Introduzione1
Le regole e procedure di attuazione delle politiche di sviluppo rurale europee sono state finora considerate un aspetto tecnico-organizzativo, di gestione, da considerare separatamente dagli obiettivi dei programmi e dalle azioni di sostegno, sottovalutando così la loro influenza sui risultati e l’impatto di tali politiche. Nel monitoraggio e valutazione dei programmi, si osservano gli indicatori delle azioni sostenute (ad esempio, quante nuove imprese, quante nuove occupazioni giovanili, ecc.), dimenticando di considerare il nesso tra i diversi sistemi di “governance” esistenti negli Stati Membri per l’attuazione delle politiche rurali ed il raggiungimento dei risultati previsti.
In realtà – si vuole qui sostenere - l’insieme delle regole e procedure stabilite ai diversi livelli istituzionali (Unione Europea, Stato Membro, Regioni, livelli sub-regionali delegati) influisce in modo sostanziale sui risultati delle politiche rurali, le differenzia tra uno Stato e l’altro, e perfino tra le regioni di uno stesso Stato. È necessario dunque fare più attenzione a questo nesso e studiarlo da una prospettiva più ampia che quella tecnico-organizzativa. Si capirebbero così tre aspetti importanti: in primo luogo quali sono i fattori che fanno funzionare bene l’attuazione dei programmi; in secondo luogo quali sono i punti sensibili nelle regole e procedure, che influiscono maggiormente sui risultati e gli impatti; in terzo luogo il poter valutare – se si confrontano queste informazioni a livello europeo - quanto siano di fatto “comuni” le politiche di sviluppo rurale europee. Da questa prospettiva, ritardi, errori ed inefficienze nell’attuazione potrebbero essere spiegate in modo più comprensibile e utile alla loro risoluzione.
Qui di seguito si descrivono in modo sintetico due sistemi di “governance” rurale, che a mio parere possono considerarsi esempi di approcci istituzionali con diversi livelli di efficacia: quello della Danimarca, dove il sistema di attuazione centralizzato funziona relativamente bene ed è funzionale al conseguimento dei risultati perseguiti dalle politiche rurali nazionali; quello della Francia, semi-centralizzato, con aspetti più problematici tra aspetti centralizzati e decentrati della governance rurale. L’obiettivo, in sede conclusiva, non è quello di stabilire una gerarchia di bravi e meno bravi, ma di capire meglio quali sono i fattori influenti sul buon funzionamento effettivo, non solo burocratico, dei programmi; dove stanno i punti sensibili della “governance” rurale e cosa implica la diversità dei sistemi di attuazione.
La Commissione Europea ha recentemente svolto un esercizio di analisi delle capacità istituzionali dei diversi stati membri2, dove per prima volta introduce forme di condizionalità distinte per SM che riguardano le modalità di attuazione problematiche, in alcuni casi mettendole come priorità per ottenere i finanziamenti complessivi, in altri come condizione prioritaria soltanto per alcuni assi/obiettivi specifici, in altri ancora dove le capacità istituzionali sono un problema relativamente minore, che riguarda singoli aspetti di particolari misure. Ciò significa che il nesso tra procedure di attuazione e risultato delle politiche comincia ad essere capito ed affrontato.
Due esempi di governance diversi, uno stesso regolamento europeo
Lo sviluppo rurale è una politica “condivisa” tra l’Unione Europea (UE) e gli Stati Membri (SM), in modo analogo alle altre politiche che fanno riferimento ai Fondi Strutturali. Ciò significa che questi due livelli istituzionali hanno responsabilità e ruoli definiti dai Trattati, da svolgere sia nella fase di elaborazione e di approvazione dei regolamenti, con relativa allocazione dei fondi disponibili a livello europeo, sia nella fase di disegno dei programmi e di attuazione delle misure da parte degli SM. Si tratta di un sistema complesso di per sé, con molteplici livelli istituzionali che possono intervenire direttamente o indirettamente, modificando e riempiendo di contenuti diversi il disegno dei programmi, il “peso” delle diverse misure ed il profilo dei beneficiari. Così pure sulle procedure, norme attuative e organizzative, che le autorità di gestione ritengono utili per attuare il programma, nel rispetto delle norme amministrative che regolano la spesa pubblica nei diversi Stati.
