Premessa
Nel giugno 2006 la Commissione ha presentato un documento contente valutazioni preliminari su diverse ipotesi di riforma per l’Organizzazione Comune di Mercato del vino ed ha così avviato una fase di riflessione e di confronto sugli strumenti più utili per accompagnare e promuovere lo sviluppo del comparto, nel contesto di una politica agricola ormai profondamente riformata, dopo i provvedimenti succedutisi a partire dal 2003. Anche per questo comparto i cambiamenti inizialmente proposti dalla Commissione sono radicali e perseguono il fine dichiarato di riavvicinare i produttori al mercato.
Tuttavia, per sviluppare alcune considerazioni sulle linee di riforma dell’OCM, alla vigilia della ormai imminente (1) presentazione della proposta di regolamento da parte della Commissione, è utile svolgere anche qualche analisi, sia pure sintetica, delle principali dinamiche che lo riguardano. Mentre gran parte delle proposte formulate indicativamente dalla Commissione appaiono coerenti con uno strategia di riequilibrio dei mercati e di aumento della concorrenza, ve ne sono alcune, soprattutto tra quelle che possono incidere sulla definizione e sulla percezione da parte dei consumatori della qualità, che possono risultare quanto meno ambigue.
Le condizioni di mercato e le inefficienze dell’attuale OCM
Le principali misure che regolano dal punto di vista quantitativo il mercato del vino nell’Unione Europea sono i diritti all’impianto e i contributi destinati alle distillazioni, sia quelle dei sottoprodotti della vinificazione che quelle, più rilevanti, di crisi. Allo stato attuale, inoltre, da un lato è ammesso lo zuccheraggio nel processo di vinificazione, nei Paesi del centro e nord Europa; dall’altro sono anche previsti aiuti per i mosti concentrati e rettificati.
Dal punto di vista delle politiche è necessario riconoscere, anzitutto, che le continue ed insistenti richieste di distillazione, anche per vini di qualità (2) (VQPRD, ovvero Vino di Qualità Prodotto in Regioni Determinate), sono una testimonianza di un significativo e persistente squilibrio tra produzione offerta e domanda di vino, in Europa, anche tenendo conto dei pur rilevanti flussi di esportazione.
Evidentemente il sistema dei diritti di impianto, che dovrebbe rappresentare di gran lunga il primo e più importante strumento per limitare le quantità complessivamente producibili, in media, nell’Unione Europea, su livelli compatibili con le possibilità di assorbimento dei mercati interni ed extra UE, non è gestito in modo adeguato. Il fatto che gli stock di prodotto siano sostanzialmente pari alla produzione di un intero anno, ne sono una chiara testimonianza. Peraltro, anche nel nostro Paese, il catasto vitivinicolo nazionale è ben lungi dal rappresentare adeguatamente e correttamente la realtà produttiva e le superfici realmente vitate. Talvolta anche nell’ambito dei vini DOC e DOCG ci sono problemi di controllo sia delle superfici che delle quantità effettivamente prodotte, anche se tali controlli non sarebbero impossibili da applicare. D’altro canto, una volta prodotto il vino, anche se di qualità non eccelsa, c’è sempre la possibilità di ottenere qualche forma di sostegno economico, sia pure indiretto e parziale, mediante i meccanismi di intervento e in particolare le distillazioni. E’ evidente che questo meccanismo rappresenta uno sbocco soprattutto per i vini di minore livello qualitativo anche se, come accennato, talvolta si verificano situazioni di squilibrio di mercato anche per vini DOC.
