Opportunità e strumenti per l’agricoltura delle aree interne: le cooperative di comunità

Opportunità e strumenti per l’agricoltura delle aree interne: le cooperative di comunità
a Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Abstract

L’articolo ha l’obiettivo di presentare un modello organizzativo emergente nel panorama della cooperazione nazionale che negli ultimi anni ha trovato applicazione nei processi di sviluppo locale, la cooperativa di comunità.
Questo strumento ha la finalità di stimolare la partecipazione attiva e di riattivare la comunità dal basso al fine di migliorare le condizioni di vita del contesto di riferimento. Uno strumento, quindi, orientato alla massimizzazione del benessere collettivo e non del profitto, che interviene su diversi fronti per la rigenerazione sociale ed economica, soprattutto nel caso delle aree interne.

Introduzione

Le aree interne costituiscono il 78% dei comuni, il 58,5 % della popolazione e il 79% della superficie territoriale calabrese (Gaudio, 2015). Tali aree, individuate e definite dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, si caratterizzano per essere significativamente distanti dai centri di erogazione dei servizi essenziali quali istruzione, sanità e mobilità (AA. VV., 2013). Continuamente a rischio di esistenza, le aree dell’osso (Rossi-Doria, 1958) a partire dal secondo dopoguerra, sono state oggetto di un graduale processo di marginalizzazione ed esclusione a causa dell’intensificarsi dei fenomeni di modernizzazione ed urbanizzazione, segnate da progressive dinamiche di spopolamento. A causa del processo di de-antropizzazione dei luoghi quindi, le aree interne calabresi hanno registrato una diminuzione della superficie agricola utilizzata (SAU), dal 1971 al 2011, del 25% circa nelle aree periferiche ed ultra-periferiche, e del 21% circa nelle aree intermedie1 (Gaudio, 2015), con effetti degenerativi per il territorio e per l’economia locale.
Secondo una tendenza generalizzata, a partire dalla fine del XX secolo le aree interne sono passate dell’essere spazio agricolo, orientato alla mera produzione di beni primari, a spazio rurale, in cui hanno preso forma attività eterogenee e multisettoriali in virtù del forte potenziale di attrazione che detengono. Queste aree, infatti, si distinguono per l’enorme quantità di capitale territoriale inutilizzato: capitale fisico (territori e paesaggi degradati), capitale edilizio (strutture abbandonate) e capitale culturale e cognitivo (conoscenze delle antiche tradizioni e mestieri). Il possesso di risorse endogene in tal senso rende le aree interne laboratori per sperimentare nuovi percorsi di sviluppo e nuovi approcci metodologici; spazi in cui, seppur sono evidenti le condizioni di marginalità e vulnerabilità, possono sorgere strumenti partecipativi e partecipati dalle ambizioni e dalle aspirazioni delle comunità che li popolano.

