Introduzione
I ricercatori e le istituzioni che operano nel settore agricolo sono costantemente alla ricerca di strumenti e politiche in grado di coniugare efficienza economica, equità sociale e sostenibilità ambientale. A questo riguardo, all’agricoltura viene assegnato un ruolo chiave, in particolare rispetto alla mitigazione dei cambiamenti climatici, al mantenimento della biodiversità, e alla conservazione e valorizzazione del capitale naturale, acqua e suolo in primo luogo.
Dagli anni ‘80, in Europa, tale ruolo è stato sostenuto anche dalla Pac; inizialmente con interventi di accompagnamento rispetto alle misure principali finalizzate al mantenimento dei redditi agricoli e, in un secondo tempo, con una specifica attenzione alla questione ambientale, che ha rappresentato una motivazione più forte per giustificare il consistente finanziamento al settore (Berger et al., 2006). In questa direzione sono andati gli strumenti di sviluppo rurale, attraverso gli accordi agro-ambientali, nell’ambito dei quali dal 1992 al 2002 è entrato circa il 25% dei terreni agricoli nell’UE (Primdahl et al., 2010).
A fronte di tale impegno, si osserva ancora una carenza riguardo alla definizione di metodologie e indicatori affidabili in grado di valutare la reale efficacia delle misure agroambientali, un aspetto che appare di grande importanza, come conferma il piano strategico Europa 2020 nel quale si evidenzia la necessità di verificare la sostenibilità ambientale della Pac (European Commission, 2006; Uthes e Matzdorf, 2013). Un ulteriore conferma di tale attenzione viene dalla Commissione Europea che ha proposto un set di indicatori per la valutazione dei nuovi piani di sviluppo rurale, sia in una fase ex-ante (Common Context Indicators) che in una fase ex-post (Target Indicators) in cui sono previsti indicatori chiave sulle risorse naturali.
Nonostante questo tentativo di standardizzazione del processo di analisi e valutazione dei rapporti tra agricoltura e ambiente, sussistono ancora diversi problemi relativi sia alla disponibilità dei dati, spesso mancanti per un dettaglio regionale, che di non piena rispondenza delle informazioni restituite dalla lettura dei singoli indicatori costruiti originariamente per rispondere ad altre esigenze conoscitive (e.g. Protocollo di Kyoto; direttiva Habitat; direttiva quadro acque, etc.) e rappresentare fenomeni anche non legati direttamente al settore agricolo.
La ricerca, di cui questa nota illustra i primi risultati, s’inserisce in questa linea di studio con un duplice scopo: presentare una possibile metodologia per valutare la sostenibilità ambientale dei sistemi colturali nazionali europei per mezzo di un indicatore sintetico; utilizzare tale indicatore per verificare in che misura le misure agroambientali della Pac hanno influenzato le prestazioni ambientali dell’agricoltura nei diversi paesi dell’Unione.
Un indicatore per la valutazione della sostenibilità dell’agricoltura
Introdotta e sviluppata da Rees e Wackernagel (1994 e 2008), la metodologia dell’impronta ecologica (ecological footprint) affronta la valutazione della sostenibilità ambientale attraverso il confronto tra il consumo di capitale naturale causato dalle attività umane che insistono in un certo territorio e i servizi ecologici che gli ecosistemi naturali di quello stesso territorio sono in grado di fornire. Più in particolare, l’indicatore Impronta Ecologica (EF) rappresenta la domanda di risorse naturali, mentre l’indicatore Biocapacità (BC) ne rappresenta l’offerta ed è valutato considerando il tasso di rigenerazione delle risorse e di smaltimento dei rifiuti; entrambi gli indicatori sono espressi in un’unità di superficie (global hectares - gha) che esprime una domanda/offerta standardizzata di superficie bioproduttiva (Galli et al., 2007).
L’approccio dell’impronta ecologica, per la sua capacità di valutare l’equilibrio ecologico tra consumo e disponibilità di risorse naturali, appare particolarmente adatto per essere applicato alla misura della sostenibilità ambientale del settore agricolo, il quale è contraddistinto da attività produttive che agiscono in modo diretto sul mantenimento delle funzionalità del capitale naturale.
Nonostante questa potenzialità, alcuni aspetti legati alla modalità di calcolo hanno limitato lo sviluppo di analisi sull’impatto ambientale dell’agricoltura basate sull’impronta ecologica. Recentemente, è stata proposta un’integrazione metodologica che supera tali limitazioni attraverso un diverso approccio al calcolo dell’impronta ecologica delle colture agricole (Passeri et al., 2013). In particolare, tale approccio prevede che l’EF di una coltura venga calcolato come somma di due elementi: il primo dovuto all’impatto associato agli input utilizzati nella tecnica di produzione (EFinp), il secondo legato allo “sfruttamento” della capacità produttività del terreno e valutato in base alla sovrapproduzione della coltura rispetto al livello che si avrebbe in condizioni di utilizzo “minimo” di input (EFovp). Per il significato ecologico di queste due componenti di EF si rimanda a Passeri et al. (2013), mentre un accenno alle modalità di calcolo è descritto nel paragrafo seguente.
