Introduzione
Il recupero del tartufo in Valle Grana rappresenta un modello di successo realizzato in tempi abbastanza brevi e con risorse contenute, attraverso l’iniziativa di operatori locali che sono stati in grado di far coagulare diversi interessi, portando a ricadute positive in un’area marginale del territorio piemontese. Obiettivo del nostro lavoro è presentare il caso nei suoi aspetti peculiari, al fine di valutarne la ripetibilità in situazioni analoghe, molto frequenti nella montagna interna e in molte aree marginali italiane. Si tratta infatti di un interessante esempio di sviluppo endogeno, i cui esiti positivi possono attivare ulteriori strategie di crescita, grazie ad esempio alla valorizzazione in chiave turistica, sfruttando i prodotti di un ambiente naturale fra i meglio preservati del Piemonte, nonché attraverso servizi innovativi in ambito agrituristico.
L’area di studio
L’area di studio coincide con il bacino orografico della Valle Grana (Figura 1), che prima del riordino delle comunità montane costituiva un’unità territoriale autonoma, mentre attualmente è stata unita alla limitrofa Valle Maira, in attesa che le comunità montane piemontesi vengano definitivamente “estinte” come previsto dalla L.R. 28 settembre 2012, n. 11. Nella valle ricadono 9 comuni per un totale di 19’879 abitanti (http://www.sistemapiemonte.it/ ).
Figura 1 – L’area di studio e i suoi comuni
La valle presenta le caratteristiche tipiche dei territori marginali della montagna interna, quali malessere demografico, riduzione dei servizi ed economia stagnante (Brun et al., 2005) e ricade interamente nella tipologia “Aree naturali interne e a bassa densità abitativa” definita nella recente classificazione della montagna piemontese (Crescimanno et al., 2010) dove peraltro viene messa in luce l’elevata qualità delle sue risorse ambientali. Le aree interne costituiscono un’ampia parte dell’Italia (3/5 del territorio e 1/4 della popolazione), sono caratterizzate dalla distanza dai centri di agglomerazione e di servizio e mostrano traiettorie di sviluppo instabili. Nello stesso tempo sono dotate di risorse che mancano alle aree centrali, sono fortemente policentriche ed hanno un formidabile potenziale di attrazione (Barca, 2013). Per queste ragioni il loro studio è molto interessante e possono emergere soluzioni che presentano elementi di validità generale.
Le attività economiche della valle Grana – una delle poche valli cuneesi che non ha sbocchi in territorio francese - sono fondamentalmente legate al settore agricolo (con circa 10'000 ha di Sau su una superficie totale di 23'938 ha, http://www.sistemapiemonte.it/), essendo il turismo poco sviluppato, anche se presente grazie alle visite al santuario di San Magno. L’attività agricola più rilevante, nella media e alta valle, è quella zootecnica (con 10'000 Uba totali, 2012, ibidem), legata alla produzione del formaggio Dop Castelmagno, mentre nella bassa valle le aziende agricole si fanno più numerose e prevalgono le produzioni di ortaggi e frutta fra cui spicca la Pera Madernassa, per la quale è in corso la procedura del riconoscimento Igp. Nel complesso si tratta di una valle poco antropizzata che ha saputo mantenere, forse anche per questa ragione, tutte le sue peculiarità naturalistiche e paesaggistiche.
Aspetti metodologici: il tartufo e il processo di sviluppo
Il tartufo è un prodotto simbolo del territorio piemontese, conosciuto in tutto il mondo, grazie anche alle iniziative concentrate nei territori albesi e astigiani (Garofoli, 2012). Storicamente e fino a una decina di anni fa, in Piemonte parlando di tartufo s’intendeva quello bianco pregiato di Alba (Tuber magnatum), ma recentemente si è acceso un interesse anche per i tartufi neri -“pregiato” T. melanosporum e “scorzone” T. aestivum - diffusi in numerose regioni italiane e francesi. Si tratta di prodotti molto diversi, sia per disponibilità, che per caratteristiche intrinseche, di utilizzazione e di mercato. Infatti i tartufi neri, molto noti all’estero, hanno prezzi più contenuti rispetto al bianco d’Alba (in media il nero pregiato è venduto al dettaglio intorno ai 500 €/kg, le quotazioni dello scorzone oscillano fra i 50 e i 120 €/kg mentre per il bianco d’Alba si parte da 2'000 €/kg in su) e presentano potenzialità d’uso superiori, sia per la duttilità di impiego – possono essere facilmente conservati e trasformati - sia per l’ampio periodo di raccolta. Inoltre i tartufi neri, a differenza del bianco, possono essere coltivati in appositi impianti di latifoglie micorizzate, con una tecnica introdotta in Piemonte solo da alcuni anni, ma largamente diffusa e consolidata in altre regioni italiane (Umbria, Abruzzo e Marche principalmente) e che inizia a fornire risultati promettenti (Archimede et al., 2012).
