Introduzione
La Strategia Europa 2020 raccoglie il testimone della Strategia di Lisbona (terminata nel 2010), e rappresenta nel decennio in corso uno dei principali framework di riferimento per le politiche comunitarie, in particolare le azioni strutturali o di coesione. Con Europa 2020, in un mondo globalizzato e in mutamento, l’Unione Europea (UE) si propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale, conseguendo così elevati livelli di occupazione, produttività, sostenibilità e coesione sociale. Alla base, vi è l’idea di guidare gli Stati Membri in questo percorso, riducendo le difformità presenti sul territorio: non è un caso che Europa 2020 sia un elemento fondamentale di condizionamento nella destinazione finanziaria dei fondi strutturali nel ciclo 2014-2020.
Tuttavia, l’UE non rappresenta un’area territoriale omogenea, date le sue dimensioni in termini di numero di Stati (28), popolazione (circa 500 milioni di abitanti) e superficie (oltre 4,3 milioni di kmq). Pertanto, nonostante la presenza di obiettivi e target comunitari, vi è il rischio che Europa 2020 produca effetti difformi sul territorio dell’UE.
Il presente lavoro analizza l’andamento dei singoli Stati Membri rispetto ai principali indicatori di Europa 2020, con lo scopo di evidenziare l’eventuale esistenza di difformità nella loro performance. L’analisi, pur condotta per singoli paesi, propone una loro aggregazione per aree geografiche, tale da tener conto dei diversi modelli sociali individuati da Sapir (2006). Lo scopo è quello di verificare se i modelli sociali presentano differenziali di performance nel perseguire la Strategia, anche alla luce della perdurante crisi economica internazionale. L’approccio che tiene conto dell’aggregazione per modelli sociali è motivato dal fatto che Europa 2020, come la precedente strategia, è un elemento molto importante di stimolo alla riforma dei modelli sociali, in grado di assicurarne la sostenibilità nel tempo; inoltre, essa sollecita gli Stati Membri ad attivare politiche di inclusione sociale insieme a quelle di miglioramento dell’occupazione, della produttività e della sostenibilità. Verificare come i diversi modelli sociali europei si dimostrano capaci di realizzare tali obiettivi è quindi un elemento importante per valutare indirettamente, seppur grossolanamente, l’efficacia di tali modelli.
Tuttavia, rispetto all’epoca in cui Sapir restituisce l’immagine di un’UE molto difforme al proprio interno, almeno due elementi nuovi sono intervenuti: l’allargamento ai paesi dell’Europa orientale e la lunga crisi economica, innestatasi nel 2008. Di fronte al cambiamento di scenario, e a metà del ciclo di vita di Europa 2020, si intende esaminare se tali difformità si mantengono o si riducono e fare una prima valutazione della dinamica e dell’entità dei divari nel periodo di tempo considerato (2008-2013). Se da un canto infatti è ovvio attendersi un allargamento dei divari tra i singoli paesi (Commissione Europea, 2014a), dall’altro canto può essere interessante esaminare come i diversi modelli sociali europei rispondono alle novità introdotte.
L’analisi condotta sembra confermare l’esistenza di un’Europa a più velocità, all’interno della quale modelli sociali differenti presentano performance molto differenziate e tendenzialmente sempre più divergenti. Tuttavia, l’analisi sviluppata evidenzia sia l’emergere di alcuni cambiamenti rispetto ai precedenti modelli sociali di Sapir sia profonde differenze tra i paesi dell’area orientale non assimilabili ad un unico modello.
La Strategia Europa 2020: alcuni indicatori misurabili
Nel 2010, la Strategia Europa 2020 (Commissione Europea, 2010) ha sostituito la precedente Strategia di Lisbona. Il suo obiettivo è quello di promuovere, all’interno della UE, una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. A tale scopo, sono definiti dei target quantitativi europei, adattabili dai singoli Stati Membri, che sono obbligati a dar concretezza agli obiettivi europei e sono richiamati ad un sistematico confronto tra di loro, per monitorare i progressi fatti nella direzione del raggiungimento degli stessi. Il ruolo degli indicatori, definiti di comune accordo, ha quindi grande rilevanza, sia nella definizione dei target quantitativi da raggiungere, sia nel monitoraggio da fare in corso d’opera. In proposito, l’obiettivo della crescita intelligente, che intende promuovere il sistema della conoscenza e dell’innovazione, viene monitorato attraverso il prolungamento della permanenza dei giovani all’interno del sistema dell’istruzione e la spesa destinata alla ricerca e sviluppo. La sostenibilità è definita da indicatori che consentono di valutare i progressi nel miglioramento dell’efficienza energetica, nell’ampliamento di nuove tecnologie verdi e nella riduzione di emissioni di gas a effetto serra. Infine, con la crescita inclusiva, l’UE intende promuovere azioni di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, agendo sulle variabili che la vasta letteratura sulla povertà individua essere determinanti per il fenomeno, quali l’occupazione, la lotta alla disoccupazione specie di lunga durata, il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi di protezione sociale.
A livello europeo, la Commissione ha definito 5 obiettivi principali da perseguire, predisponendo un set di indicatori in grado di valutare i differenziali di performance degli Stati Membri lungo il sentiero di Europa 2020. I cinque obiettivi sono (Commissione Europea, 2010):
- un tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni pari ad almeno il 75% (da raggiungersi anche mediante una maggior partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani e una migliore integrazione dei migranti tra la popolazione attiva);
- investimenti in R&S (pubblici e privati) pari al 3% del Pil;
- miglioramento del 20% dell’efficienza energetica, riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, incremento al 20% della quota delle fonti di energia rinnovabile nel consumo finale di energia;
- abbandono scolastico inferiore al 10% e incremento della popolazione con istruzione terziaria al 40% della popolazione di 30-34 anni;
- riduzione del 25% del numero di europei che vivono al di sotto delle soglie di povertà nazionali, facendo uscire dal rischio di povertà più di 20 milioni di persone.
L’aggregazione dei paesi secondo i diversi modelli sociali europei
Dinnanzi alle sfide di cambiamento poste a livello globale, e interpretate dalla Strategia Europa 2020, l’UE si presenta come un insieme tutt’altro che omogeneo. Già nel 2006, Sapir, analizzando i principali modelli sociali europei, aveva individuato “quattro diversi modelli sociali europei, ciascuno con la propria performance in termini di efficienza ed equità”1 (Sapir, 2006, p. 369). Tali modelli erano di fatto riconducibili a quattro diverse aree geografiche all’interno dell’UE a 15: i Paesi nordici (Danimarca, Finlandia e Svezia oltre che i Paesi Bassi) si caratterizzavano per alta efficienza ed alta equità; i Paesi anglosassoni (Irlanda e Regno Unito) apparivano efficienti ma non equi; i Paesi continentali (Austria, Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo) erano equi ma non efficienti; infine, i Paesi mediterranei (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) presentavano tratti tali da non assicurare né equità né efficienza. Sapir osservava quindi la sostanziale inadeguatezza della Strategia di Lisbona di fronte a sistemi sociali così difformi e che avevano bisogno di essere riformati in vista delle sfide poste dalla globalizzazione e dalle dinamiche demografiche dell’UE (Sapir, 2006). Rispetto all’analisi condotta a suo tempo dall’autore, si è qui tenuto conto degli allargamenti del 2004, 2007 e 2013 e quindi l’analisi è stata estesa ai 28 Paesi UE, individuando un nuovo gruppo di Paesi dell’Est, mentre Cipro e Malta sono stati inclusi all’interno del gruppo dell’area mediterranea. Con questi aggiustamenti, si è tenuto conto della classificazione dei modelli sociali individuati da Sapir e della relativa collocazione geografica dei paesi.
Le diverse performance dei paesi e dei modelli sociali
I dati qui presentati sono tratti dal database Eurostat e la dinamica temporale riguarda il periodo 2008-2013, al fine di evidenziare l’andamento delle variabili osservate prima e dopo la crisi.
Un primo indicatore rilevante per misurare la performance degli Stati Membri è rappresentato dal tasso di occupazione. Pochi Stati Membri hanno raggiunto l’obiettivo comunitario di Europa 2020 del 75%, mentre i singoli obiettivi nazionali (in alcuni casi superiori al 75%) risultano ancora più lontani (Figura 1).
Rispetto alle aggregazioni per modelli sociali, è possibile vedere il netto distacco del Nord, che nel complesso ha già raggiunto (e superato) l’obiettivo comunitario, sebbene il confronto temporale segnali un peggioramento per quasi tutti i paesi (unica eccezione è la Svezia). All’opposto, il modello mediterraneo mantiene la peggiore performance, con un ulteriore peggioramento prodotto dalla crisi: anche il Portogallo, infatti, che prima si staccava dal panorama dei paesi con modello sociale mediterraneo avvicinandosi a quello anglosassone (Sapir, 2006), vede peggiorare nettamente la propria posizione. La situazione dell’Est appare invece alquanto eterogena tra i diversi paesi. Inoltre va segnalato che gli obiettivi nazionali definiti dai singoli paesi, in queste due aree, appaiono in molti casi irrealistici, alla luce dei dati e della performance perseguita nel periodo.
