Introduzione1
Per chi si occupa di economia e politica agricola, quelli che stiamo vivendo sono anni straordinari. Stiamo assistendo a un cambiamento di asse degli equilibri economici e politici globali che si riflette con toni vividi nell'attuale fase di sviluppo dell'agricoltura e della produzione alimentare mondiale. Questo deve portarci a riformulare questioni che pensavamo definite una volta per tutte dal punto di vista concettuale e operativo. Il mutamento di scenario, dentro e fuori il contesto agroalimentare, ci costringe a ripensare l'agricoltura e le politiche economiche che la governano.
Il tema della food security è emblematico di questo cambiamento. Per decenni considerata una questione lontana dai paesi sviluppati, un problema "degli altri", causato essenzialmente dalla distribuzione ineguale delle risorse, dal 2008 in poi il tema dell'accesso, della stabilità, della disponibilità relativa agli approvvigionamenti alimentari è balzato al vertice dell'agenda dei summit dei Grandi della terra. A porre la questione in modo urgente era stata la fiammata dei prezzi agricoli del 2007/08, ripetutasi in forma diversa nel 2010/11.
Dal G8 dell'Aquila (2009) a quello di Camp David (2012), passando per il Piano di Azione sulla volatilità dei prezzi e l'agricoltura voluto dal G20 a guida francese del 2011, la food security è tornata come una questione globale che, con intensità e urgenze diverse, coinvolgerà tutti, almeno nel medio-lungo termine. Al centro del dibattito, non solo, come in passato, la distribuzione degli alimenti, bensì la loro produzione.
Produzione intesa sia a livello qualitativo, ovvero, produrre meglio riducendo l'impatto ambientale e aumentando l'efficienza nell'impiego delle risorse; sia in termini di quantità, con la domanda ricorrente: ce la faremo a sfamare i 9 miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2050? In questi anni l'agricoltura, come attività che produce cibo e alla quale si rivolgono altre e sempre più pressanti domande, per esempio sul fronte energetico e della produzione dei materiali, è tornata al centro della politica globale.
Per testimoniare e cercare di interpretare questa fase, aggiornando la cassetta degli strumenti concettuali dello studioso e del politico, è nata l'idea di un libro scritto "in presa diretta", immediatamente a ridosso degli avvenimenti di cui si parla. Questa è la genesi di Corsa alla terra che dopo mesi, e in qualche caso anni2, di riflessioni sparse, grazie alla partecipazione di un pool di studiosi ed esperti ha potuto prendere forma in poche settimane, dal maggio al settembre 2011.
La spinta decisiva è arrivata da un incontro organizzato dal Parlamento europeo sul tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Ospite dell'iniziativa fu Romano Prodi che, con un’analisi lucida e puntuale frutto delle sue recenti esperienze come politico e studioso in Cina e Africa, ha disegnato un quadro della situazione internazionale e dei suoi prevedibili sviluppi, per molti versi preoccupanti. La riflessione su questi temi era già in corso, maturata anche in seno al Parlamento europeo, ma l’intervento di Prodi ci ha consegnato un senso di urgenza tale da indurci a serrare il dibattito.
Dall’abbondanza alla scarsità: quali scenari?
I dati sulla crescita della domanda e dell’offerta mondiale sono chiari: in prospettiva, la produzione agricola non tiene il passo di una domanda che, tra l'altro, ormai non è più solo alimentare. Una tendenza che spiega il ribaltamento della curva dei prezzi delle principali commodity agricole. Dopo decenni di prezzi calanti, al giro di boa del millennio le quotazioni hanno iniziato a salire, segnando un trend al rialzo di lungo periodo, per di più caratterizzato da una marcata instabilità nel breve. Le "fiammate" dei prezzi del 2007/08 e del 2010/11, ne sono state una manifestazione evidente, con ricadute importanti sulla stabilità di intere regioni geopolitiche, come mostra il ruolo svolto dall'impennata dei prezzi al consumo dei cereali del 2010 nell'innesco di alcune delle rivolte del Nord-Africa che hanno posto fine a regimi pluridecennali.
