Premessa
Come già ebbi modo di argomentare in un articolo pubblicato su questa rivista (Dematteis, 2013), le espressioni “aree interne” e “montagna” si riferiscono a due realtà concettualmente diverse e perciò solo in parte coincidenti. Nelle prime il riferimento alla posizione geografica sta a significare situazioni di svantaggio socio-economico dovuto a problemi di accessibilità ai servizi. “Montagna” è invece un concetto che va preso alla lettera, in quanto si riferisce a un ambiente caratterizzato da una forte verticalità altimetrica che nella lunga durata storica ha selezionato culture, società ed economie con caratteri specifici e percorsi evolutivi, anche recenti, non riscontrabili altrove, che quindi richiedono politiche altrettanto specifiche. In particolare i rapporti con le città dell’avampaese, oggetto di questo articolo, dipendono da flussi di materia (come l’acqua), di energia (come quella idroelettrica) di persone (come i turisti della neve) e altri ancora che sono esclusivi o quasi della montagna.
Una governance regolativa di questi flussi e di questi rapporti richiede quindi una loro analisi specifica, che l’Associazione Dislivelli sta sperimentando con una ricerca in corso sul territorio montano della Città metropolitana di Torino. Questo articolo illustra la metodologia e i primi risultati di questa indagine.
Montagna e città: un rapporto che cambia
Le sorti della montagna sono legate alle città non solo come mercato di sbocco di prodotti o come bacini di utenza turistica, ma anche e soprattutto come sedi di servizi e di risorse cognitive, imprenditoriali, finanziarie e istituzionali indispensabili per la vita e lo sviluppo dei territori montani. Ciò vale sia per le città che stanno dentro le valli, sia per quelle, assai più numerose, disposte lungo il bordo esterno dei rilievi. Nel primo caso il rapporto della montagna rurale con la città è vitale per entrambe e quindi è più equilibrato. Nel secondo caso è invece tendenzialmente squilibrato, perché di regola i territori montani dipendono da città che interagiscono principalmente con la pianura o con la costa. A partire dalla seconda metà del XIX secolo tale squilibrio ha portato a una progressiva marginalizzazione dei retroterra montani e a una loro crescente dipendenza dalle città dell’avampaese.
Cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni stanno tuttavia creando situazioni favorevoli a un riequilibrio. E’ cessata quasi del tutto la grande emorragia demografica della montagna interna e si è avviato in essa un processo di ripopolamento selettivo. Le politiche europee, nazionali e regionali, hanno abbandonato l’originaria visione puramente assistenziale della marginalità montana, per puntare sull’abitabilità e sulla valorizzazione delle risorse locali. Le biomasse forestali hanno accresciuto la loro importanza come materia prima, come fonti di energia rinnovabile e per l’assorbimento del CO₂. E’ cresciuto il valore delle risorse idriche. Si sono progettate e avviate nuove grandi opere di attraversamento. Anche là dove esse hanno generato movimenti di opposizione locale, questi ed altri movimenti identitari hanno contribuito a rivalutare le culture locali nelle loro espressioni tangibili e non, con conseguente sviluppo di azioni per il ricupero del patrimonio culturale, che hanno anche trovato risorse e sostegno nelle città esterne. Sempre da queste città è venuta una spinta alla salvaguardia del patrimonio naturalistico-ambientale, con un notevole aumento delle aree protette. In più nelle grandi città sta crescendo una domanda e un’offerta di fruizione turistica “dolce”, diffusa, responsabile1. Di pari passo si è avuta una rivalutazione dei prodotti agro-alimentari locali, che ha permesso il mantenimento e in molti casi la crescita di attività agro-pastorali, frutticole e viti-vinicole con sbocchi commerciali legati anche al turismo eno-gastronomico locale e ai consumi delle città vicine.