Cooperative di comunità: nuovo paradigma di sviluppo

La cooperazione di comunità rappresenta un modello resiliente in grado di rispondere meglio alle attuali esigenze delle aree rurali, grazie alla capacità di interiorizzare i problemi sociali, occupazionali e i bisogni emergenti. Il carattere resiliente le viene conferito dalla struttura dell’impresa collettiva, dalle finalità e dal modello di governance che pone al centro il protagonismo sociale, rafforzato e reso più autonomo da una assunzione di responsabilità da parte dei cittadini, i quali vogliono essere parte attiva del cambiamento.
Con l’espressione cooperativa di comunità ci si riferisce ad un modello ancora in via di definizione, in quanto poche sono le esperienze consolidate sul territorio2, e la mancanza di un riconoscimento giuridico a livello nazionale non consente di riferirsi ad un modello univoco3. Una prima definizione è quella proposta da Legacoop, secondo cui la cooperativa di comunità è un modello di innovazione sociale in cui i cittadini figurano al contempo come produttori e fruitori di beni e servizi, un modello che crea sinergia e coesione, mettendo a sistema le attività di singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni rispondendo così ad esigenze plurime di mutualità (Legacoop, 2011).
Il modello di cooperativa di comunità ha radici remote riscontrabili nelle prime cooperative elettriche impiegate per l’erogazione di servizi e beni di comunità nelle aree marginali del Nord Italia alla fine del XIX secolo (Mori, 2015).
L’evolversi e l’affermarsi di nuovi stili di vita e nuove forme di economia sociale, quali ad esempio le reti agroalimentari alternative e le pratiche di economia solidale e civile, ha inevitabilmente implicato una trasformazione della domanda di mercato, dell’individuazione dei bisogni e dei modi di produzione e consumo, a tal punto che i consumatori esigono di prendere parte ai processi decisionali, costitutivi e distributivi del prodotto.
Il moltiplicarsi di queste esperienze ha favorito lo sviluppo di modelli di comunità, di cittadinanza attiva e partecipazione civica promossi direttamente dai cittadini e dal bisogno di rendersi soggetti attivi del cambiamento divenendo potenziali attori nella trasformazione dei luoghi (Bodini et al., 2016).
Considerato che la finalità sociale della cooperativa di comunità è il miglioramento della qualità della vita, la stessa non ha limitazioni settoriali, spaziando dunque dalla produzione di beni e servizi di interesse collettivo, alla valorizzazione e gestione di patrimonio culturale e artistico, alla tutela del paesaggio, e alla produzione di energia ed efficientamento energetico. È proprio in virtù del carattere multifunzionale e multisettoriale che la cooperativa di comunità può intendersi come una possibile risposta imprenditoriale per ripensare il rapporto tra beni comuni e azione collettiva. Caratteristica della cooperativa di comunità è altresì la dinamicità imprenditoriale che consente di ricreare valore economico da investire nel territorio a beneficio della comunità tutta. Risulta essere pertanto un ibrido organizzativo (Venturi e Zandonai, 2014), a metà tra pubblico e privato, tra lavoro retribuito e volontariato, tra economia e socialità, tra produzione e consumo, tra specializzazione settoriale ed attività diversificate4.

