Abstract
La prossima stagione comunitaria sarà segnata da tre eventi cruciali: la revisione del bilancio, la riforma della Pac e la Brexit. Istanze provenienti dalla società civile tendono a ridurre le risorse destinate all’agricoltura e a spingerle sempre più lontano dalla fase produttiva, a favore della produzione di beni pubblici. Brexit avrà rilevanti implicazioni di carattere finanziario, sebbene non necessariamente negative. In questo lavoro si pongono in evidenza le criticità della complessa negoziazione, sottolineando alcuni aspetti innovativi derivanti dalla situazione storica e politica che sta attraversando l’UE.
Le prossime riforme e la Brexit
Che le vicende evolutive del bilancio comunitario e della Pac siano strettamente legate, al punto da rendere difficile capire chi dei due nel tempo abbia maggiormente influenzato l’altra, lo testimonia l’analisi dei processi che nei decenni passati hanno portato alla ridefinizione delle regole di formazione del bilancio e del suo utilizzo per voci di spesa, insieme alle rilevanti riforme che hanno caratterizzato l’intervento comunitario in agricoltura (De Filippis et al., 2013). La Pac ha infatti rivestito per lungo tempo il ruolo di politica con il maggior peso relativo all’interno della spesa comunitaria e, nonostante la sua parziale erosione, ha comunque mantenuto una quota di tutto rilievo (pari a circa il 39%) fino ancora all’attuale periodo di programmazione.
Quanto indissolubile sia questo legame lo testimonia anche il fatto che la cadenza delle riforme della Pac ha, per larga parte, coinciso con le fasi di rinegoziazione dei quadri pluriennali di spesa, talvolta anticipando i tempi delle decisioni in campo agricolo, affinché queste risultassero blindate all’interno dei processi di revisione del bilancio comune. Strategia che potrebbe essere adottata anche in occasione delle prossime negoziazioni (Matthews, 2017).
Infatti, anche nel prossimo futuro è pressoché certo che si assisterà a questa sorta di passo a due, con il processo di revisione della Pac che di fatto è già partito con la consultazione pubblica avviata nella prima metà del 2017, e il ripensamento delle regole che governano la formazione del bilancio comunitario, affidato all’analisi e alle proposte di un Gruppo di alto livello appositamente costituito e al recente documento di riflessione sul Futuro delle Finanze dell’UE (2017). La complessità del prossimo negoziato sulla Pac, ancora una volta, sarà legata alle modalità con cui tenere insieme le necessità della futura riforma e la sua compatibilità all’interno del prossimo quadro finanziario pluriennale. In più, in questa occasione sembra essere più evidente una forza “centrifuga” che tende a spingere le risorse finanziarie verso nuove istanze di intervento, sempre più lontane dalla fase produttiva e più vicina alle sensibilità della società civile e dei consumatori: beni pubblici, sprechi alimentari, crisi sanitarie, qualità degli alimenti, benessere degli animali, ecc. Tutto ciò può diventare un ulteriore elemento divisivo che allarga il dibattito dalla mera “difesa del budget” agricolo.
In questo contesto di ripensamento, si inserisce un fatto del tutto nuovo nella storia comunitaria: l’uscita dall’Unione di un partner di elevato peso finanziario e politico, come il Regno Unito. Sebbene al momento sia difficile stimare quanto peserà la Brexit sul futuro del bilancio comune e delle politiche tramite di esso attuate, certamente le implicazioni di carattere finanziario saranno molte (Chomicz, 2017), sebbene non necessariamente negative (Núñez Ferrer, Rinaldi, 2016).
Innanzitutto, va rilevato che la separazione tra UE e Regno Unito si baserà su un percorso nuovo e in parte non tracciato. Infatti, solo una parte delle questioni legate all’uscita di uno Stato membro è completamente definita dai Trattati e dagli Statuti delle Istituzioni UE. Prova ne sia che il negoziato avviato da qualche mese si è presentato duro e fitto di questioni spinose già dalle prime battute, rendendo abbastanza evidente che il processo di uscita sarà caratterizzato dai toni di un vero e proprio “divorzio”. Inoltre, la risicata maggioranza parlamentare ottenuta a giugno dal partito del primo ministro May potrebbe dover costringere il governo britannico a concedere qualcosa alle posizioni più caute, che pure sono largamente presenti all’interno del Regno Unito. Al momento, con il negoziato che è ancora alle prime battute, sarebbe azzardato fare previsioni. Inoltre, le questioni controverse sono talmente tante che è praticamente impossibile elencarle tutte, sebbene alcune abbiano certamente più rilevanza di altre: la forma che assumerà il futuro mercato unico e le modalità di partecipazione del Regno Unito, che potrebbe optare per uno dei modelli già esistenti, dalla cui scelta dipenderà anche il ripristino di un eventuale nuovo sistema doganale di confine; il tema dello status dei lavoratori stranieri in suolo britannico; il conteggio della liquidazione che il Regno Unito dovrà versare per assicurare la copertura finanziaria degli impegni pluriennali già assunti; la continuità della partecipazione ad alcuni programmi e iniziative comuni che si sono ormai radicalizzati; la cooperazione in materia di sicurezza ecc. (Barker, 2016).
