Perché una strategia nazionale per le aree interne1
Una parte maggioritaria del territorio italiano è caratterizzata dall’aggregazione dei cittadini in centri minori, anche assai piccoli, spesso con limitata accessibilità ai servizi essenziali. La “specificità” e separatezza di questo modo di vita è colta definendo questi territori “aree interne”, interne rispetto alle aree (per lo più pianeggianti) dei grandi e medi centri urbani e alle loro reti di collegamento. Si tratta di aree caratterizzate da importanti risorse ambientali (foreste, aree protette, produzioni agricole e agro-alimentari) e culturali (beni archeologici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere) fortemente diversificate, come risultato di aspetti naturali originali e di lunghi e diversi processi di antropizzazione.
Una parte consistente delle aree interne ha subito dagli anni cinquanta un rilevante processo di marginalizzazione. Esso si è manifestato, innanzitutto, attraverso intensi fenomeni di de-antropizzazione: a) riduzione sotto la soglia critica e invecchiamento della popolazione; b) riduzione dell’occupazione e del grado di utilizzo del capitale territoriale. Esso si è manifestato anche nella progressiva riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta locale di servizi pubblici, privati e collettivi – dei servizi, cioè, che definiscono la qualità della cittadinanza.
Le aree interne sono state, tuttavia, anche uno spazio di “buona politica” e buone pratiche. In effetti, il processo di marginalizzazione non ha interessato le aree interne in modo omogeneo e in alcuni territori si può osservare che: a) la popolazione è rimasta stabile o è cresciuta; b) le risorse ambientali e culturali sono state oggetto di progetti di valorizzazione; c) sono state realizzate forme di cooperazione tra comuni per la produzione di alcuni servizi di base. Si tratta di fattori che, presumibilmente, segnalano anche la presenza di buone capacità di governo da parte delle comunità locali interessate.
Le aree interne devono essere oggi considerate una “questione nazionale”. Oltre al tema del potenziale di sviluppo di cui dispongono, le aree interne hanno un rilievo nazionale per altre ragioni collegate ai costi sociali determinati dal loro stato. In molti casi esse sono caratterizzate da processi di produzione e investimento che, come conseguenza della loro scala e della loro tipologia, generano ingenti costi sociali. L’instabilità idro-geologica è un esempio dei costi sociali che si associano alle modalità attuali di uso dei paesaggi umani nelle aree interne. Si possono indicare altri esempi altrettanto rilevanti come la perdita di diversità biologica o la dispersione della conoscenza pratica (il cosiddetto saper fare).
Il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica del Ministero dello Sviluppo Economico sta pertanto lavorando alla stesura di una strategia nazionale per lo sviluppo delle “aree interne” del Paese2.
Il rilancio di queste aree sta infatti già avvenendo, ma in maniera marginale e a macchia di leopardo. Affinché divenga un fattore di sviluppo del Paese occorre dargli impulso. La programmazione dei Fondi comunitari per il 2014-2020 offre l’opportunità di costruire una strategia che, muovendo da azioni private e pubbliche già in corso e unendosi a politiche nazionali, dia loro forza, efficacia e visione, con traguardo al 2020 e oltre. Senza distinzioni tra Nord e Sud. Ma con fortissima attenzione ai singoli contesti territoriali.
La scelta di investire su una strategia nazionale per le aree interne è avvenuta nell’ambito del dibattito che, a livello comunitario si è sviluppato sulla coesione territoriale e sulla promozione di questo obiettivo. Il trattato di Lisbona, adottato nel 2009, fa infatti della coesione territoriale un obiettivo dell'Unione europea e riconosce il carattere fortemente diversificato dei diversi territori che la compongono (Lucatelli S., Salez P. 2012).
La strategia nazionale è in corso di negoziazione con le Regioni e il partenariato economico e sociale e sarà inserita come dimensione territoriale all’interno dell’Accordo di Partenariato tra l’Italia e la Commissione Europea per indirizzare la programmazione dei fondi strutturali per il nuovo periodo di programmazione (2014-2020).
