. Questo significa che partendo dall’intenso dibattito sulla definizione di area rurale11 ed ammettendo pure diverse definizioni di area rurale e che alcune definizioni possono essere adattate alle singole realtà, si devono sviluppare studi in grado di individuare quali sono le aree rurali del Paese e quali le loro caratteristiche socio-demografiche12. Solo attraverso questo tipo di analisi sarà possibile sapere che peso occupazionale hanno i diversi settori nelle aree rurali, quali sono i settori in cui il trend occupazionale è in crescita, quali sono i fenomeni socio-demografici più importanti e quali sono, ad esempio, i bisogni delle popolazioni rurali in termini di offerta e fruibilità dei servizi alla persona. Ovviamente il livello di analisi potrà essere più particolareggiato se all’interno di una definizione ampia di rurale, si immaginano anche delle tipologie di aree rurali, legate sia al fattore accessibilità e isolamento, sia alle caratteristiche economiche predominanti (o altri fattori)13. E’ indubbio che i centri di ricerca e le università avranno un ruolo fondamentale per gli avanzamenti conoscitivi.
b) Un altro fattore importante è creare una seria partnership con gli attori rurali. Sempre di più le politiche si immaginano, si costruiscono, si disegnano e si applicano attraverso un rapporto continuato con gli attori cui queste si riferiscono. Fino ad ora questo dialogo è avvenuto prevalentemente con attori del mondo agricolo14. Bisogna lavorare per immaginare nuovi meccanismi di dialogo (e di rappresentanza) che riescano a coinvolgere la voce degli attori rurali in una maniera più allargata.
c) Un’altra questione importante è chiarire cosa può essere fatto in favore dello sviluppo dei territori rurali dalle due anime sopra analizzate (la politica di sviluppo rurale e la politica regionale) e cosa deve essere fatto dalle politiche ordinarie. Chiarire la mission di una politica significa anche darle più speranza di raggiungere gli obiettivi che questa si pone15. Questo chiarimento andrebbe fatto, in primis, in rapporto con le politiche agricole. Andrebbe chiarito il ruolo della politica agricola, nazionale e regionale (ma anche di quella comunitaria) per il miglioramento della competitività delle filiere agro-alimentari e in cosa e come la politica di sviluppo rurale rappresenta un intervento aggiuntivo. Non si può infatti pensare che i gravi problemi strutturali dell’agricoltura del Paese (in particolare di alcune aree) possano essere risolti solo ed esclusivamente con la politica di sviluppo rurale.
Al tempo stesso non si può caricare la politica di sviluppo rurale di obiettivi propri di una seria politica economica ordinaria, come ad esempio quelli di “welfare”. Quello che invece si può fare è prevedere interventi aggiuntivi, laddove essi siano considerati chiave e fondamentali in un’ottica di sviluppo. E’ inoltre necessario prevedere forme di monitoraggio delle diverse politiche economiche ordinarie potenzialmente capaci di impattare sui territori rurali16. Questo significa lavorare molto con le diverse Amministrazioni, per sapere ad esempio qual è la situazione in termini di offerta di servizi scolastici o sanitari nelle aree rurali, quali sono gli impatti delle politiche agricole (comunitarie, nazionali e regionalì) sui territori rurali ecc. Implica inoltre un grosso sforzo di coordinamento tra le diverse amministrazioni, l’individuazione di soluzioni di governance, anche innovative e nuovi strumenti per il monitoraggio delle politiche sui territori17.
Infine, se l’obiettivo dello sviluppo dei territori vuole essere perseguito in maniera efficace, considerando anche la riduzione delle risorse finanziarie disponibili, l’integrazione delle diverse politiche (e la loro razionalizzazione) è ormai una condizione indispensabile. Non soltanto l’integrazione tra politica di sviluppo rurale e politica regionale (per il perseguimento della quale si sta lavorando nel processo di preparazione della nuova programmazione), ma anche tra queste politiche e le politiche ordinarie (quella di welfare, quella per la ricerca e quella ambientale). Ciò implica un impegno sul lato della governance delle politiche (sia a livello centrale, che soprattutto a livello regionale), come anche sul lato dei meccanismi di trasparenza e di restituzione delle informazioni cui sempre di più le politiche saranno chiamate a render conto, anche con un approccio territoriale.
