Abstract
Mentre i boschi continuano ad aumentare, arrivando a coprire quasi il 40% del territorio italiano, altrettanto fanno le superfici artificiali che fanno registrare un continuo e significativo incremento. Da oltre mezzo secolo questi due fenomeni sono i protagonisti dei processi di trasformazione del paesaggio e ci sono valide ragioni per credere che possano continuare ad esserlo ancora per diversi anni a venire. Questo studio ha lo scopo di offrire un quadro sinottico delle principali dinamiche del paesaggio negli ultimi tre decenni, provando inoltre a fornire uno sguardo d’insieme su un futuro ipotetico in cui l’agricoltura dovesse cedere il passo alle aree boscate. Tramite un approccio cartografico e la sovrapposizione di diversi strati informativi, è stata dunque identificata la superficie potenzialmente ancora occupabile dal bosco, cercando altresì di caratterizzare da un punto di vista tipologico tali popolamenti potenziali.
Introduzione
Consumo di suolo ed espansione forestale: due facce della stessa medaglia
Negli ultimi decenni si sono verificati in Italia due fenomeni apparentemente in antitesi: consumo di suolo ed espansione forestale. Il “consumo di suolo” è l’occupazione di superfici originariamente agricole, naturali o seminaturali, a favore di coperture artificiali (edifici, infrastrutture, aree di servizio, ecc.). L‘espansione forestale è invece quel processo naturale che, attraverso diverse fasi comporta l’insediamento di popolamenti forestali su aree precedentemente classificate come ‘altre terre boscate’ (other wooded land), seminativi, praterie, pascoli e incolti.
Il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa) riporta che dagli anni ’50 ad oggi il consumo di suolo in Italia non si è mai fermato, toccando i centri urbani maggiori e le province a maggiore densità demografica. La superficie impermeabilizzata è passata dal 1950 al 2016, dal 2,7% al 7,6% del territorio nazionale, registrando una crescita percentuale del 184% rispetto al dato inizialeèfn]La cartografia completa prodotta dalla rete dei referenti per il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo del Snpa, formata da Ispra e dalle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome è disponibile sul sito www.consumosuolo.isprambiente.it.. A partire dal 2008 è stato registrato un sensibile rallentamento del fenomeno (soprattutto in ragione della crisi economica e del comparto edile); ciononostante, secondo i dati del Rapporto sul Consumo di Suolo emesso dall’Ispra, circa 5.400 ettari di aree naturali ed agricole vengono impermeabilizzate ogni anno (Ispra, 2018). Le zone maggiormente interessate nel 2017 sono le pianure del Settentrione, dell’asse toscano tra Firenze e Pisa, del Lazio, della Campania e del Salento, delle fasce costiere (in particolare di quelle adriatica, ligure, campana e siciliana) e le principali aree metropolitane (Ispra, 2018).
Contemporaneamente all’impetuoso avanzare di edifici, fabbricati, strade e altre infrastrutture, si assiste all’avanzamento delle superficie forestali. Basti pensare che il 2018 sarà probabilmente ricordato come l’anno in cui la superficie forestale ha superato quella occupata dai seminativi, che invece hanno da secoli rappresentato la matrice storica del paesaggio italiano (Marchetti et al. 2018). Nello specifico, i dati dell’Inventario dell’Uso delle Terre d’Italia (Iuti; Marchetti et al. 2012) segnano una variazione della superficie boscata da 9.141.355 a 10.029.678 nell’intervallo 1990-2017 (Sallustio et al. 2017). Quindi, l’aumento netto in ventisette anni è stato di 888.323 ettari, cioè pari al +8.8% rispetto alla superficie del 1990. La velocità di espansione delle aree forestali si è ridotta già nel periodo 2000-2008 rispetto al decennio precedente nell’Italia continentale (fanno eccezione le Isole). Secondo l’ultimo aggiornamento dei dati Iuti al 2017, le foreste e le altre terre boscate hanno raggiunto il 39% della superficie territoriale (Marchetti et al. 2018).
