Introduzione (1)
Il problema dell’identificazione delle aree rurali a fini di programmazione di interventi spazialmente differenziati di politica economica e sociale non è certo nuovo. Ciò che si è modificato col cambiare nel tempo dell’articolazione spaziale dello sviluppo è l’approccio utilizzato per analizzare la ruralità. Da un approccio unidimensionale (agricolo) e prevalentemente bipolare (urbano-rurale), si è passati ad una visione continua, ma ancora unidimensionale, del posizionarsi dei territori tra i due estremi del molto rurale e del molto urbano, fino all’approccio multidimensionale, oggi largamente prevalente, che parte dal presupposto che vi siano ormai molti modi di essere urbano e molti modi di essere rurale e che la “lettura” delle ruralità e delle urbanità possa avvenire solo considerando congiuntamente un insieme di indicatori economici e sociali. A questa evoluzione nel tempo dell’approccio allo studio della ruralità è associata la sempre minore frequenza con la quale si dà per scontata un’accezione del territorio rurale come agricolo, residuale (definito semplicemente, e semplicisticamente, come diverso dall’urbano), periferico e in ritardo di sviluppo, contrapposto ad un territorio urbano legato, invece, alle attività produttive diverse da quelle agricole, centrale e ricco.
Peraltro, le analisi della ruralità di maggiore reputazione ed impatto – quelle dell’Unione Europea e dell’Ocse – sono ancora basate sostanzialmente su due soli indicatori: la densità della popolazione e il peso dell’occupazione agricola su quella complessiva. L’analisi delle aree “per l’individuazione delle priorità della politica di sviluppo rurale” contenuta nel Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale, pur utilizzando come indicatori esclusivamente la densità della popolazione, la collocazione altimetrica del comune (montagna, collina e pianura) e il peso della superficie agricola su quella territoriale, pretende di riuscire ad identificare i “comuni rurali con problemi complessivi di sviluppo”. Il problema dell’analisi della ruralità non ha quindi certo perso rilevanza, non è affatto risolto e meriterebbe nel nostro Paese molta più attenzione di quella che sembra ricevere.
Questo lavoro presenta i primi risultati di una ricerca sulla caratterizzazione in senso rurale ed in senso urbano dei comuni italiani e sulle relazioni che esistono tra urbanità e ruralità, da un lato, e ricchezza, dall’altro. L’analisi si sviluppa in tre passi successivi. Nel primo è stato calcolato per ciascuno dei comuni italiani un indicatore di ruralità/urbanità a partire da sei variabili che descrivono ciascuna un aspetto distintivo “oggettivo” dell’essere urbano o rurale di un territorio. Nel secondo una procedura analoga è stata utilizzata per costruire un indicatore su base comunale del livello dei redditi e dei consumi pro capite. Nel terzo i comuni italiani sono analizzati considerando congiuntamente i due indicatori.
La domanda cui questo lavoro cerca di dare risposta è: esiste una relazione tra il grado di ruralità o urbanità di un comune e la sua ricchezza? In altre parole, è ancora vero che i comuni rurali in Italia sono anche quelli relativamente più poveri e quelli urbani quelli relativamente più ricchi?
Un’analisi del grado di ruralità/urbanità dei comuni italiani
I comuni italiani sono stati classificati in sei gruppi sulla base del valore assunto da un indicatore di ruralità/urbanità (IRU). Le variabili utilizzate per costruire questo indicatore sono state scelte in modo che ciascuna di esse descrivesse un aspetto rilevante della ruralità/urbanità a livello comunale legato ad una caratteristica “oggettiva”, senza coinvolgere, cioè, valutazioni di valore o giudizi “soggettivi” sulle caratteristiche delle zone rurali rispetto a quelle urbane. Le variabili utilizzate sono sei:
- DD, densità demografica (numero degli abitanti / superficie territoriale del comune in kmq, 2004; Ancitel);
- POPAGR, peso della popolazione attiva in agricoltura (popolazione residente attiva in agricoltura / popolazione residente di età superiore ai 14 anni, 2001; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- POPPUAM, peso della popolazione attiva nel settore dei servizi pubblici (popolazione residente attiva nella Pubblica Amministrazione / Popolazione residente di età superiore ai 14 anni, 2001; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- URB, urbanizzazione del territorio (superficie urbana in kmq / superficie territoriale in kmq, 2001; Ancitel/Ministero dell’Interno; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- DISP, dispersione della popolazione (popolazione residente in nuclei abitati e case sparse (2) / popolazione residente, 2001; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- DISPSPAB, disponibilità di spazi abitativi (superficie in mq delle abitazioni occupate da residenti / popolazione residente, 2001; Ancitel; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni).