Considerato il peso politico e finanziario dei temi sul tavolo delle trattative, non è scontato che si riesca a raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti entro i prossimi due anni. Pertanto, il processo di separazione potrebbe dover richiedere il ricorso ad una fase transitoria o a un soft landing, trascinando i suoi effetti e le incertezze anche sul prossimo periodo finanziario, post 2020 (Darvas et al., 2017).
Ma la Brexit non è il solo elemento in grado di imprimere un ripensamento del futuro bilancio comunitario. Infatti, in parallelo all’apertura negli ultimi mesi dei diversi tavoli negoziali, ha preso avvio anche la riflessione sulle future strategie politiche dell’UE, con la pubblicazione del Libro Bianco sul Futuro dell’Europa (Commissione UE, 2017), che sottolinea ampiamente l’esigenza di reindirizzare l’azione politica comune verso un processo di rinnovamento, più o meno radicale (si vedano in proposito i contributi di Sotte e Pupo D’Andrea, pubblicati in questo stesso fascicolo).
In questo contributo, si cercherà di delineare sinteticamente alcuni aspetti salienti derivanti dai tre concomitanti processi di discussione: la Brexit, il ripensamento del bilancio dell’UE e le regole che governano la spesa in campo agricolo. L’obiettivo è quello di porre in evidenza le criticità della complessa negoziazione, senza tralasciare di sottolineare alcune possibilità di innovazione, che potrebbero derivare dalla particolare situazione storica e politica che sta attraversando l’UE. L’Europa comunitaria, infatti, appare stretta tra la fase di più grande scetticismo sul suo ruolo e sull’efficacia della propria azione politica che si sia riscontrata dalla sua fondazione, e la difficoltà di conciliare le politiche in essere con le attese e le priorità dei cittadini, rispetto alle quali viene chiesto un maggiore intervento comune (economia, geopolitica, sicurezza, cultura, clima, ambiente, ecc.).
Il Futuro del bilancio comune: tra tagli di spesa e nuove entrate
La discussione sul prossimo quadro pluriennale di spesa post 2020 si presenta particolarmente complessa, oltre che caratterizzata da un contesto politico in progressivo mutamento, sia a livello dei singoli Stati nazionali, che a livello comunitario, con il rinnovo del Parlamento Europeo e la ricomposizione della Commissione che avranno luogo in pieno iter di discussione (2019). La difficoltà del processo di ridefinizione del futuro periodo di programmazione risiede sia dal lato delle entrate che da quello delle spese. Le prime sono da lungo tempo in attesa di una profonda revisione, sia come entità assoluta, che come composizione delle fonti che alimentano i bilanci annuali. Le seconde sono legate alle prossime strategie evolutive dell’azione politica comune e al conseguente peso relativo che verrà assegnato alle diverse rubriche di spesa, prima fra tutte quella dedicata alla spesa agricola.
La riflessione in merito ad una possibile revisione del sistema di formazione delle entrate di bilancio è in corso già da lungo tempo, senza però aver mai trovato una definizione, ed ha ripreso vigore negli ultimi anni con l’istituzione di un Gruppo di Alto Livello sulle Risorse Proprie, presieduto da Mario Monti e finalizzato ad esaminare come rendere il bilancio comunitario più semplice, trasparente, giusto e democratico. I lavori del Gruppo si sono protratti per tutto il biennio 2015-2016, al termine del quale è stato pubblicato il rapporto finale Future Financing of the EU (Commissione Europea, 2016), le cui proposte sono incentrate sulla definizione di possibili nuove forme di entrata, alternative alle attuali risorse proprie, meno riconducibili alla contribuzione di ciascun singolo Stato membro, conseguente alla ormai netta predominanza della quota agganciata al Pil. Le nuove possibili forme di entrata considerate si caratterizzano, infatti, per una maggiore “dimensione europea”, essendo legate a forme di prelievo non percepibili al pari di un contributo nazionale; come tali, potrebbero più facilmente essere finalizzate a dare nuovo slancio politico al bilancio comune, in coerenza con lo spirito di rinnovamento espresso dalla Commissione nel suo più recente Libro Bianco (Commissione Europea, 2017a).