In posizione particolarmente arretrata si notano Grecia, Spagna, Ungheria, Bulgaria, Portogallo e Italia; per tutti questi paesi, è difficile ipotizzare il raggiungimento dei rispettivi obiettivi, entro il 2020 (Commissione Europea, 2014b). Infine va notato che l’area continentale, pur mantenendo una distanza, anche se relativamente contenuta, sia rispetto all’obiettivo europeo sia rispetto all’area nordica, mostra la migliore resilienza in termini occupazionali rispetto alla crisi, dato che l’occupazione nel periodo è cresciuta o non ha subito rilevanti flessioni.
Passando alla spesa interna lorda in Ricerca e Sviluppo, anche in questo caso, vi è grande eterogeneità negli obiettivi fissati dai singoli Stati membri, essendo diverse le possibilità degli stessi. Ad esempio nel 2013, i Paesi nordici, erano già al di sopra dell’obiettivo europeo del 3% e non sorprende di vedere obiettivi nazionali al 4%. La periferia sud-orientale dell’Europa, invece, presenta la peggiore performance (meno dell’1% del Pil): in particolare, i paesi mediterranei, oltre ad avere in media una performance peggiore rispetto all’area orientale, presentano incrementi della spesa per R&D inferiori a quest’ultima area, dove alcuni paesi hanno visto crescere in modo significativo il valore dell’indicatore (ad esempio, Repubblica Ceca, Estonia e Slovenia). I paesi dell’Europa centrale migliorano nettamente gli investimenti in R&D nell’arco del periodo considerato, mentre l’area Anglo presenta difformità tra Irlanda e UK e un investimento medio comunque ben inferiore all’indicatore della Strategia (Figura 2).
Figura 1 - Tasso di occupazione per Stato membro (anno 2008, 2013 e target nazionale)
UK: obiettivo nazionale non fissato; il target assegnato è quello comunitario
Fonte: ns. elaborazioni su dati Eurostat
Figura 2 - Spesa in R&S in % del Pil, per Stato membro (anno 2008, 2013 e target nazionale)
IE: dati per il 2013 al 2012
CZ: obiettivo riferito unicamente al settore pubblico
Fonte: ns. elaborazioni su dati Eurostat
Con riferimento alla crescita sostenibile, un indicatore di riferimento è rappresentato dalla quota di energie rinnovabili come definita da Eurostat, calcolata per quattro indicatori: trasporti, riscaldamento e raffreddamento, elettricità; quota complessiva (Eurostat, 2015). In figura 3, emerge il netto aumento, a livello comunitario, della quota di energie rinnovabili sul totale: la media UE è aumentata di circa il 5% dal 2008 al 2013. Svezia ed Estonia, già al di sopra del 20%, avevano già raggiunto i rispettivi obiettivi nazionali, mentre Finlandia, Romania ed Italia erano, prossime ai rispettivi target. In posizione più arretrata, si trovano, invece, Francia, Irlanda, Regno Unito e Lussemburgo. Se il modello nordico risulta vincente dal punto di vista della sostenibilità (con l’eccezione dei Paesi Bassi, molto più vicini al modello continentale), in seconda posizione si collocano i paesi dell’Est. A chiudere la classifica, si collocano i paesi dell’area anglosassone, che appaiono i meno attenti al tema della sostenibilità. Anche l’area continentale mostra una performance mediocre (e peggiore all’area mediterranea), specie se si guarda all’andamento dell’indicatore nel periodo considerato2. L’unica eccezione è rappresentata dall’Austria, che ha fatto una precisa scelta nella direzione della sostenibilità.
Il tasso di istruzione terziaria è risultato in aumento a livello comunitario, nonostante si registri grande variabilità tra i diversi Paesi all’interno delle diverse aree. Di conseguenza, gli obiettivi nazionali variano dal 26% fissato dall’Italia, al 66% fissato dal Lussemburgo. Anche in questo caso, emergono divari netti tra le aree, con un netto stacco dei paesi con modello anglosassone, che presentano la migliore performance, e con modello nordico che hanno già superato l’obiettivo comunitario e ancora migliorato l’indicatore nel periodo considerato. L’area centrale appare alquanto difforme al proprio interno, con paesi che hanno raggiunto l’obiettivo europeo e altri (Germania ed Austria) che sono ancora molto lontani. Invece, i paesi della periferia sud-orientale registrano mediamente livelli di istruzione terziaria più bassi. La peggiore performance si manifesta al Sud: solamente la Spagna ha già raggiunto l’obiettivo europeo (Figura 4).
Figura 3 - Quota di energie rinnovabili sul totale del consumo lordo di energia, per Stato membro (anno 2008, 2013 e target nazionale)
Fonte: ns. elaborazioni su dati Eurostat
Figura 4 - Tasso di istruzione terziaria negli Stati membri, 2008 – 2013 (anno 2008, 2013 e target nazionale)
UK: obiettivo nazionale non fissato; il target assegnato è quello comunitario
Fonte: ns elaborazioni dati Eurostat
L’ultima dimensione della Strategia Europa 2020 (quella inclusiva) può essere monitorata attraverso l’indicatore “persone a rischio di povertà o di esclusione sociale”3. Sono definite a rischio di povertà quelle persone con un reddito equivalente disponibile al di sotto della soglia di povertà, fissata al 60% della mediana nazionale del reddito equivalente disponibile. La figura 5 mostra come la recessione abbia avuto un impatto particolarmente negativo sull’obiettivo di riduzione della povertà e dell’esclusione sociale. Secondo i dati del 2013, in Europa sono 122.8 milioni le persone a rischio di povertà o esclusione sociale (circa il 24.5% della popolazione dell’UE). Rispetto al 2008, inoltre, la maggior parte degli Stati membri ha registrato un aumento del numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale.
I dati medi europei nascondono notevoli differenze interne. Anche in questo caso, è facile distinguere i cinque diversi pattern territoriali già richiamati. Il modello dell’Est mostra i livelli di povertà più elevati (Bulgaria e Romania, in particolare), seguito da quello Mediterraneo (all’interno del quale pesa il forte peggioramento della situazione in Grecia). Le forti disparità reddituali, presenti nel Regno Unito e in Irlanda fanno si che anche il modello Anglosassone presenti condizioni peggiori rispetto alla media europea.
Figura 5 - Persone a rischio di povertà o esclusione sociale negli Stati membri (anno 2008, 2013)
HR: dati per il 2008 al 2010
Fonte: ns. elaborazioni dati Eurostat
La dinamica dal 2008 al 2013: quali effetti prodotti dalla crisi?
L’analisi delle differenze esistenti tra Stati Membri nel perseguimento degli obiettivi previsti dalla Strategia Europa 2020 restituisce un’immagine nitida circa il gap tra i territori centrali del continente e le sue periferie. Tali differenze sono il risultato di processi di portata storica: non è pensabile che essi possano essere colmati nell’arco di pochi anni (o di qualche decennio).
Su tali differenze è lecito attendersi che la crisi economica abbia avuto un impatto molto diverso data la difformità delle economie e dei modelli sociali sviluppati. La tabella 1 mostra le variazioni medie registrate, in ciascuna macro area considerata, per i cinque indicatori analizzati, nel periodo 2008-2013. Con riferimento al tasso di occupazione, la crisi economica ha certamente determinato un allargamento dello scarto esistente tra le aree considerate: nei Paesi dell’Europa meridionale ed orientale, i tassi di occupazione (già inferiori rispetto alla media) si sono ridotti in misura molto maggiore rispetto agli altri Paesi europei4, con un deterioramento molto significativo nel periodo 2008-2013. La spesa percentuale in R&S è invece aumentata ovunque nel continente, anche se in modo non particolarmente significativo, probabilmente per gli effetti del perdurare della crisi economica. I maggiori progressi sono stati compiuti da i paesi dell’Europa orientale (+0,3%) ma anche da quelli dell’Europa centrale (+0,12%), mentre nell’area meridionale non si registrano miglioramenti significativi. I paesi nordici, che partivano già da livelli molto elevati nel 2008, hanno continuato ad accrescere tali investimenti. La quota di energia prodotta da fonti rinnovabili è aumentata in modo sensibile, vedendo in questo caso accomunati i paesi della periferia sud-orientale con quelli nordici (nonostante livelli di partenza molto difformi). I paesi anglosassoni, caratterizzati da un ridotto utilizzo di energie prodotta da fonti rinnovabili, hanno registrato i minori progressi in termini percentuali. È evidente che, nonostante la Strategia abbia stimolato i paesi a migliorare la loro performance, neppure in questo caso è possibile parlare di processo di convergenza a livello europeo. Rispetto al livello di educazione terziaria, invece, si registrano ottime performance per quasi tutti i paesi dell’Est Europa (che al 2013 hanno superato, in media, i paesi dell’Europa Mediterranea) e dei paesi anglosassoni. I risultati peggiori, invece, riguardano proprio la dimensione inclusiva della crescita. In nessuna delle cinque aree considerate si registra una diminuzione della percentuale di popolazione a rischio di povertà. Tuttavia, proprio i modelli sociali caratterizzati, secondo Sapir (2006), da maggiore equità (ovvero il modello nordico e quello centrale) si sono dimostrati maggiormente capaci di limitare tale aumento (+0,9% e + 0,3%, rispettivamente). Al contrario, nei paesi anglosassoni e in quelli mediterranei, la popolazione a rischio di povertà è aumentata in misura molto sensibile (di quasi il 4%). I paesi dell’Europa orientale, nonostante una decisa caduta dei tassi occupazionali nel periodo 2008-2013, hanno avuto un incremento contenuto del rischio di povertà, anche se l’analisi per paese evidenzia differenze significative.