Cooperazione di comunità e agricoltura nelle aree interne

Il modello cooperativa di comunità trova maggiore diffusione nelle aree interne del paese nella prospettiva di garantire la coesione sociale, economica e territoriale. Le aree interne, svuotate di risorse umane (Woods, 2011) a seguito del processo di deterioramento della struttura socioeconomica, faticano ad avviare un circolo virtuoso di sviluppo locale, anche laddove è presente il ruolo istituzionale nella promozione di progetti di rivitalizzazione (Carrosio, 2013). Tuttavia, è proprio in questi spazi vuoti (Remotti, 2011) che si riscontrano maggiori spazi di creatività ed occasioni di rinascita, in cui l’adesione al modello cooperativa di comunità può essere funzionale alla sopravvivenza delle comunità stesse. In questi luoghi l’auto-organizzazione dal basso, lo sviluppo di economie di luogo, e il ritorno alla terra costituiscono una risposta per affrontare le problematiche legate alla crescente frammentazione sociale. In particolare, l’utilizzo sostenibile delle risorse locali e la gestione collettiva dei beni comuni consentono di re-incorporare gli elementi naturali nei sistemi produttivi e di elaborare di conseguenza un progetto locale (Magnaghi 2010).
Gran parte delle cooperative di comunità presenti nel panorama nazionale si è resa protagonista di un processo di valorizzazione dell’agricoltura e delle risorse naturali, impegnandosi nel recupero di antiche tecniche e produzioni locali, riproducendo pertanto una concezione altra di fare agricoltura. Un’agricoltura che sia produttrice di ricchezza sociale, in cui vengono sperimentate, attraverso la produzione di beni commodity e non commodity, nuove funzioni ed attività necessarie per fronteggiare le trasformazioni sociali e i condizionamenti strutturali delle aree rurali (Meloni, 2016). Ne consegue uno scenario in cui l’attività agricola si coniuga con ulteriori servizi5 distribuiti sul territorio, che si esprime nella forma di agricoltura multifunzionale.
Tra le esperienze consolidate sul territorio, che operano nel settore agricolo, rientrano diversi progetti di vita e di lavoro: coloro che si occupano della gestione di terreni abbandonati6, coloro che avviano un progetto migratorio contrario, orientandosi verso gli spazi abbandonati e spopolati7, coloro che, animati da un’etica della restanza (Teti, 2011) hanno deciso di creare occasioni di reddito e sviluppo nella propria terra8. Agricoltori residenti, nuovi contadini, aspiranti agricoltori che, attraverso la cooperazione di comunità, hanno restituito centralità all’attività agricola in un contesto ormai destinato a scomparire, prediligendo la diversità alla specializzazione, la cooperazione alla competizione, la sostenibilità alla produttività.
Seppur accomunate dall’adozione di un approccio place-based, che chiama in causa le istituzioni e le comunità che vivono i territori, queste pratiche risultano fortemente diversificate, in quanto radicate nella struttura sociale e istituzionale tipica del territorio, presentando caratteristiche proprie derivanti da specifici fattori locali (risorse economiche, risorse naturali e artificiali, risorse sociali e istituzionali, reti di relazione sociale e fiducia).
Significativa è, ad esempio, l’esperienza della Cooperativa agricola di comunità Germinale9, nata nel 2018 nella Valle Stura a Demonte (CN). Dapprima nella forma di progetto di volontariato, nel 2016 è stata coinvolta in un percorso di inserimento socio-lavorativo in agricoltura di un gruppo di rifugiati e richiedenti asilo ospiti del Centro di Accoglienza Straordinaria sito a Demonte. L’iniziativa ha dato vita ad un progetto di agricoltura sui principi dell’agroecologia, a partire dal recupero di diversi terreni abbandonati e dissestati concessi a titolo gratuito da alcuni membri della comunità all’amministrazione locale. Nel 2018 il progetto si è formalizzato assumendo la forma di cooperativa agricola, al fine di poter garantire una continuità lavorativa ai giovani coinvolti nel progetto, e di poter rendere sostenibile l’iniziativa avviata. Le attività che oggi conduce sono difatti molteplici, dal recupero di terreni e castagneti incolti alla coltivazione di ortaggi e frutti, all’apertura di un locale di degustazione volto alla valorizzazione delle eccellenze locali, alla creazione di un laboratorio di trasformazione agricola. I diversi interventi messi in campo si sono trasformati in servizi per la collettività, cercando di migliorare le condizioni del territorio mettendolo in sicurezza e di creare un’occupazione destagionalizzata in un contesto montano dove la stagionalità estiva è breve. Il ricorso, inoltre, a strumenti condivisi e collettivi, come i contratti di rete e l’associazionismo fondiario, ha rafforzato la costruzione di reti le quali, talvolta, hanno consentito di superare le difficoltà derivanti dai difficili rapporti con il pubblico - non sempre in grado di seguire le progettualità in corso - e dalle carenze strutturali del territorio.
Più strutturata è la realtà della cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri10, la prima costituita in Italia. Fondata nel 1991 nell’Alto Appennino reggiano, nella comunità di Succiso (RE), la cooperativa è nata con l’obiettivo di contrastare lo spopolamento e il degrado in cui il borgo riversava successivamente all’esaurirsi dell’attività pastorizia ed agricola. L’iniziativa è stata avviata da un gruppo di persone che ha deciso di costituire una cooperativa democratica ed aperta a tutti, in cui fossero gli stessi cittadini a creare le condizioni per lo sviluppo sfruttando le risorse locali e il potenziale dei residenti rimasti. Ad oggi la cooperativa ha avviato un microcosmo di attività: dalla bottega di alimentari, al bar, una sala convegni, un agriturismo, un ristorante con un Menù a Kilometro Zero, un piccolo centro benessere, e un’azienda agricola specializzata nella produzione DOP. La cooperativa è anche impegnata nell’erogazione di beni e servizi a favore della comunità locale, quali ad esempio l’acquisto di un bus scolastico, di un taxi sociale, investimenti per l’installazione di un impianto fotovoltaico, organizzazioni di eventi e manifestazioni culturali. Così strutturata, la cooperativa rappresenta una risposta per salvare i presidi demografici, capace di sviluppare la natura multifunzionale dei territori e di trasformare i deficit in opportunità.