Andamenti socio-demografici, uso del suolo e “diversità” delle aree interne
L’individuazione delle aree interne del Paese parte da una lettura policentrica del territorio italiano, cioè un territorio caratterizzato da una rete di comuni o aggregazioni di comuni (centri di offerta di servizi) attorno ai quali gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale.
I presupposti teorici da cui la mappatura prende le mosse sono i seguenti: 1) l’Italia è caratterizzata da una rete di centri urbani estremamente fitta e differenziata; tali centri offrono una rosa estesa di servizi essenziali, capaci di generare importanti bacini d’utenza, anche a distanza, e di fungere da “attrattori” (nel senso gravitazionale); 2) il livello di perifericità dei territori (in un senso spaziale) rispetto alla rete di centri urbani influenza – anche a causa delle difficoltà di accesso ai servizi di base - la qualità della vita dei cittadini e il loro livello di inclusione sociale; 3) le relazioni funzionali che si creano tra poli e territori più o meno periferici possono essere assai diverse, a seconda delle tipologie di aree considerate.
Il “Centro di offerta di servizi” viene individuato come quel comune o aggregato di comuni confinanti, in grado di offrire simultaneamente tutta l’offerta scolastica secondaria (almeno una scuola per le tre tipologie considerate: Licei, classico e/o scientifico, Istituti tecnici e professionali e altre tipologie), almeno un ospedale sede di Dipartimento di emergenza urgenza e accettazione (Dea) di I livello3 e almeno una stazione ferroviaria di categoria Silver4. L’introduzione del servizio ferroviario, assieme a due servizi essenziali quali l’istruzione e la salute, si spiega con il valore che la mobilità ferroviaria ha rivestito in questo Paese, nell’ottica del pieno rispetto del diritto alla cittadinanza. Si reputa pertanto fondante la presenza di una stazione ferroviaria di qualità media nella rete dei Centri di offerta di servizi5.
All’individuazione dei Centri6 fa seguito la classificazione dei restanti comuni in quattro fasce: (a) aree di cintura; (b) aree intermedie; (c) aree periferiche e (d) aree ultra periferiche. Essa è stata ottenuta sulla base di un indicatore di accessibilità calcolato in termini di minuti di percorrenza rispetto al polo più prossimo. Le fasce sono calcolate usando i terzili della distribuzione della distanza in minuti dal polo prossimo, pari a circa 20 e 40 minuti. È stata poi inserita una terza fascia, oltre 75 minuti, pari al 95-esimo percentile, per individuare i territori ultra periferici.
Va sottolineato che non si sono posti vincoli amministrativi nell’associazione tra i Centri e i restanti comuni. Pertanto non è infrequente il caso in cui comuni sono prossimi a poli di altre province della stessa regione o anche a poli di regioni diverse dalla propria. Questo è un elemento non secondario se si considera che esistono una serie di servizi di competenza di enti territoriali, tipicamente la Regione e/o la Provincia, che non sono erogati de plano a residenti di una regione diversa.
L’ipotesi portante della metodologia adottata è quella che identifica in prima istanza la natura di area interna nella lontananza dai servizi essenziali. In questa accezione, area interna non è necessariamente sinonimo di area debole. Il grado di perifericità individua piuttosto una caratteristica delle aree che peraltro si riferisce esclusivamente agli aspetti considerati (servizi scolastici, sanitari e di trasporto ferroviario). Solo attraverso l’esame delle caratteristiche e della dinamica della struttura demografica e socio-economica delle aree individuate si può avere una lettura completa dei diversi percorsi di sviluppo territoriale.
Le aree interne così individuate, risultanti dalla somma tra aree intermedie, aree periferiche e aree ultra-periferiche, rappresentano il 53 per cento circa dei comuni italiani (4.261) cui fa capo il 23 per cento della popolazione italiana secondo l’ultimo censimento, pari a oltre 13,5 milioni di abitanti, residente in una porzione del territorio che supera il 60 per cento (Tabella 1).
