Introduzione
Da quando nel 2004 per la prima volta il Comitato Economico e Sociale Europeo ha sollevato il tema in un rapporto sulla grande distribuzione (vedasi riquadro in Tabella 1) le tensioni lungo la filiera alimentare in Europa hanno assunto dimensioni che non permettono più di negare o anche solo di ritardare una azione incisiva. Descrivono la situazione sul campo prassi commerciali scorrette, ritardi nei pagamenti, imposizione della forza contrattuale sotto la minaccia del de-listing dei fornitori, insieme ad una competizione orizzontale sempre più fiera tra colossi del retail. Tale scenario evolutivo ha mutato lo stesso ruolo che l’industria alimentare aveva nel tempo verso la produzione primaria agricola. Non è un caso se in questa partita l’industria alimentare (almeno le Pmi) è sempre più partner, con interessi condivisi, rispetto agli agricoltori nel tentativo di ridare equità ad un sistema di relazioni ormai insostenibile in primis economicamente. Se la Commissione Europea ha deciso di iniziare a supportare una iniziativa pubblico-privata in prima battuta volontaria, l’High Level Forum (Hlf sul funzionamento della Filiera Alimentare - ormai attivo dal 2009 (vedi Tabella 1 per lo sviluppo delle fasi), il Parlamento Europeo, da par suo, ha continuato a farsi sentire con un insieme di relazioni molto accese e che chiedono a gran voce alla Commissione di legiferare in materia.
Tabella 1 - Azioni istituzionali UE circa la filiera alimentare negli ultimi anni-
Senza entrare nel dettaglio di queste relazioni, basti qui rammentare che se nel 2002 Tim Lang descriveva e preconizzava le guerre del cibo tra player della filiera (“Food Wars”), tale previsione sembra essere arrivata ad un punto di forte e condivisa consapevolezza. Molti dei temi presenti sono effettivamente non solo divenuti parte centrale del dibatto attuale, ma se così si può dire, giunti a un punto di non ritorno.
Il Forum di Alto Livello sul Funzionamento della Filiera Alimentare, entro uno dei suoi 3 gruppi (quello sulle relazioni commerciali Business To Business) ha provato, tramite un lavoro volontario e su base consensuale tra gli stakeholder rappresentativi della filiera alimentare europea, a stabilire una lista di prassi commerciali scorrette e un codice di esempi positivi da seguire (partendo dalle raccomandazioni di Bovè (2010), vedi Tabella 1). Al fine di dare efficacia a tali prescrizioni, il gruppo ha poi immaginato un vero e proprio modello di governance delle relazioni di filiera, al fine di garantire un adeguata applicazione (o enforcement) alle buoni prassi commerciali, sanzionando semmai quelle scorrette.
In tale percorso, Boerenbond Belgio, Coldiretti e National Farmers’Union UK –membri del gruppo di lavoro Food Chain e con il supporto del British Institue of International and Comparative Law (Biilc) hanno prodotto una rassegna comparativa di analoghi e precedenti modelli di enforcement (Stefanelli e Marsden, 2012) a livello di Stati membri (Marzo 2012). L’obiettivo è di dare spunti sia all’Hlf sia alla Commissione Europea al fine di garantire un buon funzionamento degli accordi puramente volontari e senza perciò prevedere il ricorso esclusivo a strumenti di “hard law”, ma puntando anche sulla volontà condivisa dei partner commerciali di trovare una soluzione inter pares e basata sulla equa contrattazione tra le parti.
Le proposte tratte dall’analisi comparativa sono preziose e permettono di andare oltre l’attuale approccio di competition law a livello europeo, laddove i consumatori finali sono gli unici destinatari dei benefici di un grado desiderabile di concorrenza (Direttiva “Business –To-Consumers”- o B2C-, Direttiva CE 2005/29).
Con il presente articolo si intende presentare una rapida rassegna dei casi nazionali indagati, delle strade di enforcement seguite (hard law o soft law) e dei riferimenti giuridici impiegati (contract law o invece competition law).