I dati sull’aumento della superfice forestale vanno esaminati considerando le diverse cause e soprattutto gli effetti ambientali del fenomeno. La causa principale di tale espansione è riconducibile all’abbandono delle attività agricole, in primis attività zootecniche, nei territori divenuti economicamente marginali, e quindi soprattutto in aree montane e submontane, con conseguente riduzione dell’utilizzo dei pascoli (Sallustio et al. 2018). La riconquista del bosco di alcune aree ex agricole è stata inoltre indirettamente favorita da alcune misure della Pac, come ad esempio quelle che hanno incentivato il prepensionamento o quelle che hanno protetto alcune produzioni a scapito di altre, le quali sono state talvolta assorbite o completamente dismesse (es. uva, frutta fresca, avicoli e suini, fiori) (Sotte, 2017; Agnoletti, 2014). Oltre a questi fenomeni socio-economici e politici, che hanno causato un progressivo e relativamente lento aumento dei boschi, quando si parla di aumento della superfice forestale italiana, vale la pena ricordare i massicci rimboschimenti effettuati tra il 1952 e il 1968, che si stima abbiano contribuito ad incrementare tale copertura di circa 560.000 ettari (Romano, 1986).
Se si vuole analizzare, comprendere e gestire l’espansione dei boschi e il fenomeno dell’urbanizzazione, è opportuno considerare congiuntamente tali fenomeni. L’aumento delle foreste è infatti inversamente correlato alla densità demografica e difatti si è verificato —finora— principalmente nella fascia alto-collinare e montana (Corona et al. 2008; Ferrara et al. 2017; Sallustio et al. 2014). Attualmente le zone montuose (quota superiore ai 600 mslm), che coprono circa il 35% della superficie italiana, ospitano appena il 12% della popolazione; mentre nelle aree di pianura si riscontra la più alta densità abitativa, dove vive circa la metà della popolazione, sebbene rappresentino solo il 23% della superficie totale nazionale (Istat, 2017). L’accentramento della popolazione a quote più basse, seguito dallo spostamento delle attività produttive, ha ridotto notevolmente la pressione antropica (es., attività produttive legate al settore primario) nelle aree interne. Questo ha anche però contestualmente acuito i processi di marginalizzazione in tali aree, che sono dunque andate incontro a successioni vegetazionali spontanee che hanno portato, in ultima fase, all’insediamento di popolamenti forestali (boschi di neoformazione). Al contempo, la pressione antropica è aumentata in maniera notevole nelle aree pianeggianti, con processi di intensivizzazione agricola e di espansione delle superfici urbanizzate, con notevoli implicazioni da un punto di vista ecologico e della sostenibilità (in senso generico) di tali sistemi (Rivieccio et al. 2017).
Scenari demografici e di cambiamento d’uso e copertura del suolo in Italia
Il 5° Rapporto Ispra sul consumo di suolo in Italia ha fornito sia dati sul consumo di suolo avvenuto dagli anni ’50 ad oggi, sia scenari per il futuro al 2050 (Ispra, 2018). Ispra delinea quattro diversi scenari (Figura 1); il più ottimista indica una perdita di 81.800 ettari di suolo, come conseguenza di una progressiva e continua riduzione della velocità di cambiamento dell’uso del suolo, dovuta a provvedimenti normativi significativi e applicazioni conseguenti. Se invece il tasso di consumo rimanesse costante fino al 2050, ed uguale a quello verificatosi nel 2017, si rischierebbe di perdere 167.200 ettari di suolo. Gli scenari peggiori ipotizzano due diverse velocità di consumo di suolo fino al 2050, una pari ai valori medi e l’altra a quelli massimi registrati negli ultimi decenni. Nel primo caso si avrebbe una perdita di suolo di 706.400 ettari e nel secondo caso di 807.300 ettari.
