Premessa
La crisi finanziaria, economica e sociale in atto non mancherà di produrre effetti di lunga durata sulle filiere agroalimentari per più ragioni:
a) la crisi assume connotazione di giudizio severo del sistema economico capitalistico o, se si vuole, del sistema basato sull'economia di mercato, sui diritti di proprietà e sul principio della competizione;
b) la competizione pura (esasperata) non può che generare sfiducia, mentre le transazioni si fondano sulla fiducia;
c) la crisi è anche, e forse soprattutto, di natura culturale e etica; essa testimonia che l’economia non può avere un’esistenza possibile (utile) separata dai valori.
In tale contesto, la crisi dovrebbe attribuire definitiva cittadinanza nell’ambito del pensiero economico, ma anche della pratica economica, a termini (valori) come trasparenza, solidarietà, reciprocità, equità, felicità, ecc., considerati, per lungo tempo, prerogativa di altre discipline e sancire che il benessere è una “condizione dipendente anche dai beni relazionali, che non obbediscono alle ristrette logiche di mercato” (Segrè, 2007). In base a quanto sostenuto si può concordare, dunque, con chi ritiene fondamentale un’evoluzione del sistema socio economico verso la correlazione (cooperazione), a tutti i livelli (Ruffolo, 2008) (1) . E, d’altronde, se la storia economica riconosce che la cooperazione, in senso lato e proprio, ha avuto “un ruolo fondamentale nei passati successi delle economie di mercato” appare plausibile ritenere che la cooperazione rappresenti uno strumento indispensabile per uscire diversi e rafforzati dalla crisi e che lo stesso futuro “dello sviluppo sostenibile dipenda dalla cooperazione” (Sen, 2009).
Non può meravigliare, allora, che la crisi, come rilevato da più di un’indagine, abbia determinato un rilancio di credibilità e interesse verso la cooperazione in generale, e agroalimentare in particolare, che trova fondamento e distinzione nei valori della solidarietà e della democrazia economica (una, imprenditorialità che si alimenta di relazioni), nella sua natura giuridica che coniuga dimensione economica e dimensione sociale.
Andamento dei prezzi e concentrazione della produzione
Come è noto, la produzione agricola e la cooperazione, compresa quella agroalimentare, presentano carattere anticiclico. È anche noto, per riferirsi al nostro Paese che, negli ultimi mesi, come emerge dai dati forniti dall’Osservatorio economico della cooperazione istituito presso il Mipaaf, non mancano elementi di preoccupazione nella stessa cooperazione agroalimentare nazionale per la crisi in atto, a causa della contrazione dei consumi alimentari. La crisi finanziaria, tradottasi in crisi economica e sociale, si è accompagnata ad un crollo dei prezzi delle materie prime agricole iniziato nell’estate del 2008. Più in dettaglio, i prezzi delle commodity agricole avevano evidenziato un generalizzato aumento dal 2005, con una forte accelerazione nel 2007 e un picco massimo nella primavera del 2008; ma dall’estate 2008 si è avuto, viceversa, un evidente calo dei prezzi proseguito sino a fine anno. Ciò che va segnalato è l’andamento divergente del rapporto tra l’indice dei prezzi ricevuti e l’indice dei prezzi pagati dagli agricoltori che aveva superato quota 100 tra la fine del 2007 e buona parte del 2008, ma che ha chiuso sotto quota 90 a dicembre (base di riferimento riferita all’anno 2000). Il fenomeno della forbice prezzi-costi, connesso alla maggiore rapidità della dinamica inflattiva degli input agricoli rispetto a quella delle commodities è conosciuto dalla fine degli anni ’60, quando fu coniata la locuzione squeeze on agriculture, ed è da ricondurre alle “specificità” della produzione agricola. Nel dettaglio, trova conferma l’esistenza, tranne in periodi particolari