Introduzione
Il territorio è oggi protagonista di notevoli trasformazioni di difficile comprensione e governo (Cattivelli, 2012a). La tradizionale e dicotomica ripartizione dei luoghi tra città e campagna non rappresenta più adeguatamente i mutamenti intervenuti a causa della diffusione di contesti alterni che disordinatamente coniugano caratteristiche tipicamente urbane e rurali (Donadieu, 2012).
La città si estende ben oltre le sue periferie, lungo i suoi principali assi viari, ramificandosi e contenendo isole di agglomerati insediativi, privi di identità, perché meri quartieri dormitorio o strutture produttive, per poi “ricompattarsi” distruggendo gli elementi naturali rimasti entro tali maglie. Dall’altro canto, la campagna accetta tali cambiamenti, adeguandosi, creando le condizioni per le nuove esigenze localizzative e diversificando le attività agricole per renderle più multifunzionali e redditizie. Nel delicato equilibrio tra i territori, l’agricoltura gioca sicuramente un ruolo importante (Dubbeling, 2011): può infatti mitigare gli impatti dell’urbanizzazione ripristinando in parte l’equilibrio ecologico; oppure può ridisegnare la food chain accorciandola e rendendola più fitta di attori, o ancora attivare trasformazioni sociali che possono riguardare la partecipazione collettiva, l’accesso al cibo, le abitudini di vita e di lavoro. In tutto ciò ridisegna i territori più “confusi” dalla commistione urbano-rurale: va infatti a “riempire” quegli spazi vuoti che altrimenti sarebbero occupati da ulteriori interventi di urbanizzazione o ne occupa di nuovi che vengono appositamente tutelati da prescrizioni regolatorie pattizie. Allo stesso tempo, però, si trasforma in una attività più nuova e moderna, non solo nelle tecniche, ma anche nelle forme di conduzione e di attivazione sociale. A fianco degli agricoltori di professione che coltivano ampi spazi con tecniche intensive e per la produzione di derrate alimentari per scopi commerciali, vi sono gli agricoltori “civici” ossia famiglie, cooperative sociali o scuole che coltivano direttamente piccoli appezzamenti di terreno di proprietà comunale per le più disparate finalità. Alcuni di loro cercano in questa attività un hobby, altri un’attività utile per ottenere derrate alimentari a poco prezzo e più salubri perché coltivate senza pesticidi o altri prodotti chimici, altri ancora per combattere la solitudine o recuperare da gravi deficit psicomotori. Il loro impegno si traduce nel recupero ambientale ed ecologico di terreni dismessi, ma contemporaneamente anche nel rafforzamento delle relazioni sociali, tra persone di estrazione, formazione o cultura diversa, e nel recupero di un rapporto (fino ad ora trascurato) con la natura e il mondo agricolo.
Tutto ciò si effettua anche nel comune di Milano dove la pressione antropica è molto forte e l’uso/abuso del suolo sono ormai insostenibili, ma dove anche il senso civico e di appartenenza alla comunità, oltre che il senso della solidarietà sono molto forti e radicati (Comune di Milano, 2013).
Il presente paper si focalizzerà sulle esperienze di agricoltura di prossimità realizzate in questo comune e di come queste abbiano modificato le abitudini di consumo della popolazione locale, grazie anche alla trattazione di alcuni open data resi disponibili dal Comune. La scelta di impiegare tali dati è dovuta per lo più al loro facile e recente reperimento, oltre al loro grado di dettaglio. Diversamente da altre fonti, infatti, queste informazioni sono gratuite, facilmente scaricabili dal sito open data del Comune, e sono riferite a ciascuna delle aree di decentramento in cui è articolato il comune di Milano.
Gli orti urbani come esperienza di agricoltura urbana: storia, effetti e criticità
Gli orti urbani sono esperienze di condivisione sociale e di riqualificazione urbana diffuse prevalentemente nei comuni a forte urbanizzazione e nei comuni compresi nelle aree periurbane delle grandi metropoli (Cattivelli, 2012b).