Il Rapporto sulle Risorse Proprie parte da due constatazioni di fondo. La prima riguarda il fatto che il bilancio dell’UE è finalizzato a realizzare politiche e obiettivi prevalentemente tramite attività di investimento a carattere pluriennale, in un’ottica rispondente anche ad una funzione di carattere redistributivo fra Stati membri. Il secondo aspetto riguarda uno dei principi fondamentali del bilancio comune, che si caratterizza per il vincolo di dover essere adottato sempre in pareggio, con un forte impatto sul meccanismo di funzionamento del sistema delle entrate1. Questi aspetti, insieme ad altre peculiarità, configurano il bilancio dell’UE per un carattere e una logica gestionale profondamente diversi da quelli dei singoli bilanci nazionali. A questi aspetti si aggiunge il fatto che all’UE non è riconosciuta una competenza fiscale diretta e che si ritiene auspicabile evitare che il finanziamento del bilancio comune si possa tramutare in un onere fiscale aggiuntivo per i cittadini dell’UE.
Il Rapporto costituisce un contributo interessante anche alla luce del fatto che tenta di superare alcune resistenze nazionali rispetto al bilancio comune derivanti dalla trappola contabile del calcolo del Saldo Netto, che costituisce l’indicatore sintetico più utilizzato per valutare le posizioni di convenienza nazionale rispetto alla partecipazione all’Unione, ma che non riesce in alcun modo a tenere conto del concetto di valore aggiunto europeo, che costituisce invece uno dei principi guida delle politiche di spesa dell’UE (De Filippis, Sardone, 2010) e che secondo il Gruppo di Alto Livello andrebbe potenziato nel disegno delle future azioni comuni. Anzi, senza ricorrere a mezzi termini, il Gruppo definisce il calcolo del vantaggio che ciascun paese membro ottiene dal bilancio dell'UE come un'operazione naturale e “inevitabile”, ma del tutto inadeguata se utilizzata come unico parametro del rapporto costi-benefici della partecipazione all’Unione. Un parametro più completo, ancorché più difficile da misurare, dovrebbe poter riflettere in maniera più completa i benefici collettivi della spesa dell’UE e misurare i flussi finanziari che le azioni comuni sono in grado di attivare in ciascun paese, oltre alla creazione di sinergie economiche tra paesi, gli effetti transfrontalieri delle politiche attuate, fino ai risultati positivi esterni all’ambito comunitario. Un tale approccio consentirebbe all’UE anche di lasciarsi alle spalle il dilemma del juste retour che ha trasformato il bilancio dell'UE in un gioco a somma zero tra contribuenti e beneficiari, piuttosto che in un'operazione vantaggiosa per tutti. Inoltre, siccome questo meccanismo è quello che ha portato al riconoscimento del rebate a favore del Regno Unito, a cui sono seguiti gli ulteriori "sconti sullo sconto", in quest’ottica la Brexit è vista come un’opportunità che non andrebbe sprecata dai restanti 27 Stati membri per ripensare alle modalità con cui misurare i vantaggi e gli svantaggi reali della partecipazione all'UE.
La tendenza a ricorrere al saldo netto, anche in virtù della sua semplicità di calcolo (De Filippis et al., 2013), finisce con il favorire le politiche di spesa che poggiano su bilanci preassegnati, con regole di funzionamento preventivamente definite, in grado di assicurare il rientro di somme e quindi un determinato equilibrio in termini di saldo netto. Ma questo approccio finisce con il rendere la programmazione pluriennale troppo rigida e i bilanci annuali inadatti a fronteggiare situazioni di crisi ed emergenze future e imprevedibili.
I contenuti del lavoro condotto dal Gruppo di Alto livello hanno costituito la base per la redazione del più recente documento di riflessione sul Futuro delle Finanze dell’UE (Commissione Europea, 2017b), che articola le sue proposte in ambito finanziario sulla scorta dei cinque possibili scenari di sviluppo dell’azione politica dell’UE individuati nel Libro Bianco di marzo 2017: 1. Avanti così, 2. Fare di meno insieme; 3. Alcuni fanno di più; 4. Riprogettazione radicale; 5. Fare molto di più insieme (cfr. in questo stesso fascicolo Pupo D’Andrea). In tutte le prospettive individuate, fatta eccezione per l’ultima, la spesa a favore dell’agricoltura si presenta in declino.
