Cambiamenti climatici e Protocollo di Kyoto
Il mondo scientifico è oramai sostanzialmente d’accordo nel ritenere che all'origine dell’innalzamento medio della temperatura terrestre registrata nell’ultimo secolo vi siano le emissioni di gas a effetto serra prodotte dall'attività umana (1). La portata di questo fenomeno è transfrontaliera, ossia non circoscrivibile all’interno dei confini dei Paesi che lo generano e, per questo motivo, l’unico modo per cercare di porvi rimedio è quello di affrontare il problema a livello internazionale, con strategie d’intervento comuni ai diversi Paesi.
A tal fine, nel corso della prima Conferenza mondiale sull’ambiente tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 è stata approvata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) che individua i principi generali per una stabilizzazione dei gas-serra a livelli compatibili con uno sviluppo sostenibile del pianeta. Nell’ambito dell’UNFCCC è stata istituita la Conferenza delle Parti che, nel corso della sua terza riunione, tenutasi a Kyoto nel 1997, ha portato i Paesi che avevano firmato la Convenzione alla sottoscrizione di un Protocollo che li impegna congiuntamente a ridurre, entro il periodo 2008-2012, i gas-serra del 5,2% rispetto al livello di emissioni del 1990 (o del 1995, a seconda del tipo di emissioni considerate). Tale obiettivo vincola in diversa misura i Paesi sottoscrittori. I 15 Paesi aderenti all’Unione Europea al momento della stipula del Protocollo di Kyoto, ad esempio, si sono impegnati per un abbattimento complessivo di emissioni pari all’8%. Tale percentuale è stata a sua volta ridistribuita fra gli Stati membri attraverso un accordo formale (il cosiddetto burden-sharing agreement) in base al quale la percentuale di riduzione attribuita all’Italia è del 6,5%.
Il Protocollo di Kyoto individua i settori prioritari sui quali intervenire (energia, industria, agricoltura e rifiuti) e suggerisce modalità e politiche d’intervento attraverso le quali poter raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni (ad esempio, sviluppando tecnologie produttive a minor impatto ambientale, incrementando il patrimonio forestale e l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, nonché aumentando l’impegno sul versante dell’efficienza energetica e dell’agricoltura biologica). L’attuazione di queste politiche incontra però un forte limite nella valutazione economica che ne farebbero gli operatori privati. Infatti, se non ci si pone in una corretta ottica di analisi costi-benefici, gran parte dei benefici connessi a tali politiche non viene internalizzata. Per questo motivo, nei programmi nazionali e comunitari, predisposti per il perseguimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, è prevista una serie di strumenti di politica ambientale atti a disincentivare l’emissione dei gas ad effetto serra e a rendere più convenienti le attività imprenditoriali che ne favorirebbero la riduzione.
I mercati per l’ambiente previsti dal Protocollo di Kyoto
Fra le politiche ambientali predisposte in funzione del Protocollo di Kyoto, gli strumenti basati sui meccanismi di mercato rivestono un ruolo sempre più importante. Attraverso i cosiddetti mercati per l’ambiente, infatti, è possibile perseguire un determinato target ambientale consentendo alla collettività di sopportare il minor costo possibile.
A causa del differente sviluppo tecnologico, è abbastanza naturale attendersi che i costi di abbattimento delle emissioni varino fra le diverse imprese, i diversi settori e, pertanto, i diversi Paesi assoggettati agli obblighi del Protocollo di Kyoto. Poiché, però, a causa della natura globale del fenomeno del surriscaldamento della terra non è importante quali imprese o quali Paesi contribuiscano in misura maggiore o minore all’obiettivo finale di riduzione delle emissioni, ciò che effettivamente conta per raggiungere gli obiettivi posti dal Protocollo di Kyoto in maniera efficiente, è che lo sforzo maggiore venga compiuto da coloro ai quali costa meno ridurre le emissioni.
Come è noto, la condizione economica necessaria per la minimizzazione dei costi complessivi per il raggiungimento di un determinato obiettivo è l’uguaglianza dei costi marginali fra tutte le attività coinvolte nel perseguirlo (2). Invero, se così non fosse, sarebbe sempre possibile ridurre il costo complessivo incrementando le attività il cui costo marginale è più basso e riducendo di un ammontare corrispondente quelle il cui costo marginale è maggiore.
Il Protocollo di Kyoto individua una serie di strumenti attuativi, di natura flessibile, finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo generale del 5,2% al minor costo possibile. Tali strumenti, complementari alle altre misure di riduzione previste da ciascun Paese, fondano il loro funzionamento sull’istituzione di un mercato internazionale di titoli ambientali: essi sono l’Emissions Trading System (ETS), il Joint Implementation (JI) e il Clean Development Mechanism (CDM).