Queste trasformazioni recenti stanno modificando l’immagine della montagna e con essa anche il suo rapporto con la città. Si parla di “nuova centralità della montagna” (Bonomi 2013) e si fa strada l’idea che quelle risorse naturali, quei valori ed esperienze di vita, di cui chi vive ed opera in città oggi sente il bisogno, si trovano soprattutto nella montagna rurale marginalizzata (Rullani 2009). Cresce così la consapevolezza di quanto la montagna potrebbe offrire di più alla città grazie al miglioramento delle condizioni di vita, al ringiovanimento demografico e alla messa in valore di molte risorse locali oggi poco o male utilizzate, capaci di far crescere l’occupazione, il presidio e la cura del territorio.
La rilevanza della montagna dalle Conferenze Unced alla Città metropolitana di Torino
La nuova attenzione per la montagna è un fenomeno mondiale. Associazioni e organizzazioni specifiche nate di recente, come Mountain Partnership, fanno sentire la loro voce nelle Conferenze sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (Unced), ottenendo tra l’altro l’istituzione dell’international Mountain Day. In Italia sono nate di recente la Rete Montagna (2010), La Fondazione Montagne Italia (2014) e l’Alleanza per la Montagna (2015). Le stesse associazioni sorte in passato in funzione di una fruizione sportiva e ricreativa della montagna, come i Club Alpini, si occupano sempre più degli aspetti ambientali, culturali, economici e sociali dei territori montani. In generale si può dire che oggi i principali attori della rivalorizzazione della montagna interna sono - assieme agli attori locali - gli abitanti, le istituzioni e gli operatori economici e sociali delle città. Particolarmente importante per il tema qui trattato è la Strategia macroregionale alpina dell’Unione Europea (Eusalp), avviata all’inizio di quest’anno, che comprende un territorio alpino e perialpino con più di 70 milioni di abitanti, in gran parte residenti in aree urbane e metropolitane. Perciò Eusalp può essere un banco di prova delle nuove interazioni montagna-città, a diverse scale: da quella locale dei rapporti di prossimità tra le aree urbane e i loro retroterra montani, fino alla scala continentale, dove tra l’altro il patrimonio ambientale e culturale alpino è una componente non secondaria dell’identità europea.
In Italia sono particolarmente numerose (più che in ogni altro paese europeo) le città prossime alla montagna. Se consideriamo i capoluoghi di provincia e gli altri comuni italiani con più di 50.000 abitanti, 87 di essi distano meno di 15 Km (l. a.) da un comune classificato montano o parzialmente montano (L. 991/1952), una distanza che per 45 di essi è inferiore ai 5 Km. Di queste città 28 sono prossime o interne alle Alpi e 59 agli Appennini e ai rilievi delle isole. 25 di questi comuni hanno più di 100.000 abitanti, tra cui i capoluoghi di nove delle città metropolitane di recente istituzione (Roma, Torino, Genova , Bologna, Firenze, Catania, Palermo, Messina e Reggio Calabria).
Per rendere operativa la potenziale convergenza di interessi tra montagna e città e per regolare con equità l’interscambio che ne deriva occorre conoscere, valutare e regolare i flussi locali in entrata e in uscita. A tal scopo la città metropolitana di Torino (già provincia di Torino) è un caso particolarmente interessante. Su un totale metropolitano di 6827 Km², di 315 comuni e 2.224.000 abitanti, essa presenta un territorio montano di 4130 Km², con 276.000 abitanti, residenti in 148 comuni. Perciò è stata scelta per un’indagine che si propone di individuare, misurare e valutare il sistema degli scambi tra i territori urbanizzati pedemontani (C) e i loro retroterra montani (M), come base conoscitiva di una governance che regoli questi scambi in modo da migliorare il benessere e la qualità ambientale di entrambi i territori. Ciò significa riequilibrare una situazione in cui molti beni e i servizi che la montagna rurale fornisce oggi alla città sono di regola sotto-remunerati e in molti casi gratuiti, mentre poco di ciò che la montagna riceve dalle città è gratuito, pur essendo necessario per la vita degli abitanti e delle imprese e in larga misura non sostituibile con offerte alternative, dunque generatore di una forte dipendenza.