Figura 1 - Scenari di nuovo consumo di suolo in Italia tra il 2016 e il 2050 (in km2 per anno e in km2 complessivi)
Fonte: Ispra, 2018
Le proiezioni dell’Ispra sul consumo di suolo trovano riscontro anche nelle proiezioni demografiche dell’Istat (Istat, 2018) e del ‘World Urbanization Prospects’ (United Nations, 2018). Nonostante l’Istat stimi una flessione di 1,6 milioni di abitanti totali in Italia dal 2017 al 2045, la distribuzione geografica stimata mostra notevoli disuguaglianze. Infatti, mentre Il mezzogiorno dovrebbe perdere popolazione per tutto il periodo, il Centro-nord dovrebbe registrare un bilancio demografico positivo, e ridurrebbe progressivamente la popolazione soltanto dal 2045 in poi. Stime concordanti arrivano anche dal ‘World Urbanization Prospects’ dell’Onu, il quale indica che continuerà lo spopolamento nei centri con un numero di abitanti inferiore a 10.000, a favore di quelli più grandi (>300.000 abitanti). Secondo il rapporto Onu, seppure la velocità di crescita delle grandi città Italiane diminuirà fino al 2050, la popolazione che vive nelle aree urbane aumenterebbe del 7% rispetto al 2015. Quindi se attualmente il 70% delle persone vivono in grandi centri, nel 2050, la percentuale dovrebbe salire all’81%. Gli andamenti demografici, ed il loro riflesso in termini di consumo di suolo, che hanno interessato la penisola in particolar modo nella seconda metà del ‘900, potrebbero dunque trovare una certa continuità seppur con intensità differenti e con distribuzioni geografiche diverse rispetto al passato. Alla luce delle stime e proiezioni future, e considerando le tendenze simili tra urbanizzazione ed espansione delle superfici forestali, è dunque ipotizzabile l’aumento delle superfici forestali nei prossimi decenni; è altresì interessante capire quanto, dove e quali formazioni potrebbero dunque andare ad insediarsi nel tempo.
Il presente studio non ha l’ambizione di presentare uno scenario predittivo della futura espansione forestale in Italia, ma piuttosto, offrire un’analisi esplorativa volta a valutare (in termini quantitativi e analitici), quanta superficie potrebbe essere potenzialmente ancora occupabile dal bosco e quali tipologie forestali potrebbero insediarsi in tali aree. Tale decisione nasce dalla necessità di comprendere quali potrebbero essere le caratteristiche tipologiche delle superfici forestali di neoformazione, offrendo quindi spunti di riflessione soprattutto in chiave di conservazione di tipi forestali attualmente poco presenti sul territorio. Il presente studio si basa su una serie di ipotesi che tendono volutamente a enfatizzare un possibile abbandono delle attività agricole, fatti salvi i terreni più produttivi ed economicamente redditizi, dunque meno inclini all’abbandono.
Metodologia
L’analisi è stata condotta su base cartografica utilizzando una serie di strati informativi utili per la discriminazione e caratterizzazione delle superfici adatte ad accogliere una potenziale espansione del bosco. La cartografia di base dalla quale si è partiti per l’analisi è la carta nazionale Clc del 2012. La stima della superficie forestale al 2012 derivante dalla cartografia Corine Land Cover (Clc) differisce dal dato Iuti, riportato in introduzione; infatti, la superficie totale delle zone boscate (categoria 3.1) secondo Clc è di 7.985.090 ettari. Sebbene la cartografia di Clc sottostimi l’effettiva superficie forestale in Italia (rispetto ai dati Iuti), è stata utilizza come carta di base per il presente studio, essendo l’unico dato disponibile per poter condurre un lavoro spazialmente esplicito a tale scala di applicazione. Lo studio è basato sulla progressiva esclusione delle superfici ritenute non adatte all’espansione del bosco, e di quelle, come ad esempio le aree protette, per cui l’attuale mosaico paesaggistico andrebbe preservato al fine di conservarne la biodiversità ad esso connessa. Il primo step è dunque eliminare dall’analisi tutte le aree della Rete Natura 2000, le superfici dell’Elenco Ufficiale delle Aree Protette (Euap), le aree Ramsar e le aree non Euap (vedere sezione ‘Siti internet’ per definizioni). Successivamente si è passati all’analisi delle singole classi Clc di copertura del suolo, valutandone la possibile propensione ad andare incontro a processi di abbandono (qui valutata in termini meramente qualitativi) e quindi di ricolonizzazione forestale, ed escludendo quelle classi che naturalmente sono pressoché non idonee all’insediarsi di popolamenti forestali, come le superfici artificiali, i corpi idrici e ovviamente le aree attualmente già boscate. Altre classi sono state escluse per la loro inattitudine alla presenza di boschi, come le spiagge, dune, ghiacciai e aree caratterizzate da rocce nude. Infine, si è escluso da una potenziale ricolonizzazione forestale tutte le superfici agricole irrigue o le colture permanenti in virtù della loro redditività, che le rendono intensamente utilizzate a scopi produttivi e dunque meno predisposte ad andare incontro a processi di abbandono. Le classi di uso e copertura del suolo potenzialmente oggetto di ricolonizzazione forestale sono riportate in tabella 1.
