Introduzione
Il tema della diversificazione in agricoltura e nelle aziende agricole ha ricevuto attenzione ciclica nella letteratura scientifica, in parallelo con l’evolversi delle motivazioni che hanno contribuito a rendere popolare questa scelta sia nelle famiglie agricole, sia nelle politiche pubbliche. In questo articolo non riprenderemo in modo analitico i termini di questi contributi ai quali rimandiamo per gli approfondimenti (Hannan, 2000; Shucksmith et al., 1990; Shucksmith 1993; Henke et al. 2010; Roep et al., 2003; Huylenbroeck et al., 2003), al contrario, lavoreremo su quelli che consideriamo essere elementi di novità sul tema dell’evoluzione dei processi di diversificazione aziendale. La nostra riflessione avrà carattere prevalentemente speculativo e dovrà necessariamente confrontarsi con futuri approfondimenti di ricerca per avere riscontri empirici. D’altra parte, ci sembra che aggiornare le lenti di lettura sulla diversificazione agricola sia utile per affrontare meglio il rapido evolversi dello scenario odierno. Nostro intento è formulare ipotesi di lavoro utili per leggere e accompagnare l’evoluzione delle scelte aziendali, delle famiglie agricole e dei sistemi locali.
La nostra ipotesi di base è che gran parte della letteratura ha guardato al tema della diversificazione secondo un approccio prevalentemente economico, specie nei paesi a economia sviluppata. Con riferimento ai paesi e alle aree rurali con difficoltà di sviluppo economico, al contrario, la riflessione ha indagato sulla pluralità di elementi capaci di assicurare adeguate condizioni di vita delle famiglie agricole in rapporto con le condizioni del sistema locale di accesso alle risorse vitali (Ellis, 2000; Schneider et al., 2010). Queste due letture, entrambe valide, hanno necessità, oggi, di assorbire nuove tensioni e domande che percorrono la società in tema ambientale e sociale. La nostra tesi è che:
- il dibattito odierno sulla diversificazione nelle aziende agricole debba incorporare l’esigenza di una transizione da un modello di produzione e di società che lungamente si è basato sui principi della specializzazione - dei processi e delle competenze - per promuovere sviluppo economico verso sentieri di lavoro capaci di assicurare sostenibilità secondo i criteri della triplice sostenibilità - economica, ambientale e sociale - e nella prospettiva di obiettivi di prosperità per le comunità (Jackson, 2009);
- il passaggio dalla logica di sviluppo economico verso quella di ricerca di prosperità richieda l’adozione di nuovi indicatori di risultato, capaci di dare senso nel raggiungimento di obiettivi multipli e non solo di tipo economico;
- il raggiungimento di obiettivi multipli comporti l’adozione di nuovi principi di lavoro capaci di amalgamare in modo nuovo l’azione del mercato, dello Stato, degli attori privati della società civile come delle imprese.
La nostra tesi è che questa tensione per il cambiamento attraversi e condizioni trasversalmente il modo di operare:
- nei micro-ambienti naturali;
- nelle scelte delle aziende agricole che su questi micro-ambienti operano;
- nei gestori - in prevalenza famiglie agricole - che sono chiamati a mediare nelle loro scelte con le tensioni familiari, con le risorse ambientali, e con le modifiche generali di contesto in cui operano;
- con i sistemi locali di decisione;
- nei sistemi di governo e di pianificazione delle politiche.