Il metodo della ricerca
Nella nostra ricerca il sistema dei rapporti M-C all’interno della Città metropolitana di Torino (Cmt) viene considerato come un sotto-sistema di un più vasto ecosistema territoriale locale (o bioregione urbana, Magnaghi 2014), inteso come l’area ottimale di auto-contenimento degli scambi tra la città e lo spazio rurale circostante. Per “scambi” intendiamo le relazioni tra aree urbane e aree rurali - messe in atto sia da agenti naturali (servizi eco-sistemici in senso stretto), sia da agenti umani - che danno origine a flussi di beni materiali, energia, rifiuti, informazioni, persone, lavoro, servizi, denaro. Per “area ottimale” intendiamo quella in cui l’autocontenimento di questi scambi (e relativi flussi), se opportunamente regolati, offre le condizioni più efficaci per attuare politiche rivolte a ottenere: (a) benessere e qualità della vita degli abitanti, (b) scambio paritetico e uguaglianza sostanziale di diritti tra aree centrali forti e aree periferiche, (c) utilizzo appropriato ed economicamente efficiente del capitale territoriale locale, (d) conseguente crescita dell’occupazione locale e quindi densità demografiche sufficienti per mantenere il presidio e la cura dell’intero territorio, (e) sostenibilità ambientale, economica, socio-culturale e politico-istituzionale alle diverse scale.
Ovviamente va tenuto presente che i flussi M-C sono solo una parte di una rete di scambi che interessa anche altre scale geografiche, da quella regionale a quella globale. All’interno della Cmt la maggior parte dell’interscambio fa capo all’agglomerazione torinese, ma una parte intercorre anche tra le valli e i centri urbani minori antistanti, mentre altri scambi avvengono all’interno del territorio montano. Abbiamo quindi un sistema di scambi e di flussi che interessa scale superiori a quella della Cmt e altre al di sotto di essa. Per quanto riguarda le scale superiori i flussi di più lungo raggio vanno separati da quelli auto-contenuti nella Cmt. Non vengono invece considerati gli scambi all’interno della M, e neppure quelli che fanno capo a Torino da quelli che interessano i centri urbani minori del pedemonte. In questa prima ricerca si è cioè adottata la semplificazione di identificare M con l’insieme dei comuni montani e C con il resto del territorio della Cmt, considerando quest’ultimo come un’unica grande area urbana pedemontana di origine e destinazione dei flussi M-C.
In M sono stati inclusi tutti i comuni che facevano parte delle Comunità montane soppresse nel 2012. In particolare ne fanno parte una quarantina di comuni di bordo, solo parzialmente montani, Questa zona semi-montana si differenzia parecchio dal resto di M: ne occupa solo il 17 % della superficie, ma ne raggruppa il 58 % della popolazione e dell’occupazione. Per alcuni tipi di scambi (prodotti agro-industriali, pendolari ecc) essa va perciò considerata separatamente. Anche nel resto della M le principali differenze ambientali, demografiche, economiche e di accessibilità, hanno consigliato di distinguere le basse valli (64 comuni), la montagna interna (35 comuni) e il comprensorio sciistico già sede dei giochi olimpici invernali 2006 (8 comuni).
L’analisi degli scambi tra montagna e città
Di molti dei flussi M-C – in particolare quelli di materia, energia, e persone – esistono dati disponibili o facilmente rilevabili, altri si possono solo stimare, di altri ancora sono possibili solo descrizioni e valutazioni qualitative. La misura dell’interscambio attuale dovrebbe poi permettere delle previsioni su quello possibile in futuro, nell’ipotesi che vengano migliorate certe condizioni di contesto e meglio utilizzate le risorse potenziali di entrambe le componenti della Cmt. In attesa di completare le analisi possiamo per ora fornire qualche indicazione sui tipi degli scambi e sugli ordini di grandezza di alcuni flussi sintetizzati nella tabella 12.