In sintesi, attraverso questo metodo è possibile eseguire una valutazione ambientale delle attività agricole attraverso il confronto dell’impatto sull’ecosistema determinato dalle scelte dell’agricoltore in termini di utilizzo degli input e di tecnica produttiva (EF) con la bioproduttività offerta dalla coltura come risposta all’attività di gestione del terreno agricolo (BC). La differenza tra BC ed EF rappresenta quindi un indicatore in grado di stimare il livello di equilibrio ecologico (Ecological Balance - EB). Se EB è positivo, l’attività di coltivazione ha generato un surplus di servizi ecologici, la cui estensione è misurata come ettari globali resi disponibili, ad esempio, per altre colture; al contrario, se EB è negativo, il processo non è sostenibile, dato che richiede più risorse naturali di quelle fornite dal terreno su cui è coltivato.
Valutazione della sostenibilità ambientale dei sistemi colturali europei
Approccio metodologico e dati utilizzati
Seguendo la metodologia brevemente presentata, per ciascuno dei 28 paesi dell’UE è stato calcolato l’indicatore bilancio ecologico (EBi) come differenza tra biocapacità totale (BCi) e impronta ecologica del sistema colturale nazionale (EFi).
La componente della biocapacità complessiva di un sistema colturale nazionale è ottenuta come somma delle biocapacità fornite da ciascuna delle m colture:
dove:
Pij = produttività media della coltura j nel paese i;
Ywj = produttività mondiale della coltura j;
Eqf = fattore di equivalenza;
Aij = area della coltura j nel paese i.
L’impronta ecologica di ogni sistema colturale nazionale è calcolata tenendo conto delle due componenti relative agli input (EFinp) e alla sovrapproduzione (EFovp):
dove:
p = numero degli input considerati;
Qki = quantità dell’input k utilizzato nel paese i
Fk = fattore di conversione da input a impronta ecologica
ij = fattore di overproduction della coltura j nel paese i, calcolato come:
con P’ij che indica la produttività con “minimo input production” della coltura j nel paese i.
I dati sui livelli produttivi delle colture e sugli input utilizzati in ciascuno dei 28 paesi dell’UE sono stati estratti dal database Faostat (Fao, 2014). In particolare, per le colture (superfici, produzioni, rese) sono stati considerati gli anni dal 1995 al 2010, mentre per i fattori produttivi sono stati estratti i dati su fertilizzanti (azoto, fosforo e potassio), pesticidi (fungicidi, erbicidi, insetticidi) ed energia (combustibili, energia elettrica) per il periodo 2002-2010.
Per quanto riguarda i parametri di riferimento necessari per calcolare BC e EF, la produttività media mondiale delle colture (Ywj) e il fattore di equivalenza (Eqf) sono stati estratti dal database del Global Footprint Network (Gfn, 2014) mentre i fattori di conversione degli input (Fk) sono frutto di una ricognizione delle diverse fonti disponibili sull’argomento (Passeri et al., 2014).
Risultati e discussione
L’analisi ha preso in considerazione due periodi di tre anni ciascuno: 2002-04 e 2008-10.
Per ciascuno di questi periodi, la biocapacità dei sistemi colturali nazionali (BCi) è stata valutata considerando la media ponderata delle produzioni delle colture nei tre anni.
L’impronta ecologica generata dagli input utilizzati nelle colture (EFinpi) è stata calcolata come media triennale per i due periodi. Per calcolare l’impronta ecologica dovuta alla sovrapproduzione (EFovpi) è necessario conoscere la produttività di ciascuna coltura in condizioni di “minimo input”; in assenza di informazioni specifiche, questa è stato stimata come il decimo percentile della serie storica 1995-2010.
La tabella 1 e la figura 1 mostrano i risultati ottenuti per periodo 2008-10. Nella tabella, oltre ai valori di biocapacità, impronta ecologica (con le due componenti distinte), bilancio ecologico e Sau, è presente nell’ultima colonna un “indice di sostenibilità” (IS), calcolato come rapporto fra EB e Sau, il quale esprime le prestazioni ambientali dei sistemi colturali nazionali attraverso il deficit/surplus di servizi ecologici (misurati in gha) originato da un ettaro di terreno agricolo.