e limitati, di uno “squilibrio strutturale” a danno dell’agricoltura nei confronti dei settori a monte e a valle, squilibrio amplificato nelle fasi di depressione economica (2). Come sottolineato, tuttavia, l’evoluzione dei mercati delle commodities agricole e gli effetti sui prezzi della crisi finanziaria sono fenomeni da leggere separatamente (Frascarelli, 2009); infatti, i prezzi delle commodities si sarebbero ridotti ugualmente anche qualora non fosse intervenuta la crisi dell’economia reale e ciò sarebbe accaduto quando fossero venute meno, come è stato, le azioni speculative al rialzo causa fondamentale dell’impennata dei prezzi di cereali e petrolio. È poi normale che nelle fasi basse del ciclo i prezzi agricoli diminuiscano in misura maggiore di quelli industriali, in quanto in agricoltura la riduzione dei consumi trova un’offerta anelastica, con diminuzione del prezzo, mentre nell’industria una caduta dei consumi genera una riduzione delle quantità prodotte e solo una contenuta diminuzione dei prezzi (Frascarelli, 2009). In tale contesto “teorico” è ragionevole sostenere che la crisi in atto costituisca un’opportunità importante (decisiva?) per addivenire a nuovi assetti organizzativi e produttivi dell’agricoltura italiana, capaci di rafforzare il potere contrattuale degli agricoltori, la qual cosa passa verosimilmente attraverso una considerazione nuova del ruolo della cooperazione agroalimentare, sia nelle aree svantaggiate (agricoltura della tradizione), sia nelle aree agricole modernizzate.
L’attualità della cooperazione agroalimentare
L’impresa cooperativa nasce in base a bisogni delle persone più deboli e marginalizzate; la cooperazione agroalimentare, nello specifico, ha storicamente costituito una sorta di reazione a carenze imprenditoriali nell’economia delle aziende agricole e costituisce tuttora una risposta efficace degli agricoltori della filiera ai rapporti di tipo monopolistico od oligopolistico presenti sul mercato dei mezzi tecnici e dei prodotti agricoli (commodity, ma anche speciaIity). Tali motivazioni non hanno perso di attualità. Ma oggi, in relazione alla crisi economica, altri elementi fanno della cooperazione agroalimentare una “carta vincente per l’agricoltura” (Giacomini 2009): l’inasprirsi della pressione competitiva, il cui inizio è “collocabile” alla fine degli anni ’80; la crescente concentrazione nelle filiere agroalimentari; la maggiore variabilità che dovrebbe caratterizzare in futuro i prezzi agricoli rispetto ai costi di produzione; la conferma che, tra i fattori di competitività più critici per le imprese agricoli, vi è l’accesso al mercato; l’influenza stabilizzante sui prezzi delle commodities del progressivo disaccoppiamento del sostegno pubblico; le prospettive piuttosto incerte sul Pua dopo il 2013; le opportunità ma anche gli oggettivi limiti di sviluppo delle filiere corte.
La cooperazione agroalimentare appartiene, a pieno titolo, a quelle forme organizzative che inglobano l’impresa agricola e che possono essere individuate come sistemi di ordine superiore, anch’essi fattori di competizione (associazionismo produttivo, filiere, distretti). L’analisi della realtà mostra che alla citata crescente complessità e pressione competitiva dell’ambiente economico, ai mutamenti della Pac e di modalità e contenuti dei consumi alimentari corrisponde un ripensamento dei modelli organizzativi nel settore primario e lo spostamento della capacità competitiva dalle aziende agricole verso tali sistemi superiori; in tale ambito, la cooperazione agroalimentare si presta ad essere qualificata come “un’innovazione organizzativa in agricoltura”, dotata di capacità contrattuale all’interno dei sistemi di transazione che governano mercati e territori rurali (Sabbatini, 2007).