L’indicatore di ruralità/urbanità IRU è stato costruito a partire da queste sei variabili utilizzando una tecnica standard, il metodo delle componenti principali (3). Gli 8099 comuni italiani sono stati ripartiti in sei gruppi – comuni estremamente rurali, rurali, debolmente rurali, debolmente urbani, urbani ed estremamente urbani - a seconda dal valore assunto in ciascuno di essi dall’indicatore IRU (Figura 1; Tabella 1) (4) . Nella Tabella 1 sono anche riportati i valori medi assunti dalle sei variabili originarie in ciascuno dei gruppi.
Figura 1 - Distribuzione dei comuni italiani in base al grado di ruralità/urbanità
Tabella 1 - Ruralità/urbanità dei comuni italiani. Valori medi delle sei variabili originarie utilizzate per costruire l’indicatore di ruralità/urbanità in ciascuno dei gruppi
I 182 comuni estremamente rurali rappresentano poco più del 2% dei comuni italiani; la superficie territoriale di questi comuni è circa l’1,3% di quella complessiva (Tabella 2).
Tabella 2 - Ruralità/urbanità dei comuni italiani. Distribuzione dei comuni per gruppo di appartenenza e circoscrizione territoriale
La diffusione dei comuni estremamente rurali sul territorio nazionale è lungi dall’essere uniforme. Nell’Italia Nord-occidentale il loro peso raggiunge il 4,7%, mentre, all’estremo opposto, al Sud e nelle isole non arriva allo 0,4%. La regione italiana che vede la maggiore diffusione di comuni estremamente rurali è il Piemonte (con quasi il 10% dei comuni ed il 7% della superficie territoriale); al contrario, l’Umbria, il Molise, la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia risultano completamente prive di comuni appartenenti a questa categoria estrema.
Poco più del 10% dei comuni italiani ricade tra quelli che vengono qui definiti rurali; la loro superficie territoriale è pari a circa il 9% di quella complessiva. Anche in questo caso la loro diffusione è molto maggiore nell’Italia Centro-settentrionale (attorno al 12% dei comuni e della superficie territoriale) rispetto a quella Meridionale e nelle isole (5,4% dei comuni e 3,5% della superficie).
Circa il 77% dei comuni italiani ricade nelle due categorie intermedie della classificazione proposta, quelle dei comuni debolmente rurali e debolmente urbani; la loro superficie territoriale è pari all’83% del territorio nazionale.
Solo 232 comuni italiani su 8099 (il 2,9%) ricadono tra quelli estremamente urbani (ad essi è associato l’1,8% della superficie del Paese). Anche in questo caso la loro distribuzione sul territorio nazionale non è uniforme: la diffusione maggiore si ha nell’Italia Nord-occidentale e nell’Italia Meridionale e insulare; in entrambe le circoscrizioni il loro peso è di poco inferiore al 4%, contro meno dell’1% nelle altre due circoscrizioni considerate.
I comuni urbani, infine, sono quasi l’8% del totale con il 4,7% della superficie. La loro diffusione è maggiore, di nuovo, nell’Italia Nord-occidentale ed in quella Meridionale e nelle isole maggiori, con, rispettivamente, il 10,8% e l’8% dei comuni.
Un’analisi del livello dei redditi e dei consumi pro capite dei comuni italiani
Con una procedura analoga a quella utilizzata per l’indicatore di ruralità/urbanità è stato costruito anche un indicatore del livello dei redditi e dei consumi pro capite nei comuni italiani (IRC). In questo caso sono state utilizzate cinque variabili:
- POPFEM, occupazione femminile in attività non agricole (popolazione femminile residente attiva nei settori extra-agricoli / popolazione residente femminile di età superiore ai 14 anni, 2001; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- DISOCC, tasso di disoccupazione (popolazione attiva non occupata / forza lavoro, 2001; Istat, Censimento della Popolazione e delle Abitazioni);
- AUTO, diffusione autovetture di grossa cilindrata (autovetture immatricolate di cilindrata superiore ai 2000 cc di proprietà dei residenti per mille abitanti, 2005; Ancitel/Aci);
- ELETTR, consumi di energia elettrica per utenza (consumi di energia elettrica per usi familiari e generali (kwh) / utenze, 1999; Ancitel/Enel e Aziende Municipalizzate);
- REDDITO, reddito pro capite ai fini Irpef (reddito imponibile ai fini del calcolo dell’Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche (Euro) / popolazione residente, 2002; Ancitel).
Gli 8099 comuni italiani sono stati quindi classificati in sei gruppi, di numerosità uniforme, in base al valore assunto dall’indicatore IRC: comuni con un livello di reddito e dei consumi pro capite molto alto, alto, medio alto, medio basso, basso e molto basso. I valori medi delle cinque variabili originarie in ciascuno dei gruppi sono riportati nella Tabella 3 (5).
Tabella 3 - Redditi e consumi pro capite dei comuni italiani. Valori medi delle cinque variabili originarie utilizzate per costruire l’indicatore dei redditi e dei consumi pro capite in ciascuno dei gruppi
Nella Tabella 4 è riportata la distribuzione dei comuni nei sei gruppi per circoscrizione geografica. Non desta certo meraviglia che la distribuzione dei comuni a seconda dei livelli del reddito e dei consumi pro capite sia fortemente disomogenea sul territorio nazionale; se mai a destare meraviglia e preoccupazione è la profondità delle ineguaglianze nella distribuzione spaziale della ricchezza prodotta e del livello dei consumi pro capite nel Paese (Figura 2).
Tabella 4 - Redditi e consumi pro capite dei comuni italiani. Distribuzione dei comuni per gruppo di appartenenza e circoscrizione territoriale
Figura 2 - Distribuzione dei comuni italiani in base al livello dei redditi e dei consumi pro capite
I comuni con un livello dei redditi e dei consumi pro capite molto alto, alto e medio alto, si concentrano nell’Italia Settentrionale, mentre, al contrario, i comuni dell’Italia Meridionale e insulare sono caratterizzati prevalentemente da livelli di redditi e di consumi bassi e molto bassi: i comuni con un livello dei redditi e dei consumi pro capite molto alto, alto e medio alto sono il 76,5% nell’Italia Nord-occidentale, l’88,9% in quella Nord-orientale ed il 39,4% in quella Centrale, contro soltanto lo 0,8% nell’Italia Meridionale e insulare (il complemento a 100 di queste cifre dà, naturalmente, l’incidenza sul totale dei comuni con un livello dei redditi e dei consumi pro capite medio basso, basso e molto basso) (Tabella 4; Figura 2).
Ruralità, urbanità e ricchezza nelle Italie contemporanee
A questo punto, per cercare di dare risposta alla domanda posta in apertura (“è ancora vero che i comuni rurali in Italia sono anche quelli relativamente più poveri e quelli urbani quelli relativamente più ricchi?”) basta “sovrapporre” i risultati delle due analisi generando la classificazione congiunta dei comuni italiani in base ai due indicatori che sono stati calcolati, quello del grado di ruralità/urbanità e quello del livello dei redditi e dei consumi pro capite (Tabella 5).
Tabella 5 - Distribuzione dei comuni italiani in base al grado di ruralità/urbanità ed al livello dei redditi e dei consumi pro capite
Circa il 10% dei comuni italiani estremamente rurali, con una superficie territoriale pari a circa l’8,3%, appartiene ai comuni con un livello dei redditi e dei consumi pro capite alto o molto alto; il 20% ricade, invece, tra quelli con un livello medio alto. All’estremo opposto, la percentuale dei comuni italiani estremamente rurali che presenta un livello dei redditi e dei consumi basso o molto basso è pari al 16,5%. Dei comuni rurali, invece, ben circa il 20% ricade tra i comuni dei primi due gruppi in base al livello del reddito e dei consumi pro capite, il 27% nel terzo e il 32% nel quarto. Il restante 21% ricade, invece, negli ultimi due gruppi, quelli a più basso livello dei redditi e dei consumi pro capite.
La distribuzione dei comuni debolmente urbani e debolmente rurali nei sei gruppi si presenta relativamente uniforme.
Per quanto riguarda i comuni urbani e quelli estremamente urbani, invece, la distribuzione a seconda del livello dei redditi e dei consumi pro capite appare fortemente caratterizzata in senso bipolare. Tra i comuni estremamente urbani quelli caratterizzati da un livello molto alto dei redditi e dei consumi pro capite sono il 46%, la percentuale più alta tra i sei gruppi considerati; allo stesso tempo, però, la percentuale che ricade tra i comuni più poveri è di ben il 27,6%. Nei due gruppi intermedi, quelli con un livello dei redditi e dei consumi pro capite medio basso e medio alto ricade solo l’8% dei comuni estremamente urbani. Tra i comuni urbani quelli con un livello di redditi e di consumi molto alto ed alto sono, rispettivamente, il 41%, ed il 12%, mentre quelli con un livello molto basso e basso sono il 15,7% ed il 13,2%.