Diversificazione, economia civile e dinamiche dell’agricoltura familiare
Le famiglie agricole, nel tempo, in Italia e in Europa, hanno progressivamente modificato le strategie di adattamento all’evolversi dei mercati, dei significati della produzione agricola, della società. Nella fase della modernizzazione dell’agricoltura le scelte hanno riguardato, da una parte, la progressiva specializzazione produttiva, d’altra parte la pluriattività, la diffusione del part-time, l’abbandono di aziende e, talvolta, di interi territori. Negli anni ‘80, a fronte di una crisi di eccedenze produttive, la transizione e l’accompagnamento di famiglie, aziende e territori verso scelte di diversificazione sono stati il frutto di una modifica culturale dell’identità professionale dell’agricoltore, accompagnata da processi che hanno facilitato il disinvestimento da sistemi di specializzazione verso scelte di diversificazione. In Toscana, ad esempio, la diffusione del set-aside volontario ha incrinato l’identità dell’agricoltore in quanto produttore intensivo e specializzato (Di Iacovo, 1994), ha consentito di disinvestire dai modelli produttivi intensivi verso l’adozione di sentieri di diversificazione produttiva, in primo luogo, verso il turismo, la tipicità e la qualità, che hanno stabilizzato sistemi produttivi e scelte familiari. Spesso la crisi del modello produttivo dell’agricoltura specializzata si è incrociata con la stessa crisi dei modelli di piccola e media industria. Così come la diffusione del part-time e della pluriattività agricola avevano assicurato la crescita dei distretti industriali dell’Italia centrale (Becattini, 2000), allo stesso modo, la crisi del sistema della piccola industria è stata riassorbita dalla possibilità di valorizzare le risorse delle aziende agricole in chiave di diversificazione. Quei componenti familiari usciti dall’agricoltura per integrare il reddito familiare, dopo aver perso il lavoro, potevano così rientrare in azienda, traendo vantaggio dalla possibilità di diversificare i modelli produttivi aziendali attraverso appunto il turismo, l’accoglienza e la valorizzazione della qualità. Oggi, la scelta della diversificazione rappresenta una strategia familiare che associa più elementi, non solo economici, ma si lega alla costruzione di nuova identità e nuova reputazione sociale degli agricoltori - giovani e meno giovani - agli occhi di una società che mostra nuovo e maggiore apprezzamento per quanti danno risposte coerenti con i bisogni alimentari, sociali e ambientali che i cittadini manifestano. Ciò nonostante, la situazione delle famiglie agricole che vivono nelle aree periurbane o a maggiore densità abitativa, si mostra differente rispetto a quella nelle aree rurali interne. Qui le crisi tendono a sommarsi; per gli agricoltori anziani, l’uscita dalla vita professionale si confronta con l’impoverimento della composizione del nucleo familiare a seguito dell’uscita dal territorio dei componenti più giovani. Per le famiglie più giovani, la crisi dei servizi alla persona genera difficoltà impreviste nell’assicurare alla famiglia standard di vita equivalenti nell’accesso ai servizi, indipendentemente dalle disponibilità di reddito. Più in generale, la frammentazione sociale delle comunità e la riduzione dei servizi disponibili se, da una parte, riducono la vivibilità di molte aree rurali per le persone locali, d’altra parte, le rendono appannaggio di persone con aspettative minori, solitamente migranti e rifugiati, che in queste aree trovano primi punti di ingresso nei loro flussi di mobilità. In questi casi, il crinale tra la creazione di nuove comunità coese e l’emergere di fenomeni di illegalità e sfruttamento diventa poroso, aumentando le fragilità e le instabilità dei territori, anche dal punto di vista fisico ed ambientale, con la penetrazione di sistemi produttivi non sempre attenti alle diverse chiavi della sostenibilità.
Nelle aziende agricole familiari tradizionali, il passaggio di generazione rappresenta il momento per il cambio di modelli produttivi. Infatti, normalmente sono le nuove generazioni quelle interessate a cogliere aspetti diversi della diversificazione per impostare modelli produttivi nuovi: in termini di produzione di reddito, ma anche in termini di coerenza ambientale e di sostenibilità sociale. Si tratta, solitamente, di modelli produttivi più intensivi in termini di lavoro, più attenti alla gestione delle risorse ambientali e alla produzione di reddito familiare interno all’attività agricola. Sarà interessante, per queste aziende leggere, comprendere in futuro l’evoluzione legata ai passaggi dalle vecchie alle nuove generazioni. L’impressione è che siano queste aziende ad avere la capacità di ricostruire una identità professionale nuova e un orgoglio imprenditoriale capace di attrarre di più le generazioni future al mestiere agricolo.
