Una visione integrata e strategica dei piani di sviluppo rurale 2007-2013

Una visione integrata e strategica dei piani di sviluppo rurale 2007-2013

Sviluppo rurale 2007-2013: un’opportunità da sfruttare

Il processo di programmazione della politica di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013 è ormai in una fase avanzata a livello nazionale e regionale. Dopo l’adozione del regolamento comunitario 1698/2005 e degli Orientamenti Strategici Comunitari (OSC) il quadro è pressoché completo dal punto di vista europeo, anche se non è ancora stato approvato il regolamento attuativo. Sul piano nazionale, intanto si lavora al perfezionamento del Piano Strategico Nazionale (PSN), cercando di colmare le lacune presenti nella bozza inviata informalmente alla Commissione Europea e di stringere i tempi sulla sua adozione definitiva, con la speranza di permettere una partenza puntuale delle azioni di intervento nei territori rurali il 1° gennaio 2007. Dunque, tutti i passaggi politici sono stati compiuti a livello comunitario e nazionale ed ora la responsabilità passa alle Regioni e alle amministrazioni locali che stanno redigendo i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) e che sono chiamate a sfruttare a pieno, sia dal punto di vista quantitativo ma soprattutto qualitativo, le risorse che sono stanziate per questo periodo di programmazione.
Proprio il tema delle risorse finanziarie disponibili ha monopolizzato il dibattito degli ultimi mesi, condizionando non poco la definizione dei contenuti della nuova politica di sviluppo rurale. La discussione sulle risorse (specialmente la loro riduzione a livello comunitario dai quasi 89 miliardi di Euro proposti dalla Commissione ai 69 miliardi approvati dal Consiglio Europeo di dicembre 2005, per di più da distribuire in un’Unione allargata a 27 Stati membri) è stata al centro delle preoccupazioni del nostro Paese, trascurando il fatto che l’Italia arriva comunque alla interessante cifra di 8,3 miliardi di Euro per l’intero periodo di programmazione. Ma la discussione sulla diminuzione delle risorse non deve in nessun caso ridimensionare la portata innovativa della politica di sviluppo rurale 2007-2013. Al contrario, il pacchetto finanziario, certamente ridotto rispetto alle aspettative, deve rappresentare lo stimolo per sfruttare al meglio le novità introdotte per il nuovo periodo di programmazione, secondo il principio per il quale risorse limitate necessitano di una maggiore finalizzazione su obiettivi strategici e condivisi. Se non si può fare tutto, infatti, è ancor più importante agire su pochi obiettivi e con una strategia ben chiara e condivisa fin dall’inizio per sfruttare le opportunità che la politica di sviluppo rurale offre alla competitività dei territori, delle imprese e delle filiere che in essi operano.

Impresa, filiera e territorio: la necessità di una visione integrata e strategica