Quindi, tra i comuni estremamente rurali pochi sono quelli molto “ricchi”, ma pochi sono anche quelli molto “poveri”. Tra i comuni estremamente urbani, invece, molti sono i comuni “ricchi” e molti sono anche quelli “poveri”.
Peraltro, anche in questo caso la situazione è ben diversa nell’Italia Centro-settentrionale ed in quella Meridionale ed insulare. Mentre nella prima una parte non trascurabile di comuni estremamente rurali ricade tra quelli a più alto livello dei redditi e dei consumi pro capite, i comuni estremamente rurali dell’Italia Meridionale e insulare sono tutti fra quelli con un livello dei redditi e dei consumi pro capite medio basso, basso e molto basso. Nell’Italia Centro-settentrionale, più del 95% dei comuni estremamente urbani è caratterizzata da un livello dei redditi e dei consumi molto alto ed alto, mentre questi sono del tutto assenti tra i comuni estremamente urbani dell’Italia Meridionale e insulare, dove, al contrario, sono quelli con un livello molto basso e basso a costituire l’88% del totale.
Conclusioni
Due sembrano essere le conclusioni che emergono dai primi risultati della nostra ricerca, riassunti in questa nota.
La prima è che, guardando all’Italia nel suo insieme, non emerge affatto una relazione forte che leghi la ruralità alla “povertà” e l’urbanità alla “ricchezza” (entrambe, naturalmente, intese in senso relativo). Tra i comuni dei due gruppi più marcatamente caratterizzati in senso rurale, il numero di quelli che ricadono tra i comuni italiani più ricchi è relativamente contenuto, ma non è molto lontano da quello dei comuni che ricadono tra i comuni più poveri. Nei due gruppi più marcatamente caratterizzati in senso urbano, invece, i comuni che ricadono tra quelli più ricchi supera il 50% del totale, ma è consistente anche il peso di quelli che, al contrario, vedono un livello dei redditi e dei consumi pro capite basso o molto basso, che costituiscono circa un terzo del totale. Molti comuni urbani poveri, quindi, coesistono accanto a molti comuni urbani ricchi, e comuni rurali ricchi accanto a comuni rurali poveri.
La seconda conclusione è che, mentre comuni rurali e urbani si distribuiscono, anche se non uniformemente, su tutto il territorio nazionale, così non è per i livelli della ricchezza prodotta e dei livelli dei redditi e dei consumi pro capite, che si presentano distribuiti, invece, in maniera marcatamente non uniforme. L’aspetto più rilevante di questa “disuniformità” è relativo al fatto che, mentre nell’Italia Centro-settentrionale molti comuni estremamente rurali sono tra quelli più ricchi e pochi tra quelli estremamente urbani sono tra quelli più poveri, nel Mezzogiorno tanto i primi che i secondi sono prevalentemente associati a bassi livelli della ricchezza e dei consumi pro capite. Ciò vuol dire che considerando le singole circoscrizioni geografiche il legame in Italia tra urbanità/ruralità e ricchezza diventa ancora più labile di quanto non appaia considerando il Paese nel suo insieme.
Pur con i limiti che derivano dalla qualità delle informazioni statistiche utilizzate e dalla soggettività associata alla scelta delle variabili utilizzate, a noi sembra che i risultati presentati in questa nota confermino la necessità di analizzare le ruralità e le urbanità in Italia con un approccio multidimensionale, che vada oltre le variabili utilizzate in molte analisi proposte anche di recente. Lo sforzo necessario deve andare molto al di là anche di quanto fatto da noi, considerando non solo variabili che descrivono il modo di essere di un territorio, ma anche come esso cambia nel tempo. Solo utilizzando variabili in grado di descrivere le dinamiche delle variabili economiche e sociali più rilevanti - a partire, ad esempio, da quelle relative ai saldi della popolazione ed alla variazione del livello delle attività produttive – è possibile qualificare in termini di maggiore o minore sviluppo le ruralità e le urbanità presenti nelle Italie contemporanee.
Note
(1) Gli utili commenti di Franco Gaudio, Giuseppe Gaudio e dell'anonimo lettore della Rivista ci hanno permesso di migliorare una prima versione del lavoro.
