Introduzione
Il testo della riforma della Pac per il periodo 2021-2027 introduce il Piano Strategico Nazionale (Psn) come strumento di programmazione nazionale che ha due caratteristiche dirompenti rispetto al passato: a) unifica in un unico documento di programmazione e gestione tutte le politiche agricole di un paese, vale a dire i pagamenti diretti, gli interventi settoriali delle Organizzazioni Comuni di Mercato (Ocm), le misure nell’alveo dello sviluppo rurale e infine anche tutti i regimi di sostegno nazionali (aiuti di Stato); b) riporta sostanzialmente al centro la regia della programmazione e, come vedremo meglio più avanti, anche della gestione delle politiche, imponendo l’amministrazione nazionale come unico interlocutore della Commissione Europea nel negoziato che segue alla proposta del Psn da parte dello Stato. In un paese come il nostro, dove agricoltura e sviluppo rurale sono materie decentrate alle Regioni ormai da lungo tempo, questa modifica istituzionale ha un effetto doppiamente dirompente:
- mette fortemente in discussione un assetto ormai consolidato di divisione dei compiti tra Stato e Regioni, dove agricoltura e sviluppo rurale, per loro natura, richiedono un forte ancoraggio regionale e sub-regionale, investendo anche la dimensione locale per le forti specificità che il contesto agricolo presenta;
- mette a dura prova la capacità dell’amministrazione nazionale, il Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (e di recente anche del Turismo) di coordinare in un unico documento tutte le politiche e finalizzarle ad obiettivi comuni; uno sforzo indubbiamente necessario in un contesto in cui le risorse si riducono sempre di più, ma che richiederebbe risorse umane e capacità organizzativa che si sono logorate nel corso degli anni.
Questo lavoro intende approfondire i principali nodi critici che si presentano oggi, stante la proposta di riforma che la Commissione e il Parlamento Europeo hanno sinora definito e che, a detta di gran parte degli stakeholders, dovrebbe essere mantenuta nei suoi tratti essenziali anche dopo le prossime elezioni del Parlamento Europeo (maggio 2019). Questo nuovo sistema organizzativo (delivery system), promosso con forza dall’attuale Commissario Europeo dell’agricoltura Hogan, rappresenta infatti una delle travi portanti della futura Pac e appare molto probabile la sua conferma. Quali che siano gli esiti dei nuovi regolamenti, la cui approvazione è ormai quasi certamente affidata al prossimo Parlamento Europeo, ci pare necessario evidenziare sia i nodi critici, sia le potenzialità che il Psn presenta in un paese a struttura decentrata come l’Italia.
In questi ultimi mesi si è sviluppato un dibattito sulla coerenza interna del nuovo delivery system (Matthews, 2019; Erjavec et al., 2018), dibattito che in Italia ha coinvolto anche fortemente le Regioni e le Province Autonome, estremamente contrarie ad un sistema che accentra programmazione e gestione nelle mani dell’amministrazione centrale. Su questo tema si è concentrato un recente convegno sugli Stati Generali dell’Agricoltura a Matera in Basilicata1 il 6-7 dicembre 2018.
In realtà, come vedremo, l’introduzione di un’innovazione di tipo istituzionale comporta sempre costi e benefici per le istituzioni che l’adottano e per i privati che beneficeranno delle nuove politiche (i beneficiari finali). Inoltre, tali costi e benefici sono differenti in relazione al paese che dovrà adottare l’innovazione. Per un paese di dimensioni piccole l’introduzione di un unico Psn non comporta grandi stravolgimenti organizzativi, mentre per paesi grandi, dove anche la dimensione delle risorse in gioco è rilevante, ciò significa rimettere in discussione assetti consolidati delle politiche. Certamente il grado di decentramento pre-esistente in un paese è una variabile che incide molto sull’impatto dell’innovazione Psn. In paesi come Italia e Spagna gli adattamenti necessari sono maggiori e quindi meno facilmente condivisibili che in paesi come Francia e Polonia, dove esiste una tradizione di Stato centralizzato.