La politica di sviluppo rurale e i Piani regionali necessitano di una nuova visione che consenta di inquadrare gli obiettivi in chiave strategica e che permetta di realizzare il difficile passaggio della politica di sviluppo rurale da settoriale agricola a territoriale. Una visione che deve essere “integrata” e coerente proprio per realizzare questo traghettamento necessario per il futuro dei territori rurali italiani ed europei.
Il punto di partenza di tale visione è il perseguimento all’interno dei Piani di Sviluppo rurale di un equilibrio e di una coerenza strategica degli obiettivi, azioni e interventi, nonché di risorse, tra imprese, territorio e filiere. In altri termini, è fondamentale rispondere con lungimiranza alla domanda chiave alla quale nessun attore chiamato a definire i PSR può sottrarsi, e cioè quale tra questi elementi – impresa, filiera, territorio – debba essere al centro delle attenzioni della politica di sviluppo rurale, quale tra questi tre elementi debba prevalere o almeno essere privilegiato nei PSR sul piano della strategia generale e delle risorse messe a disposizione degli interventi. Il Piano Strategico Nazionale ha provato a rispondere a questa domanda. Ma, per la scarsa o a considerazione che a tale documento hanno dato le Regioni, la risposta è stata una semplice e pura declinazione delle tre aree di intervento senza nessuna indicazione strategica e senza nessuna indicazione né di priorità né di integrazione fra i diversi elementi. In altri termini, il PSN non ha compiuto nessuna scelta strategica di indirizzo, temendo di invadere il campo di azione delle Regioni, che hanno preferito snobbare questo documento basilare per il successo della politica di sviluppo rurale e per la sua integrazione con le altre politiche comunitarie e nazionali, preferendo agire in solitudine nell’elaborazione dei PSR. Il massimo sforzo è stato quello di indicare la necessità di un’integrazione delle diverse misure sia al livello di singola impresa, sia a livello di filiera produttiva, sia a livello di territorio. Inoltre, il PSN si limita ad indicare “possibili” modalità di integrazione che “possono” essere utilizzate congiuntamente e impiegate “anche” in modo complementare a livello tematico e/o territoriale. La conseguenza di tale atteggiamento nazionale, quanto meno remissivo e possibilista, è che oggi ci troviamo di fronte a 21 autorità regionali e/o provinciali che, sulla base appunto delle “possibilità” lasciate dal PSN, stanno operando le loro scelte di “non integrazione”, a scapito di un disegno strategico complessivo e con il rischio di compromettere il futuro sviluppo dei territori rurali. Tali scelte, infatti, stanno andando per lo più nel senso di costruire i PSR attorno alla centralità della filiera “agricola” o al massimo “agroalimentare” o comunque “produttiva”, senza o con scarsa attenzione al ruolo dell’impresa singola e ancor meno a quello del territorio di riferimento. In sostanza, siamo di fronte ad una visione strettamente settoriale dello sviluppo rurale, che sconfina in alcuni casi in mera politica agraria, per di più senza integrazione con il primo pilastro della PAC. I PSR diventano così uno strumento per elargire risorse al settore agricolo e agroalimentare, relegando ad un ruolo marginale i territori rurali che dovrebbero essere i veri protagonisti di questa politica.
Un buon PSR, e ancor prima un buon PSN, dovrebbero individuare nell’equilibrio e nell’integrazione tra impresa, territorio e filiera gli elementi sui quali costruire la nuova politica di sviluppo rurale. I tre “attori” dovrebbero dialogare e integrarsi continuamente ed inclusivamente tra di loro in una sorta di triangolo virtuoso per lo sviluppo locale dei territori rurali. Oggi si leggono, invece, bozze di PSR in cui o la filiera è al centro e si rapporta con il territorio secondo una logica distrettuale, lasciando completamente da parte l’impresa, o, in alcuni casi è l’impresa che è chiamata a dialogare con la filiera secondo una vecchia logica settoriale ed escludendo il territorio di riferimento. In altri casi, infine, il territorio si confronta con l’impresa sulla base di una logica locale, che esclude la filiera.
E’ chiaro, invece, che non è possibile pensare ad uno sviluppo rurale che non valorizzi tutti e tre gli “attori” e che metta l’impresa al centro della propria strategia di intervento. Un’impresa che stringe un legame con il territorio nel quale opera in termini di scambio continuo, di crescita economica e sviluppo e che da questo legame trae la propria competitività e il proprio valore aggiunto. Un territorio che indica le priorità di intervento sulla base dei bisogni dell’impresa, della filiera e della società rurale. Un’impresa che crea legami con gli altri attori della filiera fino al consumatore e che da questo dialogo e scambio continuo trae ulteriore vantaggio competitivo per sé e per il territorio. A sua volta la filiera si sviluppa e vive nel territorio con il quale instaura un rapporto di identità in grado di garantire vero sviluppo locale e non un’effimera crescita momentanea. Infine, un territorio che rappresenta non solo lo spazio fisico di riferimento, ma il contesto economico, culturale, ambientale, tradizionale e locale per i rapporti con l’impresa e con la filiera. L’integrazione si realizza solo in questo equilibrio che permette di valorizzare la logica neo-distrettuale basata sui sistemi locali senza mortificare quella settoriale ed esaltando quella territoriale.
Per realizzare questo equilibrio la nuova politica di sviluppo rurale va letta, analizzata ed attuata alla luce di almeno quattro elementi essenziali e tenendo sempre presente quanto fin qui detto.