Tabella 1 - Le aree interne dell’Italia: caratteristiche e andamenti demografici
Fonte: Elaborazioni Dps su dati Istat
Negli ultimi quarant’anni la popolazione Italiana è aumentata di circa il 10 per cento; questo andamento è la sintesi di tendenze molto diverse nelle varie tipologie di territorio: mentre i poli intercomunali, i comuni di cintura ma anche i comuni intermedi hanno fatto registrare un aumento della popolazione anche doppio o triplo rispetto al valore medio nazionale, la popolazione è diminuita nei poli, nei comuni periferici ed ultra-periferici. In particolare, le aree periferiche ed ultra-periferiche hanno fatto registrare tassi negativi di crescita della popolazione già dai primi anni settanta.
Negli stessi anni, si è registrato un costante aumento sul totale della popolazione della quota della popolazione anziana (65 anni e più), che è quasi raddoppiata tra il 1971 e il 2011. Il fenomeno dell’invecchiamento ha interessato sia i centri che le aree interne, ma è soprattutto nelle aree periferiche ed ultra-periferiche, ed in particolare del Centro Nord, che si registrano le percentuali più elevate. Gli effetti di queste dinamiche sono stati solo in parte mitigati dall’intensificarsi degli stranieri residenti in tutto il Paese la cui presenza negli ultimi 10 anni è quasi triplicata tanto nei centri quanto nelle aree interne (dato che mette in rilevo l’importanza del fenomeno dell’immigrazione anche in queste aree del Paese).
Le trasformazioni demografiche illustrate hanno determinato un allentamento del presidio della popolazione sul territorio e un cambiamento nell’uso del suolo e della sua destinazione, in particolare nelle aree interne, con conseguente aumento di fenomeni preoccupanti quali la perdita di una tutela attiva del territorio e l’aumento del livello del rischio idrogeologico. Negli ultimi trent’anni si è registrata, nelle aree interne e in quelle di cintura, una forte tendenza alla diminuzione della superficie agricola utilizzata (Sau) Si nota tuttavia una tenuta nelle aree ad agricoltura intensiva delle zone agricole dei centri (Pianura Padana) e in contesti in cui sono presenti sistemi agricoli di qualità tanto nei centri quanto nelle aree interne.
Alla riduzione del territorio destinato ad uso agricolo è corrisposto negli anni un aumento della superficie coperta da foreste. Attualmente il patrimonio forestale nazionale supera i dieci milioni di ettari7 e dal 1948 ad oggi si è più che raddoppiato. Esso ricopre oltre un terzo della superficie nazionale, e per oltre il 70 per cento ricade nelle aree interne. In ragione di ciò nelle aree interne ricade una quota elevata (superiore al 70 per cento) di Siti di interesse comunitario (Sic), di Zone di protezione speciale (Zps), concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, oltre che di Aree naturali protette, ossia aree naturali marine e terrestri, ufficialmente riconosciute secondo un elenco stilato, e periodicamente aggiornato, dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Coerentemente con le caratteristiche fisiche delle aree interne, la loro struttura economica si caratterizza per una forte specializzazione nel settore primario8. In particolare, osserviamo che mentre nei centri la percentuale di comuni specializzati nel primo settore è pari al 43 per cento, essa sale al 73 per cento nel caso dei comuni delle aree interne. In tale ambito, le realtà regionali presentano tuttavia una certa variabilità: si osserva infatti una tendenza delle regioni del Sud Italia ad una specializzazione agricola più diffusa della media rispetto a quelle del Centro-Nord. Percentuali di specializzazione superiori alla media nel settore secondario (20 per cento) si osservano nelle aree interne della Lombardia, del Piemonte, del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e della Liguria. Per quanto riguarda il settore dei servizi, si osservano percentuali superiori alla media (7 per cento) in Valle d’Aosta, in Calabria, in Campania, nel Lazio e nel Trentino Alto Adige.
La dimensione media delle unità locali presenti nelle aree interne è pari a tre addetti contro i quattro dei centri, con una generale tendenza alla diminuzione via via che ci si sposta dal Nord verso il Sud9; inoltre, la differenza tra dimensione media dei centri e delle aree interne cresce spostandosi verso il Sud. Questi due fatti testimoniano una maggiore fragilità strutturale del sistema produttivo delle aree interne delle regioni meridionali. La quota di addetti alle unità locali sulla popolazione residente è pari a 31,8 per cento nei centri e 21,7 per cento nelle aree interne con una forte variabilità regionale. In generale, si registra anche in questo caso una tendenza alla diminuzione dei valori spostandosi da Nord verso Sud per entrambe le tipologie di territori.