La loro diffusione ha però seguito vicende alterne. Nel secondo dopoguerra, in Germania ed in Olanda, erano molto diffusi con il nome di Kleingarten (piccoli giardini); in Italia, il loro nome era ben diverso, “orticelli di guerra”, ma la loro diffusione era addirittura incentivata da talune leggi che, per incrementare la produzione di derrate alimentari, consentivano di coltivare liberamente terreni lasciati incolti. Venuta meno l’esigenza di sfamare parte della popolazione urbana, sono pressoché scomparsi in città e le aree prima coltivate sono state presto convertite per scopi residenziali. Poco più tardi, negli anni ’70, tornano di moda, ma negli Stati Uniti, dove talune metropoli, prima fra tutte San Francisco, decidono di destinare terre di proprietà comunale alla libera coltivazione da parte di cittadini. Questi community garden sorgono nelle aree più degradate o nei quartieri più poveri contribuendo non solo all’abbellimento della città, ma anche al recupero di terreni contaminati o abbandonati.
Attualmente, sono diffusi pressoché ovunque.
Negli Stati Uniti sono diventati una vera mania anche per la cosiddetta “upper class” che coltiva sui grattacieli di New York o Boston insalate e pomodori. A San Francisco è attiva la San Francisco League of Urban Gardeners (Slug), un’associazione volta alla promozione delle pratiche agricole in ambito metropolitano che, di recente, si è battuta per l’approvazione di una deliberazione comunale grazie alla quale chiunque può vendere ai vicini, nei mercati rionali, a supermercati o a ristoranti gli ortaggi che produce nei giardini di casa. Anche a Oakland, San Josè, Santa Cruz e Berkeley sono soluzione per riqualificare aree degradate che altrimenti rimarrebbero tali a causa delle difficoltà finanziarie in cui gravano le relative amministrazioni pubbliche (Cattivelli, 2012b).
Anche in Italia sono molto diffusi, soprattutto nei contesti urbani ad alto consumo di suolo e degrado ambientale.
Tra i progetti di maggiore successo, figura il “Giardino Biosociale” licenziato dalle province di Milano e di Monza Brianza o il progetto pubblico-privato denominato “La città degli orti” co-finanziato con il bando Infea Cea 2008 e dalle province di Ferrara e di Piacenza. Roma, Milano, Palermo, Pesaro-Urbino, Bologna, Firenze, Pisa, Torino sono le città più attive in progetti analoghi.
Qui ci sono soprattutto orti comunali, ossia orti coltivati su terreni che i comuni cedono in concessione a privati cittadini che ne fanno richiesta. Le procedure sono le più diverse: alcuni comuni procedono ad affidarli direttamente, altri invece redigono un bando e fissano rigidi requisiti per l’accesso (per lo più relativi all’età anagrafica, alla composizione del nucleo famigliare e alla residenza del richiedente). I costi sono relativamente contenuti: i comuni devono dotare l’area di varia attrezzatura (oltre agli allacciamenti per l’acqua e l’energia elettrica, anche cassette per gli attrezzi, aratri, ecc.), mentre i cittadini beneficiari devono pagare un canone annuo oppure rimborsare le spese per le utenze. Nelle stesse città sono poi diffusi anche gli orti didattici, ossia esperienze di coltivazione diretta e urbana realizzate con il coinvolgimento di alcuni istituti scolastici (per lo più asili e scuole elementari) e l’attivazione di genitori e insegnanti. Grazie a loro, l’orticoltura si inserisce a pieno titolo come materia di insegnamento offrendo la possibilità agli allievi di acquisire conoscenze trasversali (matematica, scienze, alimentazione, ecc.) e di socializzare anche con persone diverse dai loro insegnanti (esperti esterni, nonni, volontari, ecc.). Infine, nelle stesse città si trovano orti specificatamente pensati per gli anziani oppure orti di quartieri e orti aziendali, gestiti ciò collettivamente da più persone che vivono nello stesso quartiere o che lavorano nella stessa impresa.
Ma chi sono i nuovi contadini urbani?
Non vi sono differenze significative fra i sessi, mentre sono più marcate quelle per classi di età. Un coltivatore di orti su quattro è under 34, mentre gli over 65 sono quasi la metà (Nomisma, 2010). Molti operatori agricoli appartengono alle fasce più deboli della società; altri, sono individui che intendono dedicarsi a nuovi passatempi. Non vi sono molti agricoltori di professione (solo il 7%), ma molti pensionati e casalinghe, operai ed artigiani. Seguono, distanziati, anche professionisti e commercianti (Barberis, 2010).
I benefici da loro tratti sono di varia natura. Questo tipo di coltivazione può favorire la socializzazione tra gli anziani o tra persone di diversa estrazione sociale e territoriale (Wang e MacMillan, 2013). Allo stesso tempo, può rafforzare i rapporti famigliari: dopo una giornata di lavoro e di studio, genitori e figli possono infatti ritrovarsi insieme e condividere alcuni momenti. Può poi indurre a rivedere le scelte di consumo e a preferire prodotti più salutari oppure ad introdurre stili di alimentazione più sani perché più ricchi di frutta e di verdura (Sommerfield et al., 2010). Inoltre, le connessioni uomo-natura aumentano il benessere dell’individuo, migliorano la qualità della vita e la salute umana (Sommerfield e Zajick, 2010) e possono prevenire tutte quelle forme di ansia e depressione legate alla solitudine. Ha poi effetti positivi sulla qualità del paesaggio urbano: può infatti abbellire aree vuote e ridurre così la pressione antropica. Infine, ha finalità didattiche in quanto aiuta i coltivatori, soprattutto se giovanissimi, a conoscere i ritmi ed i tempi della natura nonché a condividere la conoscenza e le pratiche agricole con persone ugualmente coinvolte nella stessa esperienza (Cattivelli, 2012a).
Milano: il secondo comune agricolo d’Italia
Contrariamente a quanto si possa pensare, l’area metropolitana di Milano vanta una notevole vocazione agricola (Comune di Milano, 2013)1. Oltre la metà della sua superficie (pari a 181,8 km²) è destinata all’utilizzo agricolo o forestale ed è compresa entro il Parco Agricolo Sud Milano, il parco agricolo più grande di Europa e oltre mille aziende agricole attive. Tutta l’area risente delle pressioni per l’uso delle risorse naturali che ha raggiunto ormai livelli insostenibili. La popolazione metropolitana è data da circa 3 milioni di persone (Asr, 2014) e la maggior parte vive in comuni con un’elevata urbanizzazione e meno del 6% in comuni con basso grado di urbanizzazione (ibid.). La densità di popolazione è molto alta ovunque con punte di oltre 2 mila abitanti per km2 (Asr, 2014). Il consumo di suolo è veramente alto e molte aree agricole sono convertite in aree residenziali e produttive. Milano infatti è esplosa nelle aree rurali con le sue frange: il rapporto tra espansione urbana e suolo libero evidenzia, soprattutto per i comuni della primissima periferia, l’ampio utilizzo di terreni liberi per scopi residenziali ed insediativi (Crcs, 2014).
Per riequilibrare le relazioni tra l’area metropolitana e la campagna circostante, tra territorio urbanizzato ed aree agricole, Milano ha deciso di attuare progetti ed iniziative, anche con la partecipazione attiva della popolazione locale, che aiutino a diffondere una cultura per il rispetto ambientale e paesaggistico più radicata e che ripristinino, almeno in parte, la naturalità distrutta.
In particolare, si tengono incontri sui temi della nutrizione, della cucina, della stagionalità delle produzioni, si realizzano mercati per la vendita di prodotti del territorio e feste a tema. Parimenti, si organizzano momenti di formazione sul campo ed a sostegno della cultura e della coltura agricola per tutti, dai bambini agli anziani.
Oltre a ragionare su possibili restrizioni alla conversione di terreni agricoli in aree urbanizzate anche tramite disposizioni di legge, oltre che regolamentari e pattizie, Milano promuove poi specifici accordi con i comuni limitrofi per una più efficiente e razionale gestione del suolo e delle risorse naturali e si impegna per la riconversione di aree degradate in aree più confortevoli o attrezzate per le abitazioni e le attività produttive, ma anche dalla maggiore dotazione di verde.