I quattro pilastri per una visione integrata dei PSR

Il primo pilastro è rappresentato dal cosiddetto “approccio strategico”. La nuova modalità adottata dal regolamento comunitario 1698/2005 si caratterizza per la presenza di Orientamenti strategici Comunitari che per ogni asse e/o obiettivo di intervento definiscono le priorità strategiche e possibili azioni chiave per il loro raggiungimento. Agli OSC adottati dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea nel febbraio 2006 fa seguito un Piano Strategico Nazionale che quelle priorità comunitarie obbligatorie è chiamato a trasferire in ambito nazionale e quindi a creare la cornice strategica per la redazione dei PSR. Un monitoraggio della strategia completa rende coerente l’intero approccio, condizionandone la programmazione degli interventi e fissandone obiettivi, limiti e revisioni. La definizione di obiettivi chiari e condivisi e l’indicazione di una strategia di azione altrettanto chiara sono la vera novità della nuova programmazione dello sviluppo rurale. L’importanza dei due documenti “strategici” che vanno a concretizzare l’approccio strategico non va sottovalutata, a differenza di quanto si è cercato di fare sino ad ora nel nostro Paese, in base ad una concezione distorta del principio di sussidiarietà. Infatti, essi hanno le potenzialità per dare unitarietà alla politica di sviluppo rurale pur rispettando e valorizzando le diversità e le diversificazioni territoriali. Permettono inoltre una vera integrazione strategica di questa politica con le altre politiche settoriali e territoriali dell’Unione disegnando per lo sviluppo rurale un ruolo primario e decisivo come la sola politica “agricola” possibile e sostenibile nel lungo periodo.
Il secondo elemento chiave è rappresentato dal ruolo rafforzato e centrale del partenariato economico e sociale e, come conseguenza di questo nuovo ruolo, dalla necessità di una efficace Rete Nazionale ed Europea per lo sviluppo rurale che permetta non solo la partecipazione ai processi decisionali e operativi di tutti gli attori interessati ma anche e soprattutto lo scambio di esperienze, la condivisione delle conoscenze e delle informazioni, nonché la circolazione delle migliori pratiche. Lo sviluppo rurale ha nelle forze sociali economiche, politiche, ambientali che operano in un dato territorio il suo punto di forza e si realizza solo attraverso un partenariato consapevole e forte, incentrato su progetti di sviluppo locale concreti e basato su fiducia reciproca e dialogo.
Il partenariato, inteso come stretta concertazione tra tutti i portatori di interessi, diventa elemento chiave e imprescindibile di una buona ed efficace governance della politica di sviluppo rurale, in ogni momento del ciclo di programmazione, e non solo nella fase operativa, come è spesso accaduto nel periodo di programmazione 2000-2006. Il partenariato deve essere percepito ed attuato da parte delle amministrazioni e delle parti economiche e sociali coinvolte come il metodo privilegiato di programmazione e attuazione della politica di sviluppo rurale e di tutte le politiche per lo sviluppo locale, differenziandolo dalla concertazione e sottolineandone la complessità. Esso si adatta perfettamente alla politica di sviluppo rurale permettendo a tutti gli attori che operano in un dato territorio di partecipare attivamente e di condividere gli obiettivi di sviluppo sin dalla fase di individuazione della strategia.
Il terzo pilastro trova la sua concretizzazione nella cosiddetta “programmazione integrata” e coerenza interna dei PSR, nonché nella capacità e necessità dell’intera politica di sviluppo rurale di “integrarsi” con le altre politiche comunitarie settoriali e territoriali ed in particolare con la politica di coesione economica e sociale attuata tramite i Fondi Strutturali e con la PAC.
La programmazione integrata consiste nella definizione di appositi “pacchetti” o “cluster” di misure coerenti tra loro e in grado di raggiungere gli obiettivi prioritari di ciascun asse di intervento. Pacchetti di misure che il regolamento 1698/2005 individua con grande chiarezza per ciascun asse di intervento evitando quel “menù” indistinto che ha aiutato in passato le Regioni a non compiere nessuna scelta o a farne di poco virtuose perché basate esclusivamente sulla quantità della spesa, sulla facilità di istruttoria ed erogazione e soprattutto senza nessun obiettivo nella loro messa punto né strategia nella loro attuazione. L’idea del Pacchetto di misure, vale a dire di un gruppo coerente di azioni da attivare anche congiuntamente e in maniera complementare in vista del raggiungimento dell’obiettivo prioritario di uno o più assi di intervento, assume grande rilevanza proprio quale strumento operativo diretto a garantire il raggiungimento di quell’equilibrio necessario e della coerenza interna tra impresa, territorio e filiera. E’ evidente che tale integrazione è possibile solo se si individuano priorità territoriali, tematiche e di filiera in grado di interagire tra di loro e basate su un’approfondita valutazione ex ante a cui contribuiscano tutti gli attori coinvolti mettendo in luce i bisogni, i punti di forza e di debolezza e le opportunità da cogliere.
