La terra è il principale fattore produttivo in agricoltura. Il 60-80% del totale del valore degli asset in agricoltura è attribuibile alla superficie agricola. Storicamente, il prezzo dei terreni agricoli ha mostrato forti variazioni, con periodi in cui si sono osservati consistenti incrementi dei valori e altri in cui i prezzi hanno evidenziato fasi di stabilità, se non di spiccata contrazione. L’immediata conseguenza di tale dinamica è che fluttuazioni del prezzo dei terreni agricoli inducono sia modifiche nel livello di ricchezza dei proprietari di quei terreni, sia rilevanti vincoli all’attività di investimento, dato il ruolo svolto dalla superficie agricola quale principale collaterale nell’accesso al credito, soprattutto nel lungo periodo.
Le fluttuazioni dei prezzi dei terreni agricoli sono così ampie, e i conseguenti effetti sulla ricchezza dei proprietari terrieri sono così rilevanti, che non deve sorprendere l’enorme letteratura economica volta all’analisi del livello del prezzo di tale fattore e alle sue determinanti. Tra i vari modelli proposti per la determinazione del prezzo del terreno, quello legato al valore attuale del flusso di affitti o rendimenti netti connessi all’uso del terreno è senza dubbio uno dei più utilizzati. Da questo punto di vista, la letteratura economica non è recente. Infatti, il concetto è già ben presente in Ricardo (1817) nella descrizione della rendita fondiaria e del valore della terra. Non deve sorprendere, d'altronde, che, date le caratteristiche della terra quale principale asset in agricoltura, dopo gli anni Sessanta gli economisti agrari abbiano ampiamente mutuato (e in alcuni casi nettamente anticipato) modelli e sviluppi teorici derivati dall’analisi dei mercati finanziari e, in particolare, modelli legati alla valutazione dei prezzi dei titoli azionari. Non c’è dubbio, infatti, che le azioni, al pari del terreno agricolo, costituiscano un asset e le corrispondenti fluttuazioni possano portare a notevoli guadagni (o parallele perdite) in conto capitale e conseguenti variazioni del livello di ricchezza degli azionisti.
Valore attuale netto e prezzo dei terreni agricoli
Uno dei modelli più utilizzati in connessione con il problema della definizione del livello di prezzo di un asset è quello di Gordon (1962). In tale modello, il prezzo di un terreno agricolo (o il prezzo di un’azione) è uguale al rapporto tra il reddito annuale generato dallo stesso terreno, ad esempio l’affitto del terreno (o il dividendo nel caso dell’azione), e la differenza tra tasso di interesse a lungo termine e il tasso di crescita atteso degli affitti nel lungo periodo (o dei dividendi). Come si può notare, l’espressione recepisce per la valutazione dell’asset il modello del valore attuale. Il prezzo dei terreni agricoli sarà allora tanto maggiore quanto più è elevato il livello degli affitti e quanto minore è il livello dei tassi di interesse a lungo temine. Inoltre, nel modello di Gordon si evidenzia che il prezzo dell’asset dipenderà positivamente anche dal tasso atteso di crescita degli affitti.
E’ interessante notare che, anche secondo quanto sottolineato da Gordon, l’espressione dovrebbe essere intesa (ed in effetti è stata derivata) come una relazione che lega le variabili in un contesto di equilibrio, o nel gergo degli economisti, di steady-state, ossia una relazione valida solo nel caso in cui il mercato non sia colpito da importanti shock esterni che ne inficiano la relazione nel breve periodo.
Tuttavia, la relazione spesso viene utilizzata dagli operatori per definire il livello di prezzo puntuale in ciascun periodo. Il modello di Gordon ha dato vita ad una importante letteratura, difficile da sintetizzare in queste pagine, anche se tra gli sviluppi non si può evitare di citare la generalizzazione del modello di Gordon da parte dei due studiosi americani Campbell e Shiller (1981). Ancor oggi, e nonostante alcune importanti critiche, il loro modello costituisce una delle metodologie maggiormente utilizzate nella definizione del prezzo di un asset, in primis il prezzo delle azioni, ma anche il prezzo di altri asset reali quali case o, nel nostro caso, terreni agricoli. In sintesi, la generalizzazione del modello di Campbell e Shiller (1981) consente di legare il prezzo delle azioni (terreni agricoli) oggi, oltre che come nel modello di Gordon al livello odierno dei dividendi (affitti), anche alla sommatoria dei valori attesi dei tassi di crescita dei dividendi (affitti) futuri e dei tassi di interesse futuri. La generalizzazione, a prima vista di poco conto e che implica piccole complicazioni matematiche rispetto al modello di Gordon, in realtà è importante perché consente di utilizzare da un lato più informazioni e dall’altro le più recenti tecniche statistiche nella definizione del prezzo di un asset.