L’area di studio è una delle poche zone piemontesi vocate alla produzione di tartufo nero pregiato (Ipla, Regione Piemonte, 2007) ed è sfruttando questa caratteristica che è iniziato un processo di sviluppo basato sulla valorizzazione della filiera, partendo dalla rimessa in funzione delle tartufaie naturali e costruendovi attorno una rete di relazioni fra diversi operatori. Si tratta di un processo di “territorialità attiva” (Dematteis e Governa, 2005), discendente dall’azione di alcuni soggetti più dinamici e mirante alla costruzione di “strategie inclusive”: in questa forma di territorialità, ogni soggetto è in grado di agire, di rivestire ruoli diversi e svolgere azioni innovative, configurando strategie di risposta e costruendo cambiamenti e innovazioni che vanno a vantaggio della comunità intera (ibidem).
In sostanza, gli elementi caratteristici del caso sono costituiti dall’esistenza di un prodotto di pregio, non sufficientemente valorizzato, di alcuni imprenditori locali dinamici e di un progetto di ricerca che li ha coinvolti e ha costituito una sorta di catalizzatore per una serie di iniziative incentrate sul tartufo, valutandone le potenzialità e la riproducibilità. L’azione si è sviluppata attraverso un’inedita strategia territoriale con la messa a dimora di tartufaie di nero pregiato e la cura di terreni marginali, dando vita ad un nuovo mestiere, quello del tartuficoltore che non è necessariamente un imprenditore agricolo. Il successo dell’iniziativa è basato sull’integrazione con gli altri comparti economici, quali l’artigianato, il commercio ed il turismo (Archimede et al., cit.) che sfociano in eventi gastronomici e culturali con interessanti ricadute potenziali sul territorio.
Fino agli anni sessanta del secolo scorso, nella valle Grana venivano raccolti i tartufi neri spontanei da parte di “cercatori” non della zona che vendevano il prodotto nelle limitrofe regioni francesi. Questa tradizione si è andata via via perdendo a causa del forte calo di produzione delle tartufaie naturali, legato all’assenza di manutenzione del territorio e al suo conseguente degrado. Circa una dozzina di anni fa un imprenditore agricolo, legato alle tradizioni locali, ha ripreso questa usanza e impiantato la prima tartufaia artificiale. In seguito è diventato partner operativo di un progetto di ricerca Interreg, mettendo a disposizione il suo impianto e la sua esperienza e diventando il punto di riferimento locale per iniziative analoghe. Negli anni successivi un giovane imprenditore locale si è affiancato al primo, dedicando fra l’altro la propria tesi di laurea allo studio della tartuficoltura e coadiuvando il precursore in molte attività di promozione che sono sfociate, nel 2009, nella nascita dell’associazione dei tartuficoltori della valle Grana.
I risultati raggiunti
Le tartufaie di nero pregiato sono in grado di remunerare adeguatamente l’investimento effettuato: da nostre valutazioni - ai prezzi medi e considerando una durata dell’impianto di 30 anni - sono sufficienti produzioni di 9-10 kg/ha per pareggiare tutti i costi sostenuti (Brun e Mosso, 2010), mentre le rese ordinarie si attestano intorno ai 20 kg/ha (Archimede et al., cit.) rendendo quindi l’investimento molto interessante. Tuttavia, le produzioni non sono né certe né costanti, motivo per cui è importante l’adozione di tecniche colturali idonee e ancora poco note, la cui divulgazione rientra fra le azioni svolte dall’associazione. Tra gli aspetti critici va poi segnalato il costo rilevante delle piantine micorizzate, prodotte da pochi vivai specializzati, fattore che costituisce un limite alla diffusione degli impianti, essendo necessario sostenere un costo intorno ai 7-8’000 €/ha (ibidem) a fronte di ricavi che si realizzano non prima di 5-7 anni.
I primi impianti realizzati in Valle Grana risalgono al 2003 e sono entrati da pochi anni in produzione, confermando la validità del progetto e fungendo da esempio perché nuovi soggetti intraprendano questa attività, recuperando terreni altrimenti in abbandono. Tale successo è ribadito dall’aumento del numero degli associati, saliti dai 9 iniziali ai 17 attuali; sinora si è trattato di coltivatori e di alcune amministrazioni pubbliche, ma nel breve è previsto l’ingresso delle altre componenti della filiera e, in particolare, dei ristoratori locali, che sono stati interessati direttamente attraverso l’organizzazione di eventi a tema.
Dal 2003 a oggi sono state impiantate 25 tartufaie, per un totale di 6,5 ha e circa 1500 piante micorizzate, con un incremento notevole negli ultimi 5 anni. E’ interessante notare, a tal proposito, che gli unici contributi ricevuti dall’associazione sono consistiti in 360 piantine gratuite provenienti da un vivaio regionale e nel cofinanziamento (80%) del costo di 400 piante da parte dell’Associazione Rerum natura (http://www.rerumnatura.eu) che sostiene chi realizza impianti di tartuficoltura nelle valli alpine occidentali.