A livello europeo i risultati mostrano un deficit ecologico, in termini di gha totali, prossimo a zero e, quindi, una condizione di sostanziale sostenibilità. Tuttavia, il contributo a questo risultato fornito dai diversi paesi presenta una spiccata variabilità. I sistemi colturali del centro-nord europeo, con l’esclusione della Polonia, evidenziano un diffuso surplus ecologico; questi paesi, pur evidenziando un’elevata impronta ecologica determinata dall’ampiezza delle aree agricole utilizzate, hanno dei sistemi di coltivazione in grado di generare una consistente offerta ecologica che sovracompensa la relativa domanda di risorse naturali.
Tabella 1 - Performance ambientale dei sistemi colturali europei (2008-10)
Fonte: nostra elaborazione
Figura 1 – Impronta ecologica e biocapacità dei sistemi colturali europei (2008-10)
Il paese che spicca per l’elevata positività del suo bilancio ecologico è il Regno Unito, nel quale i sistemi colturali hanno un’impronta ecologica limitata e, allo stesso tempo, un buon livello di biocapacità. Questa combinazione virtuosa genera un surplus di servizi ambientali valutato in oltre 3 gha per ogni ettaro coltivato.
Nella regione del Mediterraneo, la maggior parte dei paesi appaiono prossimi alla condizione di pareggio ecologico; in particolare, la Spagna e l’Italia mostrano un lieve deficit causato da rese troppo elevate (Spagna) o da un elevato impiego di input (Italia), mentre la Grecia evidenzia un margine di surplus ecologico.
Le aree di insostenibilità riguardano alcuni paesi di recente ingresso nell’Unione (Polonia, Croazia e Slovenia) o con particolari condizioni climatiche (Finlandia e Portogallo). La situazione più grave è quella del Benelux: in termini assoluti, il sovra-sfruttamento delle risorse naturali causato dai sistemi agricoli di quest’area assorbe tutta l’offerta ecologica messa a disposizione dalle coltivazioni francesi e tedesche. Anche se i dati disponibili non consentono un’analisi dettagliata, questo risultato può essere spiegato con il grande impiego di input (pesticidi, fertilizzanti ed energia) legati alla grande diffusione di sistemi produttivi intensivi e coltivazioni protette.
Per verificare l’evoluzione delle prestazioni ecologiche dei sistemi colturali europei, i risultati dell’analisi precedente sono stati confrontati con la situazione calcolata per il periodo 2002-04. I risultati di quest’analisi sono rappresentati nella mappa di figura 2.
Figura 2 - Variazione dell’Indice di Sostenibilità (IS) dei sistemi colturali (2002-04/2008-10)
I dati mostrano un netto miglioramento delle prestazioni ambientali dei sistemi colturali europei tra i due periodi considerati che riguarda tutti i paesi tranne Croazia, Malta e, in misura minima, Finlandia, Lituania e Romania. I paesi dell’Europa settentrionale-centrale (Svezia, Germania, Regno Unito, Irlanda, Austria) mostrano un considerevole incremento che può essere quantificato in circa 1 gha/ha di surplus ecologico, mentre i paesi mediterranei (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia e Francia) evidenziano un più contenuto miglioramento delle performance ambientali.
Tale andamento può essere spiegato da un uso più efficiente degli input, legato all’ottimizzazione delle tecniche di coltivazione, e da una generale diminuzione delle coltivazioni nelle zone meno vocate, dove la scarsa produttività della terra porta a una scarsa bioproduttività anche in presenza di una gestione che prevede un elevato utilizzo di input.
In ogni caso, nel valutare i risultati ottenuti, sia quelli riferiti al periodo 2008-10, sia quelli derivanti dal confronto fra i due periodi, va considerato che i dati utilizzati presentano alcune lacune e modalità di rilevazione non sempre comparabili, come ammette la stessa descrizione del database Faostat. Pertanto, anche se le tendenze che emergono dall’analisi sembrano essere abbastanza chiare, i singoli valori possono risentire di errori che comportano una sovra o sotto-stima del dato.
Politiche agroambientali e sostenibilità dei sistemi agricoli europei
I risultati descritti nel paragrafo precedente, in particolare quelli sulla variazione della sostenibilità dei sistemi colturali, sono stati utilizzati per sviluppare un’analisi esplorativa sul possibile effetto dei pagamenti agroambientali previsti nel secondo pilastro della Pac.
A tale scopo sono stati considerati i dati sugli aiuti agroambientali (Reg Cee n.2078/92; Reg. CE n.1257/99; Reg CE n.1698/05) nel periodo 2003-09 per i paesi dell’UE-15. Tali valori, estratti dalla banca dati Eurostat, sono stati sommati e poi divisi per totale della superficie agricola utilizzata, ottenendo un pagamento cumulativo per ettaro riferito all’intero periodo. In tabella 2 l’entità di tali pagamenti è confrontata con la variazione dell’indice di sostenibilità, così come calcolato nell’analisi descritta nel paragrafo precedente.
Tabella 2 - Pagamenti agroambientali e variazione dell’indice di sostenibilità nei paesi UE-15
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat (2012)
I dati sembrano suggerire qualche associazione tra le due variabili, come confermato dal valore del coefficiente di correlazione positivo (+0,368). Per meglio cogliere la possibile relazione causa-effetto tra queste due variabili, è stato utilizzato un modello di regressione lineare semplice, ponendo la variazione di IS come variabile dipendente e i pagamenti agroambientali come variabile indipendente.
Il modello di regressione conferma l’effetto positivo di pagamenti più elevati su un miglioramento della sostenibilità (+0,013 gha/€): un incremento degli aiuti agroambientali di 100 €/ha ha generato, in media, un miglioramento della sostenibilità di 1,3 gha/ha. Anche se questo coefficiente è scarsamente significativo (p<0,1 con t-test a una coda), il risultato può comunque essere considerato interessante per la sua capacità di esprimere una misura quantitativa dell’impatto delle politiche agroambientali sulla sostenibilità del settore agricolo.
Il basso valore di r2 (0,135) e l’assenza di un significativo potere predittivo del modello, legato anche alla ridotta numerosità delle osservazioni, confermano la scarsa affidabilità dei risultati, che quindi devono essere letti solo in una prospettiva generale. Ciò anche alla luce del fatto che l’indice di sostenibilità è stato calcolato per mezzo di un approccio innovativo che richiede sicuramente ulteriori validazioni.
Considerazioni conclusive
Lo studio presentato ha proposto una valutazione dell’impatto ambientale dei sistemi colturali dei paesi europei e un confronto della variazione temporale di tale impatto con gli aiuti previsti dalle politiche agroambientali. Il tema è di grande interesse, dato lo sforzo che negli ultimi dieci anni è stato fatto per spingere gli agricoltori verso comportamenti più rispettosi dell’ambiente e date le difficoltà di valutare la reale efficacia delle politiche che hanno accompagnato questo sforzo.
L’impatto ambientale dell’agricoltura è stato valutato attraverso un indicatore sintetico che esprime l’equilibrio tra la disponibilità e l’impiego di risorse naturali in agricoltura. Questo “indicatore di sostenibilità”, basato su un miglioramento metodologico dell’approccio proposto dall’impronta ecologica, esprime una valutazione quantitativa dell’impatto ambientale dei sistemi colturali a livello nazionale. Nello studio tale capacità dell’indicatore è stata utilizzata per calcolare la variazione della sostenibilità tra due diversi periodi e per valutare il possibile ruolo dei pagamenti agroambientali nello spiegare i cambiamenti osservati.
I risultati ottenuti mostrano un sostanziale equilibrio tra la domanda di risorse naturali e la fornitura di servizi ambientali per l’insieme dei sistemi colturali europei; tale condizione di sostenibilità è stata raggiunta grazie ad un miglioramento delle performance ambientali dell’agricoltura che ha riguardato la gran parte dei paesi.
Chiaramente, da un punto di vista di valutazione e pianificazione delle politiche, sarebbe molto utile leggere questo risultato in relazione ai possibili effetti degli interventi volti a ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura. L’analisi di regressione effettuata a tale scopo ha fornito indicazioni interessanti, anche se la relazione diretta che sembra emergere tra entità dei pagamenti agroambientali e miglioramento della sostenibilità non risulta abbastanza solida da giustificare affermazioni definitive in tal senso.
Inoltre, nel valutare i risultati, va tenuto conto di alcuni limiti intrinseci dell’analisi. Un primo punto riguarda lo stesso approccio dell’impronta ecologica; si tratta, infatti, di una metodologia che, pur presentando diverse caratteristiche interessanti e numerose applicazioni, è ancora lungi dall’essere universalmente condivisa a livello scientifico. Un secondo aspetto è legato al set di dati utilizzato, che presenta dei limiti sia di completezza che di affidabilità. Infine, l’ipotesi di un rapporto lineare di causa-effetto tra pagamenti agroambientali e riduzione dell’impatto ambientale appare eccessivamente semplificativa.
Nonostante la necessità di approfondimenti metodologici e di una disponibilità di dati adeguati, lo studio sembra offrire un utile contributo alla discussione sulla valutazione delle prestazioni ambientali dell’agricoltura. Le politiche agricole europee, infatti, possono trarre notevoli vantaggi da strumenti che siano in grado di valutare il rapporto fra domanda e offerta di risorse naturali dell’agricoltura nei diversi contesti nazionali e di come sia possibile intervenire su tale rapporto attraverso specifiche azioni sulle aziende agricole.
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