Tra i fattori da considerare per leggere questa nuova realtà c'è certamente l’aumento della popolazione e quello ancora più marcato dei consumi che caratterizzano soprattutto le economie emergenti del pianeta come Cina e India. Una pressione che sta facendo crescere la domanda alimentare, mentre la disponibilità di terre agricole e la loro produttività si riducono. Tanto da innescare una pratica, giornalisticamente nota come land-grabbing, che vede l’acquisto su larga scala di milioni di ettari di terre, soprattutto in Africa, ma anche nel Sud-Est asiatico, da parte di acquirenti stranieri, fondi sovrani, imprese agricole di taglia globale, investitori dal buon fiuto, società finanziarie europee, asiatiche e americane.
La terra è al centro di tensioni impressionanti. L'espansione urbana che si sta manifestando con particolare vigore nel mondo in via di sviluppo, la necessità di preservare le superfici delle grandi foreste pluviali, e le politiche incentivanti sui biocarburanti di prima generazione hanno innescato una competizione nell'uso dei suoli che si traduce in un rialzo dei prezzi fondiari su scala globale e a una vera propria corsa all'accaparramento della terra.
La corsa alla terra è una manifestazione diretta dell’incertezza che domina il sistema di approvvigionamento agroalimentare globale. Vale a dire che porre al centro della riflessione le pressioni sulla terra permette di ridurre a sintesi uno scenario molto complesso. Ciò non toglie che si debba render conto di tutti i fattori che concorrono a un cambiamento che ha portata globale. La "corsa alla terra" come espressione più chiara del concetto di "nuova scarsità" si spiega solo attraverso una molteplicità di elementi, non solo economici, ma anche eco-sistemici, politici, delle relazioni internazionali, giuridici, nel senso che investono la struttura della proprietà fondiaria in paesi geograficamente e culturalmente molto distanti tra loro.
Si può provare a sintetizzare questi elementi come segue: in una fase di espansione demografica e di aumento della domanda di derrate agricole con bassi livelli degli stock, data la degradazione progressiva delle risorse naturali (che mette a repentaglio la capacità produttiva alimentare futura), dati gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione di cibo, considerate le anomalie di funzionamento nei mercati finanziari globali e regionali e alla già menzionata competizione nell'uso dei suoli, la terra diventa una risorsa scarsa. Il diritto al suo sfruttamento, inclusa l’acqua che contiene, è ormai questione strategica, che potrebbe rivelarsi cruciale anche per i futuri equilibri geopolitici.
Le acquisizioni fondiarie su larga scala generano conflitti soprattutto dove le istituzioni politiche sono instabili e la governance della terra è debole. Nei paesi dove la terra costa meno, dall'Etiopia alla Cambogia, spesso l'investimento presenta il rischio più alto. Il contratto tra le parti, non garantisce più di tanto dove i diritti di proprietà non sono scritti ma consuetudinari. Lo stesso si può dire dei luoghi dove, pur in presenza di regolari titoli di proprietà, essi vengono deliberatamente violati da intermediari locali senza scrupoli che per arricchirsi organizzano vere e proprie rapine di terra a danno di terzi. Tutto questo per dire che anche la corsa alla terra è un fenomeno molto stratificato e complesso. Per essere compreso va letto senza le lenti ideologiche per cui tutti gli investimenti stranieri sono land-grabbing. Anzi, lo sviluppo ha bisogno più che mai di investimenti.
La terra è centrale anche su questo versante, quello degli investimenti. Non si fa certo riferimento alla pratica di alcuni fondi privati che comprano terra non per renderla produttiva, ma perché con la tendenza al rialzo dei prezzi vendere domani sarà sicuramente un ottimo affare. Ci riferiamo a come aumentare la produttività della terra, perché domani avremo meno spazio a disposizione per coltivare.
Per semplificare, spesso si utilizza lo slogan "produrre di più inquinando di meno". In realtà non è aumentare la produzione tout court che conta, ma incrementare la produttività. La sfida che il nuovo scenario ci mette davanti non è, solo, produrre di più, bensì, produrre con meno unità di superficie. Tradotto, significa rese maggiori, un impiego di mezzi tecnici maggiore, livelli di efficienza più alti e meno sprechi, più innovazione tecnologica. L'innovazione è lo strumento con cui saldare competitività e innalzamento degli standard ambientali. L'innovazione per la produttività è centrale in quella che è stata definita, con un suggestivo ossimoro, intensificazione sostenibile. Storicamente, la produttività agricola è aumentata solo grazie a grandi innovazioni e al loro trasferimento efficace agli agricoltori. Oggi i tassi medi di crescita delle rese dei principali raccolti come grano e riso sono all'1% l'anno. Nel 1980 erano del 2,5-3%, conseguenza diretta del calo drastico, soprattutto in Europa e Usa, degli investimenti in ricerca agricola sulla produttività. Chi continua a contribuire in modo determinante alla ricerca agricola sono le economie emergenti.
L'argomento dei maltusiani classici su questi argomenti è: si è raggiunto un limite tecnico oltre il quale non si può andare. Personaggi di rilievo come Lester Brown, che della scarsità hanno fatto un argomento di studi rigorosi e pluridecennali, arrivano a questa conclusione. Ma come si fa a dirlo con tanta certezza? Se si guarda agli sviluppi tecnici promessi dalle nanotecnologie e se si pensa che la loro applicazione alla de-salinizzazione dell'acqua di mare potrebbe ridurne i costi del 75%; se si guarda a tecnologie tradizionali come i pozzi Zai in Burkina Faso, che aiutano a risparmiare acqua e per questo vengono adottati anche in altri paesi africani; se si guarda a cosa l'uomo è ancora in grado di fare e di inventare praticando l'attività economica e sociale più antica della civiltà, come si fa a dire che siamo arrivati al limite tecnologico possibile?
Oltre ad agire per valorizzare le attività di ricerca si devono prendere iniziative per rivedere le politiche nazionali e sovranazionali che governano gli scambi commerciali e la sicurezza alimentare. Iniziare a pensare l'approvvigionamento alimentare come un fatto globale, implica soluzioni allo stesso livello e non solo politiche fatte in casa. Il tema è quello della global food policy, un quadro di principi di riferimento e di organismi decisionali capace di coordinare gli interventi di politica agricola a livello internazionale.
C'è da dire che i documenti pubblicati dai Grandi e gli impegni presi nel corso dei summit ai quali abbiamo fatto menzione all'inizio, sono molto più ambiziosi dei risultati ottenuti. Dopo il G8 Leaders Statement on Global Food Security firmato a Hokkaido (2008), il summit del 2009 dell'Aquila, per la prima volta nella storia del G8, è stato preceduto da un vertice dei ministri dell'agricoltura che ha successivamente portato i leader globali a impegnarsi per raccogliere 22 miliardi di dollari in tre anni per lo sviluppo dell'agricoltura. A Camp David, nel 2012, il presidente americano Barack Obama ha idealmente chiuso il cerchio lanciando la New Alliance for Food Security & Nutrition in cui chiedeva il contributo dei privati per raggiungere obiettivi concreti. Nell'estate 2012 era stato raccolto poco più del 20% dei 22 miliardi promessi nel 2009.
Il Piano di Azione sulla volatilità dei prezzi e l'agricoltura del 2011, seppur troppo sbilanciato sul tema della finanziarizzazione dei mercati agricoli e definito "modesto" da molti autorevoli osservatori, incluso l'allora numero uno della Banca Mondiale Robert Zoellick, resta lo strumento di azione più completo avanzato finora sul tema della global food policy. Per quanto riguarda l'aspetto finanziario, va ricordato che parliamo di un mercato che è di per sé particolare, caratterizzato da bassi volumi scambiati, pochi grandi player, struttura dell'offerta frammentata, elevata incertezza.
Tra le altre iniziative il piano di azione di Cannes ha lanciato l'Amis (il sistema di informazione sui mercati agricoli) per migliorare la trasparenza dei mercati; ha sostenuto la "Iniziativa Internazionale di Ricerca per il Miglioramento del Grano" per favorire gli studi pubblici finanziati sul genoma del grano; ha costituito il "Forum di risposta rapida" per migliorare la capacità della comunità internazionale coordinare le politiche e sviluppare risposte comuni nelle crisi di mercato. Altre idee, come l'impegno a eliminare le restrizioni all'esportazione di prodotti alimentari per il cibo acquistato per scopi umanitari da parte del World Food Program non sono state attuate perché demandate al Wto.
Secondo diversi osservatori, alcune di queste iniziative hanno contribuito a evitare che il panico si diffondesse nei mercati lo scorso inverno, dopo l'annuncio del catastrofico raccolto americano di mais, dovuto alla peggiore siccità da 50 anni a questa parte. A differenza del 2008 (India) e del 2011 (Russia) nessun grande esportatore di derrate ha bloccato le esportazioni, evitando così di esacerbare la crisi.