Il nuovo Piano Strategico nazionale della Pac
Il nuovo Piano strategico si inserisce all’interno di un disegno organizzativo più generale che è basato su una differente divisione dei compiti tra Commissione Europea e Stati Membri, dove questi ultimi dovrebbero avere una maggiore autonomia decisionale circa i modi di implementazione delle politiche.
La figura 1 illustra sinteticamente questa nuova attribuzione di responsabilità tra CE e Stati membri.
Figura 1 -
Fonte:
In questo sistema organizzativo la Commissione Europea definisce, in base agli obiettivi generali e specifici fissati dai regolamenti, quale sia il set di regole minime per applicare le policy e i relativi indicatori per misurarne la performance in termini di risultati e impatti. Mentre nelle precedenti programmazioni la definizione delle regole comuni si spingeva fin nel dettaglio dell’applicazione delle singole misure, questa volta ciò dovrebbe essere accuratamente evitato, per dare agli Stati membri la possibilità di adattare le politiche ai loro bisogni. Quest’approccio non dovrebbe valere solo per le misure dello sviluppo rurale, ma anche per quelle che rientrano nel primo pilastro della Pac. Interventi e indicatori sono descritti nel Piano Strategico Pac, a partire da un’accurata diagnosi dei bisogni (Swot). La Commissione valuta il Piano presentato dallo Stato membro e lo approva se coerente internamente con i bisogni, se tutti gli obiettivi sono adeguatamente quantificati e se gli interventi proposti sono conformi con le regole minime stabilite nei regolamenti. In questo disegno, l’attuazione verrebbe monitorata e valutata rispetto a obiettivi e risultati attesi, piuttosto che alla rendicontazione finanziaria. Base di questa valutazione sono i rapporti annuali di performance, che ciascuna autorità responsabile della gestione deve produrre con un dettaglio maggiore che nel passato, pena il mancato trasferimento dei fondi da Bruxelles.
Oltre che per il trasferimento di responsabilità dalla Commissione Europea agli Stati membri, il Psn viene presentato dalla Commissione come una grande semplificazione: si passerebbe, in tutta Europa, da 28 notifiche per Pagamenti Diretti, 118 Psr, 65 strategie settoriali (per le varie Ocm) a 27 Piani strategici nazionali; si potrebbe favorire una maggiore integrazione tra diversi strumenti della Pac; infine, si potrebbe disegnare l’intera Pac in funzione di obiettivi comuni. In realtà si tratterebbe di una semplificazione che avvantaggia soprattutto la Commissione Europea. Per questo e per tutti gli altri motivi sopra menzionati, in Italia le Regioni si sono schierate in blocco contro l’ipotesi di accentrare tutta la Pac in un unico Piano, eliminando i programmi regionali (o quantomeno rendendoli opzionali nel singolo Stato membro).
Questo disegno organizzativo lascia spazio a molte domande che, nella genericità con cui sono stati presentati alcuni suoi punti nodali, vanno chiarite per poter passare alla sua attuazione: a) come fare in modo che i diversi pezzi della Pac (pagamenti diretti, interventi settoriali tramite Ocm, misure dello sviluppo rurale) si possano integrare in una strategia coerente?; b) quale ruolo deve avere la programmazione regionale nel rapporto con il Piano Strategico Nazionale?; c) quale livello di dettaglio si può immaginare per le misure di sviluppo rurale nel Piano strategico nazionale, per rispettare le diversità e le specificità regionali?; d) quali rapporti si configurano tra il Piano e gli altri Fondi Europei, in particolare Feamp, Fesr e Fse in una situazione in cui la Pac parteciperà alla programmazione generale dei Fondi Europei, essendo esclusa dal futuro Accordo di Partenariato 2021-2027? Quali integrazioni cercare e attraverso quali forme? d) quali nuovi sfide si pongono per le strutture nazionali (Mipaaft e Agea, in particolare) a seguito dell’approvazione del Piano Strategico Nazionale, in termini di coordinamento, gestione e controllo?
