Tra produttività e sostenibilità ambientale. L’impronta carbonica nel campione Rica lombardo

Tra produttività e sostenibilità ambientale. L’impronta carbonica nel campione Rica lombardo
a Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

Introduzione

La sfida più importante che l’agricoltura europea dovrà affrontare nei prossimi decenni è come aumentare la produzione per rispondere alla forte crescita della domanda alimentare mondiale, preservando le risorse naturali e l’ambiente, ovvero ottenere una “intensificazione sostenibile” della produzione agricola. La relazione tra produttività e sostenibilità ambientale diviene quindi particolarmente rilevante, anche in una prospettiva di policy (Fuglie et al., 2016), soprattutto a livello comunitario, dove, proprio con l’obiettivo di sostenere questa sfida, è stato avviato nel 2012, il partenariato per l’innovazione per la produttività e la sostenibilità in agricoltura (Eip-Agri) (Commissione Europea, 2012). Per raggiungere questo ambizioso obiettivo di policy, appare rilevante capire se esiste e come si configura la relazione tra la performance produttiva e ambientale dell’agricoltura. Natura e entità di questa relazione sono, tuttavia, tutt’altro che scontate e i contributi empirici sul tema con dati micro (cioè a livello di unità produttive agricole) ancora piuttosto sporadici (cfr. Serra et al., 2014; Guesmi e Serra, 2014; Cui et al., 2016). Una ricca letteratura si è dedicata a produrre evidenze su tale relazione impiegando, però, dati raccolti ad un qualche livello di aggregazione (regione, se non persino paese). Tali evidenze, tuttavia, risultano di limitata utilità tenendo conto delle complesse dinamiche che legano il settore agricolo alle risorse naturali e della conseguente forte eterogeneità che da questo punto di vista si riscontra tra singole imprese agricole. Di fatto, il dato aggregato può “mascherate” rilevanti differenze tra comparti, territori e tipologie di imprese in termini di produttività, di sostenibilità ambientale e, di conseguenza, del legame tra le due. Solo un’adeguata analisi con dati micro può davvero consentire una verifica della relazione tra questi due profili di performance. Ma proprio il ricorso ai dati aziendali solleva problemi di natura metodologica considerati fin qui insormontabili.
Il principale obiettivo del presente contributo è valutare se esiste e di che tipo è la relazione che intercorre tra perfomance ambientali e produttività a livello di singola azienda agricola. In particolare, la perfomance ambientale oggetto di indagine sono le emissioni di gas climalteranti sintetizzate dall’indicatore Impronta Carbonica (IC). La produttività, invece, viene misurata mediante un indicatore complessivo noto come Produttività Totale di Fattori (Total Factor Productivity-Tfp). Nonostante l’ampia letteratura esistente sulla corretta misurazione di tali indicatori, l’applicazione a livello di dati micro è resa ardua dalla complessità di queste misure e dalla carenza di dettagliate informazioni a livello aziendale che spesso costringono ad assunzioni omologanti che, pertanto, riducono artificiosamente l’eterogeneità tra unità produttive.
Allo scopo, viene ricostruito un dataset con informazioni dettagliate delle aziende agricole facenti parte della Rete di Informazione Contabile Agricola (Rica) della Lombardia. Si considera il campione costante osservato nel periodo 2008-2013 e nel quale vengono raccolte ed elaborate tutte le informazioni necessarie al calcolo di IC e Tfp a livello di singola azienda. La scelta della regione Lombardia è dettata non solo dall’ampia numerosità, ma anche dalle tipologie aziendali che in essa si riscontrano, interessanti soprattutto con riferimento al calcolo dell’IC (ovvero le numerose imprese risicole, nonché le imprese zootecniche sia intensive che estensive). L’obiettivo, una volta tarato il metodo e verificata la bontà dei risultati nel caso lombardo, è quello di estendere l’analisi a tutto il campione costante Rica italiano e alla sua molto maggiore varietà di condizioni e di perfomance.
I risultati presentati in questo contributo, avvalorano l’ipotesi dell’esistenza di una relazione tra intensità di emissioni di gas serra e produttività totale dei fattori a livello aziendale. Tuttavia, tale relazione sembra essere piuttosto complessa, variando sia di intensità tra le diverse dimensioni aziendali, che di segno (da positiva a negativa) all’interno di una stessa classe dimensionale aziendale. Questa complessità sembra avere rilevanti implicazioni di policy, in particolare con riferimento alle politiche rivolte alla mitigazione delle emissioni di gas serra in agricoltura. Queste, infatti, dovrebbero ammettere l’esistenza di diverse forme e modi con cui una migliore perfomance ambientale si può coniugare alle perfomance di produttività e, soprattutto, che la vera sfida di queste politiche è proprio individuare i percorsi con cui queste perfomance possano stabilmente coesistere.

La relazione tre produttività e performance ambientale in agricoltura

La crescita della produzione agricola può avvenire in due modi: aumentando la produttività o l’utilizzo delle risorse. Nel lungo periodo, in realtà, se si escludono interventi dal lato della domanda (ad es. strategie per favorire consumi più sostenibili) l’aumento della produttività agricola appare l’unica risposta possibile alla crescente domanda alimentare mondiale, considerando anche che un uso più efficiente delle risorse naturali-input dei processi produttivi agricoli-è coerente con le politiche ambientali a tutti i livelli (internazionali e locali).
In agricoltura, come nel resto dell’economia, la crescita della produttività è misurata dall’indice di Produttività Totale dei Fattori. Recentemente diversi studi avrebbero evidenziato che in molti paesi sviluppati (Stati Uniti e Unione Europea, in particolare) la crescita della produttività agricola sia in fase di rallentamento, mentre, al contrario, il contributo ai continui aumenti di produttività globale sia provenuto dai Paesi in via di sviluppo (Pvs) o emergenti (Fuglie 2012). Questa “dipendenza” della crescita della Tfp  globale dall’andamento della stessa nei Pvs, può rappresentare un serio motivo di preoccupazione alla luce delle possibili implicazioni dei cambiamenti climatici sulla Tfp di questi paesi. Da semplici elaborazioni su dati di proiezioni climatiche per aree geografiche del pianeta e dati di trend della Tfp (Coderoni e Esposti, 2015a), emerge come i cambiamenti climatici avranno conseguenze maggiori, in termini di perdita di produzioni, proprio in quelle zone che hanno maggiormente determinato la buona performance recente della Tfp agricola mondiale. Le stime dello studio citato (Coderoni e Esposti 2015a), seppure molto semplici, rafforzano la tesi della necessità di un nuovo impulso alla crescita della produttività nelle agricolture moderne.
Proprio il bisogno di dare un nuovo impulso alla crescita della produttività in agricolture moderne, è stata una delle motivazioni che ha portato l’Unione europea (UE) a lanciare, nel 2012, il partenariato per l’innovazione per la produttività e la sostenibilità in agricoltura (Eip-Agri) (Commissione Europea, 2012), con l’obiettivo di promuovere un’agricoltura competitiva e sostenibile, che riesca ad ottenere di più da un livello minore di risorse. Ai fini di questo ambizioso obiettivo politico, appare rilevante capire se, a livello di singola unità aziendale, esiste una relazione tra la performance produttiva e ambientale dell’agricoltura e come questa relazione si configuri tra aziende e territori diversi.
Il primo passo per valutare l’esistenza della relazione tra produttività e sostenibilità ambientale è costruire un set di indicatori adatti. Si è già detto dell’uso della Tfp, misura di produttività che include tutti i fattori della produzione. Questo indicatore è normalmente usato per misurare gli incrementi di produttività in diversi contesti (Oecd 2001; Commissione Europea 2013) e a livello comunitario, vi è un rinnovato interesse per il calcolo della Tfp, sia perché è uno degli indicatori di impatto utilizzati per valutare il livello di raggiungimento degli obiettivi generali della Pac, sia perché potrebbe essere usata per valutare la Eip-Agri.
Tuttavia, un importante inconveniente delle misure convenzionali della Tfp è che non vengono conteggiate le risorse e i prodotti che non sono scambiati sul mercato (ad esempio quei beni o “mali” per cui non esistono mercati privati o, se esistono, sono mal funzionanti). Il non considerare gli input e output per cui non ci sono transazioni di mercato, può portare ad errate conclusioni di policy, soprattutto per un settore come l’agricoltura, che ha un rapporto complesso con i beni e servizi ambientali non di mercato (Oecd 2010).
Le aziende agricole producono infatti utilizzando input sia di mercato (lavoro, terra, capitale), che non (risorse naturali). Entrambe le tipologie di input, in seguito ai processi di produzione, si possono convertire sia in output scambiati sul mercato (prodotti agricoli, energia, ecc.), che in output non commerciabili, ovvero esternalità negative o beni pubblici ambientali, per cui non vi è un passaggio sul mercato e pertanto non esistono prezzi e quantità che possono essere completamente colti dal calcolo della Tfp (Fuglie et al., 2016).
Per restituire una rappresentazione completa delle prestazioni economica e ambientale dell’agricoltura, questi effetti ambientali potrebbero essere colti e misurati da opportuni indicatori che affianchino l’indicatore economico convenzionale (la Tfp, appunto). Tra i diversi impatti ambientali collegati alla produzione agricola che potrebbero essere valutati, l’attenzione del presente lavoro si concentra sull’impronta carbonica, ovvero la somma delle emissioni agricole di gas serra, generate come sottoprodotto non desiderato delle attività agricole.
La scelta di questo tipo di esternalità ambientale deriva dalla rilevanza degli obiettivi mitigazione dei cambiamenti climatici a livello sia internazionale (Gerber, 2013), che comunitario (Consiglio Europeo 2014). La prospettiva europea appare particolarmente rilevante perché gli obiettivi di policy comunitari sulla crescita della produttività agricola si sommano a quelli, ambiziosi, della politica climatica che impone rilevanti target di mitigazione delle emissioni di gas serra del settore.
In figura 1 viene sintetizzato l’approccio adottato all’analisi della relazione tra produzione agricola ed esternalità agro-ambientali, insieme ai relativi indicatori calcolati nel presente lavoro: la Tfp è l’indicatore che descrive la relazione tra le variabili di mercato (parte alta dalla figura 1), la IC rappresenta un output non desiderato delle attività agricole che non viene colto da transazioni di mercato (parte bassa della figura 1). La figura rappresenta il sistema agricolo-ambientale come un sistema chiuso, in cui non sono rappresentati gli altri fattori che influenzano la diffusione delle esternalità, comprese le politiche, le condizioni di mercato, gli assetti sociali, ecc.

