Che dalla crisi si possa uscire attraverso la ricerca e l'innovazione è oggi una consapevolezza diffusa, ed è altrettanto profonda la convinzione che l'intervento pubblico nell'ambito della ricerca e dell'innovazione sia la chiave dello sviluppo di un paese. È inoltre chiaro che, in un quadro di competizione globale, la capacità di indirizzare la ricerca e l'innovazione nella giusta direzione sia importante almeno quanto l'ammontare di risorse pubbliche da destinare all'innovazione.
Il tema della direzionalità impressa dagli enti pubblici ai percorsi di ricerca e innovazione non è nuovo: basti pensare alle 'grandi missioni' come la Rivoluzione Verde degli anni '70 (Wright, 2012), un programma finanziato da importanti fondazioni che aveva concentrato gli investimenti in ricerca sull'obiettivo di massimizzare le rese di alcuni cereali attraverso il miglioramento genetico e le tecniche di fertilizzazione.
Le grandi missioni del passato hanno affidato molte speranze (e risorse) allo sviluppo di tecnologie radicalmente nuove, sottovalutando le condizioni socio-economiche e socio-ecologiche con cui tali innovazioni interagiscono. Se l'approccio basato sul ruolo delle 'tecnologie dirompenti' è quello che tuttora anima importanti istituzioni, come la Gates Foundation (Holt-Giménez e Altieri, 2013), una corrente di pensiero sempre più consistente sottolinea come l'innovazione non sia un fattore di sviluppo 'a prescindere'. Come afferma Beck (1992), molti dei problemi contemporanei sono generati dalla scienza, alla quale peraltro ci si rivolge per risolverli. Per anticipare le possibili conseguenze negative dell'innovazione è necessario favorire lo sviluppo di una scienza 'riflessiva', che possa individuare i rischi da evitare con il cambiamento e adeguare i propri strumenti alla loro prevenzione.
Il concetto di sostenibilità, su cui c'è un consenso ormai generalizzato, impone che le strategie di sviluppo debbano tenere conto delle possibili conseguenze per le generazioni future e per la distribuzione del benessere delle generazioni presenti, anche considerando i pericoli insiti nell'irreversibilità dei percorsi che forti investimenti iniziali possono generare.
Il caso della bioeconomia è a tal proposito molto significativo. La bioeconomia è stata inizialmente proposta come un nuovo modello di economia non più basata sul petrolio. Una tale visione è servita a giustificare forti sussidi pubblici e investimenti privati nel campo delle bioenergie. L'accumularsi di evidenza empirica negli anni mostra che i sostenitori di questa visione hanno fortemente sopravvalutato le potenzialità delle tecnologie di conversione delle biomasse in energia, mentre hanno sottovalutato l'impatto dello sviluppo delle bioenergie sulle aree e sui gruppi più vulnerabili, in particolare nel Sud del mondo. Di fronte ai danni oggi evidenti, il necessario adeguamento delle strategie è frenato dagli interessi di chi ha investito nel settore. Per evitare il ripetersi di questi errori, una politica per la ricerca e l'innovazione ispirata alla sostenibilità impone di pensare a percorsi flessibili, alla predisposizione di soluzioni alternative, allo studio di meccanismi di adattamento alle crisi, affiancati ad analisi di impatti di medio lungo periodo.
Queste riflessioni sono alla base del recente rapporto Sustainable agriculture, Forestry and Fisheries in the Bioeconomy - A challenge for Europe promosso dallo Standing Committee for Agricultural Research (Scar, 2015) in seno alla Commissione Europea. Come noto, il concetto di Bioeconomia, che nelle definizioni più utilizzate associa tutte le attività economiche interessate dalla trasformazione di materiale organico, è molto controverso (Brunori, Bartolini, 2015), in quanto l'implementazione pratica di definizioni diverse può incidere in modo sostanziale su molti equilibri e interessi. Consapevole di questo, e dello stato d'incertezza sui possibili sviluppi delle tecnologie che fanno capo al concetto di bioeconomia, lo Scar ha concepito il rapporto come un esercizio di costruzione di scenari futuri con i quali evidenziare la varietà di opportunità e minacce che una strategia dell'innovazione fortemente direzionale come quella della bioeconomia può comportare. Il rapporto è a cura di un gruppo di esperti europei che si sono giovati della partecipazione di una grande varietà di stakeholder. Il presente articolo rappresenta una sintesi ragionata del documento.