I principali nodi critici e le potenzialità
Alcuni nodi critici sono stati già messi in evidenza dalla Corte dei Conti Europea, in un suo “Briefing Paper” (marzo 2018), che sottolineava in particolare: a) l’assenza di obiettivi e targets chiari, specifici e quantificabili; b) la debolezza dei legami tra tipologie di intervento e obiettivi (es. tra pagamenti diretti e sicurezza alimentare); c) l’assenza di criteri trasparenti per valutare il contenuto e la qualità del Piano Strategico Pac. Quest’ultimo aspetto appare, a nostro avviso, particolarmente problematico perché finisce per dare alla Commissione Europea una grande discrezionalità nel negoziato per l’approvazione del programma in assenza di regole chiare, e la bontà di una politica/misura/intervento verrebbe lasciata a criteri di volta in volta stabiliti dai desk officers per i vari paesi negli uffici della CE. In molte occasioni le Regioni italiane si sono lamentate della disparità di trattamento nelle concessioni negoziali da parte della Commissione Europea, che discendono appunto dalla diversità di criteri interpretativi utilizzati dai diversi desk officers referenti per l’Italia. In altri casi l’eccessivo ancoraggio del negoziato alla coerenza della singola misura ha fatto perdere di vista l’innovatività di pacchetti di misure e/o dell’uso integrato di misure (es. giovani imprenditori) proposti dalle regioni italiane. In altri casi ancora l’attenzione della Commissione si è focalizzata più sulla complessità gestionale della misura o delle misure integrate, che sulla loro efficacia rispetto agli obiettivi. Insomma, data l’esperienza del passato, uno dei rischi che intravediamo nella strategia è un appiattimento su misure scarsamente innovative, che concilino le esigenze delle diverse regioni, ma su standard bassi.
Un’altra serie di nodi critici deriva proprio dal tipo di governance ipotizzata nel periodo 2021-2027. Nel caso italiano la prima perplessità nasce dal fatto che gli interventi del Piano andrebbero descritti con un livello di dettaglio che comprende una vasta serie di condizioni: a) collegamento con obiettivi specifici; b) indicatori di risultato; c) tipo beneficiari; d) requisiti per assicurare il raggiungimento degli obiettivi; e) condizioni di eleggibilità; f) livelli di aiuto/premio; g) metodi di calcolo. Il panorama delle misure dello sviluppo rurale è molto diversificato tra regione e regione, in forza delle condizioni in cui l’agricoltore si trova ad operare. Appare estremamente complesso conciliare le diversità regionali in questo campo (si pensi ad esempio alle misure agro-ambientali o alle stesse condizioni per accedere agli investimenti aziendali), a meno di non definire misure standard valide per tutto il territorio nazionale, con il conseguente rischio ancora una volta di un forte appiattimento delle politiche. Inoltre, in una struttura istituzionale come quella italiana appare impossibile definire obiettivi, targets e allocazione finanziaria per singolo intervento senza derivarle dalle decisioni regionali. A sua volta, questo implica che in un piano unico la chiusura della fase di programmazione verrebbe condizionata dai tempi di chiusura della programmazione nelle regioni più lente. Infine, come potrebbero conciliarsi le diverse esigenze regionali in tema di flessibilità tra 1° e 2° pilastro, senza una decisione a monte a livello nazionale?
Altre implicazioni di governance riguardano più propriamente la gestione delle politiche. Una singola Autorità di Gestione per tutto il territorio nazionale è una vera e propria anomalia in un sistema regionalizzato. Le Regioni potrebbero entrare nel sistema solo come organismi intermedi, con una riduzione del loro potere negoziale nei confronti della Commissione Europea. Dall’altra parte, questa riforma troverebbe le strutture amministrative centrali impreparate a costruire un coordinamento tra tutte le politiche della Pac, il che richiederebbe una loro rapida ed efficace riorganizzazione interna. Un altro forte condizionamento, in un sistema sempre più legato al monitoraggio dei flussi e soprattutto dei risultati, è dato dall’esistenza di sistemi informativi frammentati, che non dialogano tra loro (Agea, OP regionali, ecc.).
Infine, un tema che rimane irrisolto è il coordinamento con gli altri Fondi UE, per l’assenza di un luogo comune di dialogo, come lo è stato l’Accordo di Partenariato 2014-2020. In questo senso, emerge l’isolamento della Pac nel suo complesso e del Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale (Feasr) in particolare, il quale non ha più alcun obbligo di integrarsi con gli altri Fondi strutturali. Questo condizionerà molto l’efficacia della Pac che, in un mondo sempre più interrelato, diviene una politica a sé stante con una forte impronta di pura redistribuzione, piuttosto che di contributo allo sviluppo locale.
A fronte di numerosi nodi critici è innegabile l’esistenza di potenzialità positive, anche in una struttura decentrata come quella italiana. È interessante notare che tali potenzialità siano state messe in evidenza nel dibattito anche dalle Regioni.
In primo luogo, si evidenzia la possibilità di disegnare una strategia complessiva nazionale, articolata per priorità di intervento (filiere, territori, imprese, ecc.). Modulare i livelli di supporto in funzione del tipo di aree potrebbe garantire una distribuzione dei finanziamenti più coerente con i bisogni e con l’esigenza di evitare compensazioni eccessive, soprattutto nelle aziende più grandi.
Un piano nazionale, disegnato però con misure flessibili e non rigide, potrebbe garantire una maggiore omogeneità nelle misure, con il vantaggio di eliminare ingiustificate differenze di trattamento tra imprese di regioni confinanti. Inoltre, il Piano potrebbe spingere a riorganizzare l’amministrazione centrale e regionale, soprattutto nella direzione di rafforzare le strutture di coordinamento del Mipaaft e di introdurre un sistema di monitoraggio unitario per 1° e 2° pilastro, che sinora viaggiano separatamente e con indubbi problemi di trasparenza dei flussi finanziari. Del tutto assenti sono piattaforme informatiche in grado rendere accessibile al grande pubblico l’enorme massa di risorse finanziarie che transita attraverso la Pac in Italia, sul modello di Opencoesione per i Fondi strutturali (https://opencoesione.gov.it/it/). Infine, un Piano nazionale dovrebbe spingere ad un maggior confronto tra le regioni per individuare, attraverso uno scambio di esperienze, i modelli di intervento più efficaci.
Gli scenari più probabili: elementi per un programma di lavoro
Appare interessante riflettere sugli scenari più probabili, nel caso che le proposte di regolamento attuale rimangano inalterate nella sostanza. Definire questi scenari ci sembra oltremodo necessario per avviare già nel corso del 2019 la preparazione del Piano nazionale. È evidente, d’altronde, che pur nell’incertezza cha caratterizza questa fase e gli esiti delle elezioni del prossimo Parlamento Europeo, occorre predisporre un programma di lavoro che ci consenta di arrivare preparati alla presentazione della prima bozza di Piano alla Commissione Europea, che secondo la tempistica prevista dovrebbe entrare in fase attuativa nel 2021 (Loriz-Hofmann, 2019).
Con un buon margine di approssimazione, stante la proposta attuale di regolamento sul Piano Strategico, le componenti dello scenario sono le seguenti:
- l’allocazione finanziaria tra i diversi pezzi della Pac sarà concertata a monte tra Stato e Regioni, come premessa per qualsiasi programmazione degli interventi. Naturalmente qui si annida il rischio che, considerata la globale riduzione del budget per l’agricoltura, Stato e Regioni dirottino risorse dal secondo al primo pilastro, in particolare ai pagamenti diretti;
- i pagamenti diretti verranno definiti a livello nazionale, mentre una maggiore attenzione da parte delle regioni sarà data alle misure dentro le Ocm, per la loro possibile sovrapposizione con le misure dello sviluppo rurale;
- le misure dello sviluppo rurale dovranno avere una base comune a tutte le regioni e alcune possibili modulazioni (nei criteri di selezione, nei requisiti, nei beneficiari, ecc.) in funzione di gruppi o cluster di regioni che hanno in comune una strategia precisa. Non propendo quindi per misure uguali per tutte le regioni, ma sicuramente si dovrà trovare nel negoziato una modalità per differenziare tra regioni senza rendere il Piano un elenco infinito di interventi che lo rendono illeggibile e non trasparente.
Qualsiasi sia lo scenario, molti paesi hanno già avviato una serie di attività preparatorie finalizzate a costruire l’analisi dei bisogni. Un’attività analoga dovrebbe partire a livello nazionale con il coinvolgimento dei vari stakeholders del partenariato nazionale e regionale. Un’attività di analisi di scenario più macro, sull’evoluzione delle principali variabili dell’agricoltura e del sistema agro-alimentare, dovrebbe essere affiancata ad una analisi più specifica sulle varie ipotesi di allocazione delle risorse finanziarie tra i due pilastri e tra le diverse misure. Da queste analisi dovrebbe scaturire anche una domanda di valutazione molto mirata ai valutatori dei Psr regionali 2014-20, per capire cosa non ha funzionato e perché nei vari contesti regionali su temi chiave della riforma (es. giovani, filiere, strumenti finanziari, ecc.). Forse questa valutazione, che arriva solitamente in ritardo rispetto alle esigenze della programmazione successiva, dovrebbe essere accelerata e maggiormente coordinata tra le regioni per disporre di risultati comparabili tra loro, perché frutto di un approccio valutativo comune. Il set di questioni comuni imposto dalla Commissione a questo riguardo non appare sufficiente.
Infine, ma non ultimi in ordine di importanza, sono i temi dell’organizzazione interna degli uffici del Ministero e del coordinamento degli organismi pagatori, tra livello nazionale e regionale. Il Piano nazionale richiede la messa a punto di un ufficio di coordinamento del Piano, con risorse umane adeguatamente formate e in grado di guidarne l’architettura, senza che poi questa diventi una somma di interventi scollegati tra loro e disegnati sulla base del passato. Sarà interessante vedere quali nuove impostazioni verranno fuori dai diversi stakeholders, al di là della semplice difesa delle risorse finanziarie e dello statu quo; quali saranno le forze del cambiamento che sosterranno una strategia innovativa in alcuni punti qualificanti. La creazione di un ufficio di coordinamento del Piano è necessaria non solo in funzione della sua messa a punto, ma anche (e soprattutto) in funzione della sua gestione. Qui le esigenze di coordinamento saranno rilevanti e continue: si pensi, ad esempio, solo alle revisioni annuali, che sicuramente si renderanno necessarie per adeguare gli interventi alle mutevoli esigenze del mercato o solo per correggere il tiro se qualche misura non funzionasse come dovrebbe.
Riferimenti bibliografici
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Carles J., Courleux F. (2018), The post-2020 Cap proposals: proposing the lowest common denominator while hoping for a quick agreement is a major strategic mistake that comes down to burying the Cap, Agricultural Strategies, [link]
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Erjavec E., Lovec M., Juvančič L., Šumrada T., Rac I. (2018), The Cap Strategic Plans beyond 2020. Assessing the architecture and governance issues in order to achieve the EU-wide objectives, [link]
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European Court of Auditors (2018), Future of the Cap, Briefing Paper, March 2018, [link]
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Loriz-Hofmann J. (2018), Common Agricultural Policy post-2020. Legislative proposals, [link]
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Matthews A. (2018), Evaluating the legislative basis for the new Cap Strategic Plans, [link]
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Opencoesione, [link]
- 1. Ringrazio in particolare alcuni rappresentanti delle amministrazioni regionali con cui si è sviluppato, nell’ambito di una sessione del Convegno, un dibattito sul nuovo Piano Strategico nazionale per la Pac: Teresa Schipani (Regione Emilia-Romagna), Franco Garofalo (Regione Umbria), Franco Contarin (Regione Veneto), Carmelo Frittitta (Regione Siciliana), Rocco Vittorio Restaino (Regione Basilicata), Emilio Gatto (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali).