La governance della sicurezza alimentare globale nell'epoca della scienza post-normale
Per considerare le discordanti valutazioni sulla sicurezza alimentare (risk assessment) globale, con le conseguenti ripercussioni sulla gestione del rischio (risk management), può essere utile in via prioritaria descrivere il modo in cui la valutazione e gestione del rischio sono regolate in Europa e tra gli Stati membri in caso della volontà di adottare diversi livelli di cautela e protezione dei cittadini. Sebbene la libera circolazione di merci e persone sia uno dei capisaldi del progetto politico (ed in primis, economico) chiamato Europa (Art. 23 del Trattato di Roma), l'armonizzazione delle misure di sicurezza alimentare e sanità è un aspetto che solo recentemente ha visto gli Stati nazionali abdicare alle proprie prerogative in nome di standard commerciali e produttivi condivisi e di una omogenea valutazione e gestione del rischio.
Un secondo obiettivo del presente scritto è verificare come l'Europa si inserisca in un contesto di sicurezza alimentare globale e quali specificità abbia rispetto alla valutazione del rischio come condotta in altre macroaree geografiche o a livello di nazioni. Ciò può fornire interessanti spunti di riflessione, soprattutto considerando la recente storia della legislazione alimentare UE, le relazioni sviluppate dalla Commissione europea con gli organi scientifici incaricati di compiere la valutazione del rischio e dirimerne le controversie, nonché la presenza di opinioni scientifiche discordanti anche tra organismi scientifici internazionali, che possono creare incredulità e dubbi nella società e nella cittadinanza (Bucchi, 2010).
Da questo punto di vista, l’osservatorio costituito dal WTO è un buon punto di partenza, in quanto permette di ricostruire la genesi di alcuni dei più salienti conflitti commerciali sulla sicurezza alimentare. Nel tempo sono sorte alcune battaglie commerciali "esemplificative" tra Europa e Usa, a tutti gli effetti portatori di storie e culture alimentari radicalmente diverse: con la prima fautrice del Principio di precauzione ("l’assenza della prova di un rischio non è prova dell'assenza dello stesso"1), mentre gli Usa più protesi a garantire una libertà di produrre e commercializzare ben riassunta dal principio liberista "ciò che non è espressamente proibito/regolato è consentito".
La presente indagine ci consente di affermare che, in un contesto in cui la scienza e la valutazione del rischio pretendono un linguaggio preciso e una tecnicità assoluta - e costituiscono il fondamento logico della gestione del rischio - le reali divergenze nella valutazione dello stesso rischio (Europa e Usa, ma non solo) sembrano ancora dipendere in buona parte da fondamenta politiche, pre-scientifiche, ovvero legate ai valori profondi di cui le rispettive società e comunità nazionali sembrano intessute. La separazione artificiale tra valutazione e gestione del rischio, sebbene comprensibile a livello di tecnoburocrazia e di legittimazione dell'azione di governance, sembrerebbe in realtà molto più labile di quello che appare (Millstone, 2009).
Ciò è coerente con i presupposti della cosiddetta "post-normal science" (Funtowicz, 1992, 1993), una interpretazione "post-modernista" del metodo scientifico. La scienza non sarebbe più, entro tale lettura, un momento chiarificatore ed esplicativo della realtà, che culmina con la produzione di una teoria o di un corpus teorico riassuntivo della realtà stessa. Al contrario, la complessità di analisi che le scienze attuali affrontano (dovute alla pluralità di dati, all’interpretazione delle stesse, ai crescenti livelli di formalizzazione statistica, ecc.) darebbe sempre più spesso luogo a tante ipotesi e tante visioni alternative che pretendono di spiegare gli oggetti di studio.
In condizioni di incertezza scientifica e in presenza di pareri contrastanti, ma con una urgenza sociale dell'introduzione della tecnologia ("le richieste del mercato"), la scienza non procede più per successivi "salti" tra un paradigma e l'altro (Kuhn, 1962), seguiti da fasi di normalizzazione e di conseguente condivisione sociale del significato assunto dal metodo scientifico "sopravvissuto". Per contro, ci si ritrova oggi in una condizione in cui la scienza non sembra poter garantire certezze spendibili in chiave decisionale per la società, con quest'ultima che chiede a gran voce di essere ascoltata nella sua legittima volontà e progettualità politica, tramite categorie di partecipazione relativamente nuove ed inedite (consumatori, stakeholders, giurie di cittadini, ecc).
Esempi emblematici dell'emergere della post-normal science sono allora le tematiche più controverse a sfondo climatico-ambientale o di sicurezza alimentare (global warming, energia nucleare, OGM, nanoparticelle negli alimenti o nei materiali di contatto, additivi alimentari come l'aspartame, ecc.).
Quando "i fatti sono incerti, i valori contrastanti, gli interessi in gioco alti, e le decisioni urgenti" (Funtowicz, 1992), con conseguenze che possono essere costose o letali, tutti coloro colpiti o interessati dovrebbero partecipare al processo decisionale, orientandolo. Si capisce allora che in questione sembra essere non tanto la disponibilità o meno a utilizzare una ricaduta scientifico/tecnologica, quanto la decisione su chi debba sopportare eventuali costi nascosti o rischi imprevedibili al momento della mera “approvazione burocratica della scienza” (la valutazione del rischio, risk assessment). È questa una parte emergente delle discipline economiche, in cerca di un proprio lessico; ma che inevitabilmente ha a che fare con questioni extra o pre-economiche, di giustizia sociale, con decisioni che non possono essere lasciate semplicemente a chi è disposto a pagare di più.
Se l'economia neoclassica, dalle enclosures fino al Teorema di Coase (1960), sosteneva che una volta allocati chiaramente i diritti di proprietà ne sarebbe seguito un uso ottimale delle risorse, oggi, in presenza di esternalità negative difficilmente quantificabili e di rischi futuri ignoti - sia come probabilità della perdita che come entità della stessa (Taleb, 2010) - sembrano necessarie nuove regole adeguate sia ai paradigmi della complessità, sia al recupero dei "commons" (Patel, 2010), beni a disposizione di tutti, non immediatamente percepibili come dotati di valore2.
L'idea di fondo è che spesso il meccanismo di approvazione e validazione delle nuove tecnologie non tiene in conto le reali esigenze dei cittadini e di tutti coloro che possono risultare colpiti dalla tecnologia stessa.
La sicurezza alimentare in Europa tra socialdemocrazia e liberismo
Le origini dell’Europa riflettono secondo alcuni autori la presenza di una spinta socialdemocratica ("l'Europa dei popoli" adombrata dal Trattato di Maastricht del 1992) combinata e fronteggiata da una spinta liberista (area di libero scambio e Mercato interno unico, accelerata dalla Strategia di Lisbona del 2003). Tale contrapposizione è stata letta addirittura come kulturkampf o lotta culturale tra socialdemocrazia e liberismo (Marquand, 2004). Entrambe sarebbero il riflesso della crisi del modello di regolazione sociale fordistico: sebbene non vi sia un unico modello di sviluppo “post-fordistico” (Ruigrok and van Tulder, 1995), dovuto alla presenza di spinte eterogenee, sembra che il modello neo-liberistico abbia dominato la scena negli ultimi decenni, con la sua volontà di togliere ai mercati i lacci dello Stato e che ha letto il progetto dell'integrazione europea come strumento e opportunità per aumentare la competitività sulla scena globale e la accumulazione di capitale.
Le due matrici sono agli antipodi e hanno implicazioni anche per la sicurezza alimentare, se è vero che “la legislazione sulla sicurezza alimentare è un tipico esempio della regolazione del rischio, definita come una interferenza governativa rispetto a processi sociali o di mercato per controllare conseguenze potenzialmente avverse per la salute” (Hood et al., 2001).
Secondo quanto disposto nel Trattato sul funzionamento dell’UE, gli Stati membri possono sia restringere il libero movimento di beni al fine di proteggere la salute pubblica (ma agendo solo su aspetti non armonizzati, su cui, cioè, il legislatore europeo non è intervenuto con Direttive o con Regolamenti), sia derogare alla legislazione comunitaria armonizzata sulla base dell'Art. 95(4), relativo alle misure di salvaguardia.