L’ETS consente a ciascun Paese di rispettare gli impegni presi in sede di sottoscrizione del Protocollo acquistando permessi ad inquinare da altri Paesi. Il meccanismo di funzionamento dell’ETS, infatti, prevede che ciascun Paese riceva all’inizio del 2008 un numero di permessi corrispondente all’ammontare complessivo di emissioni di gas-serra compatibile con l’obbligo di riduzione ad esso assegnato per il periodo 2008-2012. Al termine di tale periodo ciascun Paese dovrà riconsegnare un numero di permessi corrispondente all’ammontare complessivo di gas-serra effettivamente immesso in atmosfera. Poiché questo meccanismo consente di negoziare i permessi, i Paesi con elevati costi di abbattimento delle emissioni potrebbero ritenere conveniente acquistare permessi anziché spingere la loro attività di riduzione delle emissioni oltre un certo livello. Allo stesso modo, i Paesi con tecnologie di abbattimento più efficienti potrebbero ritenere profittevole vendere l’eventuale surplus di permessi ottenibile riducendo le proprie emissione al di là dei limiti imposti loro dal Protocollo. In questo modo, dato l’ammontare complessivo di permessi in circolazione, i diversi costi di abbattimento da parte dei diversi Paesi determineranno la domanda e l’offerta di permessi ad inquinare. Dato il prezzo che si andrà a determinare sul mercato dei permessi, ciascun Paese potrà minimizzare i suoi costi complessivi connessi al soddisfacimento dei requisiti previsti dal Protocollo di Kyoto, scegliendo quel livello di emissioni in corrispondenza del quale i suoi costi marginali di abbattimento uguagliano il prezzo dei permessi. In questo modo il prezzo dei permessi consentirà l’uguaglianza dei costi marginali di abbattimento di tutti i Paesi garantendo così la condizione di minimizzazione dei costi complessivi per il perseguimento del fatidico obiettivo comune del 5,2%.
Dal gennaio 2005 è operativo all’interno dell’Unione Europea un ETS (EU ETS) che, a partire dal periodo 2008-2012, opererà all’interno del più ampio ETS previsto dal Protocollo di Kyoto (Direttiva 2003/87/CE). In base all’EU ETS, ciascun Paese membro predispone un Piano di Allocazione Nazionale che prevede l’allocazione di permessi ad inquinare a ciascuno dei settori interessato dalla Direttiva e a ciascun impianto produttivo operante nel settore. Conformemente alla logica di funzionamento degli ETS, ciascun impianto produttivo dovrà riconsegnare alla fine del periodo di riferimento un numero di permessi equivalente alle emissioni di gas-serra effettivamente prodotte. Lasciando a ciascuno libertà di vendere o acquistare permessi in base alla propria convenienza economica l’EU ETS garantisce l’efficacia nella riduzione dei costi totali fino al livello degli impianti produttivi.
I JI e i CDM permettono a ciascun impianto, impresa o Paese soggetto agli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto di potervi adempiere investendo in progetti di riduzione di gas-serra in altri Paesi (3). Anche in questo caso la logica è di abbattere le emissioni laddove costa meno. I progetti di JI e CDM che ottengono la necessaria approvazione da parte degli organi preposti, consentono di ottenere crediti equiparabili ai permessi negoziabili e, quindi, anch’essi negoziabili.
Settore agricolo e cambiamenti climatici: il ruolo dei certificati verdi per l’incentivazione delle bio-energie
Come si è detto, il Protocollo di Kyoto indica il settore agricolo fra quelli nei quali intervenire in via prioritaria. In effetti, l’agricoltura gioca un ruolo molto importante rispetto al problema del riscaldamento globale: con l’immissione di due importanti gas-serra, il metano (prodotto dall’allevamento e dalla coltivazione del riso) e il protossido d’azoto (generato dall’uso di fertilizzanti), essa contribuisce per circa il 9% al totale delle emissioni di gas-serra (European Commission, 1999). Inoltre, questo settore può dare un grande contributo al contenimento del problema. Lo stesso Protocollo di Kyoto individua nella conversione dei terreni agricoli in piantagioni forestali uno strumento efficace nel favorire un maggior assorbimento di anidride carbonica e riconosce ai Paesi che investono in questo tipo di attività, sia all’interno che all’estero, la possibilità di portare le emissioni di gas-serra assorbite a compensazione di quelle generate.
Nonostante questo, però, in Italia e nel resto dell’UE i provvedimenti attuativi in materia di ETS, JI e CDM non includono gli interventi nel settore agricolo fra quelli in grado di generare crediti negoziabili nel mercato dei permessi nel periodo 2005-2008 (Pettenella ed altri, 2006). Gli operatori del settore agricolo, infatti, non sono sottoposti agli obblighi della Direttiva 2003/87/CE e le eventuali attività di riforestazione condotte all’estero non sono riconosciute ai fini del rilascio dei crediti previsti per i programmi di JI e CDM. Un ruolo importante che il settore primario potrebbe apprestarsi a giocare fin da subito nella lotta ai cambiamenti climatici, invece, è individuabile nel campo delle energie rinnovabili e, più specificatamente, nella produzione di bio-energie.