Gli scenari della bioeconomia
La difficoltà di un programma di ricerca che affronti le sfide e le opportunità future è legata al fatto che il futuro è in gran parte ignoto. Per ridurre i possibili rischi è sempre più frequente l'uso di individuare scenari alternativi all'interno dei quali riflettere sulle relative opportunità e minacce. Nell'esercizio Scar, la definizione degli scenari di riferimento si è basata sulla centralità della competizione tra produzione di cibo e produzione di bioenergie e biomateriali per l'uso delle risorse. Le due variabili selezionate a questo proposito, sulla base dei risultati dei seminari con gli stakeholders, sono la crescita della domanda di biomassa per la fabbricazione di biomateriali (plastiche, materiali da costruzione, fibra) ed energia e il livello complessivo di produzione di biomassa.
La prima variabile dipende dalla crescita della popolazione e dell’economia, dai mercati delle risorse (ad esempio, dei combustibili fossili), dall'evoluzione delle tecnologie di conversione della biomassa, e di quelle concorrenti, riguardanti le altre fonti rinnovabili come il solare e l'eolico. La seconda variabile dipende sostanzialmente dallo sviluppo e dal tasso di intensificazione nel settore primario.
Sulla base di queste variabili sono stati identificati tre scenari:
- Lo Scenario A presuppone che la crescita della domanda di biomassa per biomateriali e per energia sia relativamente modesta. Questo scenario è stato chiamato Biomodesty.
- Lo Scenario B presuppone che la crescita sia della domanda che dell’offerta di biomassa per materiali e per energia sia alta. Questo scenario è stato chiamato Bio-boom.
- Lo Scenario C presuppone una forte domanda di biomassa per scopi alternativi all'alimentazione (bioenergie, biomateriali), ma una ridotta crescita dell'offerta. Questo scenario viene chiamato Bioscarsità.
Nella discussione di questi scenari con gli stakeholder sono state prese in esame le possibili cause, i rischi, le opportunità, e su questa base sono state identificate le priorità di ricerca.
Nel caso di uno scenario Biomodesty, le possibili cause possono essere rintracciate in un rapido sviluppo dell'energia solare, eolica e di altre tecnologie energetiche pulite, che rendono le soluzioni a base di biomasse meno competitive. I principali rischi di questo scenario potrebbero essere legati al consolidamento di tendenze all'abbandono della terra e allo spopolamento delle aree rurali, mentre le opportunità sono legate alla maggiore disponibilità di alimenti derivanti da una minore competizione per l'uso delle risorse.
Nello scenario Bioboom la produzione, spinta da una forte crescita della domanda in un mercato liberalizzato, cresce grazie a forti investimenti privati. In questo caso sono stati evidenziati pericoli relativi alla diversità delle produzioni, al ruolo delle aziende agricole familiari e alla pressione sulle risorse.
Nello scenario di Bioscarsità sono evidenziati i rischi legati ad un alto livello dei prezzi della biomassa, i pericoli di pressione sulle risorse naturali, in particolare l'acqua e il suolo, e sulla sicurezza alimentare, per la competizione tra risorse destinate all'alimentazione e risorse destinate ad altri prodotti. Per evitare questo scenario sono stati evocati percorsi di ricerca in grado di migliorare la produttività nel rispetto della sostenibilità e a indurre modificazioni nelle abitudini di consumo, come ad esempio la limitazione della proporzione nella dieta umana di alimenti animali, la cui crescita è come noto un importante fattore di pressione ambientale.
Le opportunità ed i rischi evidenziati nei tre scenari hanno consentito una riflessione sui principi su cui lo sviluppo della bioeconomia dovrebbe essere indirizzato. Tali principi sono intesi come generatori di domande e priorità di ricerca. Questi principi sono:
- Il cibo prima di tutto. Questo principio implica una visione sistemica che permetta di evitare che la crescita della domanda per biomassa a scopi non alimentari metta a rischio la sicurezza alimentare globale.