In realtà, una volta che l'armonizzazione totale è stata raggiunta (ad esempio, sulla sicurezza d'uso di un fitofarmaco), gli Stati membri non sono in grado di proporre misure significative per derogare alle regole europee sulla base dell'Art. 303 del Trattato e giustificare così la restrizione del libero movimento di beni entro la Comunità. L'unica possibilità rimane quella di usare le condizioni eccezionali elencate nell’Art. 95 del Trattato. Due sono rilevanti per la sicurezza alimentare e la gestione del rischio. La prima suggerisce che gli Stati membri abbiano diritto di mantenere misure nazionali esistenti prima della armonizzazione legislativa a livello comunitario sulla base di cause di forza maggiore come elencate all'Art. 30 CE, o riferite alla protezione dell'ambiente e dell'ambiente di lavoro. La seconda possibilità è costituita dalle misure di salvaguardia, che consentono entro la legislazione armonizzata una restrizione temporanea al commercio di determinati alimenti per una o più ragioni non economiche, come elencate nell'Art. 30 CE. Tali misure sono temporanee e soggette al controllo comunitario (Art. 95(10) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ora Art. 117 nella versione consolidata).
La valutazione del rischio tra Stati membri e Agenzia europea per la sicurezza alimentare
Le decisioni politiche circa la sicurezza alimentare che costituiscono tale legislazione armonizzata sono prese in Europa in primis dalla Commissione europea, assistita nei casi richiesti dal Comitato tecnico specifico (Comitato permanente sulla catena alimentare e sulla salute e benessere animale), e possono dare luogo a Regolamenti o decisioni (sempre più raramente a Direttive che, richiedendo una interpretazione nazionale, corrono il rischio di creare ostacoli all’armonizzazione e al funzionamento del mercato interno). È evidente che in condizioni di forte spinta all'innovazione, di tecnologie emergenti, di scambio globale, e in definitiva di fattori che amplificano sia la creazione di capitali che la proliferazione e propagazione del rischio alimentare, sia necessaria una forte regia circa la valutazione del rischio stesso.
L’EFSA (Agenzia europea per la sicurezza alimentare stabilita dal Reg. CE 178/2002) è nata nel 2003 proprio per fronteggiare rischi emergenti delineatisi chiaramente nel corso egli anni ’90 (come quelli della “Mucca Pazza”, degli oli minerali nel mangime di pollame, ecc.), e con in mente la separazione tra valutazione del rischio (ad essa affidata) e gestione del rischio (in carico alla Commissione europea). La creazione di una agenzia indipendente avrebbe garantito, stando agli auspici della Commissione, un alto profilo scientifico e la lontananza da pressioni politiche di ogni sorta. È bene notare che la Commissione europea non conferisce all’EFSA un potere risolutivo in caso di opinioni scientifiche divergenti o di mancanza di consenso scientifico su temi specifici, dal momento che tale potere trasformerebbe l’EFSA in un decisore e non più in un mero valutatore.
Al fine di risolvere le divergenze scientifiche, che possono trasformarsi in barriere di mercato, il Reg. CE 178/2002 chiarisce la procedura da adottare. All’Art. 30 infatti, si precisa come l’EFSA sia obbligata a vigilare per identificare ad uno stadio preliminare ogni possibile divergenza tra opinioni nazionali, della Commissione o dell’Agenzia stessa. Cooperare per risolvere le divergenze o per preparare un documento congiunto in cui vengono spiegati i motivi di divergenza (e successivamente renderlo pubblico) sono i passaggi da intraprendere. Un’altra procedura fissata nel Reg. CE 178/2002 è la mediazione (art. 60), in cui l’EFSA ha un ruolo determinante. La procedura di mediazione si applica quando uno Stato membro ritiene che le misure prese da un altro Stato membro siano incompatibili con il regolamento stesso, o possano avere un impatto sul funzionamento del mercato interno. In tal caso, lo Stato membro riferisce alla Commissione che può richiedere un parere all’EFSA per dare una opinione scientifica afferente al tema. Successivamente, la questione passa al Comitato permanente sulla filiera alimentare e la salute animale (SCFCAH sotto la procedura di comitologia4, processo che genera un elevato livello di tecnicismi e che è stato considerato spesso opaco e antidemocratico, soprattutto quando vi sono temi polarizzanti come gli OGM (Christiansen e Polak, 2009).
Negli ultimi anni sono state diverse le questioni che hanno visto scontri anche accesi tra Commissione ed EFSA, tra EFSA e Stati membri o Agenzie indipendenti degli Stati membri.