Sovrapponendo la carta delle aree potenzialmente occupabili dai boschi con la carta della Vegetazione Naturale Potenziale (Vnp) (Blasi, 2010) è stato inoltre possibile definire il tipo di vegetazione che potrebbe insediarsi su tali superfici. Eliminando successivamente le superfici potenzialmente adatte alla sola vegetazione erbacea o arbustiva (ad esempio le praterie di alta quota), è stato possibile identificare le superfici potenzialmente occupabili dalla sola vegetazione forestale. L’ultimo step è stato di sovrapporre la carta dell’espansione forestale potenziale con quella delle fasce altimetriche, generata a partire dal Modello Digitale del Terreno a 20 metri di risoluzione e successivamente suddivisa secondo le fasce altimetriche definite dall’Istat (Tabella 2).
Tabella 1 - Classi di copertura del suolo considerate potenzialmente occupabili dal bosco
Fonte: Elaborazione degli autori
Tabella 2 - Suddivisione in fasce altimetriche secondo la classificazione proposta dall’Istat
Fonte: Istat
Risultati e discussioni
Ricolonizzazione potenziale del bosco: quanto, come e dove?
Dallo studio emerge che l’area potenzialmente disponibile alla ricolonizzazione forestale è pari ad oltre 11,6 milioni di ettari (Tabella 3). Questa rappresenta una superficie notevole; circa il 46% in più rispetto alla superficie forestale al 2012 (che è di circa 7,9 milioni di ettari, dati Clc). Il 61% e il 25% del totale della superficie potenzialmente occupabile dal bosco è nelle fasce altimetriche tra 0 e 300m e 300 e 600m, rispettivamente. Queste fasce sono attualmente le meno sature di boschi rispetto a quelle delle quote più elevate, che hanno visto una notevole espansione forestale già dalla seconda metà del secolo scorso (Sallustio et al. 2015). Con l’aumentare della quota, infatti, aumenta la superficie già attualmente occupata dal bosco e diminuisce di conseguenza quella potenzialmente ancora disponibile, e viceversa (Figura 2). E’ doveroso ricordare che la superficie forestale riportata da Clc è decisamente sottostimata rispetto ai dati Iuti, presentati anche nell’introduzione di quest’articolo. Pertanto alcune delle superfici che da questo studio risultano essere potenzialmente ricolonizzabili dalle foreste, potrebbero essere in realtà già forestate. Inoltre, preme sottolineare che 11,6 milioni di ettari rappresenta la superficie complessiva potenzialmente disponibile all’espansione forestale, alla quale andrebbero sottratte le superfici necessarie alle future esigenze di produzione agricola, industriale e residenziale, qualora l’obiettivo fosse di simulare uno scenario predittivo.