Figura 1 - La relazione tra produzione agricola ed esternalità agro-ambientali

Fonte: elaborazione degli autori

L’appropriata scala di analisi

Secondo i più recenti studi in materia (Fuglie et al., 2016), le proprietà più rilevanti della metrica per la produttività dell’agricoltura sostenibile dovrebbero essere la variabilità temporale e spaziale, ovvero lavorare con dati micro, a livello di imprese agricole, su un campione (costante) di aziende osservate nel tempo. L’aggregazione dei dati micro, può infatti nascondere e annullare l’eterogeneità delle diverse performance aziendali. La questione della scala, diventa ancora più problematica e quindi rilevante se parliamo delle perfomance ambientali delle imprese. Molti fattori ambientali sono altamente dipendenti dalla scala di analisi e influenzano le performance di produttività in modo diverso se valutati su scala diversa: analizzare queste performance in modo aggregato, può quindi mascherare significativamente le seppur esistenti variazioni locali (Cui et al., 2016; Fuglie et al., 2016).
Per gli scopi del lavoro proposto, si è scelto di utilizzare dati micro, ricostruendo a livello di singole imprese, gli indicatori utili per l’analisi della relazione tra produttività e sostenibilità. Proprio l’utilizzo dei dati micro, che può permettere di catturare meglio la reale eterogeneità della relazione tra produttività ed efficienza ambientale tra imprese, è una delle maggiori novità, nonché valore aggiunto dell’approccio. Il dataset utilizzato è quello della Rica lombarda nel periodo 2008-2013 (362 aziende osservate per 6 anni) al quale sono stati aggiunti un indice di produttività (Tfp) e un indicatore ambientale (IC) opportunamente ricostruiti.
Per quanto riguarda il calcolo della Tfp, i dati micro possono meglio approssimare una misura della produttività reale attraverso le informazioni complete fornite dal campione Rica (quantità di input e output dettagliate e prezzi) che aiutano l’analisi delle fonti strutturali di produttività. Cercare di misurare un indicatore multilaterale di produttività è piuttosto impegnativo soprattutto se il calcolo si riferisce a dati micro. Nel nostro caso, la produttività viene misurata utilizzando numeri indice (Oecd, 2001; Coelli, 2005), utilizzando tecniche opportune per permettere la confrontabilità dei valori ottenuti nel campione (Hill, 2003; Pierani, 2009; Ball et al., 2002; Baldoni et al., 2016). La Tfp ottenuta è un indice relativo, ovvero l'indice di Tfp di ogni azienda rappresenta la produttività relativa delle stesse rispetto alla produttività di un’azienda base. Nel caso analizzato la Tfp dell’azienda base è quella del 2008 di un’azienda specializzata in bovini da latte a conduzione familiare.
Per quanto riguarda l’IC, da un punto di vista metodologico, esiste ormai un’ampia letteratura, basata su standard e protocolli internazionali (Ipcc 1997 e 2006), che permette di calcolare una stima delle emissioni di gas serra in modo relativamente semplice. La metodologia utilizzata contabilizza emissioni e assorbimenti di gas serra all’interno dei confini aziendali, senza considerare né le emissioni a monte (relative alla produzione degli input), né quelle a valle dell’azienda (trasformazione, trasporto, ecc.).
L’approccio adottato si basa sull’utilizzo di dati aziendali, disponibili attraverso la banca dati Rica, e fattori di emissione che possono essere, a seconda della disponibilità del dato, di default (Ipcc 2006), nazionali (Ispra 2011) o calcolati a livello aziendale (Baldoni et al., 2016). Proprio questo calcolo a livello aziendale di fattori di emissioni specifici, dipendenti da parametri diversi tra le aziende, è la più rilevante novità del presente studio, rispetto a studi precedenti in materia (Coderoni e Esposti 2015b). Vengono così stimate emissioni di metano (CH4), protossido di azoto (N2O) e anidride carbonica (CO2) dalle fonti emissive più rilevanti e raggruppate in 5 categorie di IC (allevamenti, coltivazioni, fertilizzanti, energia, uso del suolo) che, sommate, offrono una visione unitaria delle emissioni collegate ai processi agricoli aziendali (Figura 2)1.