È importante tenere presente che tali norme sono state spesso formulate all’epoca della formazione degli stati nazionali, avvenuta prima dell’entrata come SM nell’UE, ed hanno pertanto caratteristiche che sono specifiche per ogni Stato. La formale condivisione delle competenze tra UE e SM crea il quadro normativo di riferimento che consente di accordarsi su politiche comuni europee, nel rispetto di queste specificità delle amministrazioni.
In realtà gli SM hanno seguito due tipi di comportamento nell’attuazione delle politiche di sviluppo rurale: in alcuni casi, dove si osservava una divergenza significativa tra le procedure da seguire per rispondere ai requisiti dei regolamenti europei e quelle nazionali, si sono creati uffici ad hoc per la gestione delle politiche europee, funzionalmente distinti da quelli che si occupavano delle politiche nazionali, in questo modo costruendo due sistemi amministrativi paralleli, che spesso intervenivano sulle stesse materie, con regole diverse. In altri casi, dove le divergenze erano percepite come minori, oppure non c’erano politiche rurali nazionali preesistenti, si sono create strutture integrate, uniche responsabili per questo tipo di politiche.
Questa situazione non è rimasta immutata nel tempo: l’UE da un lato ha spinto affinché non ci fossero due politiche rurali in parallelo, ottenendo di essere a conoscenza delle politiche nazionali, dei fondi aggiuntivi messi a disposizione, ammettendoli ma considerandoli aiuti di stato da notificare alla Commissione. Dall’altro, la progressiva scarsità di fondi pubblici disponibili, acuita dalla crisi economica degli ultimi anni, ha ridotto in modo sostanziale la possibilità per gli SM di mantenere questo doppio binario, svuotando progressivamente di fondi le politiche esclusivamente nazionali e mantenendo invece gli interventi co-finanziati con l’UE, ciò che semplificava le amministrazioni nazionali. Si può dunque osservare nel tempo una graduale, anche se non sempre facile, convergenza delle strutture amministrative nazionali con quelle europee ed una riduzione del doppio binario nelle misure. Ciò ha avuto impatti diversi sul disegno dei programmi, come si vedrà nei casi qui sotto analizzati.
Il caso danese: una governance efficace
La Danimarca, uno stato piccolo e centralizzato, per definire i contenuti del programma svolge una consultazione approfondita preliminare dei bisogni di tutti gli attori potenzialmente beneficiari degli interventi rurali. Lo fa con molto anticipo rispetto all’inizio del periodo di programmazione. Ad esempio, nel 2012 organizzava già corsi di formazione per gli impiegati sulle novità dei regolamenti ancora in discussione, raccogliendo idee e cercando di influire anche a livello europeo. Coinvolgeva le Regioni di nuova istituzione, le associazioni dei Comuni, le organizzazioni professionali e ambientali, i gruppi di azione locale, i cittadini e gli attori economici. In questo modo, quando il programma viene scritto, i suoi contenuti e orientamenti sono già stati concordati in forma partecipativa, gli attori chiave ne conoscono gli orientamenti. Ciò non costituisce un elemento di rigidità: infatti la strategia può cambiare anche sostanzialmente, come è avvenuto a metà periodo 2007-2014, mettendo in moto nuove procedure e misure in modo relativamente rapido e argomentando a Bruxelles le motivazioni ed i benefici attesi. Ci sono anche meccanismi di coordinamento informale regolare con le politiche regionali (decentrate) e con il ministero per le abitazioni e la pianificazione urbana e rurale, per concordare chi finanzia che cosa e scambiare informazioni. Il fatto che le politiche per la pesca siano all’interno del Ministero per l’Agricoltura ha creato pratiche che facilitano l’integrazione e gli scambi tra settori diversi d’intervento.
Le priorità nazionali, concordate a livello centrale, guidano il disegno del programma, ed è soltanto in base di queste priorità che si definiscono misure e sotto-misure con i fondi europei. Sebbene ciò crei qualche difficoltà di comprensione delle misure e degli indicatori secondo l’architettura dei regolamenti europei, la “traduzione” del programma “per Bruxelles” è considerata un esercizio formale e burocratico. Tutto questo sottintende una grande capacità degli amministratori nel capire le procedure richieste dai due sistemi, nazionale e europeo, di collegarle e farle funzionare in modo efficace per tutto il periodo di programmazione. Inoltre, nonostante una gestione molto centralizzata, vi è una tradizione consolidata di presa di decisioni dopo consultazioni vere tra i diversi livelli istituzionali, e procedure che facilitano scambi sistematici d’informazione tra beneficiari potenziali e uffici amministrativi, telefoniche e via posta elettronica. I bandi di gara avvengono a scadenze regolari e sono conosciuti in anticipo, si cura la lunghezza dei formulari da riempire, si è stabilito che tra la presentazione di una domanda e la sua approvazione non possono trascorrere più di tre mesi.