Tabella 3 - Ripartizione delle aree boscate e potenzialmente occupabili dai boschi per fasce altitudinali. Dati espressi in milioni di ettari
Fonte: Elaborazione degli autori
Dalla sovrapposizione della carta di espansione forestale potenziale con la carta della vegetazione naturale potenziale emergono dati particolarmente interessanti (Tabella 4). Ad esempio, nella prima fascia altitudinale (0-300m) gli ecosistemi forestali continentali della Pianura Padana troverebbero spazio al nord Italia (querceti costituiti da Q. robur, Q. petraea e Carpinus betulus), mentre al sud si istaurerebbero quelli peninsulari a prevalenza di quercia (Q. cerris e Q. pubescens e locali presenze di Q. frainetto). Nella fascia altitudinale tra 300 e 600m ci sarebbe soprattutto spazio disponibile per nuovi querceti termo-mesofili: Q. cerris, Q. pubescens ed altre querce mediterranee decidue e semidecidue della Sicilia e della Sardegna (ad es., querceti a Q. virgiliana, Q. congesta, Q. ichnusa e Q. gussoni). La seconda fascia altitudinale (300-600m) potrebbe potenzialmente ospitare ancora 1.127.793 ettari di nuovi boschi, principalmente rappresentati dagli stessi querceti caratteristici della fascia altitudinale 0-300m. Solo il 10% di tutta la superficie potenzialmente ricolonizzabile dai boschi si trova tra i 600 e 900m; gli ecosistemi forestali che troverebbero maggior spazio in questa fascia sono quelli peninsulari a prevalenza di quercia e quelli mediterranei decidui e semidecidui della Sicilia e della Sardegna. Potrebbero inoltre espandersi, in misura minore, ma degna di nota, gli ecosistemi forestali appenninici a dominanza di Ostrya carpinifolia. Ad altitudini superiori a 900m ci sarebbero superfici disponibili per le faggete appenniniche basso-montane a dominanza di Fagus sylvatica e al nord per gli ecosistemi alpini a dominanza di faggio. Mentre al sud sarebbero soprattutto l’orniello, il carpino nero e gli aceri a poter aumentare la loro superficie. La tabella 4 mostra gli ecosistemi forestali che potrebbero potenzialmente formarsi, in base della vegetazione potenziale naturale, ma è opportuno sottolineare come questa non contempli le specie aliene invasive (ad esempio robinia e ailanto), che invece meriterebbero una menzione particolare vista la loro notevole presenza e spiccata capacità di propagazione e adattamento, nonché il loro forte impatto sullo stato di conservazione della biodiversità (Sitzia et al. 2012). Tali dati, sulle caratteristiche tipologiche delle potenziali foreste di neoformazione, offrono interessanti spunti di riflessione e di confronto con lo stato attuale: infatti attualmente i tipi forestali maggiormente diffusi (ad esempio, querceti e faggete) sono anche quelli che registrano i maggiori tassi di espansione, mentre altri tipi, come ad esempio i boschi planiziali o quelli igrofili, in alcuni contesti territoriali registrano addirittura trend negativi (Sallustio et al. 2015). Questi sono attribuibili alla forte pressione antropica in zone di pianura e in prossimità delle zone umide, che potrebbe continuare anche nei prossimi anni. Gli effetti sono preoccupanti sotto diversi aspetti. In termini di conservazione della biodiversità, ad esempio, dato che tali formazioni vegetali offrono riparo a numerose specie animali e di insetti e costituiscono importanti corridoi ecologici. Di vitale importanza è anche la funzione di regimazione delle acque e conservazione del suolo che svolgono boschi planiziali e igrofili. La superficie attuale e quella potenziale che questi boschi occupano è molto ridotta; la realizzazione d’interventi di rinaturalizzazione lungo i fiumi, potrebbe essere un’opzione percorribile per prevenire e mitigare gli effetti di fenomeni estremi periodici potenzialmente molto dannosi e sempre più frequenti.
Figura 2 – La figura, su base Clc, mostra la distribuzione delle aree boscate al 2012 (in verde) e delle aree potenzialmente disponibili alla ricolonizzazione forestale (in rosso)
Fonte: Elaborazione degli autori
La presenza di vasti spazi potenzialmente occupabili dal bosco, soprattutto nelle fasce altimetriche più basse, segna verosimilmente una certa continuità nell’avanzamento del bosco, che ha avuto inizio alle altitudini e latitudini superiori della penisola, cioè a seguito dell’abbandono delle aree alpine montuose già durante la fine del XIX secolo con l’avvento della seconda rivoluzione industriale (Sallustio et al. 2015). Successivamente, il fenomeno si è ripetuto analogamente a latitudini e altitudini inferiori, dove il bosco ha già occupato buona parte delle superfici disponibili. Pertanto, escludendo le aree che abbiamo considerato per diverse ragioni non occupabili dal bosco in futuro (es. urbano, seminativi irrigui ecc.), rimane effettivamente una superfice relativamente ridotta che non sia già occupata dal bosco sopra i 900m di altitudine.