Merita, per inciso, osservare che altri elementi che accentuano l’attualità della cooperazione agroalimentare sono individuali nella sua capacità/possibilità di valorizzare l’identità rurale, di generare capitale sociale, nonché di incentivare nell’agricoltura modernizzata locale, a partire dalle imprese socie, processi di riconversione tecnologica, con il riadattamento delle tecniche ai nuovi contesti produttivi e di mercato (3). Ora, perché la citata capacità contrattuale della cooperazione agroalimentare possa essere esercitata a pieno e, anzi, aumentata occorre, tuttavia, che vi sia un processo di aggregazione della produzione agricola a favore della cooperazione stessa, il che richiede, per così dire, una preliminare operazione verità sull’efficacia delle varie forme di certificazione volontaria e obbligatoria della qualità, spesso ritenute strumenti sufficienti per trattenere un maggior valore aggiunto nella fase agricola delle filiere. Seguendo, ancora, Frascarelli (2009), si dovrebbe prendere definitivamente atto che la differenziazione del prodotto, le denominazioni di origine e i sistemi di garanzia della qualità (etichettatura, rintracciabilità, ecc.) rappresentano condizioni necessarie, ma insufficienti a portare adeguati e duraturi vantaggi di prezzo ai produttori; in effetti, l’esperienza insegna che, a causa del ricordato spostamento del potere di mercato lungo le filiere verso la trasformazione e, ancor di più, verso la distribuzione moderna, è il resto della filiera, e non già i produttori (e/o i consumatori), a trarre i maggiori vantaggi dall’utilizzazione dei suddetti segni della qualità. Se, dunque, anche in presenza di segni della qualità il potere di mercato continua a restare nelle mani degli acquirenti intermedi significa che vi è un problema irrisolto di concentrazione dell’offerta da parte dei produttori. Perché tale problema venga superato è necessario che le cooperative di trasformazione e di commercializzazione si mobilitino, sia proponendo alleanze e, eventualmente, fusioni tra le cooperative, sia ampliando la base associativa (produttiva). In particolare, nell’attuale fase di crisi economica e di conseguente ristrutturazione delle filiere, è opportuno che le cooperative di trasformazione e di commercializzazione facciano leva sul principio della “porta aperta” e propongano la cooperazione come una strategia di lungo periodo alternativa a quelle della qualità, della filiera corta (4) e della diversificazione. Il consolidamento interno alla cooperazione e l’ampliamento della base produttiva possono generare benefici che vanno dalla realizzazione di economia di scala nelle fasi di trasformazione e transazione, ai vantaggi derivanti dall’accresciuto potere di mercato delle cooperative e, dunque dei produttori, nelle relazioni di filiera. Per conseguire tali benefici, le cooperative agroalimentari devono rivedere anche la propria politica di comunicazione, trasmettendo, con maggior forza, i caratteri peculiari del modello dell’impresa cooperativa e, in particolare, quelli relativi ai rapporti con la base produttiva associativa (5) e il territorio, nonché la sua prerogativa di attore di mutualità esterna o sociale.
I Progetti integrati di filiera dei PSR 2007-13
Oltre che attraverso l’allargamento della base produttiva, le cooperative agroalimentari possono rafforzarsi anche tramite la definizione degli accordi di filiera previsti dal d.lgs. n. 102/2005. Ad esempio, in Piemonte, le cooperative agroalimentari e le Centrali di riferimento (Fedagri Piemonte, ecc.), stanno sollecitando che in occasione della revisione del PSR 2007-2013, in relazione all’Health Check della Pac (6), sia dato adeguato spazio a strumenti di attuazione integrati, quali i Progetti Integrati di Filiera. D’altra parte, da sempre la cooperazione persegue la comunanza intorno ai fini più che ai mezzi e ciò la rende il candidato ideale rispetto alla promozione nel PSR di strumenti che incrementino la collaborazione lungo le filiere (Cassibba, Sorasio, 2006). I Progetti Integrati di filiera dovrebbero in primo luogo favorire l’aggregazione orizzontale delle aziende agricole e la concentrazione della produzione presso la cooperazione agroalimentare, in modo da conseguire dei vantaggi in termini di prezzo per i produttori che siano evidenti e verificabili. Inoltre, si dovrebbero definire contratti di cessione dei prodotti tra le aziende produttrici e le imprese della trasformazione (non cooperative) trasparenti e il cui rispetto sia oggetto di puntuale controllo.