Per i nuovi imprenditori, invece, le risorse aziendali necessarie per organizzare modelli produttivi basati sulle economie di scala sono tali da confliggere, normalmente, con la disponibilità delle risorse che si è in grado di investire. Al contrario, l’organizzazione di modelli produttivi innovativi, diversificati e complessi, capaci di creare adeguato valore economico, si affianca anche all’interno di scale di lavoro più contenute, con una forte comprensione delle domande sociali innovative e alla capacità di tradurre in progetto aziendale aspettative di vita e di comunità.
In altri casi, ancora, dove le difficoltà sono sormontate dalla costruzione di nuove comunità, la gestione del territorio, della produzione agricola, della costruzione di nuove relazioni diventa il campo di attrazione per nuovi agricoltori, o altre volte di cittadini pluriattivi, che affiancano la vita urbana e il lavoro non agricolo, con attività e impegni in agricoltura.
Nell’uno come nell’altro caso, il territorio, la sua gestione, la presenza di comunità vitali, si riflette direttamente, oltre che sull’identità professionale e del vivere in un territorio rurale, anche sul valore patrimoniale disponibile nel portafoglio delle famiglie che dallo sviluppo di comunità e dalla gestione corretta del territorio riescono in questo modo a trarre valore economico (Di Iacovo et al., 2004)).
Nel passaggio dai modelli di produzione specializzata a quelli di agricoltura diversificata la visione degli imprenditori come dei loro interlocutori pubblici e privati appare cruciale. Dove le nuove domande sociali interagiscono con valori e attitudini consolidate, si registra, solitamente, inerzia al cambiamento e incapacità di cogliere opportunità innovative. Al contrario, dove le visioni imprenditoriali (solitamente i nuovi imprenditori giovani, così come le donne che decidono di investire in agricoltura) e il quadro delle interlocuzioni con cui questi si confrontano generano capacità riflessive utili per interpretare le direzioni del cambiamento, si creano le condizioni utili per adottare modelli produttivi basati su nuovi sentieri di creazione di valore attraverso la costruzione di una pluralità di servizi, una rinnovata attenzione alle dimensioni ambientali e alla opportunità di interagire con i bisogni più diversi delle comunità.
Resta da rilevare come, forse, oggi il tema della diversificazione in agricoltura ha necessità di essere profondamente ripensato come la moltitudine delle esperienze, già oggi esistenti, dimostra. Se nel futuro prossimo la gestione delle risorse naturali, del territorio, della costruzione di beni relazionali e di servizi utili per la sostenibilità sociale, la sicurezza alimentare e nutrizionale rappresenteranno tutti elementi chiave per assicurare stabilità e prosperità per le comunità, si pone allora la necessità di riflettere e ripensare in profondità le categorie oggi adottate per comprendere meglio l’innovazione possibile e i sentieri per promuoverla. I pionieri di questo cambiamento saranno certamente le famiglie agricole, i nuovi agricoltori, i cittadini che si avvicinano all’agricoltura e le istituzioni che sapranno accompagnarli nei percorsi di innovazione.
Pre-condizioni e supporti per la diversificazione
La diversificazione delle scelte nelle aziende agricole non è cosa nuova e ha, anzi, sempre rappresentato una strategia seguita dalle aziende agricole e dalle famiglie. Anzi, a bene vedere, la specializzazione e l’intensificazione produttiva sono una scelta chiusa in un arco temporale e geografico relativamente limitato, coincidente con la modernizzazione delle economie. L’accordo siglato in tema di clima a Parigi conferma la necessità e la scelta politica di generare un cambiamento nelle dinamiche di produzione e consumo della società globale, ma implica anche una modifica dei valori e dei credi che ispirano i comportamenti degli attori. Diversificare è stata spesso una strategia dettata dalla necessità di confrontarsi con condizioni ambientali economiche e sociali dotate di instabilità. La modernizzazione, al contrario, ha basato la sua forza sullo sviluppo della freccia tecnologica - da una parte - e sulla stabilizzazione dei mercati e dei meccanismi di riproduzione della società tramite le politiche pubbliche dall’altra.