Per comprendere l’impatto positivo che potrebbe derivare da un maggior utilizzo delle fonti rinnovabili basti pensare che i combustibili fossili utilizzati per produrre energia sono responsabili per oltre il 96% dell’immissione di gas-serra in atmosfera (Alaimo, 2005). La stessa UE individua nelle fonti rinnovabili uno strumento chiave per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto (Direttiva 2001/77/CE). D’altra parte, però, il costo per la produzione di un KWh di energia attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, quali le biomasse, è tuttora di gran lunga superiore al costo che si avrebbe utilizzando fonti convenzionali, quali il carbone o il gas naturale. Per questo motivo è fondamentale che il settore pubblico preveda forme di incentivazione che rendano competitivi gli investimenti e le attività imprenditoriali nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili. In Italia, il sistema di incentivazione denominato Cip 6, introdotto nel 1992 con un provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi, stabiliva appunto che la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili potesse essere ceduta all’Enel e, successivamente, al Gestore del Sistema Elettrico-GRTN (4) ad un prezzo minimo garantito. Con il Decreto Legislativo n. 79 del 1999 (il cosiddetto primo Decreto Bersani), il sistema Cip 6 è stato sostituito da un altro mercato per l’ambiente, quello dei Certificati Verdi (CV).
A differenza del precedente meccanismo d’incentivazione basato su prezzi amministrati, il sistema dei CV lascia che siano la domanda e l’offerta nel mercato dei certificati a determinare l’incentivo per la produzione da fonti rinnovabili. Ai produttori di energia elettrica viene rilasciato un numero di CV corrispondente alla loro produzione da fonti rinnovabili. Per determinare la domanda di CV, invece, il meccanismo introduce l’obbligo per i produttori e gli importatori di energia elettrica di immettere ogni anno nella rete nazionale di trasmissione un quantitativo minimo di energia elettrica da fonti rinnovabili. Per adempiere a tale obbligo, si dovrà essere in possesso, alla fine di ciascun anno, di un numero di CV pari esattamente al quantitativo di energia “pulita” che si sarebbe dovuto immettere nella rete. Produttori e importatori saranno liberi di adempiere ai loro obblighi producendo direttamente energia da fonti rinnovabili o ricorrendo all’acquisto di CV. Questa flessibilità consente di allocare in modo efficiente le risorse per la produzione da fonti rinnovabili, minimizzando, ancora una volta, il costo complessivo per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione della produzione di energia ad alto contenuto di emissioni clima-alteranti.
Tale meccanismo incentiva gli investimenti in fonti rinnovabili, consentendo ai produttori di ottenere un doppio ricavo, il primo derivabile dalla vendita dell’energia prodotta ai prezzi di mercato, il secondo dalla vendita di CV. Sulla base dei dati forniti dal Gestore del Settore Elettrico - GRTN, che è responsabile in Italia per il riconoscimento della qualifica di impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e per il conseguente rilascio dei CV, nel periodo 2001-2004, a fronte di un andamento complessivo altalenante nella produzione di energia da fonti rinnovabili, si è assistito ad un costante aumento nella produzione da biomasse e rifiuti, passata dai 2587,3 GWh del 2001 ai 5637,2 GWh del 2004, con un incremento complessivo del 117,8%.
L’evidenza fornita da questi dati, anche alla luce dei sempre più elevati prezzi del principale sostituto, gli idrocarburi, lascia ben sperare per il futuro sviluppo del settore delle biomasse per le quali sarebbe comunque auspicabile uno sforzo maggiore da parte del legislatore sul versante degli incentivi, sia incrementando la domanda dei CV attraverso un obbligo più stringente nell’immissione in rete di energia prodotta da fonti rinnovabili, che estendendo questo genere di strumenti incentivanti anche alla produzione di biomassa destinabile ad usi termici e al settore dei trasporti.
Note
(1) I principali gas ad effetto serra sono l’anidride carbonica, il metano, il vapore acqueo, l’ozono e l’ossido nitroso. Questi gas sono naturalmente presenti in atmosfera ma un loro incremento oltre certi livelli modifica il normale processo di assorbimento del calore solare provocando un innalzamento delle temperature ai livelli più bassi dell’atmosfera e sulla superficie terrestre.
(2) A tale proposito si veda, ad esempio, Tietenberg (2006).
(3) I JI presuppongono accordi fra Paesi industrializzati e Paesi in via di transizione (entrambi sottoposti agli obblighi di riduzione del Protocollo di Kyoto ed elencati nell’Allegato I dell’UNFCCC), mentre i CDM prevedono che gli investimenti da parte dei Paesi industrializzati vengano effettuati nei Paesi in via di sviluppo.
(4) Tali dati sono ripresi da Gestore del Mercato Elettrico (2006).
Riferimenti bibliografici
- Alaimo S. (2005), Protocollo di Kyoto, riduzione delle emissioni e mercati ambientali, Phasar, Firenze.
- European Commission (1999), Agriculture, Environment, Rural Development: Facts and Figures - A Challenge for Agriculture [link]
- Gestore del Mercato Elettrico (2006), Vademecum dei mercati per l’ambiente, GME SpA, Roma.
- Pettenella D., Zanchi G., Ciccarese L. (2006), “Il settore primario e la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”, Politica Agricola Internazionale, n. 3, 27-48.
- Tietenberg T. (2006), Economia dell’ambiente, McGraw-Hill, Milano.