Crisi e migrazioni nel Mediterraneo. I casi del Poniente Almeriense e della Piana di Sibari

Crisi e migrazioni nel Mediterraneo. I casi del Poniente Almeriense e della Piana di Sibari
a Università della Calabria, Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica

Introduzione 1

Negli ultimi vent’anni le aree rurali dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo stanno vivendo importanti trasformazioni, in virtù dei processi di intensivizzazione della produzione agricola e di liberalizzazione dei mercati. La crisi dell’agricoltura è da iscrivere in questo contesto di globalizzazione, che si traduce in una crescente dipendenza a monte e a valle del processo di produzione. Al tempo stesso, un ulteriore elemento di forte cambiamento delle aree rurali, è il progressivo emergere della dipendenza del settore agricolo dal lavoro migrante. Questo nuovo fattore appare in modo evidente e preponderante nei paesi del Sud Europa.
I destini delle realtà rurali del Mediterraneo sono tra loro intrecciati, in virtù dei processi di modernizzazione e liberalizzazione, ma anche per la crisi determinata dall’esposizione alla concorrenza internazionale sui mercati e dalle pressioni dei poteri monopolistici dell’agrobusiness, che soffocano piccoli produttori e operai del settore. La provincia di Almerìa in Spagna e la Piana di Sibari in Italia esemplificano, anche se con intensità diversa e quasi in successione temporale, i cambiamenti intercorsi negli ultimi decenni, manifestando i segni di una crisi dai risvolti non solo economici ma anche sociali.

Il Poniente Almeriense

Il contesto della provincia di Almerìa è stato fortemente segnato negli ultimi 30 anni dallo sviluppo impetuoso dell’economia agricola locale. Il cosiddetto “orto d’Europa” è una distesa di oltre 30.000 ettari di serre a ciclo continuo (invernaderos), da cui ogni anno vengono estratti con forza tecnologica circa 3.200.000 tonnellate di ortaggi. Area tra le più depresse della Spagna Almerìa ha sempre registrato il più alto tasso di emigrazione, così come - paradossalmente - oggi rappresenta, una delle province con il più alto tasso di immigrazione del Paese. Nella storia della provincia, le politiche di espropriazione e assegnazione delle terre dell’Istituto Nazionale di Colonizzazione hanno rappresentato il punto di svolta “epocale” (Checa 2003). Progressivamente, la sperimentazione e l’utilizzo di materiali chimici e di tecniche agroindustriali sempre più sofisticate hanno permesso ai pionieri dell’agricoltura intensiva di raddoppiare i tassi di produttività e di rendimento nel giro di pochi anni. Con il boom del miracolo almeriense già sul finire degli anni ‘80 emerge un flusso di immigrazione consistente che rovescia nel giro di pochi anni il saldo migratorio.
Le grandi corporation dell’agrobusiness iniziano a supportare gli agricoltori e nei processi di produzione, attraverso la sperimentazione e la commercializzazione di semi ibridi, volti non alla ricerca di una maggiore qualità organolettica, ma all’aumento della resa e della shelf-life dei prodotti, cioè la maggiore resistenza ai tempi seppur sempre più brevi della distribuzione dai campi alla tavola. Gli alhondigas, quelli che originariamente erano i mercati locali, e le cooperative di produttori si riconfigurano come consorzi per il trattamento, e la commercializzazione dei prodotti, diventando di fatto gli organismi intermedi di connessione tra gli oltre 16.000 piccoli produttori locali e la dozzina di imprese straniere della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) che controllano l’esportazione dell’ortofrutta almeriense, cioè oltre l’80% della produzione: gli agricoltori vengono così inseriti nelle filiere internazionali della distribuzione che impongono i loro diktat su tempistica di consegna, abbattimento dei prezzi, protocolli di qualità, che definiscono in modo dettagliato, la qualità, il colore, la maturazione, perseguendo una sempre più accentuata omologazione dei prodotti. Gli agricoltori diventano progressivamente un tassello incastonato all’interno di un tessuto produttivo glocale, simile ad un distretto industriale (Jiménez Díaz 2008). L’integrazione all’interno delle reti transnazionali della Gdo si traduce nello sviluppo di una rete diffusa e integrata di servizi aggiuntivi ma anche nella perdita totale del controllo della produzione da parte degli agricoltori. L’impossibilità di incidere sui consumi intermedi, su tempistica e modalità di produzione si traduce nel restringimento per gli agricoltori dei propri margini di azione: in questo scenario l’ abbattimento dei costi del lavoro diventa l’unica strategia efficace nelle mani dei produttori. L’inevitabile difficoltà previsionale circa gli esiti dei raccolti, l’estrema oscillazione del fabbisogno di manodopera a seconda delle differenti fasi della produzione, il rispetto di rigidi scadenzari spingono i proprietari degli invernaderos al reclutamento del lavoro migrante, maggiormente disponibile a forme contrattuali informali, sottopagate, intermittenti e precarie. Questa modalità di impiego implica però la necessità della presenza stabile sul territorio di un serbatoio di manodopera di riserva disponibile a lavorare in modo flessibile, anche solo per pochi giorni.
I dispositivi legislativi sempre più repressivi da una parte e la mancanza di controlli nell’area costringono i migranti irregolari a restare nelle campagne intorno agli invernaderos. Malgrado le difficili condizioni di vita, la segregazione razziale e l’intolleranza xenofoba, i flussi migratori continuano fortemente ad interessare e attraversare l’area. Un esempio paradigmatico è il trend migratorio della città di El Ejido: nonostante le violenze a sfondo razziale che colpirono e terrorizzarono la popolazione migrante nel febbraio del 2000, il flusso migratorio non solo non si è mai arrestato ma è cresciuto in modo sempre più esponenziale. Se all’epoca della “cacciata dei mori”, i migranti formalmente residenti nel comune erano 4.238, nel 2002 la popolazione migrante era già raddoppiata, fino ad arrivare ai 24.789 migranti residenti nel 2008. Questa massiccia presenza di migranti nell’area permette agli agricoltori di strappare salari sempre più esigui e condizioni sempre più dure di lavoro. Nel corso degli anni si è determinata una divaricazione sempre più crescente tra i salari formali – circa 50 euro per 6 ore e mezza di lavoro – e i salari reali che ormai tendono a livellarsi verso il basso – 30 euro o meno pagati per 8-9 ore di lavoro.