Tabella 1 – Principali flussi di interscambio tra la montagna della città metropolitana di Torino e il resto del territorio metropolitano
Note: con MàC si indicano i flussi medi annui dall’area montana (M) al resto della Città metropolitana( C), con CàM quelli in senso inverso. I flussi sono calcolati come % sui totali indicati alla nota (*) per i seguenti intervalli:
0-1% = 1, 1-5% = 2, 5-20% = 3, 20-40% = 4, oltre 40% = 5
(*) Quote % di beni e servizi prodotti in M sul totale di quelli equivalenti consumati/fruiti in C (2° colonna), prodotti in C e consumati/serviti in M sul totale di quelli equivalenti consumati/fruiti in M (3° colonna). Per i lavoratori pendolari la % si riferisce al totale degli occupati di M (2° colonna) e al totale dei movimenti pendolari della Città metropolitana (3° colonna) . La pendolarità per servizi della 2° colonna corrisponde alla % della domanda di servizi di M soddisfatta in C e viceversa. La voce villeggianti ecc. non si riferisce al flusso di turisti, ma a quello dei servizi turistici, sportivi, ricreativi (compresi eco sistemici culturali) resi da M o da C alle persone ospitate provenienti rispettivamente da C o da M, espressi in % del totale dei servizi di questo genere offerti in M e in C.
(**) La 4° colonna registra le quote % di beni e servizi sul totale di quelli prodotti da M che passano da C senza esservi né consumati, né lavorati (salvo operazioni logistiche elementari). La 5° colonna registra la quota di beni e servizi che entrano in M per i quali C fa solo da tramite logistico e/o commerciale
Fonte: elaborazione personale
In uscita da M gli scambi più rilevanti riguardano l’acqua, l’energia idroelettrica, i prodotti agro-alimentari di qualità, la pendolarità per lavoro e per servizi, la spesa in beni di consumo e servizi, alcuni servizi ecosistemici. In uscita da C: i compensi per gli usi dell’acqua, molti beni di consumo e servizi alla persona e alle imprese, i flussi di visitatori e villeggianti e la relativa spesa.
Per quanto riguarda le risorse idriche M fornisce circa i due terzi delle acque incanalate superficiali fruibili in C.3
Le produzioni agro-pastorali di M soddisfano in minima parte i consumi di C. L’offerta vi trova tuttavia un buon mercato di sbocco a causa della qualità, certificata anche da marchi di tipicità (7 di formaggi, 2 di frutta e 3 di vini Doc). I canali principali sono la vendita diretta presso le aziende produttrici, i mercati (compresi quelli contadini urbani) le fiere paesane, le filiere corte dei gruppi di acquisto e dei grossisti locali che riforniscono negozi specializzati. Tutta o quasi la limitata produzione lattiera di M è consumata o lavorata sul posto, in buona parte da aziende famigliari e da poche imprese artigiane che si approvvigionano anche in pianura. La domanda urbana sta ora stimolando la crescita di un’offerta maggiormente strutturata attraverso la pianificazione di un sistema territoriale del cibo, secondo il modello dell’ urban food planning (Dansero et al, 2014).
Anche i flussi M-C di prodotti derivanti dalla filiera del legno sono assai limitati, soprattutto a causa dello scarso utilizzo della pur notevole dotazione boschiva (180.000 ha) per poco più della metà in gestione attiva e solo per il 23% servita da viabilità stradale4. Le imprese di M operanti nel settore del legno e della sua lavorazione sono 420, quasi tutte sotto i 10 addetti. Il grosso della produzione è utilizzata sul posto, mentre la parte esportata è costituita da legname grezzo o di prima lavorazione in parte certificato Pefc, da legna da ardere e da prodotti finiti (per edilizia strutturale, mobili, arredi ecc.).
I flussi di persone C-M, in uscita e in entrata, sono principalmente dovuti a pendolarità per lavoro, spostamenti per servizi, acquisti e affari e per visite con finalità turistiche. La pendolarità per lavoro interessa prevalentemente la fascia di bordo pedemontano e le base valli. Nel complesso si calcolano 48.000 uscite giornaliere verso C, che generano l’ ingresso in M di un flusso di denaro corrispondente al 7 % del reddito complessivo delle famiglie.