Sugli OGM ad esempio, in più circostanze la Commissione sembra aver deciso in modo diverso (nel 2004 su alcuni ibridi di mais) rispetto a quanto lasciava ipotizzare l'opinione scientifica dell’EFSA; sebbene ciò sia assolutamente adeguato e a testimonianza dell'indipendenza dell’EFSA, in realtà può essere considerato come uno scontro tra istituzioni, e la stampa generalista lo ha recepito in tal senso. Così come nel 2009 vi è stato un acceso conflitto tra BfR tedesca (Istituto Federale per la Valutazione del Rischio, Bundesinstitut für Risikobewertung) e AFSSA francese (Agence nationale de sécurité sanitaire) da un lato e l’EFSA dall'altro, relativamente tanto alla velocità di emissione dei pareri, quanto alla diversa visione di aspetti propriamente scientifici (Eu Food Law, 2009).
Molto prosaicamente sugli OGM è stato deciso di lasciare agli Stati membri la volontà di regolarli o meno accettandoli. Lo scontro politico, che ha raggiunto livelli elevati nel corso degli anni, non è stato risolto da un maggiore utilizzo delle competenze scientifiche. Questo banale dato di fatto sembra togliere linfa al discorso di una valutazione scientifica risolutiva delle controversie politiche.
L'arena internazionale: guerre commerciali e misure sanitarie entro la cornice WTO
La già complessa situazione intra-Ue deve poi confrontarsi con il contesto globale, ed in particolare con alcune istituzioni sia di gestione (WTO - World Trade Organisation) sia di valutazione (Codex Alimentarius, iniziativa congiunta WTO e FAO per pareri di valutazione scientifica).
Le restrizioni alle importazioni, giustificate da aspetti sanitari e di tutela della salute pubblica, sono state considerate o come un effettivo strumento per assicurare l’autorità statale in un ambito della massima delicatezza o, al contrario, come una restrizione non giustificata al commercio internazionale per nascondere una volontà di protezionismo (Moy 1999).
Inizialmente, il GATT (General agreement on tariffs and trade), nato nel 1947 per volontà di 23 Governi nazionali, nacque come sforzo per ridurre le barriere tariffarie ed aumentare così il commercio tra gli Stati membri aderenti.
Tuttavia, in origine il GATT prevedeva altresì misure per restringere il commercio e le importazioni in base a motivi di salute umana ed animale. La mancata specificazione della legittimità di questi motivi provocarono in ogni caso problemi e dispute (Voegel, 1995).
I Beni agricoli, inoltre, erano originariamente esclusi dall'accordo, in ragione della complessità del tema e delle innumerevoli implicazioni5. Il successivo TBT (Technical Barrier to Trade, Accordo sulle barriere tecniche al commercio, fissato nel Tokyo Round del Multilateral trade negotiations) degli anni '70 impegnava formalmente gli Stati membri a fare sì che le norme tecniche non finissero per ostacolare il commercio. Nonostante l'accordo prevedesse la regolamentazione dei pesticidi, requisiti di etichettatura e controlli sui cibi, non indicava meccanismi concreti per far rispettare le norme (enforcement), dando luogo alla possibilità che si verificassero numerose dispute, inclusa quella relativa alla carne agli ormoni tra USA ed Ue.
Durante l’Uruguay Round, nella giornata conclusiva del 15 aprile 1994 furono perfezionati al cospetto di 100 diversi Stati membri vari accordi sulle misure sanitarie, includendo per la prima volta in modo deliberato i prodotti agricoli come oggetto della regolazione, prevenendo l'uso arbitrario di motivi sanitari per impedire l'accesso al mercato e restringere così le importazioni (McKenna 1998). Il TBT agreement viene rimpiazzato dalle misure SPS (sanitarie e fitosanitarie), che in sintesi prevedevano:
- all'articolo 3.1, la riduzione dei margini di arbitrio nell'ingiungere blocco alle importazioni, in ragione di standard armonizzati, o linee guida, o raccomandazioni, circa aspetti sanitari. Il Codex Alimentarius Committee diventa quindi l'organo in base al quale le dispute possono essere governate da un punto di vista della fondatezza scientifica.