Anche le tartufaie naturali sono state oggetto delle attività dell’Associazione, che ha curato la gestione dei 550 ha di bosco in cui sono presenti le 101 piante registrate come “tartufigene” nella valle (sulla base deii ritrovamenti di tartufi). Questo intervento, particolarmente importante per le positive ricadute paesaggistiche e ambientali, è stato svolto dai soci e da una squadra di operai forestali regionali. Questi ultimi hanno agito su richiesta delle amministrazioni comunali e nell’ambito del progetto di ricerca internazionale Alcotra “Amycoforest”.
Accanto alle attività produttive, l’Associazione ha portato avanti diverse iniziative di comunicazione (volantini, pubblicazioni, cartelloni, sito web www.tartufovallegrana.com) e di promozione, grazie a piccoli contributi ottenuti dalla Comunità montana e dal Comune di Montemale. Si tratta di eventi di portata locale, ma in grado di attirare l’attenzione degli operatori economici della valle e dei turisti, anche in seguito alla visibilità garantita in più occasioni dalla stampa, dalle televisioni private e alla partecipazione occasionale di personaggi di spicco del mondo dello spettacolo. In particolare sono state organizzate sia attività in campo, con visite guidate sugli aspetti tecnici della tartuficoltura e della “cerca” con i cani, sia serate gastronomiche a tema, che hanno coinvolto albergatori e ristoratori della Valle Grana. Grazie al successo delle prime iniziative, dal 2009 tali eventi sono divenuti stabili, con l’organizzazione di una serie programmata di manifestazioni invernali che coinvolgono numerosi “chef” locali e garantiscono presenze turistiche in un periodo di bassa stagione. Va rilevato inoltre che, sebbene il tartufo sia sempre il “movente” di tali eventi, in ogni occasione sono stati presentati e valorizzati tutti i prodotti locali, con ricadute positive sull’intero territorio.
Infine, attraverso i contatti intrapresi con la partecipazione ai progetti di ricerca, l’Associazione è stata in grado di organizzare un convegno scientifico che ha attirato l’attenzione di studiosi del settore di tutto il Paese.
Discussione e conclusioni
La marginalità è nel contempo una condizione relativa e dinamica (Montresor, 1998): relativa perché può essere definita solo attraverso il confronto con situazioni differenti dal punto di vista spaziale o socioeconomico, dinamica perché disparate cause possono influenzarne il livello, così come possono cambiare i termini di confronto o, ancora, i fattori considerati importanti nel definirla. E’ evidente come il superamento della marginalità non possa realizzarsi efficacemente senza un progetto di territorialità inclusiva, che preveda la partecipazione degli operatori economici e l’attivazione delle amministrazioni locali. Ciò è quanto è avvenuto in Valle Grana, che, grazie al tartufo, è stata in grado di superare la propria condizione di “svantaggio strutturale” trasformandola in un punto di forza, basato sulla rivalutazione di risorse naturali e su un progetto che ha coinvolto in modo aggregante diversi portatori di interesse.
Emerge in questo esempio una conferma della teoria che i territori montani non vanno definiti come svantaggiati tout court, ma presentano risorse e specificità peculiari, che possono essere preservate e sviluppate attraverso un’opportuna politica territoriale multisettoriale (Maxwell e Birnie, 2005). Proprio l’importanza della specificità, della “coesione territoriale” (Commissione UE, 2008) e dell’identità (Governa, 1997) sono la chiave dello sviluppo basato sulla valorizzazione delle differenze. Secondo questa visione, le aree montane possono trasformarsi in sistemi integrati con i nodi urbani, sfruttando i non pochi punti di forza rispetto alla città (quantità e qualità delle risorse, sicurezza sociale, identità culturale, possibilità di uno sviluppo sostenibile), che ne fanno un territorio strategico. Pertanto il progetto della Valle Grana può essere inteso sia come un primo passo di un processo più ampio, che trarrà benefici dalle relazioni con la vicina città di Cuneo, sia come un esempio da esportare in altre aree, laddove sussistano non solo le condizioni naturali, ma strutture socioeconomiche organizzate e pronte a reagire.
Certamente, il processo descritto potrebbe ottenere benefici molto rilevanti da finanziamenti, anche di non grande entità, sul modello del quarto asse del Piano di sviluppo rurale (Leader), o addirittura con piccoli contributi diretti, quali la fornitura gratuita o a prezzo scontato del materiale vivaistico, come più volte segnalato dall’Associazione. Infatti, la propensione a realizzare nuovi impianti è limitata dall’investimento iniziale, anche a fronte di una disponibilità dei fattori produttivi propri, come lavoro e terreno. Questa è forse la causa principale del mancato decollo della tartuficoltura a livello regionale, a differenza di quanto è accaduto e continua ad accadere in altre regioni italiane, in Francia e, più recentemente in Spagna.
Riferimenti bibliografici
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