Allo stesso modo in cui un meteorologo si chiede se il suo modello ha previsto bene, ad esempio, la temperatura di ieri, anche gli economisti si sono chiesti e si chiedono quanto i loro modelli hanno previsto correttamente il livello del prezzo di un asset. La risposta al quesito non è confortante. Nel caso delle azioni, Campbell e Shiller (1981) notano che la correlazione tra quanto previsto dal modello e i valori effettivi è molto bassa e diversi studi, per lo più statunitensi, relativi all’analisi del prezzo dei terreni agricoli in Iowa (1) offrono gli stessi risultati. Se è vero che nel lungo periodo i valori della terra seguono i fondamentali (dinamica degli affitti e tassi di interesse), si notano tuttavia anche periodi di forte sopravvalutazione o sottovalutazione dei prezzi rispetto a quanto formulato dal modello del valore attuale. La conclusione forte di gran parte di questi lavori è allora quella che il modello di Gordon e l’estensione dinamica del modello di Gordon a cura di Campbell e Shiller (19981) o, più semplicemente, il modello basato sul valore attuale netto, “doesn’t hold”, non regge, ed è necessario proporre nuovi modelli (teorie) per definire il livello del prezzo di un asset.
Nuove (e vecchie) teorie
Se, da un lato, sono stati ben documentati periodi di boom (o riduzione) dei prezzi agricoli, in cui si notano livelli dei prezzi ben superiori (inferiori) rispetto ai valori previsti dal modello del valore attuale, dall’altro l’attribuzione delle cause è ancora oggetto di un dibattito piuttosto acceso nella letteratura economica. In sintesi, l’attenzione sul fallimento del modello del valore attuale si è concentrata principalmente su tre principali cause: quasi razionalità degli agenti economici o, in altri termini, presenza di bolle speculative, variabilità del premio al rischio, e, infine, presenza di costi di transazione. Il termine di bolla speculativa richiama episodi storici, quali la bolla legata ai prezzi dei tulipani in Olanda nel diciassettesimo secolo. I prezzi raggiunsero livelli straordinariamente alti, non spiegabili da variabili quali il costo di produzione del prodotto (2). Da allora, forti incrementi del prezzo di un asset rispetto ai valori fondamentali vengono imputati a comportamenti irrazionali degli investitori che scommettono sull’incremento della domanda di quell’asset da parte di altri investitori con conseguente spinta verso l’alto del prezzo dell’asset (nel nostro caso del valore dei terreni) nel futuro. Naturalmente, il processo può funzionare anche al contrario, generando un volume di vendite dell’asset che spingono verso il basso il prezzo. Il modello del valore attuale non esclude la possibilità di bolle speculative. Si può mostrare che una bolla speculativa esiste se la differenza, oggi, tra il prezzo dell’asset e il valore scontato del flusso di reddito derivante da quell’asset, cioè il valore ottenuto utilizzando i fondamenti della teoria del valore atteso, è un valore straordinariamente grande o, in termini matematici, infinito. Diverse critiche sono state avanzate alle ipotesi di bolle speculative o, in altri termini, a comportamenti irrazionali da parte degli operatori. Alcune fanno ricorso a sofisticati modelli matematici, in gran parte legati alla teoria degli arbitraggi, per spiegare la scarsa rilevanza del concetto di bolla speculativa. La più semplice di queste critiche è quella empirica. Infatti, come già detto, bolle speculative implicherebbero una enorme differenza tra il prezzo oggi dell’asset e il valore teorico di quell’asset ottenuto attualizzando il flusso di reddito netto agricolo o il valore degli affitti ad un tasso di interesse. In pratica, si dovrebbe assistere ad una dinamica esplosiva di tale differenza. Se è vero, infatti, che scostamenti possono essere notati tra prezzi effettivi e prezzi teorici, è certo che questi, pur non costituendo un “piccolo” residuo, sono ben lontani da presentarsi come esplosivi. In sintesi, le bolle speculative non sono capaci di spiegare il fallimento del modello del valore attuale.
Un secondo filone di ricerca tenta di spiegare la discrepanza tra il valore dell’asset e il suo valore teorico offerto dal modello del valore attuale, individuando la causa nella variazione, in alcuni periodi, del premio al rischio di investimento. Infatti, dato che l’investimento nella terra implica un rischio, il rendimento atteso dell’investimento dovrebbe essere maggiore del rendimento offerto da una attività reale esente da rischio, generalmente individuata con un titolo garantito dallo Stato. Ciò compenserebbe l’investitore per il rischio addizionale dell’investimento. Questa differenza, tra il rendimento atteso dall’investimento e il tasso di interesse relativo al titolo esente da rischio, è denominata premio al rischio. Una debolezza del modello del valore attuale è che spesso il premio al rischio è ipotizzato costante nel tempo, mentre è più che probabile che il rischio insito nell’investimento, e il conseguente premio al rischio, siano molto maggiori in alcuni periodi, ad esempio in periodi di forti pressioni inflazionistiche, quali lo shock petrolifero del 1973-1975 e il secondo shock del 1979-1980. Cambiamenti nella dinamica economica potrebbero allora avere importanti effetti nel calcolo del valore attuale dell’investimento.
Sfortunatamente l’evidenza empirica mostra che, anche in questo caso, l’introduzione nell’espressione per il calcolo del valore attuale delle variazioni del premio al rischio, non consente di cogliere la dinamica dei prezzi, e le discrepanze ancora una volta si notano soprattutto nei periodi di forti fluttuazioni dei prezzi della terra.
Un terzo di filone di analisi che tenta di spiegare il fallimento del modello del valore attuale è quello che rifiuta le ipotesi di assenza di “frizioni” nel mercato. In sostanza si constata che, per particolari asset, includendo naturalmente la terra tra questi, sono presenti delle frizioni nel mercato che non consentono, ad esempio, agli agenti economici di acquistare (o vendere) la quantità desiderata dell’asset. Ciò significa che il prezzo dell’asset non necessariamente si comporterà come nel caso di assenza di frizioni. In particolare, è possibile che, in presenza di frizioni, la dinamica del prezzo osservato di un asset sia esattamente opposta rispetto a quella prevista dal modello del valore attuale. Le frizioni presenti nel mercato degli asset possono assumere diverse forme. Le più ovvie sono quelle legate ai costi di transazione, ad esempio i costi legati alle commissioni o alle imposte connesse al trasferimento di proprietà. Altri costi di transazione potrebbero essere quelli connessi al divieto di vendita a breve dell’asset. Infine, vincoli connessi al ricorso al credito, nel caso in cui l’agente economico non possa prendere a prestito tutto l’ammontare di denaro richiesto, costituiscono un ulteriore tipo di frizione.
L’idea è quindi quella che, se si escludono dal calcolo del valore attuale i costi di transazione, è possibile che il modello non sia capace di cogliere correttamente la dinamica dei prezzi dei valori fondiari. Alcuni autori hanno infatti evidenziato ad esempio che, nel mercato statunitense, i costi connessi al trasferimento della proprietà della terra sono compresi tra il 3% e il 10% del valore. A questi vanno aggiunti quelli connessi ad altri costi, principalmente polizze assicurative, spese legali ecc.. In media, i costi di transazione ammonterebbero al 7.5% del valore della terra. Purtroppo, se volessimo sintetizzare i risultati dei modelli che incorporano i costi di transazione nel calcolo del valore attuale e la loro capacità di “spiegare” la dinamica dei prezzi dei terreni agricoli, dovremmo concludere che, anche in questa versione, il modello del valore attuale non regge all’evidenza empirica.
Che fare quindi? Da un lato si può osservare come il modello del valore attuale sia enormemente utilizzato nella pratica estimativa dei terreni, dall’altro la teoria economica, e l’evidenza empirica, ci fanno osservare che il modello non è consistente con la dinamica effettiva dei prezzi dei terreni. Come abbiamo visto, nonostante gli sforzi per inserire nel modello fattori che possano integrare e rendere quindi ancora utilizzabile il modello del valore attuale, questi sono risultati vani e il modello continua a “non reggere” o, nel gergo degli economisti, è inconsistente con il valore effettivo assunto dai terreni. In pratica, ancora oggi il dilemma in cui ci si trova ad operare è che non è chiaro se il fallimento del modello del valore attuale sia indotto da qualche elemento fondamentale di cui non tiene conto il modello e, quindi si debba puntare sulla ricerca di tali elementi, oppure si debba puntare su paradigmi alternativi, ossia nuovi modelli, in modo da ottenere una migliore comprensione della dinamica dei valori fondiari.
Quali strade seguire?
Per rispondere a tale quesito, in un recente articolo Gutierrez e al. (2007) utilizzano un approccio che potremmo definire euristico. Gli autori partono dalla considerazione che, come visto, nonostante svariati tentativi, nessuna delle cause addotte per definire il fallimento del modello del valore attuale, e i relativi aggiustamenti introdotti, hanno consentito di migliorare le performance del modello. Anziché proporre nuove variabili gli autori tentano di “far parlare” i dati. In pratica, analizzando la dinamica dei prezzi dei valori fondiari e degli affitti per 31 Stati USA nel periodo 1960-2003, individuano in quali anni il modello del valore attuale “fallisce” di prevedere correttamente il prezzo della terra. Dall’analisi, che utilizza recenti tecniche statistiche, emerge che, in corrispondenza del periodo 1980-1985, più dell’80% degli Stati registra un break nel modello, ossia in quegli anni il modello fallisce di prevedere correttamente i valori fondiari, o in termini economici, si hanno dei break nella relazione che lega il flusso degli affitti al prezzo attuale dei terreni. Inoltre, si nota che, anche se gran parte dei break si concentrano per i vari Stati nella seconda metà degli anni ’80, diversi Stati mostrano break anche in altri periodi. Ciò mette in evidenza che il fallimento del modello, oltre a cause comuni ai vari Stati, può essere indotto da cause idiosincratiche, ossia specifiche dei singoli Stati. L’individuazione dei periodi in cui il modello fallisce è importante, perché si può indagare sulle cause del fallimento. Ad esempio il break degli anni Ottanta è probabilmente imputabile ad un aumento dell’incertezza del rendimento degli investimenti nella terra indotto dagli alti tassi di interesse reali, dal basso livello dei prezzi delle commodity che, almeno negli Stati Uniti, hanno creato ben noti problemi agli agricoltori, soprattutto per coloro che presentavano un maggior livello di indebitamento. In sintesi, il procedimento proposto, anziché “provare” a trovare la variabile che spiega il fallimento del modello del valore attuale, individua gli anni in cui fallisce, sperando che questi siano pochi, e cerca delle risposte al perché in quegli anni il modello ha fallito nell’offrire il valore “corretto” del fattore terra.
Una volta scoperti i periodi in cui il modello non funziona, il compito è ora quello di analizzare se, tenendo conto dei break scoperti, il modello del valore attuale “regge” o se invece debba essere messo, come si suole dire, definitivamente “in soffitta”. La risposta rilevante è che una volta si tenga conto di questi pochi, ma importanti break, il modello del valore attuale regge alla verifica empirica, o in altri termini “è vivo”, e consente di prevedere correttamente il livello dei prezzi dei terreni agricoli.
Conclusioni
Diversi problemi restano aperti. Il primo è che l’evidenza empirica è relativa, per il momento, ai soli Stati Uniti. Occorrerebbe indagare se simili conclusioni siano valide anche per altri paesi. Il secondo è che, una volta individuati gli anni di break, anche se abbiamo ristretto il periodo di indagine economica, restano pur sempre da accertare le variabili che hanno generato il fallimento del modello. Infine, in ambito previsivo, il problema è quello della previsione dei possibili break. Non è escluso, infatti, che nel futuro si possano ripetere eventi simili a quelli della metà degli anni ottanta. Da questo punto di vista, la ricerca economica su fatti del passato può essere utile a prevedere quelli nel futuro.
Note
(1) Gli studi utilizzano i dati dell’Iowa sia per la rilevanza dell’agricoltura in questo Stato, sia perché è uno dei pochi Stati che dispone di coerenti e lunghe serie storiche di dati del prezzo dei terreni agricoli e degli affitti.
(2) Nel 1635, è stato registrato un contratto che prevedeva il pagamento di 100.000 fiorini per 40 bulbi di tulipano. A titolo di comparazione, una tonnellata di burro all’epoca costava intorno ai 100 fiorini.
Riferimenti bibliografici
- Ricardo D. (1817). On the Principles of Political Economy and Taxation, London: John Murray.
- Campbell, J. Y., Shiller R. (1981). Stock prices, Earnings, and the Expected Dividends, Journal of Finance, 43, 661-76.
- Gutierrez L., Westerlund J. e K. Erickson (2007). Farmland prices, Structural Breaks and Panel Data, European Review of Agricultural Economics, 34, 161-179.
- Gordon M. (1962). The Investment, Financing and Valuation of the Corporation, Homewood Illinois: Irwin.