Figura 2 - IC aziendale: fonte delle emissioni e aggregazione proposta per il calcolo

Fonte: elaborazioni degli autori

L’IC così ottenuta, è una misura fortemente collegata alla dimensione aziendale, come noto anche da altri risultati (Coderoni ed Esposti 2015b) e come è piuttosto ovvio attendersi, anche se si tratta di specializzazioni produttive diverse. Tuttavia, poiché lo scopo del presente lavoro è valutare il legame tra Tfp-una misura indipendente dalla scala dimensionale-e performance ambientale, occorre privare l’IC degli effetti dovuti alla scala dimensionale. Pertanto si è scelto di definire l’intensità di emissione (IE) come il rapporto tra impronta carbonica e la produzione standard e valutare la sua relazione con la Tfp.
Nelle figure 3 e 4 sono rappresentati i valori mediani dei due indicatori analizzati per classe dimensionale delle aziende e per alcuni orientamenti produttivi principali.
Appare subito evidente come la dimensione (in termini di classe di dimensione economica2) sia molto influente sulla performance delle imprese. In linea generale le aziende più grandi sono le più produttive, ma hanno anche intensità di emissione maggiore. Questo, nonostante ci siano economie di scala che permettono alle emissioni di aumentare in maniera meno che proporzionale con la classe dimensionale.
Anche in termini di specializzazione produttiva gli andamenti degli indicatori analizzati sono molto diversi. Le aziende specializzate nella produzione di latte (bovini), sono le più produttive, soprattutto se paragonate alle altre specializzazioni zootecniche. Per l’IE gli allevamenti di erbivori hanno, in generale, un impatto maggiore, anche se è la produzione di riso a generare valori più alti nel campione analizzato. Al basso valore delle coltivazioni permanenti contribuisce l’apporto positivo del sequestro di carbonio dato dalle piante.