Innovazione e trasformazione nelle aree interne calabresi

Nel contesto regionale il fenomeno della cooperativa di comunità è ancora scarsamente diffuso, presente a macchia di leopardo in diversi contesti territoriali. Nonostante la difficoltà di operare una ricognizione del fenomeno, è possibile rintracciare diversi casi di successo che hanno adottato il modello per mettere a sistema le risorse dormienti e creare attrattori, sociali ed economici, a livello territoriale. 
La prima cooperativa di comunità sorta nel contesto regionale è la Cooperativa Agricola di Comunità Terre Normanne11, sita ad Arena (VV), un piccolo borgo di circa 1.500 abitanti. La cooperativa è sorta su iniziativa di un gruppo di giovani agricoltori, agronomi e imprenditori locali che hanno scelto di investire sul recupero e sulla salvaguardia di un antico fagiolo autoctono, a zicca janca. La rinascita del fagiolo ha rappresentato metaforicamente la rinascita del paese, consentendo alla comunità vibonese di recuperare un’antica tradizione, di convertire i terreni abbandonati creando contestualmente occupazione e servizi, innovandosi nelle modalità e forme organizzative.
Tra le altre, la cooperativa di comunità Borgo di Fiume12, nata a Fiumefreddo (CS) nel 2016, si è distinta per la valorizzazione e la tutela del borgo medievale. Obiettivo della cooperativa è il recupero delle produzioni agricole, pastorali e artigianali tradizionali, dei saperi e dei sapori, al fine di valorizzare l’enogastronomia biologica e promuovere un turismo sostenibile. La ristrutturazione delle case abbandonate, concesse dalla comunità, ha consentito infatti di poter avviare un progetto di riqualificazione del borgo e di promozione di un turismo rurale, enogastronomico e sostenibile. All’interno della Cooperativa è stata avviata anche un’osteria, ConVivio, impegnata nella gestione di un orto di comunità, nella produzione di cibo sano, equo e giusto, nella vendita diretta di prodotti locali e nella creazione di spazi di socializzazione. La rilocalizzazione di pratiche di consumo e di produzione del cibo ha quindi costituito un attrattore per i giovani del posto che hanno trovato nella Cooperativa uno sbocco occupazionale, e che hanno costruito comunità intorno ai prodotti della terra.
Significativa è infine l’esperienza, di recente costituzione, della Cooperativa di comunità I live in Vaccarizzo13, nata nel 2019 a Vaccarizzo, una piccola frazione di 500 abitanti del Comune di Montalto Uffugo (CS). Grazie alla capacità di resilienza della comunità locale, precedentemente formata ed animata, la comunità di Vaccarizzo nel 2019 si è aggiudicata la possibilità di divenire prototipo a livello italiano per la sperimentazione di una metodologia sociale, la Teoria ad U di Otto Scharmer presso il MIT Sloan School of Management di Boston14, finalizzata alla costruzione di un processo di trasformazione sociale. L’avvio del Laboratorio di comunità ha pertanto reso possibile coinvolgere attivamente la cittadinanza la quale, nel 2020, è risultata poi vincitrice del Bando Coopstartup Rigeneriamo comunità15, promosso da Legacoop Nazionale e Coopfond, procedendo così alla costituzione formale della cooperativa. Con 64 soci, mission della cooperativa di comunità è di ripopolare il borgo, incentivando le giovani generazioni a non emigrare e attirando nuovi abitanti. A partire da una analisi dei bisogni, è stato avviato un censimento del patrimonio immobiliare del borgo e dei terreni abbandonati al fine promuovere la permacultura come attività primaria. È stata inoltre avviata l’apertura di una bottega locale di eccellenze del territorio, a Putiga, in grado di fornire beni di prima necessità ai cittadini, e di promuovere al contempo prodotti ecosostenibili - per la conversione del borgo in un comune plastic free - e della filiera corta del territorio calabrese - per un consumo consapevole e responsabile. La ristrutturazione di alcuni edifici, nonché l’installazione di una connessione Internet veloce, ha favorito l’occupazione di quattro case in locazione temporanea. In cantiere ci sono diverse iniziative, tra cui l’apertura di un pastificio, potendo contare sull’esperienza delle massaie locali, l’avvio di un laboratorio di trasformazione delle materie prime, la creazione di un albergo diffuso, l’erogazione di ulteriori servizi come l’apertura di una farmacia e di un asilo diffuso, e l’avvio di un centro per la formazione professionale in Trasformazione Sociale. La forma cooperativa meglio rappresenta l’obiettivo e la mission di questa realtà, in cui la comunità è da intendere come mezzo per ri-costruire economie, a partire dalle risorse territoriali, e per ridare forma ai luoghi, in un processo in cui i cittadini hanno un ruolo sempre più importante nel ridisegnare gli spazi rurali.
I casi proposti si contraddistinguono per aver combinato elementi del passato, in particolare tecniche e pratiche produttive, con le nuove condizioni dell’agricoltura moderna, riadattandole al contesto, avvicinandosi ad un modo di produzione contadina (Van der Ploeg, 2006). Viene veicolata pertanto un tipo di agricoltura, fortemente radicata nel territorio e prevalentemente orientata al mercato locale, che oltrepassa la concezione della terra e del lavoro come meri fattori produttivi, valutandoli rispettivamente come bene collettivo e spazio relazionale (Vitale et al., 2016). Questo modo di produrre rappresenta non soltanto una risorsa per la sostenibilità economica del territorio, ma anche “per la salvaguardia e la valorizzazione delle dimensioni sociali ed ecologiche del sistema agro-alimentare” (Vitale et al., 2016), volto altresì a costruire spazi di autonomia (Van der Ploeg, 2009).
La differenziazione produttiva, l’aumento del capitale sociale, il progressivo coinvolgimento della natura nei processi di produzione conducono pertanto verso una ristrutturazione di sistemi alimentari locali, orientati verso una sostenibilità multidimensionale, cioè una sostenibilità economica - in cui il valore aggiunto viene reinvestito nella comunità -, ambientale - attenta alla tutela della biodiversità -, e sociale - attenta alle condizioni di vita e di lavoro dei soggetti coinvolti. Si tratta quindi di modelli di impresa capaci di interpretare i luoghi, che avviano economie diverse per territori diversi.