Di segno contrario è il bilancio economico della pendolarità per servizi, in quanto le famiglie e le imprese di M devono accedere a C per fruire di molti servizi localmente non presenti o insufficienti. Si tratta di servizi per le famiglie (scolastici, sanitari, assistenziali, ricreativi, culturali, sportivi ecc.) e di servizi per imprese ed enti vari (finanziari, informatici, contabili, tecnico-amministrativi, di consulenza professionale, ecc). Gli acquisti al dettaglio danno origine a spostamenti pendolari più numerosi di quelli per lavoro. La spesa delle famiglie di M in beni di consumo acquistati in C, può essere stimata approssimativamente per differenza rispetto all’offerta locale (tolta la spesa dei turisti) Essa corrisponde a un’ “evasione commerciale” intorno al 40%, che si traduce nel trasferimento a C di circa il 10% del reddito complessivo delle famiglie di M. A questa va aggiunta l’”evasione” delle imprese che acquistano in C beni di consumo e di investimento.
Di nuovo si inverte il segno del dare-avere se si considerano i flussi verso M dei residenti in C che pernottano in strutture ricettive, in seconde case, e che effettuano visite in giornata, specie nei fine settimana. Un primo calcolo approssimativo di questi flussi annui di visitatori provenienti da C li valuta dell’ordine di almeno 3 milioni di presenze giornaliere annue, generatrici di un flusso di denaro da C a M che corrisponde a circa il 7% del Pil di M, una percentuale che aumenta di parecchie volte nei comuni a forte specializzazione turistica invernale.
Altri flussi che hanno un peso rilevante sono gli investimenti di Cmt in M, sia quelli pubblici in infrastrutture e difesa del suolo, sia quelli privati in impianti sciistici e seconde case. La spesa pubblica è anche chiamata in causa dai danni che C subisce in seguito a eventi alluvionali generati dai corsi d’acqua che scendono da M. C’è anche un considerevole interscambio di semilavorati e componenti tra le circa 8.000 unità manifatturiere presenti in M (per due terzi nella zona di bordo pedemontano) e le industrie di C. Importanti, anche se difficili da calcolare sono i flussi dei risparmi e dei profitti trasferiti tramite le filiali bancarie di M alle sedi centrali di C. Altrettanto sfuggenti sono i flussi di informazioni che avvengono tramite i media, i siti web, le relazioni tra enti pubblici di diverso livello gerarchico ecc. Nel “dare” di M vanno infine considerati alcuni servizi eco-sistemici e i relativi pagamenti (Blasi et al., 2012). Oltre al già ricordato approvvigionamento idrico e alla fruizione ambientale e paesaggistica generatrice dei flussi turistici, sono particolarmente importanti: la regolazione dei flussi idrici (naturale e derivante da manutenzione), lo stoccaggio di CO₂, le brezze di monte e il foen che migliorano la qualità dell’aria di C. Non trascurabili sono infine certi vantaggi imponderabili, come quello estetico e simbolico che la cerchia alpina conferisce all’immagine e all’identità stessa di Torino.
Conclusioni
Il crescente interesse per la montagna - a scala mondiale, europea e nazionale - riflette una congiuntura storica favorevole alla riscoperta di certi valori tipici dei territori montani, visti come risorse per migliorare il benessere delle aree urbane che di tali valori e risorse difettano. Ciò prefigura una fase – già in parte iniziata - in cui si possono riequilibrare i rapporti di dominanza-dipendenza delle aree urbane forti nei confronti della montagna rurale precedentemente marginalizzata. Banchi di prova di questo cambiamento possono essere in Europa la strategia Eusalp e, in Italia, anche i piani strategici di sviluppo delle Città metropolitane, alcune delle quali comprendono al loro interno vasti territori montani. La ricerca in corso sulla Città metropolitana di Torino, qui presentata, parte dal presupposto che le relazioni di prossimità tra la montagna e le città dell’avampaese possano essere governate nell’interesse di entrambe attraverso la conoscenza, la valutazione e la regolazione degli scambi reciproci, a partire da un’analisi dei flussi. Essa mette in evidenza alcune forme di interscambio che necessitano di politiche regolative. Particolarmente importanti sono i flussi generati dai servizi eco-sistemici offerti dalla montagna, come l’approvvigionamento e la regolazione idrica, la riduzione degli inquinanti atmosferici, la fruizione estetica ed esperienziale del patrimonio ambientale e paesaggistico.