- all'articolo 5.1, qualora non vi siano linee guida del Codex o gli Stati membri desiderino avere un livello di protezione più elevato della salute, gli Stati devono fare affidamento sulla procedura della valutazione del rischio (risk assessment). Il corollario è che gli Stati membri decidono il livello appropriato per definire il risultato di salute pubblica, ma tale livello non deve essere discriminatorio, bensì proporzionato all'esigenza del libero commercio, e applicato in modo responsabile.
L'unica eccezione prevista a partire dall'articolo 5(7) dell'accordo SPS permette ai membri WTO di adottare misure sanitarie temporanee quando l’evidenza scientifica necessaria è considerata insufficiente. Sebbene tale passo sia stato considerato come un riflesso del principio di precauzione, all'Accordo SPS non si riferisce esplicitamente a tale filosofia.
L'articolo 4, quello più difficile da interpretare e che lascia margini di irrisolto arbitrio, implica che gli Stati membri importatori applichino i criteri di salute e sicurezza propri dello Stato esportatore: questo anche quando le proprie regole siano più stringenti e cautelative, se l'esportatore dimostra di raggiungere gli obiettivi di sicurezza alimentare che l'importatore si propone di tutelare.
I tre punti così enucleati passano sotto il nome di WTO- SPS Framework, dal momento che il World Trade Organization nasce proprio in quella sessione di negoziati e ha il compito di gestire le dispute che originano da tali questioni.
Come si evince dal secondo e dal terzo punto, i principi guida non sono necessariamente chiari, e lasciano spazio a guerriglie commerciali in base alla forza negoziale entro i Fora deputati ad occuparsi delle questioni. Inoltre, i paesi fortemente esportatori risultano in prima battuta avvantaggiati. Anche se il WTO non ha poteri effettivi di enforcement, può tuttavia fornire una egida legale per le contromisure e rappresaglie commerciali da parte di chi si sente violato da un iniquo trattamento delle misure SPS: ciò significa spesso sollevare pesanti imposizioni tariffarie.
Come dimostrano vari casi (carne ormoni) la presenza di un sistema di gestione delle controversie commerciali basato sulla valutazione del rischio e su aspetti scientifici (quindi apparentemente oggettivo) non è riuscito ad obnubilare il movente delle guerre commerciali.
Né la continua proliferazione di Comitati tecnici entro il Codex Alimentarius è riuscito finora ad armonizzare le regole, se non verso il basso (come succede del resto quando si armonizza in un contesto così ampio), lasciando scoperti i consumatori europei ma anche i policy maker europei su tutta una serie di questioni.
Anche la creazione di Agenzie indipendenti Ue sulla sicurezza alimentare - stante l'obiettivo di cercare un consenso con il Codex Alimentarius - ha finito per moltiplicare le voci e di conseguenza risulta problematica.
Allo stesso modo, il coordinamento del WTO con altri organismi preposti alla tutela della salute non è facile. Ricordiamo peraltro che la OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha un accesso limitato ai meeting del WTO in cui vengono trattati aspetti commerciali che possono avere un impatto sulla salute. Così la OMS ha lo status di osservatore nei comitati sulle misure sanitarie e fitosanitarie, se sulle barriere tecniche al commercio, e uno status di osservatore ad hoc nei consigli TRIPS (Trade related intellectual property rights6). Lo status di osservatore permette alla OMS di essere presente e contribuire alla discussione, ma senza prendere parte effettiva alle decisioni e risoluzioni vere e proprie (Keeley, 2009).
Volendo ora entrare nel campo del contendere, per poi riflettere sui singoli casi, ricordiamo che la Commissione europea ha - nel suo complesso - 81 dispute commerciali regolate dal WTO circa standard vari (e non solo alimentari). Tali dispute ovviamente non riguardano solo derrate alimentari, ma frequentemente hanno una base nella valutazione scientifica, utilizzata per dimostrare la violazione di impegni di libero scambio precedentemente assunti.
Ricordiamo che le regole di appartenenza al WTO spingono proprio ad impedire la limitazione del libero scambio, con un impegno delle parti contraenti a rimuovere gli ostacoli che di volta in volta si possono profilare. In fin dei conti, i rapporti di forza valgono nella misura in cui il WTO è una organizzazione che permette agli Stati membri di negoziare tra di loro al fine di risolvere problemi afferenti allo scambio (“Essentially, the WTO is a place where member governments go, to try to sort out the trade problems”, sito del WTO).