Considerazioni
Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di chiarire l'origine e le implicazioni della corsa al cibo e dell'era che abbiamo definito della nuova scarsità. I consumi crescono e si modificano, mentre la disponibilità delle risorse naturali è sempre più limitata. Concentrandoci sul caso della terra, abbiamo visto come la scarsità spinga addirittura degli Stati a prendere in considerazione l’acquisto di superfici oltre frontiera con implicazioni controverse, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, che finiscono per cedere a prezzi stracciati i pezzi più fertili del loro territorio. I nuovi vincoli all’utilizzo di risorse fondamentali come l’acqua e la necessità di rendere l’attività agricola più sostenibile sotto il profilo ambientale ci consegnano un quadro non incoraggiante per la produzione alimentare, le cui tinte sono rese ancora più fosche dagli effetti previsti del cambiamento climatico, destinato ad amplificare molte vulnerabilità dell’offerta agricola. Il cambiamento di scenario, valutato con ritardo nella sua reale portata, sta mettendo a dura prova le capacità di reazione dei sistemi economici e politici. Soprattutto le risposte da parte dei singoli Stati non sembrano essere all'altezza.
La realtà è che il vecchio paradigma dell’offerta e della domanda di beni primari sta saltando; il paradigma che aveva spinto e guidato il percorso di riforma della stessa Pac, a partire dalla Riforma Mac Sharry, si rivela inadeguato nell’affrontare i nuovi equilibri e, soprattutto, i nuovi scenari. Prezzi declinanti, produzione eccedentaria e, quindi, problema di una cattiva distribuzione del cibo e non di quantitativi prodotti, abbandono dei territori rurali, minore interesse per la ricerca e sviluppo in agricoltura sono tutti elementi che, nel vecchio paradigma, giustificavano l’aggiustamento del sostegno della Pac verso attributi diversi da quello meramente produttivo. Non pochi, fino a qualche anno fa, parlavano di “politica ambientale” piuttosto che di politica agricola.
Evidentemente, l’assenza di visione futura rispetto a taluni fenomeni ha caratterizzato anche la comunità internazionale che, a più riprese si è fatta trovare impreparata. Basti ricordare la mancanza di azioni coordinate a livello globale in occasione dell’ultimo picco sui mercati finanziari del 2011 che ha innescato reazioni capaci di sortire quale unico effetto l’accentuazione della volatilità dei prezzi, distorcendo ulteriormente la trasmissione dei segnali del mercato. Parliamo di un mercato che, lo ricordiamo, è di per sé particolare. Bassi volumi scambiati, struttura dell’offerta frammentata, elevata incertezza: tutti fattori che limitano le capacità di crescita tecnica e organizzativa degli agricoltori, in quasi tutto il mondo, ovviamente con intensità diversa in ragione del livello di sviluppo raggiunto.
I fatti del 2007/2008 e quelli del 2010/2011, sono purtroppo più di un campanello d’allarme. Solo il picco dei prezzi alimentari più recente ha spostato quasi 45 milioni di individui oltre la soglia di povertà, sinonimo di un'esistenza condotta con meno di 1,25 dollari al giorno, vissuta peraltro già da oltre 1,2 miliardi di persone nel mondo. Le tensioni tra domanda e offerta ci danno l’idea di uno squilibrio strutturale che potrebbe crescere nei prossimi anni, anche se per il 2013, il rapporto delle Nazioni Unite3 dice che l’obiettivo del millennio della riduzione di metà della popolazione sotto la soglia di povertà è stato raggiunto. Tale considerazioni, però, non cambiano le analisi e le preoccupazioni per le prospettive future, soprattutto se consideriamo che solo in Cina circa 700 milioni di persone hanno superato la soglia di $1.25; quindi, al netto della crescita economica di Cina, India e Brasile, è ancora tutto da capire quello che accadrà in futuro. L’allontanamento del primo degli obiettivi di sviluppo del millennio, la riduzione della fame del mondo, deve restituirci un senso di urgenza e di determinazione al fine di immaginare e progettare politiche rinnovate a livello internazionale, per costruire un nuovo orizzonte di sicurezza alimentare globale. Un'esigenza che oggi, per le dimensioni assunte dalla questione, non può essere esclusivamente relegata al tradizionale tema, peraltro assolutamente prioritario e centrale, di come sostenere lo sviluppo agricolo e l’autosufficienza alimentare delle aree in ritardo, ma che deve necessariamente riguardare le agricolture di tutto il mondo. È un problema che ci riguarda tutti e non più solo una questione di come aiutare "gli altri".
Colpevolmente, e superficialmente, si è imputato alla speculazione sui mercati finanziari la crescita enorme dei prezzi delle commodity agricole. I summit e i piani di azioni dapprima menzionati, al di là di tutto, crediamo possano essere considerati quali un primo fondamentale tassello sul quale innestare un piano di impegni coordinato a livello internazionale. Un primo passo che ha avuto, intanto, l’effetto di porre il tema all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, contribuendo a far maturare la consapevolezza che la dimensione del problema della stabilità degli approvvigionamenti è diversa da quella cui ci siamo abituati nel passato.
La sfida ora si gioca su almeno due piani, e su altrettanti orizzonti temporali. Da un lato, si deve agire sulle attività di ricerca, di trasferimento tecnologico e organizzativo; dall'altro su una revisione delle politiche nazionali e sopranazionali che governano gli scambi commerciali e la sicurezza alimentare. Una dose massiccia di innovazione rappresenta l’unica strada per quella che è stata definita la prospettiva dell’ “intensificazione sostenibile” , ossia la capacità di produrre di più senza consumare nuove superfici ed inquinando meno. Per quanto riguarda invece le politiche, esse possono fare molto per garantire più efficienza e stabilità ai mercati, per difendere gli agricoltori dall’accresciuta incertezza che circonda la loro attività, per evitare che l'instabilità generalizzata si ripercuota sulle fasce più deboli della popolazione sfociando in tensioni sociali difficilmente irreggimentabili. Le politiche hanno un compito da svolgere anche nella prima area di intervento che abbiamo preso in considerazione, nel favorire la diffusione del progresso tecnico, soprattutto laddove la frontiera dell’efficienza è più lontana e l’emergenza alimentare più acuta.
Anche gli orizzonti temporali entro cui progettare nuovi strumenti di governance dell'offerta alimentare sono due: il breve, e il medio – lungo periodo. Nel breve occorre individuare soluzioni che consentano di fronteggiare in modo adeguato il problema della volatilità dei mercati, gli stati di vulnerabilità alimentare ad esso associati e il suo impatto sul tessuto produttivo agricolo. Nel lungo periodo, si tratta di delineare una prospettiva capace di assicurare una sostenibilità alimentare duratura e diffusa.
Riferimenti bibliografici
-
De Castro P., Promuovere una global food policy per gestire la scarsità e Adinolfi F., Il processo di riforma della Pac e le prospettive future, in Italiani Europei n.3/2008
-
De Castro P., Adinolfi F., Capitanio F., Di Falco S. (2011), “Building a New Framework for the Common Agricultural Policy: A Responsibility Towards the Overall Community”, Eurochoices Volume 10, Issue 1
-
Di Falco S., Chavas J.P. (2009),“On Crop Biodiversity, Risk Exposure and Food Security in the Highlands of Ethiopia”. American Journal of Agricultural Economics 91(3)
-
Capitanio F., “The increase in risk exposure of the European farmers: A comparison between EU and North American tools looking at the Cap post 2013”, Directorate B, European Parliament, Brussels, 06/2010. Capitanio, 2010
- 1. Questo contributo è tratto da “Corsa alla Terra”, scritto da Paolo De Castro, Donzelli editore e rivisitato nel libro “The Politics of Land and Food Scarcity”, scritto da Paolo De Castro insieme a Felice Adinolfi, Fabian Capitanio, Salvatore Di Falco e Angelo Di Mambro, edito da Routledge.
- 2. Si vedano De Castro P., Promuovere una global food policy per gestire la scarsità e Adinolfi F., Il processo di riforma della Pac e le prospettive future, in Italiani Europei n.3/2008; Salvatore Di Falco and Jean‐Paul Chavas (2009). “On Crop Biodiversity, Risk Exposure and Food Security in the Highlands of Ethiopia”. American Journal of Agricultural Economics 91(3); Paolo De Castro, Felice Adinolfi, Fabian Capitanio and Salvatore Di Falco (2011). Building a New Framework for the Common Agricultural Policy: A Responsibility Towards the Overall Community. Eurochoices Volume 10, Issue 1; Capitanio F., “The increase in risk exposure of the European farmers: A comparison between EU and North American tools looking at the Cap post 2013”, Directorate B, European Parliament, Brussels, 06/2010. Capitanio, 2010.
- 3. The Millennium Development Goals Report 2012, United Nations, New York.