Se la politica di sviluppo rurale è una politica strategica per il complesso dei territori rurali e per la popolazione che vi abita e alla sua definizione concorrono mediante un partenariato forte tutti gli attori interessati, non si pone più il problema se essa debba essere considerata come una politica da affiancare alle altre politiche o piuttosto necessiti di essere integrata con le altre politiche siano esse orizzontali o settoriali. E’ evidente, infatti, che solo una politica di sviluppo rurale integrata con le altre politiche è capace di rispondere ai bisogni di sviluppo sostenibile espressi dalle comunità rurali europee. L’approccio strategico e sinergico appare l’unica modalità per attuare politiche realmente efficaci e va perseguito attraverso un’azione di partenariato mirata, consapevole e forte, che si basi su una conoscenza della realtà territoriale e delle imprese approfondita e che punti a promuovere presso le amministrazioni incaricate della programmazione un modello di sviluppo sostenibile che valorizzi il territorio e che sia in grado di rispondere alle esigenze della società.
Se tale integrazione non si realizza i rischi sono seri e preoccupanti. Prima di tutto la mancata integrazione relegherà lo sviluppo rurale nell’ambito esclusivamente settoriale agricolo mettendo a rischio la stessa sopravvivenza dell’agricoltura e del suo sostegno economico oltre che del suo ruolo nella società. A ciò si aggiungerà un isolamento dello sviluppo rurale rispetto alle altre politiche settoriali e orizzontali dell’Unione, soffocandone il valore strategico e riducendolo ad una mera disputa finanziaria per l’assessorato di turno.
La sfida del traghettare lo sviluppo rurale dall’ambito settoriale a quello territoriale sarebbe irrimediabilmente persa. Al contrario l’integrazione della politica di sviluppo rurale con le altre politiche dell’Unione porta a vantaggi innegabili. Innanzitutto, lo sviluppo rurale sarebbe valorizzato come politica territoriale all’interno della quale l’agricoltura può e deve giocare a pieno il proprio ruolo multifunzionale. Infatti solo in un contesto di politiche territoriali e solo nell’integrazione con il territorio l’agricoltura e l’impresa agricola possono trovare gli strumenti per essere socialmente, ec nomcamente e ambientalmente funzionali alla società.
Solo così la strada per l’affermazione del modello agricolo europeo multifunzionale sarebbe finalmente tracciata. In secondo luogo l’integrazione produrrebbe una immediata valorizzazione dello sviluppo rurale come politica realmente “strategica” e coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e competitivo dell’Unione. Infine, l’integrazione garantirebbe alla politica di sviluppo rurale di sopravvivere e ai suoi obiettivi di realizzarsi. E’ quindi fondamentale per lo sviluppo rurale e agricolo, che si realizzi la più ampia ed efficace integrazione finanziaria, di obiettivi e di azioni tra la politica di sviluppo rurale e le altre politiche comunitarie ed in particolare quella regionale e di coesione, puntando al raggiungimento delle priorità strategiche generali dell’Unione fissate a Lisbona e Goteborg.
E’ fondamentale in particolare mantenere e rafforzare la massima integrazione strategica, finanziaria e programmatica tra la politica di coesione e la politica di sviluppo rurale, non solo a livello di programmazione nazionale e regionale, ma soprattutto in termini operativi. L’integrazione non deve fermarsi sulla carta o a livello di complementarità fra le politiche ma, al contrario, deve trasformarsi in qualcosa di realmente operativo. Tale integrazione si deve esprimere innanzi tutto nel coordinamento temporale e contenutistico dei documenti strategici e programmatici e dei cicli di programmazione. Inoltre, l’integrazione va costruita e realizzata fra i vari fondi, e nello specifico tra i vari interventi, allo scopo di ampliare l’effetto leva rispetto alle azioni intraprese e alle risorse investite.
Il quarto ed ultimo pilastro è rappresentato dalla semplificazione introdotta nella nuova politica di sviluppo rurale: “Fondo unico, programmazione unica, controllo unico”. Queste tre espressioni concretizzano un’importante semplificazione della politica di sviluppo rurale dal punto di vista finanziario e procedurale. Il prossimo periodo di programmazione, infatti, non sarà più caratterizzato da una pluralità di strumenti programmatici e di fondi, ma vedrà agire il solo Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale in tutte le Regioni. Le regole che disciplinano il fondo saranno quindi le stesse sia nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza (ex Obiettivo 1), sia nelle altre Regioni.
Tuttavia, bisogna evitare che tale semplificazione, non accompagnata da una volontà di integrazione e sinergia con le altre politiche, e in particolare con quella di coesione, porti ad un isolamento della politica di sviluppo rurale in ambito settoriale, che potrebbe rivelarsi fatale sotto il profilo finanziario e strategico, anando così qualsiasi beneficio derivante dalla semplificazione procedurale.

Conclusioni

La politica di sviluppo rurale è dunque in una fase cruciale che può determinarne il successo per i prossimi sette anni ed oltre. Le scelte alle quali le Regioni oggi sono chiamate nella scrittura dei PSR sono importanti, innovative e non rinviabili. L’alternativa è tra il vecchio e il nuovo. Tra gli interventi a pioggia e l’approccio strategico, tra la vecchia logica settoriale e quella territoriale, tra la burocrazia e la semplificazione, tra l’integrazione del rurale nel sistema Paese e l’isolamento della vecchia “cittadella agricola”, tra un partenariato forte e consapevole del proprio ruolo e la mera consultazione.
Il tempo stringe e la strada da compiere per la costruzione di PSR funzionali alle esigenze delle imprese, delle filiere e del territorio è ancora molta: ora si tratta di saper scegliere per dare un futuro alle zone rurali italiane.

Riferimenti bibliografici

  • Arzeni A., Esposti R., Sotte F. (a cura), Politiche di sviluppo rurale tra programmazione e valutazione, Franco Angeli, Milano, 2003.
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  • Siti internet per consultazione documenti citati nell’articolo: [link] [link] [link]
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