La Piana di Sibari

La Piana di Sibari, a partire dal secondo dopoguerra conosce un periodo di intenso rinnovamento economico-sociale e infrastrutturale, che ne ha fatto una tra le zone più prospere della Calabria e dell'intero Mezzogiorno, in virtù dell’opera di bonifica del territorio, attraverso l'Opera Sila, della parziale riforma agraria e dell'affermarsi della piccola e media proprietà contadina. Trasformazioni che hanno dato vita a un’importante attività agricola, favorendo anche l’immigrazione dalle montagne circostanti e frenando l’emigrazione. Soprattutto negli anni ’80 e ’90, si realizzano importanti processi di modernizzazione. L’intensificazione della produzione, la partecipazione sui mercati nazionali ed internazionali e il graduale ritiro della manodopera locale hanno creato gli spazi per l’inserimento di lavoratori migranti.
Lo sviluppo della Piana di Sibari e del comparto agricolo è stato reso possibile da esperienze imprenditoriali di successo e dalla creazione di associazioni di produttori e cooperative di servizi che hanno determinato significativi processi di modernizzazione. Il comparto delle clementine è stato esempio di innovazione e produttività, in virtù dell’adozione di tecniche produttive innovative, del miglioramento della qualità dei prodotti e quindi dell’inserimento nelle importanti reti commerciali nazionali e internazionali (Cavazzani e Sivini 1997).
La formazione delle filiere è stata fortemente condizionata dall’azione delle politiche comunitarie che nel periodo 2000-2006 hanno promosso la realizzazione di numerosi Progetti Integrati di Filiera (Pif). Tuttavia, le imprese appartenenti alle filiere rappresentano meno del 50% del sistema produttivo agricolo della provincia di Cosenza. La filiera delle clementine (pari al 60% della produzione nazionale) è quella più completa, ma presenta ancora alcune criticità, nell’ottica della integrazione e competitività. Solo il 20% della produzione di clementine ha un sistema di commercializzazione integrato; il 70% è in mano a commercianti non organizzati (Alfano e Cersosimo 2009).
La ricerca di manodopera e la diffusione rilevante del lavoro sommerso sono ulteriori vincoli con cui il comparto deve confrontarsi. L’evoluzione della filiera appare condizionata dai rapporti con la Gdo, che stimola di continuo lo sviluppo di nuove e diversificate varietà del prodotto e strategie di aggregazione fra le imprese ma impone vincoli di standardizzazione stringenti. La piccola dimensione delle imprese locali appare essere un fattore importante all’interno di dinamiche di mercato fortemente controllate dagli intermediari commerciali. Gli imprenditori agricoli lamentano poi la mancanza di ricerca e di innovazione, di quel rinnovamento colturale che permette soprattutto l’allungamento dei periodi di raccolta. Tale rinnovamento in passato ha sostenuto lo sviluppo dell’agricoltura della Piana, negli ultimi anni ha caratterizzato la competitività della Spagna e adesso interessa il Marocco, nuovo concorrente sui mercati.
Nella raccolta degli agrumi, accanto al bracciantato locale, sono sempre più impiegati lavoratori migranti. Ciò che caratterizza questi ultimi è la forte mobilità territoriale (tra le diverse regioni del Sud, come pure tra Nord e Sud), ma anche professionale (per esempio alternando il lavoro agricolo al commercio ambulante, nel caso dei maghrebini, o al lavoro edile, nel caso dei rumeni). I gruppi predominanti vengono dal Maghreb e dall’Est Europa. Le organizzazioni di categoria degli agricoltori hanno stimato il numero di migranti presenti nei mesi invernali in circa 12.000 unità. Tuttavia sono poco più della metà (7.654) gli stranieri regolarmente iscritti alle anagrafi comunali, anche se tra il 2008 e il 2009 si è registrato un aumento del 20,18%, aumento che ha interessato soprattutto i centri urbani situati lungo la costa ionica. I nuovi ingressi comunitari hanno prodotto differenze nel trattamento retributivo: i lavoratori africani percepiscono mediamente 20-25 euro al giorno, quelli dell’est Europa anche fino a 35 euro, mentre gli autoctoni circa 40 euro.
L’esternalizzazione delle operazioni di raccolta e commercializzazione permette una maggiore flessibilità del lavoro, una gestione semplificata ed anche l’acquisizione fraudolenta di benefici previdenziali. Il contesto agricolo della Piana di Sibari ha una struttura di distretto che potrebbe dirsi estesa, in virtù dei collegamenti reticolari che permettono la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione e la trasformazione di frutta e verdura, ma soprattutto per le propaggini create dalle migrazioni. Il distretto sembra evolvere verso filiere, clusters e piattaforme produttive spazialmente molto più sfumate e articolate del passato. I vantaggi competitivi appaiono ora derivare più dall’efficienza e dall’efficacia delle catene produttive lunghe, di legami funzionali con altri contesti, dal perseguimento di assetti produttivi e di mercato meno radicati ai contesti di localizzazione originari.