Tabella 4 - Superficie potenziale di ogni ecosistema forestale, espressa come percentuale della superficie totale potenzialmente occupabile dalle foreste in ogni fascia altitudinale. Per ragioni di spazio e chiarezza, in tabella sono riportati solo gli ecosistemi la cui superficie costituisce almeno l’1% del totale della superficie potenzialmente occupabile dai boschi o che rappresentino almeno il 20% degli ecosistemi forestali in una fascia altitudinale
Fonte: Elaborazione degli autori
Gestire l’espansione dei boschi: benefici per l’ambiente e l’economia
Le ripercussioni dell’aumento dei boschi da un punto di vista ecologico sono diverse e non sempre positive (Sallustio et al. 2015). Infatti, sebbene la fornitura di alcuni servizi ecosistemici aumenti (ad esempio il sequestro e immagazzinamento di carbonio nei boschi di neoformazione, la protezione del suolo, il miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua), l’inverso può riguardare altri servizi, come ad esempio la fruizione di alcune aree naturali a fini ricreativi e la perdita di habitat per specie animali e vegetali che vivono in aree ecotonali e prative. Insieme alla perdita di complessità ecosistemica, c’è anche il rischio della scomparsa di alcuni paesaggi di rilevante pregio socio-culturale (Sitzia et al. 2010). Pertanto entrano favorevolmente in questo scenario quelle normative regionali che autorizzano il taglio di boschi di neoformazione per ripristinare praterie o terreni agricoli; così come il nuovo Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali, il quale aggiorna le disposizioni nazionali di indirizzo per le Regioni, definendo degli standard omogenei nazionali per l’identificazione dello stato di abbandono e la tutela dei “boschi di neoformazione”. Il Testo Unico si propone come strumento per la tutela attiva del territorio e paesaggio, attraverso la quale mira a promuovere le utilizzazioni forestali e gli investimenti privati e pubblici nel settore. Un’ulteriore riflessione interessante può essere fatta a riguardo, interrogandosi sul più o meno labile confine tra l’impatto antropico negativo sul paesaggio ed ecosistemi naturali, e, d’altra parte, del suo ruolo nel modellare paesaggi oggi ritenuti patrimonio nazionale, frutto di secoli di stratificazioni storiche (Agnoletti, 2014).
In tale contesto, la gestione attiva del territorio, così come promossa anche dal testo unico forestale, appare dunque come una necessità volta anche, se non in primis, alla salvaguardia e valorizzazione dei paesaggi agro-silvo-pastorali e delle loro fragili economie (Marchetti et al. 2017). A titolo di esempio, la gestione forestale attiva qualora implementata secondo principi di sostenibilità sociale, economica ed ambientale, potrebbe avere concreti effetti positivi a medio-lungo termine. Dal punto di vista ambientale essa gioverebbe alla capacità e stabilità di numerosi servizi ecosistemici; si potrebbero conservare o addirittura migliorare lo stato di conservazione di taluni ecosistemi, tutelando specie animali e vegetali, così come habitat di interesse comunitario. Un altro beneficio riguarderebbe la gestione strategica degli incendi boschivi: come è noto, attuare una ‘selvicoltura preventiva’ può ridurre la vulnerabilità degli ecosistemi forestali al passaggio del fuoco, attraverso, ad esempio, la riduzione del combustibile disponile e la manutenzione delle infrastrutture utili alla lotta. In particolare, i boschi di neoformazione, insediatisi a seguito dei processi di ricolonizzazione finora considerati, meritano un interesse specifico in quanto costituiscono una sfida complessa per le operazioni di lotta attiva e passiva, dato che si trovano spesso in aree marginali non servite da strade (Bovio et al. 2017). Oltre ai benefici ambientali di una gestione forestale attiva, anche i suoi risvolti economici sono potenzialmente rilevanti, soprattutto se il rilancio della filiera economica legnosa si allaccia ad un quadro strategico più ampio volto a risollevare lo sviluppo e i servizi delle aree interne del paese (Marchetti et al. 2014; Marchetti et al. 2018). La disponibilità al prelievo legnoso in Italia, ovvero la possibilità delle aree boscate di svolgere funzione di produzione legnosa (per assenza di vincoli/limitazioni o per convenienza economica del prelievo legnoso) risulta essere l’81,3% della superficie forestale nazionale (8.510.104 ettari), una percentuale relativamente alta, sebbene rimanga comunque difficile incrementare l’approvvigionamento interno per via delle svantaggiose condizioni orografiche che rendono ostica e onerosa la costruzione di un’appropriata rete viaria interna al bosco, ma anche per via delle proprietà fondiarie estremamente frammentate e abbandonate (fonte: Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio1). Ad ogni modo, la produzione di legname e le diverse filiere di trasformazione del prodotto legno contribuiscono al Pil nazionale con un valore di circa lo 0,04% medio annuo. Complessivamente la filiera foresta legno conta circa 126.000 imprese, comprendendo circa l’1,5% del totale nazionale degli occupati, questo considerando tutte le attività della filiera, ovvero dalla produzione e utilizzazione del legname, alla sua trasformazione in semilavorati, fino alla realizzazione del prodotto finito e alla sua commercializzazione (Rete rurale nazionale, 2011). Eppure, attualmente la produzione italiana di materie prime legnose rimane scarsa, ad esempio l’industria italiana dei prodotti legnosi importa oltre l’80% delle materie prime dall’estero. Importiamo legname per quasi ogni tipo di produzione, dai prodotti semilavorati (ad es. segati) al legno per energia ai prodotti per carta e cartone; nel 2013 sono stati spesi oltre 10 miliardi di euro, di cui 7,5 miliardi per prodotti primari – legna e legname – e 2,7 miliardi per prodotti secondari – erbe, frutti, resine, funghi (Crea, 2015).
Considerazioni conclusive
Questo studio valuta in termini quantitativi e analitici, quanta superficie potrebbe essere potenzialmente ancora ricolonizzabile dal bosco e quali tipologie forestali potrebbero insediarsi in tali aree. Consapevoli delle tante variabili in gioco e della loro complessità, preme sottolineare che lo scopo dello studio non è quello di ottenere un dato specifico sulla superficie forestale dei prossimi decenni, bensì di presumere e comprendere delle possibili dinamiche evolutive, valutandone contestualmente le possibili implicazioni in ottica di strategie e politiche future.
I fenomeni che hanno finora favorito l’espansione dei boschi (abbandono delle aree interne e delle attività economiche in tali aree) sono sostanzialmente di matrice socio-culturale e hanno avuto e continuano ad avere importanti ripercussioni di tipo ambientale non sempre positive. I risultati ottenuti, avvalorano l’idea che l’obiettivo futuro per l’Italia non possa limitarsi a lasciare che le superfici forestali riacquisiscano spazi da tempo persi. L’espansione del bosco da un lato, e il possibile incremento delle superfici urbanizzate dall’altro, pongono infatti seri interrogativi sulla futura sostenibilità, in termini di sistema Paese, di molti processi e attività fondamentali, cominciando dalla sicurezza alimentare, alla gestione dei rischi di calamità naturali, all’erogazione di beni e servizi per il miglioramento della qualità della vita delle persone. L’estrema complessità dei processi di trasformazione del territorio, nonché la loro polarizzazione spaziale, impongono un’articolata riflessione, in termini multidisciplinari e a scala globale, su quali siano i giusti provvedimenti per assottigliare il divario tra uomo e natura, cercando quindi di ragionare, pianificare e governare utilizzando un approccio olistico ed integrato. A tal fine, i risultati che emergono da questo studio possono contribuire a migliorare la percezione dei policymakers su rischi e opportunità di talune dinamiche, promuovendo quindi l’elaborazione di strategie e politiche informate e volte al raggiungimento di finalità auspicabili.
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