Le misure attuate dal Comune di Milano
A Milano, gli orti urbani sono realizzati all’interno di spazi, spesso di proprietà comunale, lasciati liberi da precedenti interventi di urbanizzazione, grazie all’attività di associazioni di volontariato, o da singoli cittadini. L’assegnazione dei territori avviene su base volontaria: il comune mette a disposizione aree libere a cittadini che ne facciano richiesta, a seguito dell’emanazione di un apposito bando. I requisiti, sia di coloro che possono presentare domanda, sia degli interventi ammessi, variano molto. Prevalentemente, i beneficiari sono persone anziane o residenti nel comune da un periodo di tempo prefissato o associazioni di volontariato. Le colture ammesse sono molteplici: è solo richiesto che non siano prodotte per scopi di lucro. In capo all’amministrazione comunale rimane l’obbligo di attrezzare le aree delle dotazioni necessarie, comprese le alberature di confine o l’acqua per l’irrigazione, mentre ai cittadini è richiesto di curare l’orto e di assicurarne il decoro e l’ordine, grazie ad una gestione che risulti rispettosa dell’ambiente. I costi sono rappresentati dagli allacci all’acqua, dalla costruzione di una capanna per gli attrezzi piuttosto che la delimitazione degli orti, mentre spesso ai cittadini è richiesto il pagamento di una quota di gestione annua (di norma, mai superiore ai 100 euro).
Uno degli ultimi avvisi di assegnazione emanati, nell’ambito del progetto “Coltivami”, include, oltre alle finalità ambientali e culturali, anche quelle dell’integrazione sociale. Si legge infatti che la realizzazione di un orto non debba coinvolgere solo le persone anziane, ma anche i giovani e le famiglie, e che costituisca un momento di aggregazione anche per i cittadini provenienti da diversi paesi. La concessione dura fino a nove anni, a titolo gratuito, ed eventualmente rinnovabile per altri tre, dietro il pagamento di un canone annuo di 300,00 euro.
Le reazioni di Milano e dei milanesi
Gli orti urbani sono diffusi a Milano pressoché in ogni area in cui è di norma divisa2.
Figura 1 - La ripartizione amministrativa del Comune di Milano. Per ogni zona di decentramento sono indicati il numero di aree destinate ad orti urbani
Fonte: sito agricity.it e sito Open data del comune di Milano, 2013
Dai dati ricavati dal sito degli open data del Comune di Milano, risulta che nel territorio comunale ci sono 87 aree adibite ad orti urbani3. Queste si trovano per lo più nelle zone 4 e 6, ossia nella fascia più meridionale del comune milanese, laddove maggiormente si estende il Parco Agricolo Sud Milano. La ragione è semplice: il Parco da anni è attivo nella promozione e nella valorizzazione dell’agricoltura di prossimità e nei suoi numerosi progetti coinvolge non solo le amministrazioni locali, ma soprattutto la popolazione locale. La maggiore richiesta e disponibilità di orti urbani si spiega quindi con la maggiore abitudine all’attività nonché nell’attività di coinvolgimento di promozione operata da un ente particolarmente attento a questo genere di iniziative. A nord, invece, dove dovrebbero notarsi gli effetti benevoli della vicinanza del Parco Nord, le aree adibite a orti sono molto poche: solo 20, con maggiore concentrazione nella zona 9. Nell’area 1, in centro città, non ci sono orti, seppur in molti rilevano come iniziative verdi per abbellire i palazzi situati siano in aumento negli ultimi anni.
La loro estensione è molto variabile. Quelli situati nelle due zone a maggiore densità di orti sono tra i più piccoli, mentre quelli prossimi ai confini con i comuni più settentrionali sono quelli più estesi. Fanno eccezioni quelli della zona 5 perché non sono tanti, ma sono quelli che hanno l’estensione media più ampia.
Spesso, gli orti sono poi realizzati in collaborazione con le scuole di infanzia.
Se si guardano i dati relativi alla popolazione scolastica ricavabili anch’essi dal sito open data del Comune di Milano relativi all’ultimo anno disponibile (2012) e le relative proiezioni per il 2018, si può ragionare circa l’eventuale entità del bacino di alunni potenzialmente interessati a questo tipo di esperienza didattica. Nelle aree a maggiore densità di orti, vi è un vasto bacino utile di bambini potenzialmente interessati alle attività didattiche ed educative connesse all’agricoltura di prossimità (circa 7.000 alunni interessati, per 98 classi). In quelle più povere di orti, invece, vi è il minor numero di alunni che potrebbero partecipare a progetti di educazione alimentare che prevedano prove pratiche di coltivazione. Se con gli stessi dati, si guarda alla popolazione più anziana, di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, si nota ugualmente che laddove la popolazione ha un’età media più alta, maggiore è il numero di orti urbani già presenti.