Figura 3 - Valori mediani di Tfp per classe dimensionale delle aziende e specializzazione produttiva

Fonte: elaborazioni degli autori

Figura 4 - Valori mediani di IE per classe dimensionale delle aziende e specializzazione produttiva (ton CO2eq)

Fonte: elaborazioni degli autori

Il nesso tra Tfp e IC a livello aziendale e alcune implicazioni di policy

Dalle figure 3 e 4 sembra emergere una relazione tra le due perfomance. Questa, però, è molto condizionata dal dato dimensionale (le imprese più grandi hanno sì maggiore produttività, ma  anche maggiore IE) e dall’orientamento produttivo (le imprese zootecniche intensive mostrano spesso alta produttività, ma alta IE). Vale la pena chiedersi se tale relazione esiste, e di che natura sia, al di là di questa ovvia dipendenza da dimensione e specializzazione produttiva.
Allo scopo, la relazione tra produttività (Tfp) e sostenibilità ambientale misurata dall’intensità di emissione, è stata stimata partendo dai dati aziendali e impiegando una forma funzionale polinomiale (quadratica). Questa consente a tale relazione di variare, mediante l’interazione tra variabili, a seconda dall’intensità emissiva e, quindi, della dimensione aziendale nonché della specializzazione produttiva3.
Alcuni risultati della stima sono rappresentati graficamente in figura 54. La rappresentazione permette di evidenziare l’esistenza di un nesso tra l’intensità di emissione e Tfp, ma anche che questa relazione non è monotona; in altre parole, non è uguale né univoca per tutte le aziende. L’andamento della relazione all’interno del campione analizzato cambia infatti di segno al crescere dell’IE e questa relazione ad U rovesciata è più evidente-per le medie e, soprattutto, le grandi aziende agricole. In pratica, ad uno stesso livello di produttività (Tfp1), possono corrispondere due diversi livelli di intensità di emissione, uno maggiore (IE2) e uno minore (IE1). Ciò accade per tutti i livelli di produttività che sono a sinistra del punto S di svolta della relazione tra Tfp e IE. Questo significa che, di fatto, c’è un modo più sostenibile per produrre e che in particolare tutti i punti a sinistra del punto di svolta S, rappresentano un benchmark in termini di sostenibilità ambientale rispetto a quelli che si trovano a destra. L’idea che a una stessa Tfp corrispondano IE diverse è spiegabile anche alla luce dei risultati di studi, alcuni dei quali anche sulla zootecnia italiana (Coderoni et al., 2015; Coderoni e Pontrandolfi, 2016), che dimostrano la possibilità di introdurre tecniche di mitigazione che riescono a ridurre le emissioni con costi molto bassi o nulli, se non, in alcuni casi, persino negativi (ovvero risparmiando). Queste azioni di mitigazione permettono, di fatto, che ci siano modi più efficienti di produrre lo stesso output.

Figura 5 - La relazione tra intensità di emissione (ascisse) e Tfp (ordinate) per classe dimensionale

Fonte: elaborazione degli autori

Questa relazione non lineare tra Tfp e IE offre interessanti spunti di riflessione in termini di implicazioni di policy. Molti studi con dati micro in materia di relazione tra sostenibilità e produttività (si veda fra gli altri Cui et al., 2016), indicano che le aziende più produttive, sono anche le più sostenibili in termini di prestazioni ambientali. Questo perché, molto spesso, le aziende più produttive sono anche le più efficienti nell’utilizzo di risorse, comprese quelle naturali, e quindi, nel caso dell’IE, usando meno input (fertilizzanti, combustibili, capi allevamento) si producono meno emissioni. L’indicazione di policy che se ne ricava, pertanto, è che politiche volte ad aumentare la produttività, di fatto, vanno anche nella direzione di aumentare la sostenibilità o che, fare in modo che le unità meno produttive escano dal settore, fa ottenere una maggiore sostenibilità a livello aggregato. Nel presente caso, invece, il quadro che emerge è più complesso. Si conferma che non esiste un dualismo tra produttività e sostenibilità. Ma è anche vero che ad elevati livelli produttività, soprattutto nelle grandi imprese, si possono anche associare elevate intensità emissive. Pertanto, favorire solamente la crescita della produttività può non portare necessariamente a maggiore sostenibilità. Tradotto in una politica stringente di mitigazione delle emissioni di gas serra in agricoltura, ciò implica che la migliore strada da percorrere è quella di favorire la diffusione di best practices che aiutino a raggiungere il potenziale di mitigazione di ogni unità produttiva, rispecchiando gli standard delle aziende che si trovano nella parte sinistra del punto di svolta (S) e non imponendo standard uguali per tutte le aziende (indipendentemente da dimensioni e tipologia). Questa ipotesi, sembra coerente anche con alcune indicazioni tecniche derivante da importanti studi internazionali in materia (Unfccc 2009) che suggeriscono come non esista un’unica soluzione adatta in ogni caso, ma diversi approcci adatti alla mitigazione delle emissioni di gas serra agricole.
Nell’ambito della letteratura sul calcolo della produttività, gli indicatori calcolati a livello aziendale potrebbero essere usati per definire un indicatore di produttività totale aggiustata con dati ambientali (Environmentally Adjusted-Tfp; Eatfp), detta anche produttività totale delle risorse (Fuglie et al., 2016). Tale indicatore è molto interessante in una prospettiva di policy poiché viene inserito dall’Oecd (2014) negli indicatori fondamentali per monitorare i progressi della crescita verde (green growth) in agricoltura. L’analisi proposta ci suggerisce che, se si vuole utilizzare un indicatore come la IE per correggere la stima della Tfp e ottenere una Eatfp, la correzione-non sarebbe univoca né invariante alla dimensione aziendale. Di fatto, la correzione sarebbe più importante per le aziende più piccole rispetto alle grandi poiché, a parità di IE, queste ultime hanno una Tfp minore.

Considerazioni conclusive

Raggiungere maggiori livelli di produttività preservando le risorse ambientali è la sfida più importante che il settore agricolo europeo dovrà affrontare nei decenni a venire.
Questo lavoro vuole analizzare la relazione tra sostenibilità, in termini di emissioni di gas serra derivanti dalle attività agricole e produttività a livello di singola azienda. Il livello micro, infatti, appare il più opportuno per analizzare il nesso tra produttività e sostenibilità proprio per coglierne le differenze tra tipologie, e rappresenta anche il principale contenuto innovativo del contributo proposto. Attraverso l’analisi azienda per azienda si possono catturare meglio i reali nessi tra andamento della produzione e dell’impatto ambientale, ovviando ai problemi di aggregazione a livelli superiori (come, ad esempio, le analisi su scala nazionale), che possono mascherare gli impatti locali e le performance di specifiche tipologie aziendali.
I risultati ottenuti evidenziano innanzitutto la grande eterogeneità delle performance aziendali, rafforzando l’utilità della scala di analisi scelta e sono informativi circa l’esistenza e l’andamento della relazione cercata. Il nesso tra intensità di emissione e Tfp esiste, ma è diverso tra dimensioni e all’interno della stessa classe dimensionale, cambiando segno oltre determinati valori soglia. I risultati sono incoraggianti anche nel tentativo di arrivare ad ottenere un indicatore unico per misurare congiuntamente le prestazioni economica e ambientale e se fossero confermati anche per altre regioni o su scala nazionale, di fatto si potrebbe dedurre che un modo più efficiente di perseguire i rilevanti target di mitigazione comunitari, sarebbe quello di lavorare sulla diffusione di best practices a livello sub-settoriale.

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  • 1. Data la limitata disponibilità di dati utili, è stato possibile effettuare il calcolo dei fattori di emissione a livello aziendale solo per le emissioni da fermentazione enterica di bovini, bufalini e ovini, che, tuttavia, rappresentano più del 40% delle emissioni nazionali nel 2013. Per adempiere agli standard del reporting internazionale, le emissioni dei diversi gas serra, vengono riportate utilizzando il potenziale globale di riscaldamento (Global Warming Potential - Gwp) e sono così espresse complessivamente in CO2 equivalenti secondo fattori di conversione aggiornati nel tempo dall’Ipcc.
  • 2. Per classificare un’azienda come piccola, media o grande, è stato utilizzato il suo valore di Standard Output (SO). Poiché la metodologia di calcolo di tale valore è cambiata negli anni, le soglie di riferimento per definire le classi dimensionali, sono diversi a seconda del periodo considerato. In particolare, negli anni 2008-2009 sono definite come piccole quelle aziende che hanno uno SO minore o uguale a 25.000 euro; medie quelle con uno SO tra 25.000 e 100.000 e grandi quelle con SO maggiore di 100.000. Per gli altri anni (2010-2013), le aziende piccole hanno meno di 40.000 di SO, le medie tra 40.000 e 170.000 e le grandi più di 170.000.
  • 3. Per maggiori dettagli sulla stima si rimanda a Baldoni et al., 2016.
  • 4. I grafici per singole specializzazioni sono disponibili su richiesta; tuttavia la loro significatività è discutibile dato che possono essere condizionati dalla limitata numerosità di alcune di esse.
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