Introduzione
In questo articolo si intende proporre una riflessione critica sul ruolo della Pac nei confronti dei processi di sviluppo rurale, al fine di comprendere quali siano i soggetti - attivi o passivi - degli attuali importanti cambiamenti che sta subendo l’assetto fondiario in Italia e come la Politica Agricola Comune stia influenzando i cambiamenti in atto. L’analisi verterà su due assi distinti: diacronicamente, verranno comparati i dati degli ultimi quattro censimenti dell’agricoltura (1982, 1990, 2000, 2010), considerando i cambiamenti leggibili in essi alla luce dell’evoluzione delle indicazioni di policy della Pac nel medesimo arco di tempo. Sincronicamente, verranno analizzati i cambiamenti subiti dagli assetti fondiari, le forme di conduzione, le forme giuridiche e le forme di possesso dei terreni nelle principali macro-aree italiane e verrà utilizzato il “caso sardo” (peculiare sotto molti aspetti) come caso di studio.
L’ipotesi è che le nuove indicazioni della Pac, in primo luogo disaccoppiamento e condizionalità, successive a decenni di interventi diretti sul reddito degli agricoltori attraverso il sostegno dei prezzi, abbiano introdotto principi di competitività e concorrenza ai quali gli agricoltori europei non erano più abituati (in alcune zone rurali non lo sono mai stati), con alcune conseguenze inattese da tenere seriamente in considerazione (Podda, 2010; Giovannini, 2012). Le conseguenze sono diverse a seconda della dimensione dell’azienda ma quelle negative riguardano soprattutto le unità di dimensione economico/aziendale minore: utilizzando come paradigma di riferimento il modello neoclassico - l’economia “formale”, secondo Polanyi - queste possono apparire le unità produttive meno rilevanti. Di contro, utilizzando un approccio economico più “sostanziale” (Polanyi, 1974), le piccole aziende possono essere considerate molto importanti sia dal punto di vista economico che sociale e ambientale.
I dati del cambiamento
Nei 10 anni che separano gli ultimi due censimenti (2000-2010) si è assistito in Italia ad una forte mortalità delle aziende agricole: la contrazione della struttura produttiva è pari a -32,2%, (da 2,4 milioni del 2000 a 1,6 milioni del 2010). Partendo dal censimento del 1982 si osserva una caduta ancora più ampia, pari a -51,7%. Il calo, come appare in figura 1, interessa, con intensità solo leggermente differenti, tutte le macro-aree del territorio nazionale.
Figura 1 - Macro-aree, numerosità delle aziende agricole ai censimenti dell’agricoltura: 1982, 1990, 2000, 2010
Valori assoluti
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat Censimento dell’Agricoltura
Alla diminuzione della numerosità delle aziende è correlato sia un calo della superficie agricola totale (Sat) che della superficie media aziendale (Sau), ridotta in media del 2,3%. Tale tendenza negativa è stata registrata in quasi tutte le Regioni, con picchi del -32% in Liguria e -22% in Valle d’Aosta. Il risultato - meramente statistico - è un aumento della dimensione media aziendale, che passa da 5,5 ettari a 7,9 ettari per azienda. Si riscontra, dunque, una concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in un numero inferiore di aziende agricole, con un avvicinamento alla media europea. Ciò è particolarmente evidente in Sardegna, dove si osserva tuttavia un fenomeno peculiare e parzialmente in controtendenza: nonostante l’emorragia di aziende agricole sia la più elevata, -43,5% in dieci anni (si passa da 107.464 aziende del 2000 a 60.681 del 2010), la Regione è tra le poche che registrano un aumento della Sau e quella con l’aumento più consistente, pari a +13% (passando da 1.019.958 a 1.152.756 ettari) (Istat, 2012)1. L’ultimo censimento rivela, perciò, un assetto inaspettato e da comprendere e l’insieme dei fenomeni descritti comporta che la dimensione media delle aziende sarde, pari a 19,2 ettari, risulti la più alta a livello nazionale.