Riferimenti bibliografici
- Barca F., “Conclusioni” della Conferenza OCSE di Oaxaca su “Implementing Rural Development Policies “, Messico, Aprile, 2005, in corso di pubblicazione all’OCSE;
- Lucatelli S., Monteleone A (2005), “Valutazione e Sviluppo delle Aree Rurali: un approccio integrato nella valutazione delle politiche di sviluppo ”, Materiali UVAL n. 7, Roma;
- Mantino F. (2005), “Evaluating Structural, Territorial and Institutional Impacts of Rural Development Policies in Italy: Some Lessons for the Future programming Period (2007-2013), paper presentato alla Conferenza OCSE su Coerenza tra Politiche Agricole e Politiche di Sviluppo Rurale, Bratislava;
- MIPAF (2005), Relazione sullo stato di attuazione 2000-2004 degli interventi per lo Sviluppo rurale nelle Regioni italiane, Osservatorio sulle Politiche Strutturali, INEA, Roma;
- Storti D. (2000), “Tipologie di Aree Rurali in Italia”, INEA, Roma
- 1. Le “Linee Guida” approvate da Stato centrale, Regioni e Enti locali con intesa della Conferenza unificata del 3 Febbraio 2005, sanciscono la scelta di avere un unico Quadro Strategico Nazionale, che si riferirà sia alla politica regionale comunitaria che alla politica regionale nazionale. Alla base di questa decisione c’è la necessità di rendere queste due politiche pienamente coerenti.
- 2. Ha fatto eccezione, da questo punto di vista, la situazione delle Regioni Obiettivo 1, dove la strategia per lo sviluppo rurale, per la parte finanziata dal Feoga Orientamento, ha fatto parte della strategia generale del Qcs (Vedi Lucatelli S., Monteleone A, 2005).
- 3. Si tratta di una prima tappa che si concluderà, dopo il confronto in atto con le Regioni su diversi Tavoli tematici e tecnici, con la stesura del Quadro Strategico Nazionale (QSN) 2007-2013 ovvero il quadro strategico sulla base del quale l’Italia programmerà per il suddetto decennio la sua “politica regionale”.
- 4. Gli Atti del Convegno sono stati pubblicati come Materiali UVAL n. 7, “Valutazione e Sviluppo delle Aree Rurali” disponibili sul sito al seguente indirizzo: [link].
- 5. Si tratta solo di esempi per mostrare come le aree rurali possono avere esigenze differenti, a seconda delle loro caratteristiche.
- 6. Per questo obiettivo è stata erogata, a fine 2004, il 5,5% della spesa dei PSR fuori Obiettivo 1 e circa il 6,5% della spesa totale per lo sviluppo rurale delle Regioni dell’Obiettivo 1. Per una dettagliata analisi della ripartizione della spesa pubblica per misure; obiettivi e diverse aree del Paese vedi Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Direzione generale politiche strutturali e sviluppo rurale, Relazione sullo stato di attuazione 2000-2004 degli interventi per lo sviluppo rurale nelle Regioni italiane.
- 7. Vedi a questo proposito l’Allegato Tematico sullo Sviluppo Rurale della Valutazione Indipendente del QCS; Vedi anche Lucatelli S, Monteleone A, “Valutazione e Sviluppo delle Aree Rurali: un Approccio Integrato nella Valutazione delle politiche di Sviluppo, Materiali UVAL n. 7; Vedi pure Mantino F (INEA), “Evaluating Structural, Territorial and Institutional Impacts of Rural Development Policies in Italy: Some Lessons for the Future programming Period (2007-2013), paper presentato alla Conferenza OCSE su Coerenza tra Politiche Agricole e Politiche di Sviluppo Rurale.
- 8. In termini finanziari, a questi interventi è stato dedicato il 7% del contributo totale, ma soltanto il 4% degli impegni e il 3% della spesa.
- 9. Questi servizi hanno ricevuto l’1% del contributo pubblico totale in favore dell’agricoltura e lo sviluppo rurale nei POR, Obiettivo 1.
- 10. Vedi Barca F., “Conclusioni” della Conferenze di Oaxaca su “Implementing Rural Development Policies “ Messico, Aprile 2005, in corso di pubblicazione all’OCSE.
- 11. Vedi a proposito Storti D. (2000), “Tipologie di Aree Rurali in Italia”, INEA, Roma.
- 12. Ci sono alcuni sforzi nella letteratura in questo senso, soprattutto legati al concetto di Distretto Rurale. Ma non esiste al momento una Mappa dei Territori Rurali del Paese (e neanche diverse Mappe!). Sforzi interessanti esistono invece a livello Regionale, a fronte di una necessità di programmazione (non si deve dimenticare, infatti, che la gestione dei Programmi sia di Sviluppo Rurale e dei Programmi Operativi Regionali è di competenza delle Regioni).
- 13. Vorrei chiarire che la questione sollevata è puramente conoscitiva, differente da quelle che possono essere le problematiche della zonizzazione in un’ottica di programmazione.
- 14. Con l’eccezione dell’iniziativa comunitaria Leader e dei PIT che operano, in maniera prevalente, nelle aree rurali.
- 15. Vedi a questo proposito Barca F., “Conclusioni” della Conferenze di Oaxaca su “Implementino Rural Development Policies “ Messico Aprile 2005, in corso di pubblicazione all’OCSE.
- 16. Ci sono Paesi in cui queste trasformazioni organizzative e soluzioni di governance innovative sono già a livelli notevolmente avanzati (si pensi al modello del Regno Unito e a quello del Canada).
- 17. Anche migliorando la raccolta delle statistiche a livello territoriale disaggregato.