Conclusioni

Aderire al modello cooperativa di comunità nelle aree interne ha consentito di rilanciare e innovare i settori tradizionali dei territori, valorizzando le risorse e le competenze locali. Ciò significa riconoscere l’importanza della dimensione territoriale, sia dal punto di vista geografico (dello spazio) che sociale e culturale (delle risorse umane) offrendo agli attori locali la possibilità di mobilitare risorse collettive, al fine di apportare benefici al territorio attraverso la creazione di organizzazioni territoriali - formali e non - che promuovono contemporaneamente la creazione di rapporti esogeni (Sivini, 2003). Laddove lo Stato e il mercato non sono in grado di rispondere alle esigenze dei territori, subentrano le comunità stesse che, in quanto possessori delle conoscenze e delle risorse del territorio, costruiscono un’impresa comunitaria riappropriandosi del potere decisionale. Emerge quindi come il valore aggiunto della cooperazione di comunità consista nella mutualità esterna, nella gestione democratica e condivisa del territorio, nella consapevolezza di dover gestire le attività cooperando. La realizzazione dei servizi di cittadinanza, concorrendo all’aumento del benessere, al radicamento di nuove attività economiche e al miglioramento della qualità della vita dei residenti, nonché un accesso più agevole ai fattori di produzione, contribuiscono inoltre a rendere le aree interne più attrattive, a stimolare la permanenza dei cittadini e l’arrivo di “nuove popolazioni” tra giovani agricoltori o nuovi contadini, montanari per scelta, persone che rinunciano alla vita di città sempre meno sostenibile, residenti part-time o definitivi (Corrado e D’Agostino, 2016).
Sono da rilevare tuttavia delle criticità. L’assenza di un riferimento normativo uniforme complessifica il processo di partecipazione a bandi dei Fondi europei, in particolare le cooperative di comunità non riescono a identificarsi nella rigida classificazione delle attività per settori secondo i codici Ateco. Subentrano inoltre difficoltà relative alle dinamiche relazionali e ai luoghi del potere (Levesque, 2013), nello specifico nelle aree interne, caratterizzate dal comunitarismo locale chiuso (Barca, 2012) e dove è più comune trovare i nemici delle Aree interne (AA. VV, 2013). A tal fine sembra necessaria un’azione congiunta tra il pubblico e il privato secondo una governance multilivello, sostenuta da un lato dalle politiche territoriali e promossa dall’altro dal dinamismo delle comunità locali. In particolare, la Snai, concentrando le risorse nazionali e regionali per garantire i servizi essenziali ed attuare politiche di sviluppo locale attraverso un approccio place-based, e la politica di sviluppo rurale, con strumenti specifici (ad esempio i Gal) e approcci consolidati, più inclusivi ed orientati ad una governance multilivello, possono favorire la promozione di uno strumento in tal senso.

Riferimenti bibliografici

  • AA. VV. (2013), Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, Documento tecnico collegato all’Accordo di Partenariato [pdf]

  • Barca F. (2012), Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020, Documento tecnico, Dipartimento Politiche di Coesione, Roma, [pdf]

  • Bodini R., Borzaga C., Mori P.A., Salvatori G., Sforzi J., Zandonai F. (a cura) (2016), Libro bianco. La cooperazione di comunità. Azioni e politiche per consolidare le pratiche e sbloccare il potenziale di imprenditoria comunitaria, Euricse, Trento [pdf]

  • Carrosio G. (2013), Reti sociali e nuovi abitanti nelle aree rurali marginali, Scienze del Territorio, n. 1 [link]

  • Corrado A. e D’Agostino M. (2016), I migranti nelle aree interne. Il caso della Calabria, Agriregionieuropa n. 45 [link]

  • Gaudio F. (2015), Le aree interne in Calabria, Agriregionieuropa, n. 42 [link]

  • Legacoop: [link

  • Lèvesque B. (2013), Social Innovation in governance and public management system: toward a new paradigm? In: Moulaert F., MacCallum D., Mehmood A., Hamdouch A. (eds.), The International Handbook on Social Innovation, Edward Elgar, Cheltenham

  • Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza del luogo, Bollati Boringhieri, Torino

  • Meloni B. (2016), Aree interne, multifunzionalità e rapporto con la città, Agriregionieuropa, n. 45 [link]

  • Mori P. A. (2015), Comunità e cooperazione: l’evoluzione delle cooperative verso nuovi modelli di partecipazione democratica dei cittadini alla gestione dei servizi pubblici, Euricse Working Paper, n. 77|15, [pdf]

  • Remotti F. (2011), Impoverimento e creatività, in: Remotti F., Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Laterza, Roma-Bari

  • Rossi Doria M. (1958), Dieci anni di politica agraria, Laterza, Bari

  • Scaramuccia P. (2018), Le cooperative di comunità crescono, Percorsi di Secondo Welfare [link]

  • Sforzi J., Borzaga C. (2019), Imprese di comunità e riconoscimento giuridico: è davvero necessaria una nuova legge?, Impresa Sociale, n. 13 [link]

  • Sivini S. (2003), Nuovi percorsi di sviluppo locale. Il Programma LEADER e la sua applicazione in due aree del Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli

  • Teti V. (2011), Pietre di pane. Un’antropologia del restare, Quodlibet, Macerata

  • Van der Ploeg, J.D. (2006), Oltre la modernizzazione. Processi di sviluppo rurale in Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli

  • Van der Ploeg, J.D. (2009), I nuovi contadini, Donzelli, Roma

  • Venturi P., Zandonai F. (2014), Ibridi organizzativi. L’innovazione sociale generata dal Gruppo Cooperativo CGM, Il Mulino, Bologna

  • Vitale A., Giunta I., Corrado A. (2016), Una legge per l’agricoltura contadina: una innovazione per un altro sviluppo?, Agriregionieuropa, n. 45 [link]

  • Woods M. (2011), Rural, Routledge, London

  • 1. La metodologia adottata per la mappatura delle aree interne, elaborata dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, utilizza il criterio della distanza che intercorre tra i centri urbani, garanti dell’erogazione dei servizi essenziali, e i restanti comuni classificati in tre fasce d’area. Quest’ultime, individuate in termini di minuti di percorrenza rispetto al Polo più prossimo, sono così classificate: aree intermedie (con un tempo di percorrenza compreso tra i 20 e i 40 minuti); aree periferiche (con un tempo compreso tra i 40 e i 75 minuti); aree ultra-periferiche (con un tempo superiore ai 75 minuti) [link].
  • 2. Ad oggi manca una mappatura ufficiale delle esperienze attive sul territorio, tuttavia secondo le stime dell’AICCON, al 2020, le cooperative di comunità ammontano a circa 200 esperienze [link].
  • 3. Nel tentativo di superare le difficoltà derivanti dall’assenza di un quadro legislativo comune, gran parte delle regioni italiane ha provveduto dotandosi di specifiche leggi regionali, adottando differenti criteri costitutivi definiti sulla base delle specificità del contesto. Tuttavia, queste rischiano di “andare in direzioni diverse tra loro, facendo perdere il senso di un modello d’impresa che può̀ invece rappresentare un’opportunità̀” (Scaramuccia, 2018). Specificamente alla Regione Calabria, non è stata ancora prodotta una norma specifica. Per maggiori informazioni si veda Sforzi J. e Borzaga C. (2019), Imprese di comunità e riconoscimento giuridico: è davvero necessaria una nuova legge?, disponibile a [link].
  • 4. [link]
  • 5. Tra questi ospitalità̀ turistica rurale e turismo sostenibile, percorsi di integrazione socio lavorativa per persone con difficoltà di inserimento, ristorazione tipica e salvaguardia delle eccellenze agroalimentari, manutenzione e salvaguardia del territorio, produzione di energie rinnovabili, ricerca e promozione territoriale, gestione del patrimonio immobiliare.
  • 6. Per maggiori informazioni vedi Ilex (Pietrelcina, BN), Tralci di Vite (Chianche, AV) e Pietra Angolare (Petruro Irpino, AV) aderenti alla Rete di Economia Civile “Consorzio Sale della Terra”, [link]
  • 7. Per maggiori informazioni vedi Brigì (Mendatica, IM), [link]
  • 8. Per maggiori informazioni vedi Briganti del Cerreto (Cerreto delle Alpi, RE) [link]
  • 9. Ulteriori informazioni per Germinale al [link]
  • 10. Ulteriori informazioni per Valle dei Cavalieri al [link]
  • 11. Ulteriori informazioni per Terre Normanne al [link]
  • 12. Ulteriori informazioni per Borgo di Fiume al [link]
  • 13. Ulteriori informazioni per I live in Vaccarizzo al [link]
  • 14. Per maggiori approfondimenti vedi [link]
  • 15. Ulteriori informazioni al [link]
Rubrica: