L’impatto della PAC sulla coesione europea
Le politiche di coesione rispondono ad un obiettivo prioritario dell’Unione europea, espresso in modo preciso dal Trattato di Amsterdam, secondo cui per poter favorire uno sviluppo armonioso dell’Unione è necessario predisporre azioni tese a ridurre le disparità tra le regioni europee, in termini di crescita economica, sviluppo strutturale e livello di benessere dei cittadini. Tali azioni dovrebbero essere preordinate a rafforzare il tessuto economico e sociale delle regioni marginali e in ritardo di sviluppo per avvicinarle a quelle più prospere. L’impegno della Comunità nel ridurre gli squilibri tra le regioni si concretizza nella destinazione di più di un terzo del budget comunitario ad aiuti specifici diretti allo sviluppo regionale e a politiche di coesione economica e sociale. La maggior parte di questi fondi deriva dalle politiche strutturali, che riguardano in maggior misura le regioni in ritardo di sviluppo dell’ex-Obiettivo 1, e dalle politiche di coesione indirizzate, fino all’allargamento ad Est, a soli quattro paesi dell’Unione: Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda (i Paesi che nei primi anni Novanta presentavano un PIL pro-capite inferiore al 90% della media europea).
Tuttavia, l’obiettivo di armonizzazione regionale richiamato nel Trattato di Amsterdam non è esclusivo delle politiche menzionate, ma costituisce il filo conduttore di ogni politica europea atta a sostenere lo sviluppo economico e sociale. Secondo questa prospettiva molto più ampia, anche la politica agricola comune (la PAC), nella sua interezza, deve perseguire tali obiettivi. Le politiche del cosiddetto secondo pilastro, cioè quelle a sostegno dello sviluppo delle aree rurali, contengono strumenti finalizzati a migliorare le condizioni economiche e sociali delle aree con maggiori difficoltà strutturali; mentre per quelle orientate al mercato, vale a dire le politiche di intervento sui prezzi dei prodotti agricoli e gli aiuti diretti agli agricoltori, è difficile poter riconoscere loro un obiettivo di coesione economica e sociale. Se pensiamo che la PAC rappresenta per il bilancio comunitario circa il 47% delle spese sostenute complessivamente e che le politiche del primo pilastro assorbono circa l’85% delle risorse destinate all’agricoltura, è evidente come la valutazione della compatibilità degli strumenti di mercato con gli obiettivi della coesione debba necessariamente inserirsi nel dibattito circa la sostenibilità non solo finanziaria della PAC.
In conformità all’art. 158 del Trattato di Amsterdam, la Commissione deve provvedere ogni tre anni a stendere un rapporto sul contributo di ogni politica promossa dalla Comunità al raggiungimento degli obiettivi di coesione previsti dallo stesso Trattato. L’ultimo di questi rapporti risale al 2003 (il terzo rapporto sullo stato di coesione economica e sociale nell’Unione europea, 2004) e presenta i risultati raggiunti dalla politica agricola europea in materia di attenuazione delle disparità tra le regioni europee. La valutazione dell’impatto della PAC è sviluppata in modo da fornire il grado di partecipazione alla coesione delle politiche agricole analizzando alcune importanti variabili economiche, sociali e territoriali caratterizzanti l’agricoltura delle diverse regioni europee. Queste variabili costituiscono gli indicatori per misurare la convergenza o la divergenza tra le regioni nel periodo di applicazione della PAC 1992-2002, ovvero dalla riforma Mac Sharry all’inizio della revisione di medio termine di Agenda 2000.
Il rapporto di valutazione distingue il contributo delle politiche di sviluppo rurale da quelle a sostegno dei mercati. Se per le prime si riconosce un’impostazione coerente con le finalità di riduzione degli squilibri, anche se poco efficaci a causa degli esigui finanziamenti ad esse destinati, per le politiche del primo pilastro si riscontra, invece, un evidente conflitto con le politiche di coesione europea.
Per quanto riguarda l’impatto della PAC sulla coesione socio-economica delle regioni, il terzo rapporto sullo stato della coesione evidenzia come gli aiuti diretti agli agricoltori, essendo stati legati a produzioni agricole presenti in maggior parte nelle aree rurali più ricche, abbiano contribuito ad aumentare gli squilibri tra le regioni, invece che attenuarli. La maggior parte delle risorse del primo pilastro sono state, infatti, destinate a sostenere produzioni, quali i seminativi (cereali, semi oleosi e colture proteiche) e la zootecnia (da carne soprattutto), localizzate in prevalenza nelle aree più fertili dell’Unione europea. Inoltre, il disaccoppiamento parziale introdotto con la riforma Mac Sharry e proseguito con Agenda 2000 ha di fatto favorito le aziende più grandi ed efficienti, trasferendo loro la maggior parte dei pagamenti diretti: più del 50% delle risorse del primo pilastro è stato destinato ad una minoranza di aziende: circa il 5%. La conseguenza è stata un incremento nel surplus dei proprietari senza produrre benefici evidenti dal punto di vista occupazionale. Al contrario, nelle aziende più piccole, i bassi trasferimenti sono serviti unicamente per mantenere produzioni, come i cereali, per le quali il solo ricavo fornito dal mercato non avrebbe consentito il recupero completo dei costi. Nel 2000, nelle aziende più grandi, l’aiuto mediamente percepito poteva superare in media i 20.000 euro, cioè quanto poteva bastare per acquistare un trattore di media potenza, mentre nella maggior parte delle aziende l’aiuto non ha superato i 1.250 euro.
Anche le misure finalizzate al contenimento delle produzioni eccendentarie (cereali e latte) sono state considerate misure in contrasto con gli obiettivi di coesione socio-economica. Il set-aside e le quote latte hanno contribuito ad abbassare la capacità produttiva delle aziende agricole, limitandone l’espansione anche da un punto di vista occupazionale. Queste misure hanno, tra l’altro, contribuito ad incrementare i costi sostenuti dalla collettività per la gestione amministrativa del sistema di contenimento delle produzioni. Tutto ciò ha mostrato l’inefficienza redistributiva di tali misure, a danno non solo del contribuente-consumatore, ma anche dell’agricoltore che non ha potuto sfruttare le eventuali economie di scala conseguenti ad un aumento delle dimensioni produttive.
L’analisi dell’impatto della PAC da un punto di vista territoriale mostra risultati che in parte sembrano ricomporre il contrasto tra le misure del primo pilastro e gli obiettivi di coesione. Si constata, infatti, che negli ultimi dieci anni, i contribuenti e i consumatori delle regioni più ricche hanno contribuito a trasferire risorse verso le regioni più povere, ovvero quelle che, in generale, sono caratterizzate da un alto tasso di occupazione agricola. La solidarietà tra regioni ricche e regioni rurali povere è utilizzata come indicatore della capacità delle misure della PAC del primo pilastro nel contribuire a risolvere la disparità di reddito tra le regioni. Tuttavia, in Italia, ad esempio, il piano di regionalizzazione degli aiuti sui seminativi ha favorito le aree più efficienti e ricche della pianura (in ragione della resa storica più elevata) e meno quelle di montagna, dove era più necessario sostenere il reddito degli agricoltori per ridurre il rischio di spopolamento. In questo caso, la sopraccitata solidarietà tra regioni ricche e povere non ha di fatto dato particolari frutti.
Il rapporto si conclude riconoscendo la necessità di apportare delle modifiche alla PAC di Agenda 2000 e intravedendo nei principi alla base della revisione di medio termine (il disaccoppiamento, la modulazione degli aiuti e l’eco-condizionalità) elementi che potrebbero ricondurre le misure del primo pilastro nel sentiero degli obiettivi di coesione tra le regioni europee.
La riforma Fischler può favorire la coesione tra le regioni europee?
A questa domanda ha cercato di rispondere un gruppo di ricercatori delle Università di Bologna, Parma, Pavia, Sassari e Verona, nell’ambito di uno studio commissionato dalla Direzione Generale Agricoltura (Arfini e altri, 2006). L’obiettivo del lavoro è di fornire una valutazione degli effetti del disaccoppiamento degli aiuti contenuto nel Reg. UE 1782/2003 sulla coesione economica e territoriale delle regioni europee (definite secondo la classificazione NUTS 2). La metodologia seguita utilizza un approccio integrato mettendo insieme tre metodi:
- un metodo di classificazione basato sull’analisi statistica multivariata (1), che consente di identificare gruppi omogenei di regioni da un punto di vista economico, sociale, agricolo e ambientale;
- un modello di programmazione matematica, per simulare gli effetti del disaccoppiamento degli aiuti sul cambiamento degli ordinamenti produttivi aziendali e sulle dinamiche del reddito degli agricoltori;
- l’analisi della convergenza (2), per comprendere le traiettorie di lungo periodo delle singole regioni valutando come i possibili effetti della riforma Fischler possano influire sulle dinamiche in atto.
Mentre il primo metodo (analisi statistica multivariata) può essere considerato uno strumento “statico”, perché fornisce le istantanee dei gruppi omogenei di regioni in un dato momento, l’analisi della convergenza permette di apprezzare l’evoluzione delle differenti regioni rispetto al grado di convergenza-divergenza di alcune rilevanti variabili socio-economiche, quali il livello di reddito medio per occupato agricolo. Il modello di simulazione ha permesso di simulare gli scenari futuri dell’agricoltura europea, fornendo risultati per ricostruire i nuovi gruppi omogenei di regioni alla luce dei cambiamenti produttivi ed economici previsti. Gli stessi risultati sono serviti per valutare i cambiamenti di direzione nella convergenza tra le regioni.
I risultati dello studio sottolineano come la riforma della PAC non fornisca un aiuto reale a migliorare lo stato di coesione nell’UE. Da un punto di vista economico e territoriale, le regioni caratterizzate da un sistema produttivo più intensivo (in particolare quelle di Francia e Germania) tendono a mostrare un maggior grado di dispersione tra i gruppi omogenei di regioni. Questo è dovuto al disaccoppiamento totale degli aiuti che, secondo i risultati dello studio, porta ad un miglioramento generalizzato delle condizioni economiche delle aziende, proprio dove gli aiuti accoppiati ante-riforma si presentavano più concentrati. Inoltre, si assiste ad un orientamento del sistema produttivo verso quelle produzioni che consentono di abbassare sostanzialmente i costi di produzione (foraggere, girasole e superficie a buona pratica agricola (3) ). La sostanziale stabilità degli aiuti abbinata ad una forte riduzione dei costi di produzione concorre a migliorare le performance complessive di queste regioni, ma non per tutte allo stesso modo. La forte disparità nei livelli di pagamento unico tra le regioni influenza in modo negativo il miglioramento del grado di coesione.
Al contrario, per le regioni con sistema produttivo “tradizionale”, caratterizzate da aziende agricole di piccole dimensioni, rese basse e localizzate per lo più nelle aree più deboli dell’UE (soprattutto nelle regioni mediterranee), la riforma della PAC non modifica il livello di coesione osservato nel periodo precedente, data la bassa quota di aiuto disaccoppiato percepito. Per queste aziende, inoltre, si osserva un paniere di alternative produttive molto meno ricco di quello delle aziende intensive. Pertanto, le strategie di riorientamento della produzione verso prodotti a basso utilizzo di input non genererebbe un sensibile miglioramento dei risultati economici.
Lo studio considera gli impatti sulle dinamiche produttive ed economiche assumendo l’assenza di adattamenti strutturali delle aziende agricole. Potremmo però avanzare l’ipotesi che i cambiamenti strutturali (investimenti nel miglioramento dell’efficienza e nell’incremento della specializzazione o diversificazione produttiva) possano amplificare le disparità tra le regioni europee, favorendo le aziende con dotazioni finanziarie (derivanti dal pagamento unico) più cospicue e lasciando quelle più marginali nella precarietà.
Alcune considerazioni: coesione e competitività
Le politiche del primo pilastro non hanno dato e continuano a non dare un contributo sostanziale alla coesione all’interno dell’UE. La nuova PAC ha fornito risposte adeguate alla stabilizzazione delle spese trasferite al settore agricolo e ha cercato di conformarsi alle istanze emerse in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio rispetto alla progressiva liberalizzazione dei mercati dei prodotti agricoli, ma allo stesso tempo non è riuscita a perseguire uno degli obiettivi prioritari delle politiche europee, vale a dire creare un maggiore equilibrio socio-economico e territoriale tra le regioni europee, passo fondamentale per arrivare ad una reale integrazione economica e sociale. Il pagamento unico aziendale ha messo in evidenza alcune lacune, soprattutto circa la separazione tra aiuto percepito dall’agricoltore e prodotto. Il pagamento unico conserva ancora un legame con la superficie aziendale e questo favorisce strategie di contenimento dei costi di produzione attraverso la coltivazione di prodotti a basso utilizzo di input produttivi e non necessariamente perché richiesti dal mercato, come invece vorrebbe uno dei “considerando” (il n. 28) del Reg. Ue 1782/2003. Questi comportamenti portano a favorire le aziende alle quali sono trasferiti i maggiori aiuti, cioè quelle più grandi e localizzate nelle aree più prospere. Il mantenimento di alcuni strumenti di contenimento dell’offerta delle produzioni agricole, come le quote latte, continua a non favorire l’entrata di nuovi occupati nel settore e, al tempo stesso, contribuisce a ridurre le possibilità di miglioramento dell’efficienza aziendale.
Il regolamento orizzontale di attuazione della nuova PAC contiene, tuttavia, uno strumento che poteva permettere una maggiore solidarietà tra gli agricoltori e tra le regioni: la regionalizzazione degli aiuti. In base quanto stabilito dall’art. 58 del Reg. 1782/2003, ogni Stato membro poteva decidere, in casi debitamente giustificati, di applicare in alternativa al pagamento unico aziendale calcolato su basi storiche, un pagamento unico a livello regionale. L’applicazione di questa opzione prevedeva che ogni Stato membro dovesse individuare, sulla base di criteri oggettivi di aggregazione, le regioni omogenee oggetto di regionalizzazione degli aiuti e gli opportuni criteri di ripartizione dei massimali finanziari tra gli agricoltori di quelle regioni.
In Italia, come nella maggior parte degli Stati membri (tranne Regno Unito, parte della Germania, Danimarca, Svezia e Finlandia), le considerazioni relative ad un utilizzo equilibrato delle risorse finanziarie, nel senso di distribuzione equa tra le regioni dei massimali nazionali, per non creare eccessive disparità tra gli agricoltori, si sono presto spente in ragione dei timori delle reazioni di quei produttori che avrebbero ottenuto un pagamento unico inferiore rispetto a quello che avrebbero percepito nel caso dell’attuazione del disaccoppiamento a livello aziendale. L’unico strumento che poteva dare un vero contenuto di solidarietà al primo pilastro, rafforzando il livello di coesione nell’Unione europea, non è mai stato, purtroppo, al centro di una riflessione condivisa.
In questo momento, a livello europeo, gli obiettivi della politica di coesione devono essere perseguiti rispondendo ad altri obiettivi prioritari di rafforzamento della competitività interna come è sottolineato dalla Strategia di Lisbona del 2005. A questo impegno, la nuova PAC si presenta purtroppo debole, perché se da un lato le politiche di mercato non riescono a perseguire obiettivi di riequilibrio economico e sociale, dall’altro le politiche di sviluppo rurale, che dovrebbero accrescere la competitività dell’agricoltura europea, sono ancora troppo povere da un punto di vista finanziario – solo il 15% delle risorse assegnate alla PAC sono destinate alle politiche del secondo pilastro – per incidere in modo decisivo sulla competitività complessiva del sistema agricolo europeo.
Nel breve periodo, gli Stati membri sono chiamati a varare i nuovi piani di sviluppo rurale, che dovranno prevedere nuovi strumenti per il miglioramento della struttura economica e sociale delle aree rurali, in un’ottica di riduzione delle disparità e di miglioramento della competitività. Nel medio termine, invece, è possibile (e necessario) prevedere un nuovo corso della PAC che rafforzi ulteriormente lo sviluppo rurale e riduca il peso del primo pilastro per sua natura scarsamente orientato alla coesione.
Note
(1) L’analisi statistica multivariata si pone come obiettivo di costituire gruppi omogenei di regioni misurando le similarità tra le regioni rispetto ad un set di variabili opportunamente selezionato. In una prima fase si determinano le variabili rilevanti per l’analisi (demografiche, economiche, di settore, ecc.), per passare poi ad una seconda fase, in cui le regioni sono raggruppate in modo che ciascun gruppo presenti caratteristiche comuni a tutte le regioni che lo costituiscono.
(2) L’analisi delle convergenza è una metodologia che permette di osservare la traiettoria (la tendenza) di un fenomeno lungo un certo arco temporale e di misurarne i probabili cambiamenti a seguito dell’introduzione di una perturbazione su una delle variabili caratterizzanti la tendenza osservata. Nella fattispecie, la tecnica è stata utilizzata per capire come la nuova riforma della PAC potrà influire sull’attenuazione delle divergenze tra le traiettorie economiche delle regioni europee.
(3) Per superficie a buona pratica agricola si intende quella superficie indicata dall’art. 44 del Reg. UE 1782/2003 che prevede la possibilità per ogni agricoltore di associare i diritti all’aiuto ad ettari destinati a fini non produttivi e nel rispetto delle regole di buona pratica agronomica (art. 5 dello stesso regolamento).
Riferimenti bibliografici
- F. Arfini, M. Donati, C. Bernini Carri, M. Sassi, E. Montresor, A. Bettocchi, R. Fanfani, C. Brasili, M. Mazzocchi, L. Gutierrez, M. Gutierrez (2006), Decoupling agricultural competitiveness of the lagging region and cohesion in the EU 15, paper presentato al convegno AIEA2 “Competiveness in agriculture and in food industry”, Bologna 15-16 giugno 2006.
- DG - Politiche Regionali (2003), Analysis of the impact of Community Policies on Regional Cohesion, Documento preparatorio al terzo rapporto sullo stato di coesione nell’Unione europea, Commissione Europea, Bruxelles.
- DG - Politiche Regionali (2004), A new partnership for cohesion convergence competitiveness and cooperation, Third report on economic and social cohesion, Commissione Europea, Bruxelles, http://ec.europa.eu/regional_policy/index_it.htm .