In un contesto UE non ancora armonizzato, verificare come le autorità nazionali per la concorrenza abbiano messo in atto tali modelli di buone prassi commerciali per tutelare le PMI dallo strapotere della Grande Distribuzione, garantisce una sufficiente ricchezza di spunti su aspetti replicabili altrove o ad un livello superiore di policy making.
Metodo
L'analisi comparata in campo politico ed istituzionale è un ambito di riflessione che partendo per lo più da studi sociologici e interculturali, ha fatto della capacità di coniugare i dati qualitativi e quantitativi in modo flessibile un suo punto di forza. Per contro, i suoi limiti emergono quando la mancanza di comparabilità rigorosa, la quantità di variabili considerate, la difficoltà a fare inferenze diventano prevalenti, rendono difficile andare oltre un lavoro descrittivo e ipotetico. All'interno della UE, il valore degli studi comparativi si delinea in particolare per quanto riguarda gli aspetti non ancora regolati nell'ambito di un quadro comune (vale a dire, regolamenti o direttive), lasciando aperte opzioni di armonizzazione delle legislazioni nazionali e del relativo contesto istituzionale. D'altra parte, gli studi comparativi in chiave macroeconomica sono al centro dell’attenzione, almeno da quando il Trattato di Maastricht ha imposto le stesse misure di stabilità finanziaria per tutti i paesi dell'UE. Il benchmarking sulle migliori pratiche permette di imparare da altri Paesi e sembra sempre più una opzione utile in quanto la Commissione europea ha istituito diversi programmi su vasta scala, osservatori e reti per monitorare e riferire sugli sviluppi economici e sociali negli Stati membri.
"Uno studio è ritenuto transnazionale e comparativo, quando intende esaminare gli individui o gruppi: (a) circa particolari questioni o fenomeni; (b) in due o più paesi; (c), con l'esplicita intenzione di confrontare le loro manifestazioni in diverse impostazioni socio-culturali (istituzioni, costumi, tradizioni, sistemi di valori, stili di vita, linguaggio, modelli di pensiero), utilizzando gli stessi strumenti di ricerca sia per effettuare analisi secondarie dei dati nazionali, sia per condurre nuovi lavori empirici. L'obiettivo potrebbe essere quello di cercare spiegazioni per analogie e differenze, per generalizzare da essi o di acquisire una maggiore consapevolezza e una più profonda comprensione della realtà sociale in diversi contesti nazionali (Hantrais, 1995). Entro l’indagine comparativa del Biilc, sono stati analizzati 17 casi nazionali di cui 2 non UE (Norvegia e Argentina), nonché altri modelli volontari simili in ambito non-food. Le domande chiave, cui lo studio ha cercato di rispondere, sono:
1. Cosa hanno fatto gli Stati membri per risolvere il problema delle prassi commerciali scorrette lungo la filiera alimentare?
2. E’ possibile avere un unico “schema” europeo in tal senso e di natura volontaria, come richiamato dalla Commissione (2009) e dal Parlamento europeo (Bovè 2010, Bovè 2012)?
3. Che livello di regolazione della disputa è in atto? Il focus è sul correggere distorsioni “intrinseche” del mercato nel suo insieme o, invece, regolare le prassi di singoli player contraenti-(contract/competition law)? E questo è fatto con strumenti vincolanti o volontari (hard law/soft law)?
Si può intanto affermare che ben 8 Stati su 15 stanno regolamentando attivamente il tema: 5 tramite hard law, 3 tramite soft law; 5 con competition law, 11 con contract law.
Circa le definizioni, possiamo considerare come (Tabella 2):
Tabella 2 - Profili giuridici e di enforcement del quadro della concorrenza in Europa
Risultati
Nella figura 1, si sintetizza come i diversi paesi indagati dal Rapporto Biilc sembrano disporsi rispetto alle coordinate in oggetto.
Figura 1 - Paesi Europei e collocazione rispetto ad aspetti indagati- Fonte: rielaborazione su Indagine Biilc
Sebbene ci siano anche casi ibridi che è difficile posizionare, in ragione della presenza di combinazioni spurie degli elementi, quel che interessa osservare è come non vi sia un modello in assoluto prevalente. In tal senso, può essere utile una breve rassegna dei casi di Belgio, Germania, Francia, Regno Unito, ciascuno dei quali presenta aspetti importanti che idealmente possono essere “distillati” in una formula vincente di governance delle relazioni di filiera. Rileva sottolineare inoltre il continuum lungo il quale si dispongono i diversi casi nazionali, a partire dalla soft law fino alla hard law (Tabella 3).