A livello nazionale nelle aree interne il reddito imponibile (ai fini Irpef) medio per abitante nel 2010 è del 18 per cento inferiore a quello dei centri10. In generale la differenza tende ad aumentare spostandosi da Nord verso Sud. Dal 2004 al 2010 il reddito medio imponibile per abitante delle aree interne è cresciuto meno rispetto a quello dei centri (+10,6 per cento contro +11,4 per cento), segnando un incremento del differenziale tra queste due aree. Si osservano tuttavia differenze a livello regionale: Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Molise e Puglia mostrano infatti tassi di crescita del reddito imponibile medio superiori per le aree interne rispetto ai centri, al contrario le aree interne della Lombardia, del Friuli Venezia Giulia e dell’Abruzzo fanno registrare tassi di crescita ben al di sotto di quelli relativi ai centri.
Le caratteristiche portanti della strategia nazionale per le aree interne
L’obiettivo ultimo che la strategia di sviluppo persegue – in quanto condizione necessaria per il suo successo – è il rafforzamento della struttura demografica dei sistemi locali delle aree interne. Rafforzamento che si può realizzare attraverso una crescita demografica, un aumento della presenza degli immigrati in età attiva o un aumento delle classi di popolazione in età lavorativa.
Il punto di partenza della costruzione della strategia di sviluppo per le aree interne è pertanto la distinzione concettuale tra obiettivi locali e obiettivi nazionali – legati dal vincolo di dover essere perseguiti simultaneamente. Questa distinzione è finalizzata a dare forza operativa alla strategia che deve al contempo perseguire obiettivi sistemici e obiettivi di sviluppo localizzati. Questi ultimi sono infatti perseguibili solo laddove i primi siano adeguatamente affrontati.
Gli obiettivi locali possono essere così formulati: (a) incremento del benessere della popolazione locale; (b) ricostituzione e consolidamento della vitalità delle comunità locali; (c) obiettivi specifici legati all’ambito (e/o) gli ambiti su cui agisce il progetto. Gli obiettivi nazionali possono essere cosi formulati: (a) aumento dell’occupazione; (b) riutilizzazione del capitale territoriale non utilizzato; (c) riduzione dei costi sociali (assetto idro-geologico; manutenzione del suolo; tutela della diversità biologica).
L’inscindibile interdipendenza tra prospettiva nazionale e prospettiva locale discende dal fatto che ciascuno degli obiettivi deve essere perseguito attraverso l’interazione tra interventi nazionali o di respiro nazionale (ad esempio: politica scolastica nazionale; politica sanitaria nazionale e regionale) e interventi locali (progetti di sviluppo locale).
Analizzate in termini di “potenziale di sviluppo economico”, le aree interne dell’Italia mostrano tutto il loro rilievo da una prospettiva nazionale. Porre l’attenzione sulla grande estensione – in termini di popolazione e spazio – delle aree interne rende immediatamente evidente quanto sia consistente il potenziale di sviluppo che esse oggi esprimono e quanto sia quindi importante il contributo che esse possono dare a stabilizzare la traiettoria di sviluppo economico nazionale. Lasciare inutilizzato un capitale territoriale così vasto, eterogeno e specifico è irrazionale da un punto di vista economico – anche considerando che l’Italia dispone di una forza lavoro in eccesso che potrebbe partecipare alla ri-attivazione del capitale locale.
Partendo dal riconoscimento della diversità delle aree interne, la “Strategia aree interne” intende perseguire un intervento di policy caratterizzato da una doppia dimensione: ricollocare le aree interne a priorità strategica che deve impegnare allo stesso modo il Paese, le Regioni, i Comuni e più in generale gli Enti locali e i tutti i soggetti protagonisti a livello territoriale; costruire una rete di progetti sul territorio facendo leva su alcuni ambiti prioritari di intervento e sulla costruzione di meccanismi di collegamento con la politica ordinaria. Ciò che caratterizza la strategia di sviluppo economico in corso di definizione in favore delle aree interne è l’attenzione alle precondizioni dello sviluppo locale – e l’affiancamento – accanto ai progetti d’area della Strategia – di una serie di interventi e impegni sul piano dell’offerta dei servizi di base alla persona (scuola, salute, mobilità, e connettività).