Conclusioni

Come in altri settori produttivi, la delocalizzazione della produzione agricola si sta progressivamente affermando. L’accordo commerciale UE-Marocco ratificato dal Parlamento Europeo nella seduta del 15 febbraio del 2012 rappresenta un importante punto di svolta. L’accordo e il conseguente aumento quantitativo delle quote di immissione rientrano all’interno di un più vasto progetto strategico di riorganizzazione e delocalizzazione del settore agroalimentare europeo.
Tuttavia, nonostante la crisi che investe i paesi dell’Europa meridionale le migrazioni continuano a riprodursi. Oltre al tradizionale ruolo di primo approdo e di transito per i migranti in arrivo, oltre ai processi di progressivo insediamento permanente, nelle aree agricole dell’Europa meridionale si registrano massicci flussi di ritorno dei migranti dal nord e dalle aree urbane (Pugliese 2012). Vittime privilegiate della crisi economica, i migranti – perdendo con il lavoro anche il permesso di soggiorno – prediligono la retrocessione temporanea in queste aree che possono garantire opportunità lavorative, abitative e relazionali anche per i migranti irregolari. I percorsi migratori di retrocessione, il pendolarismo mettono in discussione la dimensione univoca e uniforme delle traiettorie migratorie. I cicli di sostituzione etnica e la stratificazione gerarchica fra gruppi nazionali di migranti e lavoratori autoctoni evidenziano la continua ristrutturazione e la crescente complessità del sistema occupazionale nelle aree rurali.
Nel rapporto tra agricoltura e migrazioni, in Calabria così come nel contesto almeriense, ma anche nei campi di produzione delle fragole di Huelva o nelle campagne foggiane per la raccolta del pomodoro, ci troviamo davanti ad un sistema integrato che coinvolge diversi soggetti sociali legati tra loro da interessi comuni e che partecipano alla sua riproduzione: un complesso coerente di prassi e pratiche, legali e illegali, che reggono il modello economico. In questo contesto emerge l'atteggiamento ambiguo del sistema istituzionale, che da una parte formula politiche sempre più restrittive e dall'altra tollera il massiccio sfruttamento degli stranieri nelle produzioni agricole perché necessario al sostentamento delle economie locali.

Riferimenti bibliografici

  • Alfano F., Cersosimo D. (2009), Imprese agricole e sviluppo locale. Un percorso di analisi territoriale, Gruppo 2013, Edizioni Tellus, Roma [link]

  • Cavazzani A., Sivini G. (1997), Dolci clementine. Innovazioni e problemi di una agrumicoltura sviluppata. La Piana di Sibari, Rubbettino, Soveria Mannelli

  • Checa F. (2003), Factores endógenos y exógenos para la integración social de los inmigrados en Almería. In Checa F., A. Arjona A., Checa J.C. (a cura), La integración social de los inmigrados. Modelos y experiencias. Barcelona: Icaria

  • Jiménez Díaz J. F. (2008), Estudio de caso del Poniente almeriense: Glocalización de la horticultura, Revista de Sociología, n. 90

  • Pugliese E. (2012), Diritti Violati. Indagine sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in aree rurali del Sud Italia e sulle violazioni dei loro diritti umani e sociali, Dedalus Cooperativa Sociale [link]

  • 1. Quest’articolo riporta alcuni risultati del progetto Prin 2008 Strategie innovative dei produttori agricoli tra sicurezza e sovranità alimentare, coordinatore scientifico Annamaria Vitale, Università della Calabria (protocollo 2008LY7BJJ_001), e riprende i contenuti del paper presentato dagli autori al XIII World Congress of Rural Sociology tenutosi a Lisbona nell’Agosto 2012, all’interno del WG 57 Global crisis, contested politics and emerging paradigms in rural Mediterranean.
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