- Rese sostenibili. Tale principio implica un bilanciamento tra l'esigenza di aumentare la produttività a breve termine e la necessità di salvaguardare la capacità produttiva dei sistemi agricoli, forestali e marini nel tempo.
- Approccio a cascata. Con tale principio, la biomassa residua dei processi produttivi viene utilizzata in altro ciclo produttivo successivo.
- Circolarità. Questo principio implica una progettazione dei sistemi produttivi che garantisca un costo di riciclo dei residui inferiore al valore da essi creato.
- Diversità. La diversità è la chiave per la resilienza, in quanto rende disponibili soluzioni alternative in caso di crisi della soluzione principale.
Questi principi definiscono i contorni di una bioeconomia sostenibile, una delle tante possibili forme di bioeconomia evidenziate dagli scenari, ma anche quella più auspicabile.
Il rapporto Scar ha anche evidenziato alcune linee specifiche di ricerca esemplificative dell'applicazione di tali principi, come ad esempio nuovi paradigmi per la produzione primaria, come l'intensificazione ecologica (che si differenzia dall'intensificazione sostenibile per la sua specifica enfasi sugli aspetti agro-ecologici), lo studio delle implicazioni della rivoluzione digitale, la resilienza dei sistemi socio-ecologici, i percorsi di sviluppo del settore primario di fronte a nuovi scenari energetici, lo sviluppo di nuovi modelli di business per la bioeconomia, le dimensioni socio-culturali della bioeconomia, la governance e la politica economica della bioeconomia, modelli di previsione per la bioeconomia.
Le implicazioni per i sistemi della conoscenza
Il processo di costruzione del rapporto fin qui descritto ha fatto emergere come il concetto di bioeconomia sollevi importanti considerazioni sulle politiche della ricerca. E' chiaro a tutti infatti che le potenzialità della bioeconomia stanno nella capacità di integrare conoscenze fino ad ora separate, in particolare le conoscenze biotecnologiche, biologiche, ecologiche, biochimiche, informatiche, e di integrare settori di intervento, come l'agricoltura, l'energia, il settore farmaceutico, il settore delle costruzioni. Da tale integrazione possono nascere enormi opportunità ma anche molti rischi. In un contesto in cui le decisioni sono urgenti, gli interessi in gioco sono diversi e la conoscenza è dominata dall’incertezza (Functowicz and Ravetz, 2003) è necessario riflettere sul ruolo e le caratteristiche che dovranno avere i sistemi della conoscenza e dell'innovazione (Esposti 2012, Moreddu e Poppe, 2013).
Un sistema della conoscenza e dell'innovazione sviluppa e diffonde la conoscenza, ispira e identifica le opportunità, mobilita risorse, aiuta a gestire i rischi, legittima attività e sviluppa esternalità positive. La coerenza con i principi della bioeconomia sostenibile richiede prima di tutto un giusto equilibrio tra la ricerca applicata e quella di base, tra curiosità intellettuale dei ricercatori e il riferimento a sfide sociali.
Il riferimento alle sfide sociali, derivante da un sistematico confronto tra diversi portatori di interessi, valori, conoscenze, può consentire il miglioramento della capacità del sistema, e delle sue componenti, di ripensare costantemente i propri obiettivi e anche la propria organizzazione. Tale riferimento può orientare i centri di ricerca nell'adeguamento di capacità e competenze, riarticolando la divisione funzionale e disciplinare, e incoraggiare i centri di istruzione superiore ad una sistematica e tempestiva riflessione sulla composizione dei curricula.
L'auspicata cooperazione tra attori portatori di conoscenze ed interessi diversi allarga il concetto di qualità della conoscenza, che si misura prima di tutto con la sua capacità di risolvere problemi. La ricerca può migliorare la propria efficacia attraverso la collaborazione tra diverse forme di conoscenza - comprese quelle non accademiche - e tendere al superamento delle barriere disciplinari. Secondo il rapporto Scar, questo potrebbe implicare anche un ripensamento dei sistemi di valutazione e di incentivazione della ricerca, oggi troppo spesso legati a criteri autoreferenziali ed incapaci di valorizzare il contributo allo sviluppo e alla diffusione dello conoscenze. Infine, sono sempre più evidenti i vantaggi sociali di forme di accesso aperto ai risultati della ricerca pubblica, in particolare in relazione agli attori e alle aree più svantaggiate.
Conclusioni
Lo sviluppo delle tecnologie in grado di decomporre la sostanza organica e ricombinarla ottenendo materiali ed energia rappresenta un fattore di cambiamento di grandi proporzioni, in quanto può incidere sull'uso delle risorse, sulla distribuzione dei costi e dei benefici tra gruppi e tra regioni, sul rapporto tra sfera sociale e sfera ecologica. Questo cambiamento può dar luogo a una molteplicità di scenari diversi, non tutti auspicabili, e molti dei quali da evitare.
Una politica dell'innovazione matura deve essere in grado di anticipare ed evitare gli scenari peggiori, generati da una sottovalutazione dell'impatto che nuove tecnologie e nuovi processi possono indurre negli equilibri socio-ecologici e socio-economici esistenti, e deve poter dare alla politica e alle istituzioni gli strumenti adeguati per governare il cambiamento. Sotto questo profilo, legare le priorità della ricerca alle grandi sfide sociali costituisce un passo in avanti rispetto alle strategie basate sulle 'tecnologie dirompenti' e sul primato degli obiettivi economici.
Il rapporto Scar sulla bioeconomia dà un contributo alla formazione di una politica dell'innovazione europea matura, coerente con il principio di sostenibilità, in grado di ispirare politiche agricole, ambientali, energetiche coerenti tra di loro, in grado di prevenire le conseguenze inattese del cambiamento, sviluppare capacità di adattamento a scenari inaspettati e predisporre soluzioni alternative. Esso sollecita il mondo scientifico, il sistema economico, le istituzioni a rivedere costantemente i propri orizzonti in funzione di un contesto in forte cambiamento, li spinge a interrogarsi sui nessi tra scienza, tecnologia, società e natura e indica un percorso per contribuire attraverso l'innovazione alla costruzione del bene comune.
A fronte di questi progressi, non è difficile notare come i nostri sistemi delle conoscenze registrino difficoltà e ritardi. Il sistema nazionale, colpito dal progressivo esaurimento delle risorse, mostra chiaramente una mancanza di capacità di direzione. I sistemi regionali, fondamentali per la generazione di una domanda di ricerca coerente con i bisogni dei territori, non colgono adeguatamente opportunità importanti come i fondi per lo sviluppo rurale e i relativi esercizi di valutazione, che in un quadro diverso potrebbero rappresentare ambiti di riflessione e sperimentazione in collegamento con le priorità europee.
Riferimenti Bibliografici
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Beck U. (1992), Risk Society: Towards a New Modernity. Vol. 17. Sage
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Brunori G. Bartolini F. (2015), I dilemmi della bioeconomia: una riflessione sulla Bioeconomy Strategy della Commissione Europea. Agriregionieuropa anno 11 n. 41
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Esposti Roberto .(2012), “Knowledge, Technology and Innovations for a Bio-Based Economy: Lessons from the Past, Challenges for the Future.” Bio-Based and Applied Economics 1 (3): 235–68
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Funtowicz Silvio, and Jerome Ravetz. (2003), “Post-Normal Science.” International Society for Ecological Economics (ed.), Online Encyclopedia of Ecological Economics at Http://www. Ecoeco. Org/publica/encyc [pdf]
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Holt-Giménez E & Altieri M. A. (2013), Agroecology, food sovereignty, and the new green revolution. Agroecology and Sustainable Food Systems, 37(1), 90-102
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Moreddu C and Poppe K. (2013), “Agricultural Research and Innovation Systems in Transition.” EuroChoices 12 (1): 15–20
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Scar. (2015), Sustainable Agriculture, Forestry and Fisheries in the Bioeconomy - A Challenge for Europe. EU commission, june 2015
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Wright Brian D. (2012), “Grand Missions of Agricultural Innovation.” Research Policy 41 (10): 1716–28