Sebbene l’Europa abbia aperto 31 dispute contro gli USA, solo 4 sono alimentari; mentre gli USA, che ne hanno aperte “solo” 19 contro l’Europa, ne hanno 7 di tipo alimentare.
Delle 7 dispute contro l’Europa, poi, 4 hanno stretto titolo di sicurezza alimentare, mentre le altre sono più genericamente considerabili come battaglie commerciali tout court.
Le istituzioni scientifiche europee, il Codex Alimentarius e le controversie commerciali
La FAO e l'OMS hanno stabilito, allo scopo di impedire limitazioni al commercio internazionale, il Codex Alimentarius (1963), organismo che nasce sia per proteggere la salute dei consumatori, sia per facilitare il libero scambio internazionale di prodotti alimentari.
Il Codex Alimentarius si dota di standard su base scientifica, ma anche tenendo conto di altre considerazioni. Così, la FAO (2002) afferma che:
"Le linee guida sugli standard alimentari e altre raccomandazioni del Codex Alimentarius dovrebbero essere fondate sul principio di una stringente analisi scientifica e dell'evidenza, con una approfondita revisione di tutte le informazioni rilevanti, allo scopo che gli standard garantiscano la qualità e sicurezza dell'offerta alimentare. Il Codex Alimentarius, al momento di elaborare e decidere gli standard alimentari, considererà inoltre, quando appropriato, altri fattori legittimi rilevanti per la protezione della salute dei consumatori e per la promozione di corrette pratiche nel commercio alimentare".
Ciò consente interpretazioni di tipo più propriamente politico ed economico.
È questo un punto che va tenuto a mente, in quanto ancora una volta ad aspetti scientifici si sostituiscono poi nel caso aspetti pre-scientifici (volontà di libero scambio). L’ibridazione, insomma, di aspetti di valutazione strettamente scientifica con considerazioni più pragmatiche portano spesso a confusione e intenzioni di vario tipo.
L’Europa partecipa al WTO e ai lavori del Codex Alimentarius, su alcuni temi proprio come unica entità (Commissione europea), su altri lasciando libertà di espressione agli Stati Membri.
A partire dal 2003 l’Europa si è inoltre dotata, come accennato, dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che, nella sua indipendenza scientifica, può assistere la Commissione europea nell’effettuare decisioni di policy su base scientifica.
Recentemente, proprio l’EFSA si è data una linea sulla gestione delle differenti opinioni scientifiche tra organi di valutazione (anche internazionali). Infatti in caso di contrasti, il Documento guida sulla trasparenza della valutazione del rischio precisa che:
“Le opinioni divergenti sullo stesso tema, espresse da diversi organismi di valutazione del rischio, sono difficili da interpretare da parte dei gestori del rischio (risk managers). In generale, tali opinioni divergenti dovrebbero essere evitate il più possibile. A questo fine, il Comitato scientifico dell’EFSA e i Panel dovrebbero rispettare le procedure fissate dall'Articolo 30 (par. 4.3) del Reg. CE 178/2002, al fine di identificare e possibilmente risolvere le opinioni scientifiche divergenti. Questa procedura, tra le altre cose, prevede che nell’eventualità in cui persistano e non possano essere ricomposti diversi punti di vista, EFSA e gli altri organismi preparino un documento congiunto chiarendo gli aspetti scientifici del dissenso e identificando le incertezze presenti a partire dai dati.
Va rilevato che su una serie di tematiche l’EFSA e gli organi tecnico-scientifici del Codex (JEFCA7 per gli additivi, JEMRA8 per il rischio microbiologico, JMPR9 per i pesticidi) hanno avuto spesso opinioni diverse o dato luogo a risultati diversi. Sugli Ogm, ma anche sui derivati del cloro nel pollo, sugli ormoni nella ad uso zootecnico. Parimenti, la differenza del trattamento dei pesticidi causa problemi a EFSA, che adotta standard più rigidi rispetto al JEFCA.
Circa gli additivi alimentari, l’Unione europea ha da un lato una storia di più lungo corso rispetto al Codex Alimentarius (che ha previsto formalmente un Gruppo di lavoro dedicato agli additivi solo nel 2006), dall’altro un maggiore rigore.
Nel luglio 2010,ad esempio la Commissione europea ha chiesto all’EFSA una opinione circa la divergenza tra parere JEFCA del Codex Alimentarius e l’EFSA (parere del 2008) sulla sicurezza del licopene, carotenide contenuto nel pomodoro ed in altri ortaggi.