Perché la strategia aree interne possa tradursi in interventi capaci di innescare processi di sviluppo, ci si deve chiedere in cosa consiste la “domanda” su cui puntare. Da dove verrà la domanda in grado di generare i processi di sviluppo desiderati? I bacini di questa domanda vanno ricercati nella “diversità” insita nelle caratteristiche delle aree interne, e nei processi di differenziazione in corso nelle tendenze dei consumatori.
Ciascuna area interna offre una diversità di qualche tipo: di stile di vita, di aria, di alimentazione, di relazioni umane, di natura. Siamo in una fase nella quale c’è una forte domanda di specificità secondo la vecchia teoria dei consumi di Lancaster per la quale con l’aumentare della prosperità, gli individui chiedono sempre più non ”il” pomodoro ma “quel tipo di pomodoro” (Lancaster 1971). Lo stesso vale per ogni bene di consumo. Per numerose ragioni le preferenze stanno tornando a essere molto diversificate, anche se non viviamo in una fase di prosperità. Quando consumiamo, vogliamo anche capire dove è stato prodotto ciò che consumiamo, qual è il simbolismo associato al prodotto, se è stato sfruttato lavoro minorile nel produrlo, se il prodotto ha viaggiato per moltissimi chilometri consumando, dunque, energia e risorse.
L’intervento per innescare processi di sviluppo nelle aree interne va focalizzato dunque su tali “specificità”, su fattori latenti di sviluppo e su ambiti di intervento di grande rilevanza, legati anche (ma non solo) alle consistenti potenzialità di risorse nascoste che esistono in queste aree. Punti focali su cui concentrare gli sforzi in modo da ottenere risultati visibili e misurabili, in tempi non eccessivamente lunghi, grazie ad uno sforzo congiunto di risorse umane disponibili e di fondi.
La doppia anima della strategia aree interne – che punta alla valorizzazione delle risorse esistenti nelle aree in un’ottica di sviluppo, concorrendo allo stesso tempo anche ad un obiettivo di sostenibilità e di tutela del territorio – fa sì che i punti focali siano alcuni, e non altri (auto-selezione): tutela del territorio e comunità locali; valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile; sistemi agro-alimentari e sviluppo locale; risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile; saper fare e artigianato.
Riferimenti bibliografici
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Dps, Seminario “Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale: le aree interne”, Roma 15 Dicembre 2012, Conclusioni congiunte dei Ministri Renato Balduzzi, Fabrizio Barca, Mario Catania, Elsa Fornero, Francesco Profumo: [pdf]
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Lucatelli S., Savastano M., Coccia M. (2006), Servizi socio-sanitari nell’Umbria rurale, Materiali Uval [pdf]
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Lucatelli S, Salez P. (2012), “La dimensione territoriale nel prossimo periodo di programmazione" in Agriregionieuropa, [link]
- 1. I contenuti e le opinioni espresse in questo contributo sono attribuibili solo ed esclusivamente agli autori. Gli autori ringraziano Teresa Capece Galeota per il contributo all’editing dell’articolo.
- 2. Il lavoro è il risultato delle attività di un Comitato Tecnico coordinato dal Dipartimento delle Politiche di Sviluppo e Coesione del Ministero dello Sviluppo Economico e composto da Banca d’Italia, Istat, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, Università e Ricerca, Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Inea e Ismea.
- 3. L'ospedale sede Dea di I livello rappresenta un’aggregazione funzionale di unità operative che, oltre alle prestazioni fornite dal Pronto Soccorso, garantisce le funzioni di osservazione, breve degenza e di rianimazione e realizza interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, terapia intensiva di cardiologia. Inoltre assicura le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche, di diagnostica per immagini, e trasfusionali.
- 4. Rfi classifica le stazioni in: Platinum (13 grandi impianti): in questa classe rientrano le stazioni caratterizzate da una frequentazione superiore ai 6.000 viaggiatori medi/giorno ed un alto numero di treni medi/giorno con elevata incidenza di treni di qualità; Gold (103 impianti medio-grandi): sono compresi gli impianti medio-grandi che presentano una frequentazione abbastanza alta, con una offerta trasportistica significativa sia locale che di qualità; Silver (impianti medio-piccoli): sono inclusi tutti gli altri impianti medio-piccoli con una frequentazione media per servizi metropolitani-regionali e di lunga percorrenza inferiore a quella delle Gold; Bronze: sono inclusi in questa categoria impianti piccoli con una bassa frequentazione che svolgono servizi regionali.
- 5. Per maggiori dettagli metodologici sulla metodologia di classificazione si rimanda a “Le aree interne: di quale territori parliamo? Nota esplicativa sul metodo di classificazione delle aree”, scaricabile dal sito delle Aree Interne al seguente indirizzo: [pdf].
- 6. Sono stati apportati alcuni correttivi al metodo descritto che hanno riguardato i comuni capoluogo di provincia non selezionati sulla base della presenza dei tre servizi. In particolare, sono stati forzatamente inclusi tra i poli: Agrigento, Andria, Aosta, Barletta, Bolzano, Lecce, Matera, Nuoro, Oristano, Trani, Trento e Verbania. I comuni capoluogo della Sardegna, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias, non sono state inclusi perché nel frattempo aboliti mediante referendum regionale e a seguito dell’approvazione da parte del consiglio regionale della Sardegna della legge sul riordino delle Province sarde.
- 7. Elaborazioni su dati Agrit – Populus 2010.
- 8. I dati si riferiscono ad elaborazioni effettuate da parte di Ifel-Anci su dati Infocamere 2012. Attualmente non esiste una fonte statistica in grado di mettere a confronto in maniera coerente i macro settori agricolo, manifatturiero e dei servizi. I dati dell’archivio Asia come anche quelli relativi al Censimento dell’Industria rilevano informazioni limitatamente ai settori manifatturiero e servizi. Si è dunque scelto di utilizzare i dati di fonte Infocamere per il 2012 che si riferiscono alle imprese per settore, e che, rispetto ad altre fonti, oltre ad essere più recenti, ci consentono di rappresentare simultaneamente i tre macrosettori. Trattandosi di dati su iscrizioni e cancellazioni delle imprese alle Camere di Commercio, questi dati possono risentire dell’effetto di ritardi nelle comunicazioni in particolare delle cessazioni, tuttavia, possiamo ipotizzare che questo effetto sia diffuso in maniera omogenea nel territorio, e dunque non produca distorsioni significative nei risultati. Un’altra debolezza che si può attribuire ai dati utilizzati è che essi forniscono solo le consistenze numeriche delle imprese, pertanto gli indici di specializzazione sono costruiti sulla base della numerosità delle imprese e non degli addetti in esse impiegati, tuttavia dal confronto con gli indici di specializzazione manifatturiera calcolati sui dati deli addetti alle UL di fonte Asia non risultano differenze nelle tendenze riscontrate usando i dati Infocamere. L’indice di specializzazione economica di un comune è calcolato considerando l’incidenza delle imprese attive in un determinato settore economico rapportata al totale delle imprese attive nel comune. Se tale rapporto risulta maggiore dello stesso calcolato a livello nazionale, un comune può essere definito “specializzato” in quel dato settore. Da un punto di vista analitico si è proceduto al calcolo, per ciascun comune, degli indici di specializzazione dei tre settori (primario, secondario e terziario). A ciascun comune poi è stata attribuita la specializzazione economica corrispondente al massimo valore degli indici osservato.
- 9. Elaborazioni su dati Asia 2009, Istat. L’archivio Asia comprende le unità locali operanti nei settori che vanno da “Estrazioni di minerali da cave e miniere” (sezione B secondo la classificazione Ateco 2007) a “Altre attività di servizi” (sezione S , divisioni 94-95). I dati desunti da Asia e le elaborazioni su dati Infocamere non sono associabili oltre che per la diversa copertura settoriale e per i diversi anni di riferimento anche e principalmente per la diversa natura dei due archivi, statistica la prima ammnistrativa la seconda, che comportano modalità diverse di raccolta e di aggiornamento.
- 10. Elaborazioni Ifel-Anci su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2012.