Il peso della Pac nel futuro bilancio: la via del co-finanziamento
In assenza di indicazioni consolidate sui contenuti della prossima riforma della Pac, allo stato attuale sembra quasi certo che la possibile definizione di nuove modalità di composizione delle entrate del bilancio comune aprirà il varco ad un ripensamento anche sulle regole di spesa per l’intervento comunitario in agricoltura. Peraltro, nonostante il dibattito inizialmente abbia portato alla ribalta numerose ipotesi di riforma anche piuttosto radicali, le posizioni più recenti sembrano convergere non tanto sulla struttura della Pac, quanto piuttosto sulle sue regole di finanziamento (Matthews, 2017)2. I principi ispiratori dell’attuale riforma, quelli di Europa 2020, restano sostanzialmente confermati, come anche i grandi obiettivi che modellano la Pac attuale e futura. Le questioni che sembrano più rilevanti sono gli strumenti per raggiungere tali obiettivi e, soprattutto, le dotazioni finanziarie a sostegno degli strumenti stessi. Contestualmente, l’introduzione nell’alveo della Pac di nuovi temi, che spostano l’attenzione dalla produzione verso istanze ambientali e alimentari, potrebbe paradossalmente far spostare l’attenzione verso una Pac più simile a quella desiderata dal Regno Unito e da altri paesi tradizionalmente critici verso il modello a due pilastri.
Le implicazioni tecniche per la Pac non sono state dettagliate in nessuno dei documenti ufficiali fino ad ora pubblicati. Questi si limitano ad accennare all’opportunità di introdurre anche per questa rubrica di spesa il ricorso a processi di co-finanziamento da parte dei paesi membri, quanto meno in relazione alla voce prioritaria, costituita dai pagamenti diretti (circa 70% del totale Pac). Questa indicazione poggia, da un lato, sulla più volte ribadita esigenza di liberare risorse per dare avvio a nuove politiche di intervento e, dall’altro lato, su un diffuso giudizio controverso in merito alla capacità dell’attuale Pac di rispondere pienamente alla logica di un maggiore e reale valore aggiunto europeo, piuttosto che alle esigenze specifiche di un gruppo ristretto di paesi membri e di beneficiari, al punto da correre il rischio di trasformarsi da pietra angolare dell’Unione ad uno dei suoi principali fattori di possibile disaggregazione.
L’ipotesi di co-finanziamento degli aiuti diretti è analizzata in modo dettagliato all’interno di uno studio indipendente elaborato per conto della Commissione UE a supporto dei lavori del Gruppo di Alto Livello (Núñez Ferrer et al., 2016). Lo studio fornisce alcune prime valutazioni di merito e profila in misura più tecnica le possibili implicazioni legate all’idea di modificare radicalmente il sistema di formazione delle risorse destinate al I pilastro della Pac.
La proposta di un co-finanziamento dei pagamenti diretti viene motivata principalmente perché questa componente della Pac è giudicata come un intervento con effetti redistributivi piuttosto opachi, i cui benefici assumono un carattere spiccatamente territoriale e che, pertanto, dovrebbe essere maggiormente ispirata ad un principio di federalismo fiscale e di sussidiarietà3.
D’altro canto, ripensare alle regole di finanziamento della Pac senza prevedere alcuni ulteriori fattori di correzione al suo impianto generale potrebbe produrre effetti poco desiderabili per i paesi membri caratterizzati da livelli di Pil relativamente più bassi e che hanno ereditato una Pac “costosa” in termini di pagamenti diretti, che fino ad oggi è stata pagata dai paesi a più elevato reddito (i cosiddetti contributori netti). Una possibile ipotesi è quindi quella di ricorrere ad un meccanismo di co-finanziamento simile a quello adottato per le politiche di coesione, nelle quali la partecipazione finanziaria dei diversi Stati membri viene calibrata in funzione della diversa capacità economica, calcolata come scostamento rispetto al valore del Pil medio dell’Unione (che per inciso, con ogni probabilità, subirà un abbassamento a seguito dell’uscita del Regno Unito). Oppure, come più recentemente proposto, occorrerebbe realizzare una riforma che non alteri la struttura della Pac nel profondo, ma che preveda la possibilità di ricorrere ad un’ancora maggiore flessibilità nella distribuzione nazionale delle risorse per I e II pilastro a seconda delle caratteristiche e delle preferenze di ciascun paese membro (Henke et al., 2017; Matthews, 2017), così da attenuare i possibili effetti negativi per i partner caratterizzati dal maggior ritardo di sviluppo, che potrebbero recuperare interesse per una politica maggiormente orientata ad attività di investimento, anziché a forme di rendita.