Tabella 3 - I casi nazionali, tra soft e hard law Fonte: Ns. elaborazione da Stefanelli & Marsden (2012)
Belgio
Il modello belga adotta un approccio decisamente soft. La presenza di una forte spinta etica condivisa, e racchiusa in 9 raccomandazioni ad alta sensibilità sociale (incluse alcune di tipo ambientale); la presenza di un mercato relativamente ridotto e con reciproca conoscenza degli attori (225 imprese arrivano a coprire il 70-85% del mercato); il principio di governo “adeguati alle raccomandazioni o spiega perché non lo hai fatto”, insieme a un comitato centrale degli stakeholder e alla “gogna mediatica” per chi contravviene alle regole (ovvero, pubblicazione su giornali di coloro che hanno contravvenuto alle regole), hanno dato ad oggi un risultato positivo (stando agli agricoltori, parte sensibile in causa).
Germania
Quello tedesco rappresenta l’unico caso di successo nell’adozione di un approccio che ricade entro la competition law. Normativamente, infatti, tramite l’Atto contro la concorrenza iniqua sono proibite le prassi commerciali che recano danno ai competitor (aspetto B2B), o anche ai consumatori (B2C), rappresentando un avanzamento rispetto al tradizionale approccio a tutela solo dei consumatori (derivante dalla Direttiva CE 2005/29). Le autorità tedesche hanno deciso di andare oltre.
Un’altra opzione presente in Germania deriva dall’ Atto contro la limitazione della Concorrenza, con cui si proibisce ai contraenti con un maggiore potere di mercato rispetto alla controparte negoziale di usare la propria posizione per recare iniquamente danno -direttamente o indirettamente- alle Pmi. L’onere della prova è a carico del contraente più forte, che deve dimostrare di aver seguito una condotta corretta. L’iniziativa può essere presa o da privati o direttamente dal Bundeskartellamt, l’Antitrust tedesca.
Entro il rapporto Biilc (Stefanelli e Marsden, 2012), il Bundeskartellamt considera come la protezione fornita dagli Atti citati sia sufficiente a proteggere l’interesse dei fornitori o comunque della parte più debole.
Francia
In Francia, oltre alla Commissione di Esperti sulle Prassi Commerciali -strumento di soft law che dirime le controversie sulla base del parere di esperti (un foro consultivo per interpretare la legge, soprattutto in casi minori)-, vi sono due meccanismi di hard law. Intanto, il Ministero dell’ Economia tramite un monitoraggio attivo direttamente, ma anche su richiesta dei privati, sotto il Codice di Commercio Francese, può irrogare multe fino a 2 milioni di euro ad attori economici nel caso tentino di “ottenere vantaggi altamente ingiustificati” e di “significativi squilibri nei diritti e negli obblighi delle parti”.
In secondo luogo, l’Antitrust francese, qualora altre iniziative abbiano fallito in precedenza, può ordinare una “ingiunzione strutturale” ovvero la dismissione di asset industriali per bilanciare la concorrenza. Tale strumento può essere utilizzato sia nel caso più classico di abuso di posizione dominante, che nella fattispecie dell’abuso di dipendenza economica. In tal senso copre uno spettro abbastanza ampio di situazioni. Nei primi mesi del 2012 è stato utilizzato contro il gruppo retail Casino, in ragione di una quota di mercato superiore al 60%.
Regno Unito
Il Groceries Supply Code of Practices (Gscop), ispirandosi ad alcuni aspetti dell’empirismo di stampo anglosassone, si appoggia al principio di fair dealing, ripreso recentemente a livello europeo entro la Common European Sales Law (2011). E’ un modello ibrido in quando si ispira alla contract law, ma prevedendo che gli aspetti contrattuali si applichino a chi superi certe soglie dimensionali (aspetto questo invece tipico della competition law).