La crisi attuale - economica, ambientale e sociale - è anche il frutto della rottura dell’equilibrio tra la sfera della produzione e quella della riproduzione. Rispondere alle crisi implica l’adozione di nuovi sentieri capaci di legare, invece, di nuovo insieme l’area della produzione e della riproduzione, la creazione di beni privati e pubblici, il nuovo legame comunitario tra interlocutori pubblici e privati, nel tentativo di costruire strategie adeguate a fronteggiare il cambiamento.
La percezione delle crisi e la modalità attraverso cui vengono ad essere concepite soluzioni da mettere, poi, in pratica ha a che fare con aspetti culturali capaci di avere influenza sui valori e sui comportamenti adottati dai diversi attori sociali, privati o pubblici, nella revisione delle proprie routine operative: dai comportamenti produttivi, alle scelte di consumo, alle strategie politiche di intervento (Person et al., 2015). In campo agricolo, questo riguarda le famiglie agricole e le loro scelte imprenditoriali; le decisioni dei singoli cittadini; il modo attraverso cui si formano valori e comportamenti su scala locale, nazionale e internazionale con la collaborazione delle componenti tecniche e politiche attive nei Municipi, nei Dipartimenti per l’agricoltura e lo sviluppo rurale a livello regionale e nazionale; il modo attraverso cui si costruiscono le relazioni tra ricerca imprese e istituzioni per definire strategie di cambiamento (Brown et al., 2015). Il ruolo dell’agricoltura nella produzione di sostenibilità si incentra sulla capacità di innalzare i livelli e le tipologie degli ecosystem services di diverso tipo che risulta in grado di offrire. Questa opportunità, come abbiamo cercato di indicare, lega la - necessariamente parziale - risposta alle crisi in atto, con un innalzamento delle scelte di diversificazione a diversi livelli. La diversificazione, oggi, riguarda: sia i criteri di gestione di risorse naturali puntuali (il suolo, l’acqua, la biodiversità); sia l’organizzazione delle risorse aziendali (terra, lavoro, capitale) in funzione di scelte produttive e territoriali plurali e multi-obiettivo; sia, ancora, l’armonizzazione innovativa dei bisogni delle famiglie agricole con le tensioni - economiche, sociali e ambientali - emergenti, come con le loro attese di mobilità sociale; sia, infine, l’interagire tra livelli aziendali e altri interlocutori di sistema per generare condizioni di prosperità complessiva dei sistemi locali, in collaborazione tra aree rurali ed urbane (Figura 1).
Figura 1 - La diversificazione e il suo sviluppo
Fonte: elaborazione personale
In questa prospettiva, se è utile pensare alla diversificazione in senso assai ampio, è anche vero che perché ciò possa avvenire, si rende necessario assicurare il passaggio da una visione prevalentemente economica ad una capace di incorporare i valori del civismo. Ciò significa, però, la necessità di definire principi e regole di governo profondamente mutate per associare:
- la capacità di costruire nuovi scenari di futuro capaci di socializzare e incorporare le tensioni in atto;
- il disegno, anche a partire da pratiche esistenti, di condotte adeguate dal punto di vista tecnico ed istituzionale;
- l‘organizzazione di un mix coerente di strumenti di incentivazione economica diretta ed indiretta;
- e la socializzazione di nuovi set di conoscenze e di valori capaci di generare opportunità economiche, morali, e identitarie adeguate per favorire la diffusione di scelte innovative.
Perché ciò avvenga, però, come la letteratura sul transition management insegna (Geels, 2004; Loorbach, 2007; Loorbach et al., 2010), è necessario creare i presupposti utili per l’innovazione sociale attesa. Dal punto di vista metodologico, ciò si realizza costruendo, in parallelo con i luoghi tradizionalmente deputati alle decisioni sulle politiche, nuovi luoghi di confronto nei quali far convergere attori tradizionali e nuovi, con l’intento di favorire la formazione della nuova conoscenza e delle nuove consapevolezze necessarie, sviluppare agende di lavoro, progettare e selezionare iniziative pilota da testare e sulle quali avviare processi riflessivi di valutazione e verifica dell’innovazione.
Sono questi i luoghi dell’innovazione, gli incubatori per la costruzione di società più stabili di quelle in cui stiamo vivendo, dove facilitare la costruzione di nuove forme di coesione e fiducia, progettazione multi-attoriale e territorialmente orientata, coordinamento di strumenti diversi di politica e capacità di comprensione degli esiti da raggiungere e raggiunti. La nuova programmazione dello sviluppo rurale prevede gli strumenti tecnici e finanziari per andare in questa direzione. Spetta alle imprese, alle loro rappresentanze, ai tecnici e ai politici che operano nelle istituzioni, ai gruppi di ricerca, riuscire a fare la differenza. Le esperienze sul campo mostrano quanto grande possa essere la differenza quando si introducono principi di innovazione e di cambiamento in termini di innalzamento dei livelli di sostenibilità economica, sociale ed ambientale, semplicemente a partire da una diversa capacità di mobilizzare l’esistente (Di Iacovo et al. 2013, Di Iacovo 2013). Ovviamente è vero anche il contrario, ovvero quanta responsabilità ci sia nel promuovere resistenza al cambiamento da parte specie degli interlocutori che più peso hanno nella formulazione di decisioni e scelte.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo cercato di riflettere sui temi della diversificazione agricola, partendo dalla letteratura esistente, ma provando anche ad allargare l’orizzonte. Si tratta di una lettura parziale e ancora aperta al confronto scientifico e operativo. In questa riflessione abbiamo usato il termine diversificazione in senso ampio, immaginando che la diversificazione, oggi, più che una scelta aziendale volta ad assicurare reddito alle famiglie agricole, possa rappresentare un paradigma utile per rispondere alle instabilità che ci stanno circondando, sotto più punti di vista. Il nostro punto di vista è che in una fase in cui i soli indicatori economici non sono più in grado di fornire riferimenti esaustivi per guidare le nostre scelte, guardare alla diversificazione per soli fini economici rischia di divenire inattuale. Oggi le famiglie agricole, ma anche i consumatori e le comunità e i sistemi locali, hanno necessità di fondare le ragioni della proprio esistenza su obiettivi più complessi, capaci di legare adeguato accesso al reddito con altrettanta stabilità delle risorse naturali e dei beni di relazione nella logica di rafforzamento delle condizioni di prosperità e di sostenibilità secondo la declinazione della triple bottom line.
Questo passaggio ha necessità di visioni nuove, ma anche di altrettanto innovativi principi di regolazione i cui riferimenti continuano ad essere i parametri economici, ma affiancati alla responsabilità degli attori locali di creare le condizioni utili per assicurare stabilità e coesione negli ambienti di vita. Ciò può avvenire ripensando l’agire di ognuno in una direzione nuova dove gli obiettivi di sviluppo personale sappiano legarsi con gli obiettivi di sviluppo delle comunità e della società in cui operiamo. La modernità, come la città, rendeva liberi i suoi cittadini, oggi, forse, la libertà si acquisisce creando nuove interdipendenze e comunità di destino capaci di affrontare non in modo isolato, ma attraverso nuove alleanze, le sfide urgenti del cambiamento fuori dalla luce del lampione (Fitoussi, 2013).
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