Considerazioni di sintesi
Al di là delle possibili previsioni, i prossimi mesi rappresenteranno un fase cruciale tanto per la discussione sulle risorse finanziarie, quanto per il processo di aggiustamento della politica agricola. Entrambi i fronti subiranno l’inevitabile influenza della Brexit, tant’è che viene da chiedersi se, in qualche modo, il Regno Unito non riuscirà in futuro a cambiare in misura più radicale del passato l’assetto dell’UE e delle sue politiche, finendo con il fornire un contributo più risolutivo dall’esterno, anziché dall’interno dell’Unione in veste di partner.
A prescindere dagli esiti di questi processi, al momento resta indubbio che la richiesta britannica di lasciare l’UE – anche a causa del suo forte scontento in merito alla Pac – ha posto con ogni evidenza la limitatezza di una visione poggiata su un mero conteggio di convenienza contabile, aprendo così la strada per i restanti 27 partner per dare avvio ad una riflessione più ampia sul ruolo e sugli obiettivi dell’Unione. Se questo scenario si dovesse verificare, si avrebbe un’ulteriore prova di quanto afferma il Gruppo di Alto Livello sulle Risorse Proprie nelle sue conclusioni: il calcolo del Saldo Netto ha finito con l’essere una trappola contabile che ha tenuto i paesi membri eccessivamente impegnati a negoziare sconti e assegnazioni di linee di spesa per specifiche politiche, distogliendoli dallo sforzo di ripensare all’azione comune e limitando lo sviluppo di iniziative volte alla realizzazione di importanti obiettivi concreti, più sentiti dalla cittadinanza.
Ciononostante, resta invitabile chiedersi quale sarebbe la posizione di convenienza del nostro paese, qualora la definizione del prossimo quadro pluriennale di spesa fornisse l’occasione per l’avvio di una nuova stagione di politiche innovative e rispetto all’ipotesi di nuove regole di finanziamento per la Pac. L’Italia, com’è noto, è un contributore netto del Bilancio comunitario (Henke, Sardone, 2016) e, rispetto alle due macro aree di intervento in cui si articola attualmente l’intervento di spesa preassegnato ai Paesi membri (Risorse Naturali, al cui interno la quasi totalità della spesa è devoluta alla Pac, e Coesione), vede la propria posizione in peggioramento a seguito della Brexit, dovendosi fare carico - a parità di regole sul fronte delle entrate - di una parte consistente di quanto veniva coperto dai versamenti del Regno Unito.
Se le prospettive finanziarie si porranno in termini di una minore spesa comunitaria per il finanziamento degli aiuti diretti della Pac, compensata da un intervento diretto da parte dei bilanci nazionali, ma accompagnata da un programma comunitario di più ampio respiro, che contempli azioni di protezione alle frontiere, di lotta all’immigrazione clandestina, di contrasto al terrorismo, una più incisiva politica a favore dell’ambiente e della mitigazione dei cambiamenti climatici, di un rilancio degli investimenti in cultura, allora è molto probabile che il nostro paese ne avrebbe qualcosa da guadagnare.
Questo ipotetico guadagno non sarebbe agevolmente quantificabile con un mero conteggio del Saldo Netto, perché se sebbene possa risultare abbastanza agevole quantificare le conseguenze finanziarie sul fronte della Pac, ad oggi sarebbe impossibile quantificare le ulteriori implicazioni per il Bilancio nazionale derivanti dal rinnovamento dell’azione politica comune, che non verrebbero contabilizzati e resi evidenti all’interno del bilancio comune.
Se ipotizziamo tuttavia che la Brexit costituisca realmente un’occasione di rilancio per l’UE, allora forse è giunto il momento di mettere da parte questo esercizio contabile e lasciare che le danze del bilancio e delle politiche comunitarie si muovano più liberamente sullo sfondo di una nuova e più moderna coreografia.
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- 1. Il rispetto del pareggio impone che le entrate siano sempre in grado di coprire le spese previste dai documenti finanziari annuali approvati dal Parlamento e dal Consiglio, purché entro il limite del livello degli stanziamenti di pagamento definito dal quadro finanziario pluriennale.
- 2. Si vedano, ad esempio, i materiali del workshop organizzato dal Parlamento europeo nel 2016, con gli interventi di A. Matthews, J. C. Bureau, T. Dax e A. Copus (European Parliament, 2016).
- 3. Per altri aspetti, valutazioni critiche in merito alla Pac sono state avanzate anche dall'Ocse nel suo recente Rapporto Evaluation of Agricultural Policy Reforms in the European Union (Oecd, 2017).