Per l’allocazione dei fondi tra misure per gli agricoltori e misure per gli altri gruppi d’interesse rurali, vi è una negoziazione a livello politico che ne stabilisce la distribuzione: in questo modo la rappresentanza, anche minoritaria, degli interessi rurali (residenti non agricoltori, municipi rurali, imprenditori turistici, fornitori di servizi, ambientalisti) acquista una sua organizzazione ed un suo peso, che si traduce in misure e fondi per cui c’è una domanda reale. Tutto ciò facilita l’attuazione ed il conseguimento dei risultati, perché c’è una coerenza tra bisogni espressi, disegno delle misure e procedure di gestione.
Per quanto riguarda il prossimo periodo di programmazione (2014-2020) la Danimarca si trova ben preparata: per migliorare il coordinamento e l’integrazione tra programmi richiesta dai nuovi regolamenti può formalizzare i meccanismi informali finora attuati, può estendere i gruppi Leader “misti” (rurale e pesca) già adottati nello scorso periodo per includere anche i nuovi soggetti sociali e regionali previsti dal nuovo intervento di sviluppo locale integrato; si ritrova con una buona esperienza nel collegare le priorità nazionali con quelle europee in modo sostanziale, ciò che consente di definire misure e indicatori non astratti. Grazie all’aggiornamento delle capacità dell’amministrazione sui nuovi regolamenti è in grado di affrontare la transizione da un programma all’altro conoscendo i problemi.
L’esempio danese insegna che una “governance” coerente ed efficace influisce in modo positivo sui risultati e l’impatto del programma. I fattori che in questo caso sono stati importanti sono la capacità e buona organizzazione dell’amministrazione, il coordinamento informale tra settori complementari d’intervento, le consultazioni preliminari. Questi fattori influiscono su un disegno realistico della strategia e delle misure, sulla flessibilità per introdurre modifiche, sul monitoraggio e sulla trasparenza delle regole del gioco. In questo caso i punti sensibili che queste hanno contribuito a risolvere sono la voce data ai diversi gruppi di interesse nell’allocazione dei fondi (che è servita a bilanciare gli uni e gli altri), la definizione di criteri di eleggibilità e di selezione dei beneficiari in modo trasparente e non escludente (ad esempio, tutti coloro che possiedono terreni possono essere beneficiari delle misure per gli agricoltori).
Tuttavia se si confronta questo “modello” con quello di altri SM si deve concludere che il forte orientamento verso priorità nazionali, e l’adeguamento di quelle comunitarie a queste, non lo rende un buon modello delle politiche comunitarie per lo sviluppo rurale. Infatti, sarebbe difficilmente esportabile perché il carattere nazionale predomina fortemente tanto nelle procedure di attuazione come negli obiettivi, e, nell’architettura generale del programma la matrice europea diventa strumentale e difficile da riconoscere.
Il caso francese: i problemi di una governance diversa per l’agricoltura e il rurale
In Francia, uno stato centralizzato, la Politica Agricola Comunitaria (Pac) ha da sempre avuto, per l’importanza del settore e le dimensioni del paese, un ruolo economico e politico di grande rilievo, con una tradizione di procedure e gestione ben consolidata nell’amministrazione pubblica sin dagli anni ’60, prima dell’introduzione delle politiche rurali alla fine degli anni ’80. Dato che queste hanno anche una dimensione territoriale ed extra-agricola, la loro gestione a livello nazionale si è rivelata problematica. E questo per diversi motivi: la varietà dei bisogni regionali è più difficile da affrontare da un’amministrazione abituata a misure e procedure uguali per tutti; il gruppo d’interesse degli agricoltori ha molta influenza a livello centrale, ma ne ha una molto più moderata e disuguale a livello regionale, mentre la situazione degli interessi territoriali rurali trova un sostegno più deciso a livello regionale che a quello centrale. Le deboli capacità dell’amministrazione centrale di gestire le politiche rurali territoriali, e l’indisponibilità a finanziarle, hanno fatto sì che la gestione e il finanziamento delle misure di sviluppo rurale si sia organizzata con due modalità distinte di attuazione: quelle territoriali attribuite alle regioni e le altre al Ministero dell’Agricoltura. In questo modo, il Programma di Sviluppo Rurale della Francia continentale (il cosiddetto “esagono”) ha una governance “duale”: quella settoriale gestita a livello nazionale, co-finanziata con fondi statali, e quella territoriale a livello regionale, co-finanziata con fondi regionali.
Dato il sistema di deleghe a livelli sub-regionali diversi (dipartimenti, associazioni di comuni e comuni) la filiera verticale della governance risulta lunga e, pur se formalmente organizzata in forma gerarchica, spesso i diversi livelli agiscono in competizione fra di loro, non solo fra stato e regioni, ma anche fra regioni e altri livelli sub-regionali.
Questa situazione ha anche definito una diversa capacità di negoziazione e argomentazione della Francia con la Commissione Europea, che si trova spesso a mediare tra gruppi d’interesse diversi che non trovano uno spazio all’interno dello Stato per risolvere i propri conflitti, e ricorrono al livello europeo per dirimerli o cercare appoggi e contrappesi. La “governance” multi-livello non ha funzionato pertanto nel periodo appena concluso, per le politiche di sviluppo rurale comunitario, in modo coerente e fluido. Ciò ha influito non solo sull’attuazione del programma complessivamente, sulle norme e procedure diverse che l’hanno guidato, ma anche sulle misure e sotto-misure, gli indicatori, la raccolta e integrazione delle informazioni sullo stato di avanzamento. Il caso dei Gruppi di Azione Locale riflette gli stessi problemi di rapporto tra settore e territorio: questi fanno riferimento alle amministrazioni regionali con approcci di area geografica, ma sono animati da una rete nazionale affidata ad un organismo settoriale, e ciò ha influito significativamente sui risultati ed impatto dell’asse Leader, in modo diverso secondo le Regioni.
Una governance così caratterizzata ha funzionato bene per gestire le misure più tradizionali del menù di politiche rurali europee, come ad esempio i premi per le zone svantaggiate o per i giovani agricoltori, in cui i meccanismi d’attuazione già sperimentati sono stati mantenuti nelle stesse amministrazioni con gli stessi criteri di eleggibilità e selezione. Le difficoltà si sono ritrovate nelle misure innovative che la Francia aveva introdotto in precedenza, come i contratti territoriali per le aziende agricole, per la fornitura di beni pubblici, la cui attuazione è risultata talmente complessa da gestire che sono stati sospesi nel 2002/2003, proprio per il conflitto latente tra l’impostazione settoriale dell’agricoltura francese e l’approccio territoriale sotteso. La molteplicità di attori istituzionali con competenze di qualche tipo, coordinata formalmente ma non in modo effettivo dal governo centrale, aggiunta ad una diversità sostanziale tra posizioni, -territoriali, settoriali, ambientali-, dove lo stato agisce come interesse di parte, rende difficile la consultazione e la negoziazione politica interna. Ciò si riversa sulla governance del sistema e sui risultati raggiunti. Si tratta senz’altro di un sistema che si adatta male alle modalità di attuazione suggerite dall’UE e che non riesce a “tradurre” le priorità nazionali in quelle europee.
Questi nodi di capacità istituzionale e rigidità nell’affrontare l’evoluzione delle politiche verso una maggior integrazione dei Fondi Strutturali, diventeranno ancor più problematiche in futuro. Non sono le strutture amministrative per la gestione che mancano, ma il modo in cui funzionano. L’assenza di flessibilità, il bisogno di semplificazione, di coordinamento formale e informale, di ridurre il peso burocratico per il beneficiario, che deve affrontare una molteplicità di soggetti finanziatori con criteri diversi a livello locale, regionale e nazionale, di consultazione effettiva dei diversi attori, di bilanciare meglio il peso dei diversi attori, di costruire un sistema informativo capace di rendere trasparente e consentire il monitoraggio e la valutazione, sono questi tutti aspetti che vanno affrontati.
La decisione presa dallo Stato recentemente di decentrare tutte le politiche rurali a livello regionale nella prossima programmazione è senz’altro un passo importante nella giusta direzione. In questo caso, i problemi di coordinamento si dovrebbero, infatti, verificare e risolvere all’interno di una stessa amministrazione, quella regionale, e gli attori con interessi contrapposti si troverebbero attorno ad uno stesso tavolo, bilanciandosi a vicenda, e con uno stesso soggetto pubblico arbitrando le decisioni finali. È vero che la diversità tra i diversi programmi di sviluppo rurale regionali francesi probabilmente aumenterà, ma ciò non è necessariamente un male, se rispecchia le diverse necessità degli agricoltori e del più ampio mondo rurale nei diversi contesti territoriali.
Considerazioni conclusive
L’obiettivo di questa riflessione, come si è detto sopra, non è quello di stabilire una lista di bravi e cattivi, ma di capire il nesso sostanziale che lega i sistemi di governance delle politiche rurali con i loro risultati e impatto. I due casi sommariamente analizzati -sebbene molto diversi, come lo sono per ognuno dei 28 SM- mostrano senz’ombra di dubbio la presenza di questo nesso, la sua importanza al di là dell’aspetto di tecnico-organizzativo, le vere questioni politiche che si intuiscono dietro questioni di efficacia ed efficienza, norme e procedure, gestioni condivise, che andrebbero affrontate in modo più esplicito e coraggioso. Fino adesso lo sono state solo a metà, sia dall’UE, sia dagli SM, in questo modo riducendo appunto l’efficacia delle politiche comuni ed aumentando la complessità burocratica della governance. Questa, a mio avviso, va considerata una parte integrante degli interventi stessi, studiata, monitorata e valutata per come influisce sui risultati di un programma e non soltanto per quanto influisce sulla velocità della spesa.
I fattori che nei due casi analizzati hanno fatto funzionare più o meno bene i sistemi di governance variano da paese a paese e non possono essere riassunti in fattori comuni a tutti. Ciò dipende dall’esistenza di apparati amministrativi nazionali pre-esistenti all’appartenenza all’UE, che hanno adottato metodi diversi e mutevoli nel tempo di attuare le politiche comuni dell’UE. I regolamenti europei, unici e approvati da tutti gli SM, vengono “filtrati” dalle norme e procedure d’attuazione di ognuno di essi e arrivano ai beneficiari finali in forme molto diverse tra di loro, che di comune hanno poco più del nome. Ciò non sarebbe un male di per sé, perché si potrebbe argomentare che tali filtri servono per adattare le politiche alla diversità dei bisogni esistenti. Ma l’analisi attenta di questi sistemi rivela che non è soltanto questo tipo di adattamento a spiegare la variabilità, ma la persistenza di obiettivi di politica diversi tra loro, gruppi d’interesse con influenza dominante, questioni di concorrenza fra amministrazioni a livelli istituzionali diversi, capacità di sostenere ed argomentare le proprie posizioni a livello europeo nel momento della presa di decisioni.
A parte questi fattori più “politici” della governance, che andrebbero osservati con più attenzione perché influiscono in modo sostanziale sull’architettura e allocazione dei fondi messi a disposizione, emergono come fattori più prettamente di gestione le competenze di alta qualità degli amministratori per gestire la complessità dei diversi linguaggi burocratici, per adattarsi ai cambiamenti di strategia e alle crisi con flessibilità, per stabilire e rispettare procedure di eleggibilità e selezione dei beneficiari trasparenti, per definire tempi certi nell’approvazione delle domande, sistemi informativi efficaci, per coordinare ed integrare diversi approcci settoriali, indispensabili per gli interventi territoriali caratteristici dello sviluppo rurale e per stabilire metodi di controllo che soddisfino sia lo SM che l’UE.
Il fatto che la Commissione abbia deciso, come indicato in sede introduttiva, di introdurre delle condizionalità differenziate per Stato e Regione riguardanti le modalità di attuazione dei programmi, indica non solo che a livello europeo ci si è resi conto della rilevanza del problema delle diverse forme di governance rurale, ma anche che è diventato un aspetto importante della negoziazione dei programmi nel prossimo periodo programmatorio. E sottolinea ulteriormente quanto sia urgente studiare in modo approfondito i punti sensibili specifici per ogni SM, confrontarli, per poi ragionare di quanto siano comuni le politiche di sviluppo rurale europee.
- 1. Questo scritto riprende il contributo presentato al Congresso Esrc a Firenze, il 1 agosto 2013, nel gruppo di lavoro 24 coordinato da Francesco Mantino e Donato Romano.
- 2. European Policies Research Centre (2013), European Commission Perspectives on the 2014-2020 Partnership Agreements & Programmes: a Comparative Review of the Commission’s Position Papers, European Policy Research Paper, Number 84.