(2) Il nucleo abitato è definito dall’Istat come “la località abitata caratterizzata dalla presenza di case contigue o vicine con almeno cinque famiglie e con interposte strade, sentieri, spiazzi, aie, piccoli orti, piccoli incolti e simili, purché l'intervallo tra casa e casa non superi i 30 metri e sia in ogni modo inferiore a quello intercorrente tra il nucleo stesso e la più vicina delle case sparse e purché sia priva del luogo di raccolta che caratterizza il centro abitato”. Le case sparse sono invece definite come “la località abitata caratterizzata dalla presenza di case disseminate nel territorio comunale a una distanza tale tra loro da non poter costituire né un nucleo né un centro abitato”.
(3) Allo scopo di eliminare le distorsioni dovute alle diverse unità di misura delle variabili, le componenti sono state estratte a partire dalle variabili standardizzate; l’indicatore ottenuto ha media zero e varianza 1.
(4) Il valore delle variabili utilizzate, quello dell’indicatore di ruralità/urbanità ottenuto e la distribuzione dei comuni nei sei gruppi per l’Italia nel suo insieme e per ciascuna delle regioni italiane sono disponibili all’indirizzo [link].
(5) Il valore delle variabili utilizzate, quello dell’indicatore del livello dei redditi e dei consumi pro capite ottenuto e la distribuzione dei comuni nei sei gruppi per l’Italia nel suo insieme e per ciascuna delle regioni italiane sono anch’esse disponibili all’indirizzo [link].
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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commento
E se fosse questa la prova che (come argomentavo in La rinascita della ruralità e il Mezzogiorno d'Italia nell'economia post-fordista, La Questione Agraria, n.73 1999- e mi scuso per l'autocitazione) che per l'Italia e in genere per i paesi del mediterraneo non ha senso la distinzione spaziale urbano-rurale, perche in questa tradizione città e campagna sono molto intrecciati tra di loro? Un saluto, Maria Fonte
Commento originariamente inviato da 'Maria Fonte' in data 26/01/2007.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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ruralità/urbanità e incidenza
Buon giorno, lavoro presso la Sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica dell' Ospedale Policlinico ''G.B. Rossi'' di Verona, in qualità di analista GIS. Attualmente il nostro gruppo di ricerca sta studiando le relazioni esistenti tra ambiente di vità e incidenza delle psicosi. Sarei interessata ad ulteriori delucidazioni in merito a indicatori per la caratterizzazione delle zone urbane e rurali.
Grazie
Commento originariamente inviato da 'Grazia Zulian' in data 02/01/2007.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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Risposta a commento di Grazia
Se mi scrive (ganania@unical.it) e mi spiega un po' meglio cosa vorrebbe sapere cercherò volentieri di aiutarla.
Commento originariamente inviato da 'Giovanni Anania' in data 16/01/2007.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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Risposta a commento di
In effetti anche sulla base del nostro studio Calasetta si caratterizza in senso debolmente urbano. Tra i Comuni della Sardegna è al 301-mo posto su 377 nella graduatoria dal Comune relativamente più rurale fino a quello relativamente più urbano.
Comunque, alle pagine:
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%201/sardegna1.xls
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%201/sardegna2.xls
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%201/cartina%20sardegn...
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%202/sardegna1.xls
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%202/sardegna2.xls
http://www.ecostat.unical.it/anania/Tenuta/analisi%202/cartina%20sardegn...
troverà tutte le informazioni che le interessano: il grado di ruralità/urbanità dei singoli Comuni della Sardegna, il livello dell'indicatore dei redditi e dei consumi pro capite ed i valori delle variabili utilizzate per calcolarli.
Commento originariamente inviato da 'Giovanni Anania' in data 22/02/2007.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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domanda
Salve!
In qualità di Dottore Agronomo ho incontrato opposizioni dovendo presentare progetti ricadenti in centro urbano, operando in un piccolo comune della Sardegna meridionale con bassa densità di popolazione, alto numero di occupati in agricoltura, basso reddito pro-capite mi domando se in effetti queste condizioni di ruralità non legittimerebbero la mia competenza a progettare in taluni casi anche in ambito ''urbano''.
Il mio Comune è quello di Calasetta(CA) le chiedo dove potrei trovare i dati relativi a tale centro.
Nel ringraziare porgo
Cordiali Saluti!
Gabriele Armeni
Commento originariamente inviato da 'Gabriele Armeni' in data 21/02/2007.