Questo per citare solo alcuni e tra i più sentiti problemi sanitari a sfondo commerciale che si sono venuti a creare in base alle divergenti argomentazioni scientifiche. Se non è detto che una divergenza scientifica nasca necessariamente da aspetti “politici” - intesi come le diverse sensibilità e interpretazioni, anche al cospetto di sistemi produttivi radicalmente diversi - è però vero che finisce per generare problemi anche politici, che se la scienza non è in grado di dirimere, arriveranno al tavolo del gestore del rischio (il politico ed il burocrate).
SPS-WTO: quali risultati per il consensus scientifico nel mondo?
Si potrebbe facilmente pensare che minori costi di transazione e minori barriere sanitarie possano avvantaggiare tutti i partner commerciali, come insegnato dalla scuola liberista, con un focus sui vantaggi comparati. Ma il fatto economico non può nascondere aspetti politici importanti. Intanto il WTO non è stato in grado, con il suo SPS-WTO Framework, di raggiungere i due obiettivi proposti, ovvero l'armonizzazione delle regole di valutazione del rischio e la risoluzione delle controversie. In secondo luogo, i paesi più evoluti rispetto alla tutela della sicurezza alimentare e della salute dei cittadini (come l’Europa) corrono il rischio di diventare importatori di standard più laschi.
Stanti tali premesse, la strada obbligata - ma per nulla agevole - è l’armonizzazione delle regole di valutazione del rischio, ad esempio con un accresciuto dialogo tra le Agenzie scientifiche. C'è chi ha sostenuto che possa essere utile includere nella valutazione considerazioni circa la gestione del rischio (risk management), in quanto una cortina di separazione tra le due finisce per non tenere in conto delle reali condizioni del sistema concreto dei controlli, che possono finire per dare una contestualizzazione alla valutazione in quanto tale (Kastner, J.J, Pawsey, R., K., 2002). Ciò nonostante, EFSA si trova nel difficile ruolo che le impone sia di essere indipendente (discendendo dalla separazione tra gestione e valutazione del rischio come decisa al livello politico dal Reg. 178/2002 sia di dovere essere “accountable”, ovvero rispondere delle proprie scelte al decisore politico (la CE) e in via più generale, ai cittadini. Il continuo e ampliato ricorso agli stakeholders ed ai loro contributi, ormai sdoganato a tutti gli effetti dalla Direzione attuale di MmeCatherine Geslain-Lanéelle, riesce a recuperare alcuni aspetti importanti proprio della post-normal science, ovvero, un ricorso a pubblici esterni e nel caso alla cittadinanza più ampia qualora la scienza non sia in grado di dirimere tutte le questioni rilevanti nel loro impatto sul corpo sociale. I casi della clonazione animale per fini alimentari e delle biotecnologie sono a tal proposito esemplificativi.
Conclusioni
Come tutti gli apparati che pretendano un forte accentramento di potere, il WTO da un lato e la Commissione europea dall'altro hanno la necessità di una solida base argomentativa per poter sostenere i parametri tecnici a sostegno del libero commercio (globale).
Il discorso scientifico ha dimostrato di essere un formidabile strumento di consenso per il decision making, sfociando nel “scientismo”; ovvero, la pretesa di rifarsi, tramite idonee narrazioni e sintassi, a fondamenta scientifiche (presunte o reali) per motivare scelte che limitino al massimo il dissenso (Bucchi, 2010).
Ma contro tutte le certezze costruite dall'apparato scientista e tecnocratico della governance globale, possiamo affermare come su molte questioni di valutazione del rischio il proliferare dei momenti di indagine non abbia contribuito ad una maggiore certezza, anzi, ad una diversificazione dei pareri. Tale dato, abbastanza banale se vogliamo (“più centri di opinione, più opinioni”), contraddice la velleità di un apparato scientifico monocromatico, in cui la hard science è in grado di emergere e accomunare le valutazioni, in quanto voce di un “sapere universale”.