Un dato decisivo per l’analisi delle dinamiche del comparto riguarda soprattutto l’andamento di produzione e consumi di vino da tavola, o comune. Anche i dati contenuti nelle valutazioni di impatto realizzate dalla Commissione, infatti, sottolineano come le maggiori difficoltà di mercato riguardino soprattutto questa tipologia di prodotto. Nei Paesi tradizionali produttori e nel contempo maggiori produttori, come Italia e Francia, ad esempio, i consumi complessivi di vino sono in calo in quanto sono cambiati, e continuano ad evolversi, i modelli di consumo, e i vini che ne fanno maggiormente le spese sono proprio quelli di uso tradizionalmente più frequente. Si consolidano e spesso aumentano, invece, i consumi di vini di più alto livello qualitativo che, salvo eccezioni, non risentono di questi stessi problemi. Qualcosa di analogo si sta verificando anche dal punto di vista degli scambi con l’estero: mentre le importazioni in quantità di vino dell’Unione Europea continuano ad aumentare, dal punto di vista del valore il saldo commerciale si mantiene a livelli sostanzialmente costanti grazie alla crescita delle esportazioni di vino di prezzo mediamente più elevato.
L’aumento delle importazioni di vino di livello qualitativo medio-basso, quindi, non deve essere visto come un elemento necessariamente e particolarmente preoccupante ma, in qualche misura, come una inevitabile conseguenza della diffusione della produzione di vino a livello mondiale, della diffusione dei consumi ad aree dove questi non erano tradizionali, come pure la conseguenza di un aumentato interesse a livello mondiale per questo prodotto.
Paesi come Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica e USA, ad esempio, non solo possono contare su dimensioni aziendali molto ampie che consentono forti economie di scala nella produzione, ma anche, e forse soprattutto, su strutture di produzione di vino e di commercializzazione particolarmente più grandi ed efficaci. Non deve nemmeno essere dimenticata o sottovalutata, inoltre, una maggiore “prossimità culturale” delle imprese produttrici ed esportatrici di questi “nuovi produttori”, rispetto ai “nuovi consumatori”, che li rende più capaci di adottare le scelte di marketing più idonee a vincere quote di mercato.
Su questo fronte i produttori europei, ed italiani in particolare, hanno ancora molta strada da fare, in generale.
Una prima valutazione delle principali proposte della Commissione
Gli elementi essenziali della riforma proposta prevedono una serie di misure che hanno un più diretto impatto sugli equilibri quantitativi del mercato europeo, ed una seconda serie di proposte destinate ad incidere più direttamente sugli aspetti qualitativi e sulla loro comunicazione e percezione.
Le misure a prevalente impatto quantitativo
La liberalizzazione degli impianti, cioè l’eliminazione dei diritto di impianto e delle conseguenti limitazioni alle superfici destinabili a questa coltura è, al di là del punto di partenza temporale ipotizzato, l’aspetto potenzialmente più rivoluzionario per l’impatto che potrebbe avere a medio termine sul comparto.
Da un lato ciò farà diminuire i costi di impianto e consentirà un recupero di competitività in termini di costi di produzione; comunque, l’impatto dei costi di impianto è più rilevante per i prodotti di più basso livello qualitativo, mentre lo è assai meno, per i vini di qualità che possono “assorbire” assai meglio i maggiori costi grazie alla maggiore redditività.
D’altro canto la deregolamentazione potrebbe comportare una crescita “eccessiva” degli impianti, almeno nelle primissime fasi della liberalizzazione, con il possibile aumento degli squilibri tra un’offerta crescente e una domanda che complessivamente è in diminuzione, specie sul mercato europeo. Se è vero infatti che il mercato sarebbe certamente in grado di trovare un suo equilibrio, è altrettanto vero che ciò potrebbe determinare, specie nel caso di cicli di produzione poliennali, crisi non brevi e di non facile soluzione.
Poiché la liberalizzazione degli impianti potrebbe essere comunque positiva nel lungo periodo per diverse ragioni (maggiore libertà di impresa, minori barriere all’ingresso per nuovi operatori, minori barriere alla crescita per gli operatori di successo, minori costi e quindi possibilità di minori prezzi di vendita finali), appare importante ipotizzare un meccanismo che possa rendere sufficientemente graduale tale passaggio da un sistema di diritti ad un altro completamente liberalizzato.
Un’ipotesi di intervento potrebbe prevedere che ai detentori di diritti, ad esempio, sia riconosciuta la possibilità di incrementare le superfici vitate di una piccola quota percentuale all’anno per i primi 5-7 anni, prima della completa deregolamentazione. Ciò permetterebbe agli operatori di verificare gradualmente gli effetti del nuovo aumento dell’offerta.