I Progetti Integrati di Filiera ben si adattano a tutti i principi ispiratori del Psr indicati nel Documento strategico regionale (2006), ovvero quelli dello sviluppo rurale (da ottenersi tramite un approccio integrato, diversificazione delle attività economiche, ecc.), della pianificazione strategica e della qualità della spesa (da ottenersi facendo leva sulla concentrazione settoriale e territoriale delle misure, sulla selettività dei progetti singoli e collettivi, sulla ricerca dell’equità), oltre che dell’efficienza ed efficacia.
Infine, i nuovi contratti e i prezzi più trasparenti potrebbero rendere i Progetti Integrati di Filiera l’occasione per realizzare un patto sociale tra istituzione regionale e soggetti che partecipano ai progetti stessi e per avviare una nuova stagione di equità concertata lungo la filiera agroalimentare che si risolva a favore dei produttori agricoli, dei consumatori e dell’ambiente.
Note
(1) Ruffolo scrive, in sintesi, che l’idea-forza, da lui così definita, di “economia dell’equilibrio” (ecologico) va declinata insieme ad altre due idea-forza, che sono quella della “correlazione” (cooperazione), connessa al superamento della contrapposizione secca tra competizione, paradigma dell’economia capitalistica e cooperazione legata all’istaurarsi di “relazioni interpersonali genuine nelle transazioni tra soggetti economici”.
(2) Sono proprio le peculiarità della produzione agricola a dare ancora ragione della necessità dell’intervento pubblico.
(3) Resta il fatto che molte cooperative di trasformazione, più spesso come Consorzi di II grado, svolgono servizi di assistenza tecnica, economica, amministrativa e finanziaria nei confronti dei soci (impresa agricole o cooperative di I grado), provvedendo anche a acquistare e distribuire mezzi tecnici e attrezzature utili alle attività dei soci stessi.
(4) Per altro le cooperative agroalimentari sono come noto attive nella filiera corta mediante i loro punti di vendita.
(5) Ad esempio chiarendo che l’adesione di imprenditori agricoli singoli alle cooperative di trasformazione e commercializzazione non implica un venir meno della loro funzione imprenditoriale, che continua ad essere esercitare sebbene in forma collegiale e tramite gli organismi previsti.
(6) Tra l’altro, la valutazione ex post del PSR 2000-2006 ha evidenziato che la ragione principale della stasi negli ultimi 10 anni del Valore Aggiunto agricolo regionale è da riferire all’insufficiente capacità di concentrazione, controllo e qualificazione dell’offerta, nonostante il peso rilevante della cooperazione agroalimentare in diversi settori produttivi (vino, ortofrutta, lattiero caseario, ecc.).
Riferimenti bibliografici
- Cassibba L., Sorasio D. (2006), Quale PSR: obiettivi, metodi e strumenti di intervento, in Fedagri Piemonte, Programma di Sviluppo Rurale 2007-13 della Regione Piemonte, Incontro di approfondimento, Carmagnola.
- Frascarelli, A. (2009), Concentrazione dell’offerta e differenziazione del prodotto: come riprendersi il valore, in Lega coop Marche, Fedagri Marche et al, L’agroalimentare nei progetti di filiera: una prospettiva per i produttori, per i consumatori e per l’ambiente, Ancona.
- Giacomini, C. (2009), La cooperazione, carta vincente per l’agricoltura, Informatore agrario, n. 13/2009.
- Ruffolo, G. (2008), Il capitalismo ha i secoli contati, Gli struzzi Einaudi.
- Sabbatini, M. (2007), Strutture agricole e pressione competitiva, Rivista di economia agraria, Le sfide per l’economia agraria nei prossimi ani, anno LXII, n. 3, settembre 2007, Edizioni Scientifiche Italiane.
- Segrè, A. (2007), Etica, equità e responsabilità nei sistemi agro-alimentari, Rivista di economia agraria, Le sfide per l’economia agraria nei prossimi ani, anno LXII, n. 3, settembre 2007, Edizioni Scientifiche Italiane.
- Sen, A. (2009), Ripensare l'economia globale all'insegna della cooperazione, Giornate dell'economia cooperativa 2009 promosse da Legacoop e svoltesi il 31.3. u.s. a Milano, nella sede del Sole 24 Ore (testo raccolto da A. Curiat).