In tale contesto, la comminazione di eventuali sanzioni commerciali sembra perdere un suo significato puramente scientifico, per assumerne uno propriamente tecno-politico e dovuto alla capacità di imporre la propria forza commerciale ed economica (Kastner, J.J et al. 2002). E’ inoltre fuorviante, in ragione della opacità dei meccanismi decisionali in sede WTO (Lloyd, 2001), confondere scelte commerciali con basi certe a sfondo sanitario; così come, con scelte reali del corpo elettorale nazionale che decide i propri standard di garanzia alimentare, quando la governance di organismi sovranazionali risulta rispecchiarsi in una sorta di elitismo tecno-scientifico (Millstone, 2009).
La presenza di dati diversi, di elementi di gestione del rischio contestuali e locali, la presenza di conoscenze tacite, convinzioni personali e variabili culturali nei gruppi scientifici, nonché il necessario ricorso al fattore umano (indispensabile ad esempio nell'interpretazione dei dati) sono tutti aspetti reali che contribuiscono alla divergenza delle opinioni di valutazione. Altresì, aspetti di governance organizzativa dei gruppi scientifici sono soggetti alle limitazioni del decision making entro i gruppi (opinioni di minoranza, ecc.).
In tal senso, le opinioni scientifiche sembrano in qualche modo simili alla logica delle decisioni più propriamente politiche (secondo il modello incrementale o del “bidone della spazzatura” ben noti in politologia (Cohen et al. 1972, Mintzberg 1973), in cui elementi di aleatorietà e anche contingenti possono avere un ruolo.
La trasparenza dei processi decisionali a sfondo scientifico (come lavorano i panel, come decidono, come votano, ecc.) assume allora un carattere fondamentale per garantire la scientificità delle opinioni. Tale trasparenza è oggi critica(ta) sia per la governance della valutazione del rischio europea che globale.
In Europa, nonostante il più ampio coinvolgimento dei pubblici esterni come organismi terzi, ONG e anche liberi cittadini tramite Consultazioni Pubbliche, i gruppi di lavoro (panel) dell’EFSA non sono aperti al pubblico o accessibili per poter seguire le opinioni nella loro costituzione. A livello globale la situazione è possibilmente più criptica, con un limitato accesso degli stessi Stati membri ai lavori del WTO.
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Taleb N.N. (2010), Robustezza e Fragilità. Il Saggiatore
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Treaty on the functioning of the European Union [link]
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Voegel D. (1995), Trading up: consumers and environmental regulation in a global economy, London. Harvard University Press., pp. 150-189
- 1. Il Principio di precauzione nasce come enunciazione vera e propria a Rio de Janeiro, nel 1992 in occasione del Summit della Terra, formalmente noto come Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni unite.
- 2. Un esempio paradigmatico della nuova ondata di “enclosures”, ovvero assegnazione di diritti di proprietà intellettuale, riguarda la registrazione e brevettazione di organismi vegetali, a partire dall'Uruguay Round del 1993, che ha finito spesso per togliere alla sovranità popolare la proprietà di beni “nascosti” e dal valore inestimabile, in quanto afferenti a complesse relazioni di equilibrio ambientale e socio-economico.
- 3. L’Art. 30 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea reca: “Le disposizioni degli articoli 28 e 29 non precludono proibizioni o restrizioni sulle importazioni, esportazioni di beni in transito giustificate a partire da: moralità pubblica, politiche pubbliche o sicurezza pubblica; protezione della salute e della vita di persone, animali o piante; protezione di tesori nazionali che possiedano valore artistico, storico o archeologico; o protezione di proprietà industriale o commerciale. Tali proibizioni o restrizioni non dovrebbero, in ogni caso, costituire una discriminazione arbitraria o una restrizione discorsiva del commercio tra Stati membri”.
- 4. Per un rapido approfondimento sulla comitologia nelle sue varie forme e revisioni nel corso del tempo, si veda: [link].
- 5. Per un esaustivo inquadramento, si veda il documento della FAO reperibile al link: [link].
- 6. Accordo in sede WTO circa la protezione della proprietà intellettuale, raggiunta durante l'Uruguay Round (1986-1984). Si prefigura una armonizzazione a livello di governance globale circa la tutela delle opere di ingegno, tutela prima lasciata alle misure non coordinate dei governi nazionali. Per un approfondimento non tecnico: [link].
- 7. Joint Fao/Who Committee On Food Additives.
- 8. Joint Fao/Who Meetings On Microbiological Risk Assessment.
- 9. Joint Fao/Who Meetings On Pesticide Residues.