Mentre sono evidenti i vantaggi che la città ottiene da questi scambi, resta da determinare e regolare un’equa contropartita (non solo monetaria) per la montagna e vanno calcolati i vantaggi derivanti dal possibile incremento degli scambi stessi. In particolare le produzioni di origine agro-pastorale e forestale rimangono quantitativamente molto al di sotto delle potenzialità dei territori e dei loro sbocchi di mercato. Per queste e anche per altre forme di utilizzo del capitale territoriale montano (filiera del legno, turismo sostenibile ecc.) l’analisi degli scambi può orientare le politiche di sviluppo della montagna verso obiettivi che rispondono anche agli interessi delle città. Essa ci aiuta a capire che ciò di cui la montagna ha bisogno (popolamento, accessibilità, servizi, occupazione ecc), non solo risponde ai diritti e alle necessità di chi ci vive, ma realizza anche le condizioni necessarie per valorizzare certe risorse locali che rispondono alla nuova domanda urbana.
Riferimenti bibliografici
-
Blasi F., Marino D., Pallotta M. L. (2012), I servizi agro-ecosistemici: pagamenti per i servizi ecosistemici alla luce delle proposte per la nuova Pac, Agriregionieuropa, n. 30
-
Bonomi A. (2013), Il capitalismo in-finito. Indagini sui territori della crisi, Einaudi, Torino
-
Dansero E. et al. (2014), Nutrire Torino metropolitana; verso una strategia alimentare urbana, Politiche Piemonte, n.27, pp. 22-25
-
Damatteis G. (2013) La montagna nelle strategie per le aree interne 2014-2020. Agriregionieuropa, n. 34
-
Magnaghi A. (2014) La biorégion urbaine, Eterotopia France, Paris
-
Rullani E. (2009) L’economia del margine scopre la sua nuova modernità. In: Borghi E. (a cura di) La sfida dei territori nella green economy, Ariel, Roma
- 1. Il resto proviene da precipitazioni dirette e da prelievi dal Po e dalla Dora Baltea, fiumi alimentati in buona parte da bacini imbriferi montani esterni alla Cmt
- 2. Dati gentilmente trasmessi da Ipla s.p.a. di Torino. Si veda anche Uncem Piemonte, La filiera legno nelle terre alte, 2012 [link], p. 348-349.
- 3. Un buon esempio è la rete Sweet Mountains (www.sweetmountains.it) che raggruppa una novantina di strutture ricettive escursionistiche delle Alpi Nord-occidentali, aderenti alla filosofia di “un turista ospite ma non padrone, un montanaro padrone ma anche ospite, guida e amico”. Si veda la rivista on line Dislivelli n. 49 luglio 2014, n. 56 aprile 2015 e n. 61 ottobre 2015 [link], che ne destina circa la metà a usi irrigui, idroelettrici, idropotabili e altri. Le falde sotterranee ricaricate dai deflussi dei bacini imbriferi di M forniscono circa l’80% delle acque sotterranee estratte in C per uso irriguo, idropotabile e industriale. Risulta quindi evidente la forte dipendenza di C dagli apporti idrici superficiali e sotterranei della montagna alpina. L’energia elettrica in uscita da M deriva quasi tutta da grandi impianti idroelettrici. Fino ai primi decenni del secolo scorso essa riforniva direttamente C. Ora è riversata nella rete nazionale, a cui attinge C in una misura che – in proporzione a quella derivante da altre fonti e da altre aree del Paese - corrisponde solo a una piccola parte di quella prodotta da M. Per l’approvvigionamento idrico di C e l’utilizzo idroelettrico M riceve intorno ai 20 milioni di euro, erogati a avario titolo dalla regione, dalla Cmt e dai concessionari dei prelievi. Ne sono destinatari i consorzi Bim, le Unioni montane e singoli comuni.
- 4. Si ringrazia il dr. Alberto Di Gioia di Dislivelli, collaboratore alla ricerca, per aver messo a disposizione i dati che sta elaborando.