Il GSCOP si applica ai retailer con oltre un miliardo di sterline di forniture fatturate dal Regno Unito. Tra gli obblighi che impone: di incorporare i principi di buone prassi commerciali negli accordi, accordi scritti, il divieto di cambiamenti retroattivi nei contratti, di delisting dei fornitori non giustificato, di richiesta di copertura dei costi di marketing, di copertura dei costi sprechi prevendita, di copertura dei costi promozionali, di formare personale aziendale sul Gscop in modo da creare cultura e sensibilità, di nominare un funzionario aziendale che si occupi dell’implementazione del Codice, di riferirsi ad un ombudsman in caso di arbitrato.
Tali regole sono monitorate da un Ufficio per l’Equa Commercializzazione (Office for Fair Trading, Oft, che agisce anche come Authority antitrust e per la tutela dei consumatori.
Questo modello prende il via nel 2010, mentre quello precedente (2001) è stato abbandonato in quanto includeva un numero troppo limitato di retailer, non aveva meccanismi di risoluzione vincolante delle dispute, non assicurava l’anonimato dei fornitori che vi facessero ricorso. Sebbene sia ancora presto per giudicare se abbia funzionato, vi sono segnali positivi che derivano dall’unire aspetti soft e culturali, con aspetti hard (un monitoraggio da parte dell’ Office of Fair Trading, obblighi strutturali, la possibilità -tuttora in discussione- di comminare sanzioni finanziarie…). In particolare, l’aspetto che nel corso del tempo è costantemente sviluppato riguarda la sorveglianza e l’enforcement dell’applicazione di tale codice. Dal 2013 il Codice verrà assegnato alla supervisione del Groceries Code Adjudicator (Gca), in fase di nomina nell’autunno 2012. La legge per creare la figura del Gca è attualmente presso le Camere del Parlamento inglese. Tale soggetto prenderà posto entro la nuova Competition and Markets Authority, che va a sostituire l’attuale Oft.
Tra i poteri del Gca, dirimere questioni e dispute tra fornitori e retail nello spirito autentico del Codice, e fornire una interpretazione veritiera dello stesso in caso di stallo negoziale. Inoltre il Gca potrà intraprendere indagini conoscitive in relazione ad abusi circa il dettato del Codice. Tali poteri permetteranno un ampio raggio di azione al Gca, che rimarrà comunque un soggetto indipendente.
Discussione
Attualmente, nessuno Stato membro dell’UE adotta meccanismi che sono risultati pienamente efficaci nel risolvere problemi connessi a cattive prassi commerciali lungo la filiera alimentare. Per lo più, si tratta allora di guardare a quei paesi che -con più esperienza alle spalle-, hanno intrapreso un percorso a tutela degli anelli deboli della filiera; e cercare di distillare gli elementi migliori in chiave comparativa.
Appoggiarsi unicamente alla competition law (abuso di posizione dominante, abuso di dipendenza economica) come quadro legale di riferimento presenta problemi, in quanto passa per le definizioni di “mercato rilevante” e di “soglie dimensionali”: sempre aleatorie e incapaci di leggere nuove dinamiche commerciali che rimodellano i contorni del market power. Inoltre, le risorse da mettere in campo per un controllo effettivo (monitoraggio diretto da parte dell’ente preposto alla vigilanza) possono essere troppo elevate. La stessa definizione incerta, assente o appoggiata alle diverse prassi delle authority nazionali di “abuso di dipendenza economica” non fornisce sufficienti garanzie.
Per contro, la contract law da sola non sembra in grado di risolvere il clima di paura e ritorsioni dei partner commerciali, soprattutto quando l’anonimato fatica a essere garantito anche per condizioni specifiche del mercato ed è poco adatta per risolvere il problema nella sua portata più “politica” e generale, mentre può esser talvolta utile per facilitare singole relazioni commerciali. L’Italia è recentemente passata ad un approccio più “hard”, con l’art. 62 del decreto Liberalizzazioni. Tuttavia sulla reale portata operativa del decreto sono stati espressi dubbi (Albisinni, 2012), in ragione anche della mancanza -entro il decreto attuativo- di norme agevolate per gli agricoltori e le loro prassi di conferimento, anche se è previsto un periodo di deroga iniziale. Rispetto invece ai vantaggi chiaramente identificabili per le grandi corporation dell’alimentare. Lo stesso elenco delle pratiche commerciali sleali, contenuto nell’Allegato, sembra poco operativo e necessita di un evidente lavoro interpretativo e di applicazione da parte degli organi competenti. Tuttavia sono poste le basi per aspetti certi circa i tempi di pagamento e specifiche di conferimento ben definite entro contratti per iscritto, promettenti per ridare equilibrio alla filiera. Tra le raccomandazioni finali che il gruppo Food Chain Copa Cogeca ha infine rivolto a varie Direzioni della Commissione Europea (Concorrenza, Mercato Interno, Impresa) intanto un mix di approcci soft e hard.
Tra gli elementi che sulla base delle conclusioni del Biilc vanno considerati a tutti gli effetti come best practices: a) standard commerciali fondati sul fair dealing tra fornitori e retailer (basati e ispirati da equità, legalità e buona fede, ad esempio nella ragionevole determinazione di un prezzo); b) la presenza di uno strumento vincolante che regoli la condotta tramite, ad esempio, l’obbligo di cambiare la struttura del business (ingiunzione strutturale); c) un quadro per gestire le differenze tra potere contrattuale dei partner;d) la creazione di apposito ombudsman (giudice di pace) o arbitro; e) la pubblicazione periodica di report sul settore alimentare per identificare buone e cattive prassi; f) la presenza di indagini direttamente; g) un meccanismo per garantire segnalazioni anonime verso i player commerciali più forti che infrangono le regole del gioco; h) la possibilità di sanzioni pesanti, es. finanziarie, affidandosi non solo alla moral suasion; i) la possibilità di procedure “di ripristino”, con cui chi non ha rispettato le regole si impegna a rientrare volontariamente nei limiti del codice di buona prassi.
Conclusioni
Da un punto di vista istituzionale, la posta ora in gioco è alta. Il processo è al momento congelato, in quanto Copa Cogeca e Clitravi (Associazione Europea dell’Industria di trasformazione della carne) si sono ritirati dal tentativo di accordo dopo che gli spunti suggeriti – e tratti da un quadro riepilogativo dei fattori di successo come derivati dalla analisi Biilc - non sono stati tenuti in adeguata considerazione dal retail. I dubbi del Copa Cogeca sono recentemente diventati anche i dubbi della Commissione Europea, con una lettera della DG Industria che si rammarica dell’uscita degli agricoltori dal processo (Eu Food policy, n.121). La Commissione invita pertanto le rimanenti organizzazioni della Piattaforma a dare risposte ad alcuni dubbi, di fatto gli stessi avanzati dagli agricoltori, relativamente a:
- chi sceglie la modalità di risoluzione della controversia in caso di parere diverso tra fornitore e acquirente;
- la necessità misure più serie per garantire l'anonimato di chi ricorre, e impedire le ritorsioni da parte del partner commerciale più forte;
- la necessaria presenza di sanzioni, che devono essere credibili e dissuasive; - i tempi per la realizzazione, che vanno resi più celeri;
- gli indicatori di successo o fallimento dell'iniziativa, che vanno indicati puntualmente.
La pausa estiva non aiuta a fare chiarezza, ma oltre ai dubbi della Commissione Europea vi sono anche quelli dell'industria alimentare, mai così divisa tra piccole e medie imprese - che vorrebbero uscire da un accordo giudicato troppo blando- e le grandi multinazionali, che avendo ancora un buon potere negoziale verso la Grande Distribuzione, in ragione di prodotti “must have”, se la possono cavare senza troppi danni. Altri gruppi di stakeholder europei stanno aspettando segnali dalla Commissione per decidere se appoggiare l'iniziativa (Eurocoop -cooperative dei consumatori- e l'European Retail RoundTable – Errt - che raccoglie i maggiori retailer del Regno Unito). Entro il 1° ottobre 2012 la Direzione Generale Industria si attende che il Gruppo di Alto Livello inserisca nel suo Codice Volontario di Buone Prassi gli elementi di governance necessari per renderlo realmente funzionante, e che coincidono con quanto richiesto da Copa Cogeca. Si vedrà allora se e come tale strumento possa effettivamente rispondere agli obiettivi indicati.
Le alternative, sono costituite da iniziative legislative europee nel senso di un Regolamento o di una Direttiva B2B. O infine da un coordinamento delle Antitrust europee per estendere lo scopo della Direttiva sulle Unfair Commercial Practiecs al B2B, secondo l’esempio tedesco, e appoggiandosi alle disposizioni degli art. 115 e 116 del Tfue (a garanzia del buon funzionamento del mercato interno, con una azione congiunta del Consiglio e del Parlamento Europeo) (European Competition Network, 2012).
Intanto, in Europa i consumatori sembrano fare prove di alleanza con gli agricoltori: il rapporto appena uscito di Consumers International (2012) sembra porre fine all’ alleanza implicita e di lungo corso tra retail britannico e consumatori: retta dallo scambio tra prezzi bassi da un lato e divieto di critica dall’altro. Si comincia a capire che prezzi troppo bassi alla lunga possono minacciare la sopravvivenza della filiera stessa.
Riferimenti bibliografici
-
Albisinni, F. (2012) La nuova disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (o alimentari?) in “Crisi economica e manovra di stabilizzazione. Quali effetti per l’agroalimentare? Gruppo 2013 Quaderni. [pdf]
-
Commissione Regulation, Guidelines on Market Analysis and the Assessment of Significant Market Power, 2002 O.J. (C165) 6, 14-15
-
Consumers International (2012) The relationship between supermarkets and suppliers: what are the implications for consumers? [link]
-
Eu Food policy, n.121 Commission raises questions over “fair supply chain” deal
-
European Commission (2011), Common European Sales Law [link]
-
European Commission, Enterprise and Industry Directorate General. High Level Forum for a better functioning of the food supply chain. Draft Minutes of the 6th meeting of the experts platform on B2B contractual practices in the food supply chain held in Brussels on 4 July 2012
-
European Commission, Enterprise and Industry Directorate General. Note to the core group of the expert platform on B2B contractual practices. Implementation of the principles of Good Practices, Ares (2012)890731- 20/07/2012
-
European Commission, (2003) Reg. 1/2003 [link]
-
European Competition Network (2012) Report on competition law enforcement and market monitoring activities by European competition authorities in the food sector [pdf]
-
Hantrais, L. (1995) Social Research Updates, Issue 13, Hantrais, L. and Mangen, S. Cross-National Research Methods in the Social Sciences, London/New York: Pinter
-
Hausman, J.A., Sidak, J.G.(2007) Evaluating Market Power using competitive benchmark prices instead of the Herfindal-Hirschman Index. Antitrust Law Journal No.2
-
Lang, T. (2004) Food wars. City University Press, London
-
Stefanelli, J., Marsden, P. (2012) Models of Enforcement in Europe for Relations in the Food Supply Chain. British Institute of International and Comparative
- 1. Coldiretti ha partecipato al drafting con suggerimenti circostanziati sulla concorrenza. In particolare, chiedendo una revisione dell’uso dell’Hhi (Herfindal Hirschman Index) per valutare l’abuso di posizione dominante: in mercati regionali o sub-nazionali, infatti, diventa facile essere dominanti in senso non classico, con quote di mercato molto inferiori rispetto a quelle necessarie per definire la fattispecie di posizione dominante. I limiti di un approccio basato sulla concorrenza sono poi quelli di essere riferiti alle condizioni e al funzionamento di un mercato, con difficoltà a individuare puntuali prassi commerciali inique.
- 2. Riprendendo una lista stilata da Copa Cogeca.
- 3. Va notato come entro il Tfue non sia prevista la fattispecie di “abuso di dipendenza economica” che invece può essere applicata a livello nazionale dalle Antitrust, come fatto ad esempio da alcuni paesi (Germania e anche Italia). La Commissione europea ha riconosciuto agli Stati membri (Reg. 1/2003 CE) la possibilità di andare oltre l’art. 102 del Tfue, in senso restrittivo e comprendendo quindi l’abuso di dipendenza economica.
- 4. Commissione Regulation, Guidelines on Market Analysis and the Assessment of Significant Market Power, 2002 O.J. (C165) 6, 14-15