Tabella 1 – Variazione media, per macro area degli indicatori di Europa 2020 (2008-2013)
Fonte: ns. elaborazioni su dati Eurostat
Considerazioni conclusive
La presente analisi ha evidenziato come, con riferimento agli obiettivi previsti dalla Strategia Europa 2020, la performance dei singoli Stati Membri risulti estremamente eterogenea. In particolare, l’intuizione formulata da Sapir ormai 10 anni fa, relativamente all’esistenza di diversi modelli sociali all’interno dell’UE, risulta ancora oggi un potente strumento di interpretazione delle dinamiche socio-economiche in atto all’interno del continente. Le differenze tra economie appartenenti a modelli sociali differenti, infatti, sono tuttora marcate, specie in riferimento al controllo del rischio di povertà. Tali differenze, che in buona parte erano pre-esistenti alla nuova strategia, influenzano ovviamente anche il perseguimento degli obiettivi di Europa 2020. Del resto la Strategia, pur vincolando i singoli Stati Membri al suo rispetto, definisce gli obiettivi europei lasciando ampi margini di discrezionalità nell’applicazione ai singoli Stati membri.
L’analisi ha inoltre evidenziato come, anche all’interno delle macro-aree individuate, i singoli paesi abbiano performance molto difformi: ad esempio colpisce la distanza tra Irlanda e Regno Unito nel modello anglosassone, il progressivo allontanamento dell’Olanda dal modello nordico e la relativa difformità che sta emergendo in questo gruppo di paesi; ciò potrebbe segnalare il cambiamento di impostazione nella politica sociale di tali aree. Significativa è anche la profonda differenza di performance nell’area orientale, che potrebbe indicare una difformità di modelli sociali anche in quest’area. Di conseguenza, sarebbe interessante una nuova e più approfondita riflessione sui modelli sociali europei alla luce dei cambiamenti indotti sia dall’allargamento che dalla crisi.
Certamente, a dieci anni dal Rapporto Sapir, molto poco è stato fatto in concreto per rendere l’UE un’area più omogenea e coesa rispetto agli obiettivi di Europa 2020. D’altro canto la Strategia non si è dimostrata efficace a tale scopo: date le perduranti difformità, a metà del suo ciclo di vita, il raggiungimento di molti dei suoi obiettivi sembra ormai compromesso. Soprattutto, ad oggi, appare sempre più urgente un efficace contrasto alle tendenze centrifughe che stanno interessando l’UE, e in particolare le sue aree più periferiche.
Riferimenti bibliografici
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Commissione Europea (2010), Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, Bruxelles
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Commissione Europea (2014a), Investimenti per l’occupazione e la crescita. Promuovere lo sviluppo e la buona governance nelle città e regioni dell’UE. Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale, Bruxelles
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Commissione Europea (2014b), Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Bruxelles
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Eurostat (2015), Smarter, greener and more inclusive? Indicators to support the Europe 2020 strategy , Bruxelles
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Sapir A. (2006), Globalization and the reform of the European Social models, in Journal of Common Market Studies, Vol. 44, no. 2, pp. 369 – 390
Siti di riferimento
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Unione Europea: http://ec.europa.eu
- 1. Un modello sociale è considerato efficiente se fornisce elevati incentivi all’occupazione, mentre è considerato equo se limita il rischio di povertà per la popolazione (Sapir, 2006).
- 2. Ciò è in parte dovuto al fatto che l’area continentale è meno investita dalla crisi rispetto al Sud, dove il miglioramento di performance potrebbe essere riconducibile alla riduzione dell’attività economica conseguente alla crisi.
- 3. Questo si compone di più dimensioni: povertà monetaria (“persone a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali”); privazione materiale (“persone con gravi privazioni materiali”); bassa intensità di lavoro (“persone che vivono in famiglie a intensità di lavoro molto bassa”).
- 4. Inoltre, tali Paesi sono pure caratterizzati dalla presenza di forti disparità regionali (Commissione Europea, 2014b).