Ruralità differenziate e migrazioni nel Sud Italia

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Ruralità differenziate e migrazioni nel Sud Italia
a Università della Calabria, Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica

Introduzione1

Negli ultimi decenni, le trasformazioni intervenute nell’organizzazione sociale ed economica delle aree rurali hanno profondamente inciso sulla tradizionale visione dicotomica città/campagna. Molte realtà sono radicalmente mutate e la distinzione tra aree rurali e aree urbane, in alcuni casi, è divenuta sempre più sfumata. I processi di urbanizzazione, industrializzazione, modernizzazione dell’agricoltura, l’incorporazione delle realtà produttive locali e regionali in reti transnazionali di scambio, nell’ambito dello sviluppo postfordista, hanno determinato un cambio di valori e una progressiva “incorporazione” delle aree rurali nella globalizzazione. Tuttavia, un altro fattore di cambiamento delle realtà rurali deriva dal loro progressivo coinvolgimento in dinamiche di immigrazione. Le migrazioni, infatti, stanno contribuendo alla trasformazione del paesaggio sociale delle aree rurali (Osti 2010; Kasimis 2010), non solo in termini materiali o fisici. Importanti fattori sociali e simbolici contribuiscono alla produzione di una “ruralità differenziata”, in cui sempre più spesso immigrati di diversa origine vivono e lavorano confrontandosi anche problematicamente con la popolazione autoctona. Queste nuove presenze, infatti, sfidano le identità locali e contribuiscono alla trasformazione delle relazioni sociali ed economiche.

Migrazioni, razzismi e differenziazioni nelle aree rurali

Le migrazioni nel contesto italiano e, in particolare nelle regioni del Meridione, presentano i tratti propri del “modello mediterraneo”, delineatosi con la ristrutturazione post-fordista dei sistemi produttivi e la trasformazione dei rapporti sociali: la composizione policentrica (per la presenza di molteplici gruppi nazionali e l'emergerne continuo di nuovi), la segmentazione in rapporto al mercato del lavoro, la stagionalità degli impieghi, la rilevanza dell’irregolarità di soggiorno e del lavoro in nero (King 2000; Pugliese 2006). Uno dei settori in cui è alta l’incidenza del lavoro nero o irregolare è l’agricoltura, in virtù del carattere stagionale delle campagne di raccolta, ma anche per le distorsioni prodotte dalla legislazione in materia di immigrazione. Al Sud la richiesta effettiva di lavoro è alta nei periodi di raccolta ma, non essendoci una sufficiente disponibilità di forza lavoro locale, il contributo degli immigrati in agricoltura è diventato molto più importante di quanto le statistiche ufficiali abbiano finora dimostrato (Cicerchia, Pallara 2009). Tuttavia,l’accesso regolare nelle campagne appare di fatto negato ai migranti. Le quote autorizzate attraverso i decreti flussi stagionali sono di gran lunga inferiori sia alla reale presenza dei migranti che ai reali fabbisogni di lavoro. L’inadeguatezza delle quote, la permanenza dei migranti oltre lo scadere del permesso di lavoro, stagionale o meno, oppure di quelli giunti in Italia in seguito ad una chiamata nominativa ma poi non assunti contribuiscono alla formazione di una componente della popolazione migrante nel Sud in condizioni di irregolarità del soggiorno e, quindi, più facilmente sfruttabile.
La maggior parte delle ricerche sulle comunità immigrate, sul razzismo e sui processi di etnicizzazione è stata condotta in aree metropolitane (Sassen 2010). Solo più di recente, le questioni razziali in contesti rurali hanno ricevuto maggiore attenzione, anche alla luce di episodi di violenza. Sebbene le aree rurali presentino caratteristiche diverse nei vari paesi membri e nelle varie regioni, il rapporto Racism in Rural Areas commissionato dallo European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia ha identificato due fattori comuni rafforzanti il razzismo nelle aree rurali: 1) l’isolamento degli immigrati o dei membri di minoranze culturali rispetto alla popolazione autoctona o fra loro stessi; 2) la mancanza di infrastrutture per soddisfare le necessità di base degli immigrati e delle minoranze e per promuovere la loro integrazione (Blaschke, Ruiz Torres 2002).
Bisogna però evidenziare come il razzismo o la razializzazione siano spesso prodotti da processi socio-economici e da meccanismi politico-istituzionali che differenziano gli status e le condizioni di soggetti di nazionalità diverse, in rapporto alle comunità locali e all’interno delle aree rurali. Oggi più che mai è dunque importante guardare a queste problematiche nell’intersezione tra locale e globale, alla fluidità dei processi di razializzazione in contesti in cui le diverse nazionalità, le minoranze comunitarie risultano essere transitorie e mobili, in virtù dei cambiamenti politici, economici e culturali. Forme di razzismo sono identificate soprattutto nell’ambito delle relazioni della produzione agricola. I paesi mediterranei che negli ultimi vent’anni si sono trasformati in paesi di immigrazione (Italia, Spagna, Grecia ma anche Francia del Sud), hanno allo stesso tempo visto lo sviluppo di un’agricoltura intensiva su larga scala. Berlan (2002) vi ha letto l’affermarsi di quel “Modello Californiano” di agricoltura che caratterizza le produzioni di frutta e verdura, per il cui sviluppo la forza lavoro immigrata, irregolare, flessibile, eccedente, mal pagata e divisa per nazionalità, assume un ruolo strutturale. In questi luoghi della produzione, accanto alle forme diffuse ma meno esplicite di razzismo vissute dai migranti, decifrabili nelle condizioni di lavoro irregolari, nella segregazione residenziale, nella privazione di servizi di base (Blaschke, Ruiz Torres 2002; Confédération Paysanne 2011), emergono anche forme di vera e propria violenza, insite nei rapporti sociali agrari e nella governance delle politiche neoliberiste, come testimoniano i fatti di El Ejido nel 2000 e di Rosarno nel 2010. Tuttavia, nelle aree rurali il ruolo delle migrazioni appare rilevante non solo nei processi di trasformazione dei modelli di agricoltura ma anche in rapporto alla ristrutturazione delle economie familiari e dei rapporti sociali - ad esempio per la sostituzione di donne e giovani locali nel lavoro agricolo in quello domestico e di cura. I piccoli produttori agricoli sono divenuti nel tempo progressivamente “dipendenti” dallo sfruttamento del lavoro immigrato, a basso costo e irregolare, in ragione della competizione sui prezzi indotta dalle pressioni della grande distribuzione e dalle scelte politiche europee, ma anche della crescita dei bisogni e della capacità di consumo.

Le realtà migratorie della Calabria rurale

In virtù della rispettiva condizione di soggiorno e dei tempi di permanenza, i migranti realizzano diverse dinamiche di mobilità a livello territoriale, dove sono identificabili: a) una migrazione di transito, prima di un successivo trasferimento nelle regioni del centro-nord del Paese o all’estero; b) una migrazione di ritorno, dalle regioni del Nord; c) una migrazione transumante, attraverso diverse regioni del Sud, in rapporto alle stagioni agricole e dunque alle opportunità di impiego nelle operazioni di raccolta; d) una migrazione circolare, da e verso il paese di origine; e) una migrazione di insediamento, più o meno stabile.
Nelle campagne del sud d’Italia, come in quelle calabresi, possono essere individuati diversi tipi di migranti, impiegati nel lavoro agricolo: a) migranti irregolari, perché entrati senza permesso di soggiorno oppure con il permesso di soggiorno scaduto; b) richiedenti asilo in attesa dell’audizione presso le commissioni territoriali o denegati, a cui è stata concessa alcuna forma di protezione internazionale, ma anche c) rifugiati e migranti regolari in condizioni di precarietà, ad esempio perché espulsi dalle fabbriche del Nord in crisi (CIES 2010), d) migranti con permesso di lavoro stagionale o temporanei, o ancora assunti a tempo indeterminato.
Il territorio calabrese offre uno spaccato di questa “anarchia delle migrazioni”. La presenza dei migranti sta rivoluzionando l’organizzazione dei rapporti sociali e produttivi, incidendo sulla distribuzione della ricchezza e sulle stesse forme di reclutamento della manodopera, un tempo organizzate tra aree marginali interne e aree ricche di pianura, e affidate a organizzazioni del caporalato che si sono “modernizzate” nel tempo o si sono anche ristrutturate incorporandosi nelle reti migratorie. In Calabria le condizioni di vita, sociali e lavorative per gli stranieri impiegati in agricoltura è particolarmente difficile nelle aree di pianura, in virtù del fatto che la stagione di raccolta degli agrumi, che vede crescere in modo esponenziale il numero delle presenze, coincide con i mesi invernali. I problemi sono legati alle drammatiche condizioni abitative, al mancato accesso alle cure, alla situazione lavorativa e alla difficile condizione femminile (MSF 2005, 2007; AA.VV. 2008).
Nel gennaio 2010, gli Africani di Rosarno si sono rivoltati contro un sistema razzista locale articolato in più componenti: quella politico-istituzionale della differenziazione selettiva, quella mafiosa della violenza, quella socio-culturale dello sfruttamento e dell’esclusione. Il razzismo politico-istituzionale, iscritto nelle società moderne, è il risultato delle politiche migratorie, di sicurezza e asilo, che creano dispositivi di controllo e di accesso stigmatizzanti. Il razzismo mafioso è quello prodotto all’interno di una organizzazione di potere – quello della ‘ndrangheta – perseguente l’egemonia sociale e la regolazione del mercato, attraverso l’esercizio della violenza. Il razzismo socio-culturale si fonda sulla differenza prodotta, è quello che emargina, confina nei ghetti e legittima il super-sfruttamento indotto dalle politiche di mercato (Corrado 2011). La Piana di Gioioa Tauro ha rappresentato un luogo di insediamento più o meno provvisorio per molti migranti, richiedenti asilo e rifugiati, in ragione degli scarsi controlli (soprattutto prima della rivolta), oltre che delle opportunità di impiego in agricoltura. La vulnerabilità di questi soggetti deriva qui da un sistema agricolo arretrato, dipendente dall’industria di trasformazione e dai mercati esterni, da un contesto delle relazioni sociali estremamente disorganizzato e atomizzato, dalla più aggressiva violenza criminale. Nel contesto di queste relazioni, esacerbato dalla caduta dei prezzi agrumicoli e dal processo di sostituzione dei lavoratori africani con quelli neo-comunitari, è esplosa la rivolta (Cicerchia, Paciola 2010).
Diversa appare invece la situazione di un altro bacino della produzione agricola di pianura e del lavoro stagionale, quello della Piana di Sibari, dove pure si riversano migliaia di migranti durante i mesi invernali delle campagne agrumicole e olivicole. Qui la violenza e lo sfruttamento dei rapporti agrari è offuscata da un maggiore dinamismo economico, dai maggiori investimenti per l’innovazione e la qualità, dalla modernità dei sistemi produttivi, da un sistema di cooperazione formale e informale, alla base di connessioni intra- ed extra-territoriali, alle quali le stesse migrazioni partecipano, attraverso forme di mobilità circolari. Le organizzazioni di categoria degli agricoltori hanno stimato il numero di migranti presenti nel territorio della Sibaritide nei mesi invernali in circa 12.000 unità, valutando la quantità di manodopera occorrente per una campagna agrumicola media. Si tratta di un numero quasi doppio rispetto al totale degli stranieri residenti nei diversi comuni della Piana. La vastità dell’area e la disponibilità di alloggi, lungo la costa nelle case estive sfitte (come nel caso della frazione di Marina di Schiavonea di Corigliano Calabro) o nei centri storici (come nel caso di Cassano allo Ionio e anche di Corigliano Calabro), riducono la concentrazione e la tensione sociale, diversamente che nel caso di Rosarno, dove i migranti, prevalentemente sub-sahariani, nel periodo precedente la rivolta avevano occupato in massa alcuni edifici abbandonati ai margini della città (l’ex Opera Sila, la Rognetta e la Cartiera). I migranti sono dunque destinatari anche di un mercato immobiliare in nero.
Alla luce delle problematiche appena descritte, il ruolo delle politiche e dell’intermediazione sociale risulta fondamentale. Lo dimostra l’esperienza di ospitalità promossa nel comune di Riace, inizialmente tramite il progetto di Protezione Nazionale Asilo e poi tramite il Sistema di Protezione per Richedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), sistema integrato di accoglienza promosso dal Ministero degli Interni e da istituzioni locali che offre soluzioni abitative e supporto nel processo di inserimento nel territorio nazionale. Questa esperienza, iniziata all’indomani degli sbarchi di profughi kurdi sulla costa ionica nel 1998, ha ispirato la Legge Regionale n.18 del 12 giugno 2009 emanata dalla Regione Calabria [link] che, sebbene non abbia finora trovato attuazione, ha l’obiettivo di coniugare sviluppo e migrazioni dando sostegno a progetti «che intendano intraprendere percorsi di riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale collegati all’accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati, e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitari» (art. 1).
Possibilità di esperienze di vita positive, per immigrati e richiedenti asilo, possono darsi proprio nelle aree rurali nel momento in cui non siano più percepiti come “soggetti etnici” o “outsiders” (Williams 2007). A Drosi, frazione di 300 abitanti del comune di Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro, grazie alla Diocesi locale circa cinquanta giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana hanno trovato la disponibilità di alloggi in affitto e opportunità di lavoro durante l’intero anno.
Il Comune di Cassano allo Ionio, invece, per far fronte ai problemi di disagio abitativo, ha promosso sia un servizio di intermediazione abitativa - anche attraverso il coinvolgimento dei migranti in attività di “auto-recupero” degli immobili - sia un servizio di accoglienza temporanea presso un immobile concesso dalla Diocesi locale, Casa La Rocca. La struttura – finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati – è destinata ad ospitare lavoratori stranieri bisognosi di un alloggio per un periodo fino a 6 mesi. Possono far richiesta del servizio i migranti o le imprese agricole presso cui lavorano. Il progetto, seppur interessante, appare scollegato dalle realtà lavorative e di soggiorno irregolare e, nonostante il coinvolgimento ufficiale della Coldiretti, ha scarsamente interessato le aziende agricole della zona.

Conclusioni

Il processo di differenziazione della ruralità può essere letto come il prodotto, da un lato, delle politiche europee di governance, incoraggianti il libero mercato ma limitanti il migrazioni libero movimento delle persone, e dall’altro della capacità trasformativa delle migrazioni. Se nuove forme di razzismo, sfruttamento, rendita parassitaria sembrano emergere dalla ridefinizione di rapporti sociali a livello territoriale, ma anche nelle forme simboliche e discorsive della politica e delle rappresentazioni sociali, le migrazioni, attraverso i loro processi di circolazione, networking e stili di vita a livello transnazionale, stanno innovando le aree rurali promuovendone le connessioni, l’inclusione globale e la trasformazione socio-economica e culturale, nei paesi di arrivo come in quelli di origine. Tuttavia, l’irregolarità del soggiorno e del lavoro rappresentano i fondamenti principali delle pratiche di sfruttamento e discriminazione.
Un’analisi più accurata è però necessaria al fine di comprendere le trasformazione che interessano i contesti rurali in rapporto alle dinamiche migratorie contemporanee, specialmente in contesti regionali caratterizzati da una complessità sociale ed economica estrema come quello calabrese.

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV. (2008), “Calabria: Un disagio differenziato in una regione policentrica”, Sotto la soglia. Indagine conoscitiva sul disagio abitativo degli immigrati presenti nell’Italia Meridionale, Ministero della Solidarietà Sociale. RTI: Alisei Coop - Cidis Onlus – Cipac - Cles srl – Promidea soc. coop – Solco s.r.l.[link]

  • Blaschke J. e Ruiz Torres G. (2002), Racism in Rural Areas, European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia [link]

  • Berlan J.P. (2002), “La longue histoire du modèle californien”, Forum Civique Européen, Le goût amer de nos fruits et légumes. L’exploitation des migrants dans l’agriculture intensive en Europe, Informations et Commentaires, pp.15-22

  • Berlan J.P. (2008), “L’immigré agricole comme modèle sociétal?”, Études rurales, n.182, pp. 219-226

  • CIES (2010), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale

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  • Cicerchia M. e Pallara P. (a cura) (2009), Gli immigrati nell’agricoltura italiana, INEA [link]

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  • Kasimis C. (2010), “Trend demografici e flussi migratori internazionali nell’Europa rurale”, Agriregionieuropa, Anno 6, Numero 21 Giugno [link]

  • MSF (2005), I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto, Medici Senza Frontiere Onlus [link]

  • MSF (2007), Una stagione all’inferno. Rapporto sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud d’Italia, Medici Senza Frontiere Onlus [link]

  • Osti G. (2010), “Fenomeni migratori nelle campagne italiane”, Agriregionieuropa, Anno 6, n. 22 Settembre [link]

  • Pugliese E. (2006), L’Italia fra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Bologna, Il Mulino

  • Sassen S. (2010), Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bologna

  • Williams C. F. (2007), “Revisiting the Rural/Race Debates: A View from the Welsh Countryside”, Journal of Ethnic and Racial Studies, vol. 30(5), pp.741-765

  • 1. Il presente articolo è tratto da una relazione tenuta dall’autrice nell’ambito del Working Group “Social Landscapes of Rural Diversity: a New Rural Order?”, in occasione del XXIV Congresso della Società Europea di Sociologia Rurale (ESRS) tenutosi a Chania, in Grecia, nell’Agosto 2011.
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