Primo dato: cambia la struttura delle aziende agricole
I cambiamenti sono dovuti innanzitutto alla forte riduzione del numero di aziende con meno di un ettaro di Sau: in 10 anni le micro-aziende sarde sono diminuite del 68,6%, contro una flessione a livello nazionale del 50,2% (Figura 2). Inoltre, nel territorio nazionale si assiste ad una riduzione particolarmente consistente della numerosità delle aziende fino a 10 Ha di Sau (-45%) e alla diminuzione di oltre un quarto per quelle fra 10-20 Ha. Al contrario, l’aumento si è concentrato in quelle con oltre 50 Ha (Fanfani, Spinelli, 2012).
Figura 2 - Macro-aree. Percentuale numerosità delle aziende di dimensione <1ha
Comparazione tra censimenti. 2000=100%
Fonte : nostre elaborazioni su dati Istat. Censimenti dell’Agricoltura
Figura 3 - Macro-aree. Percentuale numerosità delle aziende per classi d’ampiezza Comparazione tra censimenti. 2000=100%
Fonte : nostre elaborazioni su dati Istat. Censimenti dell’Agricoltura
La Sardegna segue le medesime tendenze, accentuandole: sono in calo tutte le classi di ampiezza aziendale fino ai 30 ettari. Di contro, le variazioni della numerosità aziendale per le classi superiori sono tutte di segno positivo (Figura 3). Non solo, le percentuali di crescita aumentano all’aumentare della classe d’ampiezza dell’azienda: +116% da 30 a 50 ha, +139% da 50 a 100 ha, +151% per dimensioni superiori a 100 ettari.
Impossibile a questo punto, non supporre che vi sia una relazione tra la scomparsa delle micro aziende e l’importante crescita delle grandi aziende: questa relazione va però spiegata e non è implicito esista un legame diretto, quanto piuttosto delle cause in grado di influenzare entrambi i fenomeni.
Forme di conduzione, forme giuridiche e possesso dei terreni
Nonostante i cambiamenti, permane nell’isola un’agricoltura basata su aziende individuali: queste diminuiscono del 44,9% (da 106.012 a 58.447) ma la Sau corrispondente aumenta del 9,4% con un raddoppio della dimensione media, che passa da 8,2 a 16,3 ettari per unità2. La forma di conduzione principale rimane la conduzione diretta del coltivatore (97,4%), si osserva inoltre un brusco calo delle aziende fondate sulla sola proprietà (-55% negli ultimi dieci anni).
E’ implicito che la maggior parte delle aziende individuali, a conduzione diretta, insediate esclusivamente su terreni di proprietà, corrisponda alle micro-aziende che hanno subito il tracollo più rilevante.
Se i cambiamenti negativi hanno riguardato soprattutto le micro-aziende, ci si chiede quali processi abbiano attraversato quelle medio grandi, cresciute numericamente e che stanno subendo trasformazioni consistenti. Uno degli aspetti più interessanti del riassetto fondiario riguarda l’aumento dei terreni in affitto e in uso gratuito: in Italia la Sau in affitto e in uso gratuito è aumentata rispettivamente del 52,4% e del 76,6%, in Sardegna i valori crescono rispettivamente del +72,2% e del +134,5%. Potremmo così riassumere i cambiamenti in atto: vi è stata un’altissima moria di micro-aziende, soprattutto aziende individuali a conduzione diretta su terreni di proprietà inferiori ai 30 ha; le aziende presenti (rimanenti o resistenti), hanno incrementato la Sau e la dimensione media aziendale, in misura maggiore per le aziende di grandi dimensioni, > di 30 ha; la crescita deriva soprattutto da utilizzo di superficie in affitto e ad uso gratuito, perciò i cambiamenti non hanno inciso fortemente sulla proprietà dei terreni.
Il quesito riguarda quindi la natura delle nuove aziende ed in primo luogo la specializzazione produttiva e la destinazione dell’aumento della Sau: il saldo positivo3 complessivo della Sau è interamente trainato dall’aumento dei prati permanenti e pascoli, che passano in valore assoluto da 524.870 a 692.781 ettari (+32%) mentre le superfici coltivate registrano una forte riduzione: -4,8% i seminativi, -49,3% le legnose agrarie e -25,4% gli orti familiari.
Nonostante le aspettative e prospettive della Pac 2007/2013, non si può affermare che vi sia stato uno sviluppo rurale complessivo nell’Isola. Dalla lettura dei censimenti emergono invece due aspetti: il crollo della produzione vegetale e la parallela caduta del numero di soggetti impiegati in agricoltura: dal 2000 in Italia la forza lavoro impiegata nel primo settore diminuisce del 31,6%, in Sardegna viene quasi dimezzata, con un drastico calo del 44,5% (da 215.097 a 119.305 unità).
In questo infelice dipinto dell’agricoltura sarda si distingue però il comparto zootecnico: l’incremento della Sau ha riguardato in via esclusiva le aziende zootecniche con un assetto fondiario basato su proprietà, affitto e uso gratuito, divenute progressivamente più rilevanti. Il fenomeno è leggibile in modo positivo: l’utilizzo congiunto di diverse forme di possesso e uso dei terreni può essere sintomo di un processo di ammodernamento delle strutture aziendali, soprattutto nella fase di ricambio generazionale (Fanfani, Spinelli, 2012). La crescita del settore zootecnico regionale influenza inoltre il suo peso sul totale nazionale: aumenta il numero totale di bovini allevati e permane il primato dell’allevamento di ovini e di suini. La Sardegna si trova così al quarto posto a livello nazionale per incidenza percentuale delle aziende zootecniche sul totale delle aziende censite, con il 33,4%. Si rafforza la specializzazione nel comparto ovi-caprino, i cui complessivi 3.245.902 capi (in aumento rispetto ai 3.018.194 del 2000) rappresentano il 43,4% dell’intero patrimonio nazionale (contro il 39% del 2000).
Complessivamente si prospetta nella Regione una progressiva “specializzazione”, confermata anche dal diffondersi di comportamenti strategici come l’adesione a disciplinari di certificazione, divenuti elemento di fondamentale importanza per il settore zootecnico nazionale. Le aziende zootecniche Dop-Igp sono concentrate prevalentemente in tre regioni: Sardegna (29%) seguita da Lombardia (16%) e da Emilia-Romagna (14%). Si tratta di aziende che dispongono di superfici mediamente più grandi, a causa dell’utilizzo di prati e pascoli, e sono mediamente gestite da capi azienda più giovani, fenomeno accentuato in Sardegna dove l’età media è di 48,9 anni (Belletti e Marescotti 2012).
La Pac prima fase: il processo di modernizzazione dell’agricoltura
I dati mostrano un’emorragia senza precedenti di contadini4, soprattutto agricoltori, dalle campagne. Un simile processo, almeno di questa portata, era difficilmente prevedibile e soprattutto difficilmente collocabile in una sfera temporale così limitata nel tempo. Solo nel 2008, quando venne stampato “I nuovi contadini”, Van Der Ploeg ipotizzava un nuovo ruolo per la classe contadina anche in Paesi come l’Italia e l’Olanda, mentre ne prevedeva una graduale diminuzione solo in un futuro remoto. Anche la forte crisi economica e sociale iniziata nel 2008 aveva effettivamente fatto ipotizzare un ritorno alle campagne come risposta alla diffusa precarizzazione del lavoro, fenomeno che sembra non esserci stato. I risultati del censimento sono quindi difficilmente spiegabili se si guarda alla sola - interessantissima - analisi dell’autore: i dati permettono di integrare la sua ipotesi con un'altra interpretazione del processo in atto.
Per cercare di comprendere i cambiamenti utilizzeremo lo schema di Van Der Ploeg, che distingue tra tipologie di lavoro agricolo e definisce le possibilità di transizione tra modelli di agricoltura, nonché le probabili cause della loro crescita/diminuzione (Figura 4). Nel modello idealtipico le tre forme di sviluppo agricolo si distinguono per dimensione produttiva, lavoratori coinvolti, mercati di riferimento e obiettivi a cui mirano. Il primo è il modello delle Aziende capitalistiche basato esclusivamente sulla agro-esportazione e sui rapporti di scambio di mercato con la grande distribuzione; il secondo è il modello delle Aziende imprenditoriali che guarda quasi esclusivamente al mercato e ai suoi meccanismi e dipende molto dai programmi statali; il terzo è quello della Azienda contadina che, a differenza delle precedenti, è connaturata dal lavoro familiare, artigianale, da conduzione diretta, da limiti nell’utilizzo del mercato a favore di altri meccanismi economici (di natura relazionale, associazionistica, sociale e comunitaria).
Figura 4 - La transizione tra modelli di agricoltura
Fonte: J. D. Van Der Ploeg, I nuovi contadini, 2008
Nell’inquadrare e sistematizzare i tre modelli l’autore definisce l’attuale fase storica come “postmoderna”, dove cioè gli effetti palesi della modernizzazione sono terminati ed è relativamente più semplice trovare e definire le tre tipologie di aziende appena descritte. A nostro avviso si può ipotizzare che i principi cardine della teoria della modernizzazione (e alcuni dei principali effetti della loro applicazione) non possano dirsi conclusi né tantomeno si può affermare che abbiano perso il loro appeal nei confronti dei policy maker europei. Anzi, è possibile sostenere che i loro effetti vengano accresciuti da alcune prassi delle politiche europee che spingono fortemente verso una modernizzazione/omologazione del primo settore. Il processo di modernizzazione del comparto è avvenuto tramite due dinamiche di uno stesso processo. La prima è passata tramite l’industrializzazione dei processi produttivi, a cui si affianca la seconda, costituita dalla burocratizzazione/finanziarizzazione del comparto agricolo. Cronologicamente è possibile distinguere due macro-fasi della Pac: nella prima (pre Riforma Fischler) le due dinamiche sono contemporaneamente attive, mentre nella burocratizzazione (post Riforma Fischler), è attiva soprattutto la seconda (che viene, come si vedrà, accresciuta dalla programmazione 2007/13). L’insieme delle due dinamiche, e delle loro pressioni sul sistema produttivo agricolo/contadino, ha inciso fortemente sulla disattivazione5 delle aziende, leggibile dai dati del censimento: fenomeno che si è palesato con il crollo del numero delle imprese agricole e della produzione agricola ad esse legata, in prevalenza micro-aziende contadine stanziate soprattutto in aree definibili fortemente rurali6.
Il ruolo della Pac nella disattivazione
La Pac non può, né cronologicamente né per gli obiettivi economici, politici e sociali che si propone, essere letta come un unico processo di intervento. I suoi intenti e i suoi obiettivi sono mutati considerevolmente nel tempo, non senza forti contraddizioni. E’ stata a lungo disegnata su un modello di sostegno di specifici prodotti, basata quasi esclusivamente sull’aumento di produzione allo scopo di cancellare il deficit alimentare europeo (DeCastro, 2004; Meloni, 2006). Con l’implementazione e l’attivazione della “prima fase della Pac” si assiste ad un tentativo di imprenditorializzazione/industrializzazione del comparto agricolo, che attraverso processi di isomorfismo istituzionale (seguito, voluto e incentivato da UE, Stati e Regioni) doveva essere diffuso in tutto il territorio europeo. A partire dagli anni ’60 e ’70, attraverso i servizi pubblici di divulgazione vengono diffuse nuove tecnologie che rendono possibile l’ampliamento di molte aziende e parallelamente una enorme crescita dell’apparato tecnico-burocratico-amministrativo legato alla diffusione di questi servizi. Tutta la prima Pac, intrisa di ideologia dello sviluppo, porta con sé l’idea che le agricolture contadine non siano sufficientemente produttive e che sia necessario ammodernarle. Il tentativo tuttavia non dà i frutti sperati dai policy maker (creare un sistema agricolo imprenditoriale) ma anzi, ha creato dipendenza multipla tra il primo settore e le politiche pubbliche: dipendenza dalle indicazioni sulle colture e gli assetti produttivi ritenuti migliori (e perciò incentivati) e dai sussidi legati al rispetto di tali indicazioni. Il cambiamento è parallelo alla crescita di un enorme apparato tecnico-amministrativo dedicato a questo obiettivo: in Sardegna i tre enti che si occupano specificatamente di sostegno all’agricoltura, Laore (supporto tecnico), Agris (ricerca), Argea (pagamenti), occupano stabilmente (escludendo le consulenze), più di 2000 dipendenti7. Il che significa, se vogliamo fare un computo - rozzo ma significativo -, che nel 2010 si ha circa 1 tecnico/impiegato ogni 59 lavoratori nel settore primario e 1 tecnico/impiegato ogni 30 aziende agricole. L’apparato tecnico-burocratico, spropositato rispetto la qualità e quantità delle produzioni, si è occupato di finanziare direttamente (sovvenzionare) una parte degli investimenti “necessari” alle aziende agricole, facilitare il riordino fondiario, suggerire investimenti, proporre cambiamenti tecnologici, cambiamenti colturali e/o zootecnici. Il fenomeno non è nuovo e viene ampliamente descritto da Karl Polanyi nella “Grande trasformazione”, dove l’autore individua il doppio paradosso del libero mercato: si creano i presupposti per le regole del libero mercato solo tramite un grande e importante investimento dello Stato8.
La Pac seconda fase
La riforma Fischler ha segnato una profonda svolta, tramite l’adozione di due strumenti tecnici contrapposti alla precedente prassi operativa, che interessano principalmente i territori a forte ruralità. Con l’abbandono del sostegno diretto alla produzione inizia un percorso all’interno del quale sempre più spazio e interesse sono assegnati alle produzioni di qualità come risposta alle crescenti esigenze del mercato di prodotti certificati, sia per origine che per processo produttivo.
Il primo strumento è quello del disaccoppiamento, che ha sostituito il tradizionale sistema di aiuti diretti. Viene introdotto, a partire da gennaio 2005, il pagamento unico per azienda disaccoppiato dalla produzione (con riguardo a quantità e tipologia di prodotto). L’obiettivo fondamentale è quello di slegare le produzioni dagli aiuti in modo che l’imprenditore agricolo compia delle scelte basate e giustificate dalle esigenze e dalle richieste di mercato, supponendo l’esistenza di un agricoltore orientato da strategie imprenditoriali e un contesto agricolo dinamico e versatile (Podda, 2010). Il secondo elemento di forte innovatività è lo strumento della condizionalità, che subordina gli aiuti al rispetto di precise regole agro-ambientali. Anche in questo caso la policy presume, da parte degli operatori, un intensa attività di partecipazione, di conoscenza delle norme e delle corrette pratiche da seguire. Riassumendo si può affermare che i due strumenti (legati ad altri prettamente finanziari, come quello dell’abolizione degli aiuti alle esportazioni), premono verso due indirizzi solo apparentemente contrapposti: il primo si concretizza nella volontà di avvicinare l’impresa agricola alle leggi del mercato tout court, il secondo invece verso forme di premialità e di aiuti indipendenti dalla quantità della produzione, ma legati alla corretta gestione e al rispetto di regole qualitative più che quantitative. Tale volontà si scontra con realtà rurali dalle caratteristiche che poco si prestano, senza un adeguato sostegno, a soddisfare e sfruttare opportunamente le possibilità offerte dalla nuova Pac. L’obiettivo di offrire maggiore libertà di azione ai singoli sembra esplicarsi (in considerazione della repentinità della sua applicazione), nella mancanza di un preciso indirizzo colturale/produttivo da seguire e l’assenza di indicazioni formali è risultata difficilmente gestibile per un comparto per anni “eterodiretto” dalle indicazioni istituzionali.
Il problema, perciò, è che si rende necessario un enorme sistema di amministrazione attraverso il quale controllare requisiti e proprietà per verificare che effettivamente corrispondano alle indicazioni europee (Van Der Ploeg, pg 329). Pertanto, sia i cambiamenti nelle policy che l’obbligo di soddisfarne i criteri sono giustificati quando è coinvolto il sostegno pubblico, incentivato e sostenuto tanto da divenire la prassi del metodo agricolo. Qualsiasi intoppo in questo sistema diventa lesivo per la capacità del sistema agricolo di rimanere produttivo e performante, in questo senso Stato e Mercato divengono i primi principi ordinatori e vanno di pari passo mentre l’economia reale tende a subordinarsi a cicli di vasta portata di pianificazione e controllo (Polanyi, 1974). Riguardo al processo di burocratizzazione e finanziarizzazione, l’introduzione della novità nei pagamenti ha probabilmente accresciuto i gradi di complessità delle richieste. Se da un lato si sta cercando di correggere tale situazione con la programmazione 2014/209, d’altra parte questa si complicherà ulteriormente con i requisiti ambientali introdotti dal greening.
Alcune conclusioni
Ci si è chiesti se sia possibile affermare che, oltre al processo di disattivazione, si stia assistendo ad una transizione tra modelli di gestione delle aziende agricole: in tale ipotesi l’aumento della Sau corrisponderebbe ad un processo di acquisizione e concentrazione, ossia un’estensione dell’agricoltura imprenditoriale a scapito di quella contadina. I fenomeni in realtà non sembrano direttamente correlati, si tratta piuttosto di un fenomeno di forte polarizzazione produttiva. Due evidenze spingono in questa direzione: quelle scomparse sono aziende a vocazione vegetale, quelle in crescita sono esclusivamente aziende di zootecnia; i terreni interessati sono diversi, poiché l’aumento della Sau riguarda soprattutto prati e pascoli permanenti.
Si può perciò affermare che le policy della Pac hanno avuto effetti diversi su differenti tipologie di aziende agricole. La sempre più marcata specializzazione della Regione nella produzione zootecnica potrebbe essere letta come risposta alle richieste del mercato globale, anche se la struttura di queste aziende agricole non è inquadrabile nelle tipica forma imprenditoriale di allevamento intensivo, essendo invece basata su allevamento estensivo. D'altronde nell’Isola l’allevamento estensivo è economicamente e strategicamente più conveniente, vista la tipologia geomorfologica dei terreni, la bassa densità di popolazione e la grande presenza di terreni comunitari ad uso gratuito. Questi aspetti portano ad affermare che le nuove aziende ricalcano solo in parte il modello imprenditoriale indicato da Van Der Ploeg ma guardano anche a forme nuove e diverse di gestione organizzativa aziendale e di sfruttamento dell’ambiente. Perciò i dati, letti come risultato delle pratiche di incentivazione dello sviluppo volute e attuate dalle politiche di sviluppo rurale, mostrano una estrema polarizzazione dell’assetto produttivo: il marcato fallimento in ambito agricolo vegetale sembra accompagnarsi ad un parziale successo/resistenza in ambito zootecnico e soprattutto alla qualità dello sviluppo: produzioni di qualità, estensive, alto numero di certificazioni. Tutti elementi che soddisfano molti punti della nuova Pac.
I principi di sussidiarietà e governance, emersi dalla Conferenza Europea di Cork del 1996 nel tentativo palesato di superare i limiti della prima Pac, hanno trovato difficoltà d’applicazione non appena le responsabilità sono state trasferite agli Stati membri, che hanno avuto seri problemi a costruire un apparato “snello” di dialogo e incentivazione di nuove prassi di gestione dei sostegni pubblici. Soprattutto in Sardegna si rileva la mancanza di una vera governance che limiti, adatti, contestualizzi l’applicazione delle indicazioni della Pac al contesto locale. Allo stato dei fatti i sistemi regolativi creano elevati costi di transazione che, se non supportati da istituzioni estremamente efficienti, funzionano come una morsa amministrativa ricadendo specialmente sul modo contadino di fare agricoltura e meno su quello - a vario titolo - imprenditoriale, più specializzato e con una maggiore organizzazione del lavoro interna, perciò maggiormente capace di assolvere a doveri di natura “burocratico/amministrativa”.
Riferimenti bibliografici
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Giovannini E. (2012), Il volto dell'agricoltura tra complessità e Cambiamento, Agriregionieuropa, n. 31
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Polanyi K. (1974), La grande trasformazione, Einaudi, Torino
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Podda A. (2010), La nuova Politica Agricola Comunitaria e sviluppo rurale: riflessioni a partire da un caso di studio. In Sociologia del Lavoro, n°118, FrancoAngeli, Milano
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Van Der Ploeg J.D. (2008), I nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Donzelli Editore, Roma
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Vanni F. (2012), L’uso del suolo e delle risorse naturali, in Agriregionieuropa, Numero 31
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Regione Autonoma della Sardegna. Sardegna Agricoltura [link]
- 1. L’aumento della Sau può essere imputato solo in parte alle nuove modalità di rilevazione dei dati. In Sardegna incide la presenza di proprietà collettive: per quanto riguarda gli usi civici (proprietà indivisa) si tratta dello 0,16% delle aziende con una Sau del 5,8% sul totale. Per ciò che riguarda l’assegnazione formale (assegnato) di prati e pascoli si tratta del 3% di aziende con una superficie pari al 5,4% sul totale. Come sostiene la Direzione Generale della Programmazione Unitaria e della Statistica Regionale, che nell’Isola ha gestito la rilevazione dei dati, non solo non è possibile sommare i valori ma questi potrebbero in parte sovrapporsi.
- 2. Si assiste anche a una crescita delle aziende con forma giuridica più complessa, soprattutto terreni di proprietà di enti locali, ma in termini assoluti queste continuano a rappresentare una quota marginale rispetto al totale.
- 3. Ha valenza positiva secondo i nuovi parametri della Pac 2014-2020, che incentivano l’utilizzo di prati e pascoli per l’allevamento.
- 4. L’utilizzo del termine contadino, o quello di classe contadina, comporta, soprattutto in Italia, alcuni problemi di natura semantica: è un termine molto enfatico e storicamente abusato, che richiama, idealmente e romanticamente, ad una condizione sociale che si ritiene appartenga al passato. In molti casi viene confuso con quello di bracciante e viene usato spesso con valenza negativa per indicare una condizione economica di povertà e sussistenza, oppure per indicare socialmente una persona grezza e grossolana. Per questa ragione molti ricercatori preferiscono utilizzare sinonimi quali imprenditore o conduttore agricolo, o semplicemente agricoltore. Noi utilizziamo appositamente il termine contadino proprio per la ricchezza di significato che porta con se e, adoperando lo schema di Van Der Ploeg, per distinguerlo da quello di imprenditore agricolo e di impresa capitalistica.
- 5. Con il termine disattivazione si intende quel processo che porta, per diversi motivi, il conduttore a decidere di uscire dal processo produttivo (Van Der Ploeg 2008).
- 6. La Sardegna presenta il calo maggiore di aziende nelle aree collinari e montane: in 10 anni si è assistito ad una caduta rispettivamente del 41,3% e 53,7%, contro il 33.7 e 38.2 nazionale.
- 7. I dati relativi ai tre enti sono stati rilevati dal sito Sardegna Agricoltura: [link]
- 8. Karl Polanyi, nel “primo paradosso del libero mercato” afferma che: “Non vi era nulla di naturale nel laissez-faire. I mercati liberi non avrebbero mai potuto esistere se si fossero lasciate le cose al loro corso. Lo stesso laissez-faire fu attuato dallo Stato: negli anni ‘30 e ‘40 un aumento enorme nelle funzioni amministrative dello Stato che veniva ora dotato di una burocrazia centrale in grado di realizzare i compiti posti dai sostenitori del liberalismo” (La grande trasformazione, 1974, p. 178). Il che si è tradotto in un continuo interventismo centralmente organizzato e controllato.
- 9. Per quanto riguarda lo strumento della condizionalità l'erogazione di tutti i pagamenti provenienti dalla dotazione nazionale per i pagamenti diretti continuerà a essere subordinata al rispetto di un certo numero di requisiti minimi relativi all'ambiente, al benessere e alla salute degli animali nonché alla salute delle piante. Tuttavia, in un intento di semplificazione, il numero di criteri di gestione obbligatori (Cgo) è stato ridotto da 18 a 13 e le norme sulle buone condizioni agronomiche e ambientali (Bcaa) passano da 15 a 8, grazie all'esclusione degli elementi che non riguardano gli agricoltori.