Se si fa un ragionamento più ampio e prospettico e si studiano le proiezioni demografiche per il 2018, si nota che potenzialmente proprio nella zona 1, dove oggi non ci sono orti, il numero dei bambini di età compresa tra i tre ed i sei anni che potrebbero essere coinvolti è in crescita. In ugual modo, la fascia di età compresa tra i 60 e gli 80 anni è molto numerosa e in futuro crescerà ancora di più. Nelle zone 4 e 6, dove oggi ci sono più orti, la crescita delle fasce che potrebbero essere interessate a queste iniziative è evidente. Nella prima zona, i bambini dell’asilo sono 5.200 circa nel 2013 e aumenteranno di quasi 2 punti percentuali nel 2018. Se a questi si aggiungono anche gli scolari delle scuole elementari, allora, il numero aumenta di 4.977 unità nel 2013 e di oltre 5.200 nel 2018. Invece, il numero degli anziani nel periodo 2013-2018 è destinato a diminuire di poco meno di 2.000 unità attestandosi a 31.821 nel 2018. Nella seconda zona, la dinamica demografica è pressoché identica: la popolazione anziana diminuirà di circa 3.000 unità nel periodo 2013-2018, mentre quella dei bambini tra i tre ed i dieci anni aumenta di meno cento unità. Le zone orientali e occidentali invece sono quelle dove gli scolari aumentano di più, mentre anche al loro interno il numero degli anziani diminuisce.
Non è possibile stabilire poi se la presenza degli orti urbani riduca l’inquinamento. Se si guarda l’andamento nei dodici mesi dell'anno 2012 delle concentrazioni medie giornaliere di PM10 rilevate nelle diverse stazioni della rete Arpa (Pascal, Verziere, Senato), dimostra che, fatta eccezione per i mesi primaverili, la concentrazione di PM10 ovunque è sempre al di sopra del limite consentito per la protezione della salute umana fissata dalle direttive comunitarie (Arpa Lombardia, 2013) tanto che non è possibile fissare con certezza che la loro diffusione sia fondamentale per il miglioramento della qualità ambientale.
Parimenti, non è possibile stabilire se la diffusione degli orti abbia cambiato le abitudini di spesa dei milanesi. I dati disponibili sul sito degli open data del Comune di Milano riaggregano le decisioni relative ai consumi delle famiglie, alla spesa media mensile per categoria di spesa e per area di residenza alle sole aree centrali, semicentrali e periferiche, non offrendo così una ulteriore disaggregazione territoriale. L’ultimo periodo disponibile è relativo al biennio 2011-2012 e non ci sono dati più recenti.
Seppur con queste limitatezze e non considerando altre variabili che possono profondamente incidere sulle preferenze di consumo dei residenti (quali crisi economica, livello dei redditi, cittadinanza, religione, ecc. ecc.), si nota che in centro la spesa per beni alimentari è diminuita di circa 70 euro nel 2011. La spesa per beni non alimentari nello stesso periodo ha avuto un andamento alterno per poi attestarsi sullo stesso livello nel 2007 e nel 2011 (circa 3.400 euro).
I residenti delle aree periferiche hanno una spesa per beni alimentari di poco inferiore rispetto a quella rilevata per i comuni centrali (414,71 euro mensili nel 2011), mentre era di soli 15 euro maggiore quattro anni prima. La spesa per beni non alimentari è invece aumentata di oltre 100 euro (assestandosi su 2.274,03 euro). Nelle aree semicentrali invece la spesa per beni alimentari è crollata di circa 50 euro, passando da 450 euro circa del 2007 ai 400 euro circa al mese del 2011. Di contro, quella per i beni non alimentari è aumentata di quasi 200 euro passando da 2.662 euro circa del 2007 a 2.800 euro circa solo 4 anni dopo. Sembrerebbe quindi, semplificando, che la maggiore presenza degli orti urbani nelle aree più periferiche non abbia di molto modificato le abitudini di consumo dei milanesi che quindi continuano ad acquistare alimenti nei tradizionali canali di vendita. Al contrario, in centro dove gli orti sono pressoché assenti, ci sono profonde modificazioni nella composizione della spesa4.
Sempre studiando gli stessi dati, si nota che, nello stesso periodo, la spesa per i prodotti più diffusi negli orti quali patate, frutta e ortaggi ha subito una contrazione di circa il 10% attestandosi in media su 78 euro mensili per famiglia. Tale calo potrebbe essere determinato, ma non interamente, dalla diffusione degli orti urbani, perché, oltre a quanto detto, anche la spesa di altri prodotti non legati all’orticoltura urbana praticata come il pesce o la carne ha subito una flessione ancora maggiore.
Se si effettua una analisi più dettagliata, la situazione è più complessa.
In centro, la spesa mensile per famiglia per patate, frutta ed ortaggi è di poco superiore alla media comunale (è infatti pari a 80,1 euro), quella per cereali e pane di quasi 40 euro, di poco inferiore a quella per zucchero, caffè, drogheria e latte.
Nel semicentro, la spesa per pane e cereali è più alta (quasi 46 euro), mentre è più bassa quella per patate, frutta e ortaggi (quasi 75 euro). Forse, qui, data la maggior presenza di orti, la spesa è meno cara perché maggiore è il ricorso ai prodotti ottenuti della terra coltivata in loco. Ciò invece non vale per le aree periferiche dove, data la massima presenza di orti, ci si attenderebbe una minore spesa per i prodotti coltivati negli orti urbani. In realtà, la spesa per patate, frutta ed ortaggi è superiore alla media comunale ed a quella di ogni singola altra area (circa 84 euro). Lo stesso vale per quasi tutti gli altri prodotti alimentari.
Tabella 1 - Spesa media mensile famigliare per area territoriale e per categoria di prodotti
Fonte: dati.comune.milano.it (ultimo accesso ottobre 2014)
Tabella 2 - Spesa media mensile famigliare per area territoriale e per prodotto
Fonte: dati.comune.milano.it (ultimo accesso ottobre 2014)
Conclusioni
Il comune di Milano vanta una forte vocazione agricola, registra un’elevata pressione antropica ed un uso delle risorse disponibili (a partire dal suolo) ormai insostenibile.
Per ristabilire un efficiente equilibrio, tutti gli attori dell’area si impegnano in progetti di riqualificazione e sostegno territoriale. Tra tutti questi, merita particolare attenzione la destinazione di aree di proprietà comunale alla libera coltivazione dei cittadini che ne facciano richiesta e si facciano carico della loro cura e gestione. Guardando ai dati open resi disponibili dal comune di Milano, queste esperienze appaiono diffuse quasi ovunque sul territorio milanese, ma non è chiaro se effettivamente aiutino a ristabilire le relazioni naturali, riducendo l’inquinamento e aumentando la salubrità dei luoghi; al contempo, si può pensare che non portino a modifiche radicali nelle scelte di consumo dei cittadini milanesi. Guardando però la struttura della popolazione per classe di età, si nota che le fasce più interessate (bambini e anziani) sono in crescita e quindi potenzialmente potrebbe aumentare l’interesse (e la domanda) per queste attività.
Riferimenti ibliografici
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Cattivelli V. (2012a), Né città né campagna, Per una lettura del territorio periurbano, Mup Editore, Parma
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Cattivelli V. (2012b), “L’esperienza degli orti urbani in Lombardia”, Atti del convegno La città sobria, VII Giornata di studi dell’INU Napoli, Dicembre
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Riferimenti sitografici
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Asr Lombardia, www.asr.lombardia.it (ultimo accesso 05.10.2014)
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Istat, www.istat.it (ultimo accesso 05.10.2014)
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Agricity, www.agricity.it (ultimo accesso 05.10.2014)
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Regione Lombardia, www.regione.lombardia.it (ultimo accesso 05.10.2014)
- 1. E’ infatti il comune con la più vasta superficie agricola, dopo Roma (Istat, 2012).
- 2. Il comune di Milano è diviso in 9 Consigli di Zona per essere meglio amministrata.
- 3. Tra gli appezzamenti più numerosi, figurano i 30 tra via Nuoro e via Alghero; 109 in via Canelli/Folli; 20 in via Rizzoli nel contesto del Parco Lambro; 58 nel Parco Alessandrini; 66 tra via Gratosoglio e via Teresa Noce; 94 tra via De Finetti e via Danusso; altri 60 orti tra via Parri e via Gozzoli; 27 in via Don Gervasini; 10 orti contestualizzati nel Lago dei Cigni - Muggiano, 66 in via Mosca, oltre 306 orti nel Parco delle Cave. A questi si aggiungono i 20 appezzamenti di via Cascina dei Prati e 8 orti in via Sant’Arnaldo.
- 4. Tali modifiche e le loro cause non sono oggetto di studio del presente articolo.