La Commissione, inoltre, aveva inizialmente ipotizzato la possibilità di introdurre un aiuto all’estirpazione per 400.000 ettari in 5 anni, pari al 12,5% della intera superficie totale vitata dell’UE (3,2 milioni di ettari nel 2005), a fronte di una spesa massima prevista di 2,4 miliardi di euro. Successivamente tale ipotesi sembra modificata nel senso di un dimezzamento delle superfici teoricamente destinate a questa misura (200.000 ettari). A questo punto si tratterà di verificare cosa conterrà, esattamente, la proposta di regolamento. Scopo principale di questa misura sarebbe quello di ridurre sensibilmente e rapidamente la situazione di surplus produttivo ormai cronico e di garantire qualche forma di sostegno economico ai produttori meno efficienti che potrebbero così vedere attutiti gli impatti sui loro redditi.
Diversi hanno manifestato il timore che possano essere indotti all’abbandono i viticoltori che operano in aree marginali dove gli effetti negativi del fenomeno, in termini ambientali, potrebbero essere particolarmente significativi. A questo proposito, tuttavia, vale la pena di ricordare che vi sono già diversi casi di produzioni ottenute in territori “difficili”, valorizzate con successo dai produttori; in questo modo, anche mediante i soli strumenti ordinari di mercato, i produttori sono riusciti ad ottenere una redditività sufficiente a mantenerli comunque in attività. In altri casi, invece, dove la presenza della viticoltura fosse di particolare importanza per il mantenimento dell’assetto idrogeologico, per il contributo paesaggistico e per altre esternalità ambientali positive, si potrebbe e dovrebbe comunque prevedere, finalmente, l’introduzione di specifiche misure nell’ambito del secondo pilastro e in particolare delle misure dell’asse 2, atte a compensare tale produzione di beni e servizi di natura pubblica dell’agricoltore, dopo una loro adeguata valutazione economica.
Il fatto negativo più rilevante rispetto a questa misura, risiede invece nella decisione di utilizzare un ammontare di risorse comunque assai significativo (potrebbe essere di circa 1,2 miliardi di euro) solo per sostenere un espianto che in condizioni di mercato probabilmente avverrebbe comunque e che potrebbe addirittura essere seguito, dopo pochi anni, da un’ondata di nuovi impianti resi possibili dall’eliminazione del sistema dei diritti. In questo senso l’unica ragione sarebbe quella di un accompagnamento e di una riduzione degli impatti negativi della riforma sui redditi di una quota significativa di aziende, ma tale obiettivo potrebbe essere ottenuto anche in altro modo.
La proposta di riforma prevede che sulle superfici per le quali gli imprenditori accettino di procedere all’estirpazione sovvenzionata, essi acquisiscano un diritto ad un PUA (Pagamento Unico Aziendale) pari a quello medio della regione di appartenenza. Questa misura cerca di incentivare l’espianto, proponendo agli imprenditori di poter comunque acquisire una integrazione non diversa da quella media della zona, e quindi tale da porre gli stessi in condizione mediamente non svantaggiata rispetto al resto del territorio.
Recentemente sono state lasciate trapelare anche proposte che potrebbero prevedere l’inclusione anche delle superfici vitate, dopo quelle ortofrutticole per le quali è in corso di approvazione analogo provvedimento nell’ambito della riforma della relativa OCM, in quelle ammissibili per il PUA. A questo punto ci si chiede perché non introdurre, anche in questo caso, un pagamento che traduca la perdita di protezioni e di interventi, specie quelli mediante distillazione, in un pagamento disaccoppiato del tutto assimilabile a quanto già fatto negli altri comparti.
Le diverse forme di distillazione rappresentano certamente gli strumenti principali di intervento attualmente previsti nell’ambito dell’OCM, anche in termini di esborso monetario.
Da significativo elemento di garanzia, stabilizzazione dei prezzi e di protezione contro le crisi, tuttavia, si sono trasformate in forme di sostegno molto forti. Ciò può essere considerato l’elemento più critico, di fatto, dell’attuale OCM e quindi appare decisamente fondata la proposta dell’abolizione di queste forme di intervento, forse con l’unica eccezione delle distillazioni di sottoprodotti che presenterebbero, in assenza di tale intervento, problemi dal punto di vista ambientale.
Le misure a prevalente impatto qualitativo
La proposta di massima della Commissione prevede la possibilità di utilizzare mosti ed uve di importazione per la vinificazione nell’UE. Ciò appare molto poco giustificabile in un’ottica di valorizzazione delle produzioni UE da un lato, ma anche, e forse soprattutto, da quello della valorizzazione della qualità dei vini europei e da quello degli interessi dei consumatori. E’ ovvio, infatti, che anziché muoversi nella direzione di una sempre maggiore e più chiara identificazione dei prodotti finali destinati al consumo, questo provvedimento andrebbe nella direzione opposta, solo nel tentativo di ridurre, peraltro solo parzialmente, i costi di approvvigionamento di produttori di vino evidentemente di natura decisamente “industriale”. Senza una idonea obbligatoria etichettatura che richiami chiaramente l’uso di uve e/o mosti di importazione, poi, si porrebbero problemi anche di correttezza dell’informazione nei confronti del consumatore.
La previsione più critica, a proposito di aspetti qualitativi, è forse quella di far passare alla sola Commissione la responsabilità circa le scelte relative alle tecnologie di vinificazione ammissibili. Ora le scelte relative alle tecnologie non sono neutrali né rispetto agli interessi dei produttori né rispetto a quelli dei consumatori, né a quello dei Paesi, come si potrebbe credere (o si vorrebbe forse far credere). La definizione di norme comuni è certamente utile, ma solo a patto che si tutelino adeguatamente le possibilità di identificazione dei prodotti di maggiore qualità e soprattutto la loro valorizzazione. Per questa ragione si ritiene più prudente che tali scelte siano preparate da organismi tecnici, valutate dalla Commissione, ma approvate solo dopo una ulteriore analisi anche politica.
Tra l’altro il rischio è anche quello di un appiattimento verso il basso dei prodotti europei qualora si applicassero tutte le tecnologie già possibili in altri paesi, proprio mentre le nostre differenze, semmai, rappresentano il principale punto di forza anche per i vini.
Sempre in tema di qualità, di valorizzazione dei prodotti, di miglioramento della competitività, sono molto rilevanti anche le scelte in tema di etichettatura e di denominazioni.
Un primo aspetto riguarda i vini di qualità a denominazione di origine e l’indicazione dei vitigni in etichetta. In questo caso sembra assolutamente sensato ed utile procedere in questa direzione. Al contrario l’indicazione di nomi di vitigni in etichette di vino da tavola potrebbe avere più effetti di disorientamento e confusione per i consumatori, piuttosto che di aiuto. Il ricorso ad un nome di un vitigno, ad esempio, divenuto famoso in un dato territorio, potrebbe portare il consumatore a pensare che anche il vino da tavola ottenuto in altro territorio con lo stesso vitigno possa avere caratteristiche qualitative in realtà assenti. Ciò induce confusione presso i consumatori e porta ad una diminuzione di benessere.
La Commissione ha anche posto sul tavolo della discussione la proposta di abolizione delle DOC/DOCG e della loro eventuale sostituzione con norme unitarie e unificate a livello europeo, molto simili a quelle per DOP e IGP. Anche in questo caso, esistono molti ragionevoli timori che ciò possa portare ad una maggiore confusione presso i consumatori più che ad una maggiore chiarezza. Vale la pena di ricordare, ad esempio, che in Italia DOC e DOCG sona assai più vecchie, diffuse e conosciute presso i consumatori rispetto a DOP e IGP. Certo esiste l’esigenza di chiarire meglio il contenuto e le limitazioni a livello europeo di queste denominazioni, eventualmente assimilandole meglio alle DOP e IGP ma mantenendole autonome. Un problema a parte è quello delle indicazioni geografiche tipiche, specie nel nostro Paese: questi prodotti NON identificano, infatti, vini di qualità secondo le norme UE e tendono ad portare a forti fraintendimenti i consumatori, anche in un Paese come il nostro, tradizionale consumatore di vino. La revisione delle norme su DOC e DOCG potrebbe essere l’occasione per migliorare e chiarire, una volta per tutte, anche le finalità di questa indicazione.
Alcune conclusioni
L’asset più importante per la viticoltura europea, ed italiana in particolare, è la reputazione in termini di qualità e rapporto qualità-prezzo che si è costruita nel tempo, sia sul mercato interno che a livello internazionale.
Alla vigilia della proposta e della successiva definizione ed approvazione di una profonda riforma dell’OCM anche in questo comparto, sembra particolarmente importante prestare attenzione agli aspetti che possono determinare gli effetti più negativi, non solo nel breve periodo ma soprattutto nel medio e nel lungo periodo.
Da un lato il drastico ridimensionamento delle diverse forme di intervento (distillazione, zuccheraggio, aiuto ai mosti) e di limitazione (almeno teorica) delle quantità producibili (diritti all’impianto), appare un passaggio in linea con la tendenza verso un comparto sempre più competitivo. A questo proposito, più che un sistema di aiuti alle estirpazioni, potrebbe giovare una semplice estensione del sistema del pagamento unico anche a questo comparto.
D’altro canto, a ben guardare, gli aspetti di maggiore rilevanza sembrano essere soprattutto quelli relativi alla modifica delle norme sull’etichettatura, all’uso delle denominazioni e delle indicazioni geografiche, alle tecniche di vinificazione. Queste ultime, in particolare, se non ben governate, tendono sempre più spesso a provocare uno scadimento degli elementi di specificità e spesso anche di qualità, rendendo di fatto sempre più difficile la differenziazione del prodotto italiano ed europeo rispetto a quello di importazione; un processo di “industrializzazione” delle produzioni e soprattutto di omogeneizzazione delle tecniche produttive, avvantaggerebbe, in senso relativo, le produzioni extra-europee, rendendo i prodotti EU più simili agli altri.
Per le imprese viti-vinicole italiane, in ogni caso, si preannuncia un ulteriore passaggio ad un contesto decisamente più competitivo, certamente più difficile ma anche più stimolante. Ma il comparto ha già dimostrato, anche negli anni più recenti, di saper affrontare con successo la sfida dei mercati grazie alla valorizzazione della qualità dei suoi prodotti. Con la nuova OCM tale processo dovrà essere, in ogni caso, ancora più intensificato.
Note
(1) Il presente contributo è chiuso in stampa ai primi di giugno, mentre la presentazione della proposta di regolamento sulla nuova OCM vino da parte della Commissione è prevista per il 4 luglio 2007.
(2) Il termine “vino di qualità” è ambiguo in quanto, dal punto di vista normativo, si va riferimento ai soli vini DOC e DOCG, mentre in realtà vi sono evidenti differenze, nell’apprezzamento dei consumatori, tra questa “definizione” e la valutazione effettiva in termini di disponibilità a pagare.
Riferimenti bibliografici
- Canali G. (2006) “Vino, un prodotto da comunicare di più e meglio”, in L’Informatore Agrario n. 13, p. 7, Verona.
- Canali G. (2006), “Nuova OCM vino, una rivoluzione necessaria”, in L’Informatore agrario, n. 33, p. 7, Verona.
- Canali G. (2007), “Le estirpazioni dell’OCM vino fanno discutere”, in L’informatore agrario, n. 11, p. 7, Verona.
- Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, “Verso un settore vitivinicolo europeo sostenibile”, COM(2006) 319 definitivo, 22/6/2006, [link]
- Commissione delle Comunità Europee, Documento di lavoro dei Servizi della Commissione, “Sintesi della valutazione di impatto”, SEC(2006) 780, 22/6/2006, [link]
- Corsi A. (2006), “La futura riforma dell’OCM vino”, in AgriRegioniEuropa, anno 2, n. 6, Ancona.
- European Commission, D.G. for Agriculture and Rural Development, Wine Economy of the Sector, Working Paper, February 2006, [link]