Il 24 luglio scorso, durante un incontro dei ministri del G-6 il Doha Round è stato sospeso, una volta constatata l’inamovibilità delle posizioni dei vari paesi membri e l’impossibilità di giungere in tempi brevi ad un accordo sulla riduzione di tariffe e sussidi per il settore agricolo. Soltanto una settimana prima, in occasione del G8 di San Pietroburgo, i paesi membri del Wto si erano impegnati per una maggior flessibilità allo scopo di contribuire alla riuscita del negoziato.
Tutti gli incontri successivi sono stati cancellati; la tabella di marcia stabilita lo scorso dicembre, durante la Conferenza Ministeriale di Hong Kong (che prevedeva il completamento delle schedules entro il 31 luglio) è saltata; questo significa che il Doha Round non si concluderà entro il 2006. L’invito del Direttore Generale Pascal Lamy a sospendere i negoziati ha ricevuto l’approvazione del Consiglio Generale, riunitosi il 27 ed il 28 luglio; tuttavia, la Conferenza Ministeriale non ha mai votato per sospendere le trattative, e ciò implica che, parimenti, non sarà necessario farlo per riprenderle (il che avrebbe concesso ad ogni paese membro la possibilità di porre il proprio veto).
I fallimenti non sono una novità nell’ambito dei negoziati multilaterali; i negoziati dell’Uruguay Round furono sospesi nel dicembre 1990 e ripresero solo un anno dopo, quando l’allora Direttore Generale del Gatt si assunse la responsabilità di proporre un testo di compromesso (la “bozza di Dunkel”); e poi ancora, dopo il disastro della Conferenza Ministeriale di Cancun nel settembre 2003, i lavori del Doha Round furono sospesi per circa quattro mesi, prima che gli Usa e la Ue si adoperassero per sbloccare la situazione.
Peter Mandelson, Commissario Europeo al Commercio, seguito poi dai ministri di India e Brasile, ha trovato le ragioni del fallimento nell’intransigenza della posizione degli Usa; infatti, l’attuale proposta statunitense di tagliare del 53% i sussidi distorsivi dovrebbe ridurre il limite della spesa da 48,2 a 22,5 miliardi di dollari l’anno, un tetto comunque superiore ai 19,7 distribuiti nel 2005. La Ue avrebbe chiesto agli Usa di ridurre la misura aggregata del sostegno interno del 70%, ovvero dieci punti percentuali in più di quanto già da loro respinto in precedenza.
Gli Usa, da parte loro, hanno invece puntato il dito contro la proposta per l’accesso al mercato europea e le richieste di flessibilità avanzate dalla Ue e da numerosi paesi in via di sviluppo sempre nell’area dell’accesso al mercato; i prodotti sensibili, i prodotti speciali ed il meccanismo speciale di salvaguardia sarebbero una sorta di “scatola nera” che impedirebbe di valutare la reale portata liberalizzatrice dell’accordo. Tale accusa è stata fermamente respinta da Mandelson, in quanto la Ue avrebbe offerto (ma non ancora formalizzato), durante il meeting del G-6, di tagliare in media le tariffe del 51% invece che del 39%, muovendosi verso il 54% richiesto dal G-20 (ma ancora lontano dall’inverosimile 66% reclamato dagli Usa). Raggiungere questo risultato senza agire sui settori più protetti sicuramente avrebbe implicato ridurre ulteriormente i valori nelle tre fasce tariffarie più basse.
Peter Mandelson (nel mero tentativo, secondo i più malevoli, di allontanare dalla Ue la colpa del fallimento) ha proposto di escludere dalla sospensione il cosiddetto development package, che riunisce le misure di cui beneficiano i paesi in via di sviluppo più poveri (ad esempio, il trattamento speciale e differenziato); Filippine e paesi Acp si sono detti a favore della proposta, ma altri paesi hanno espresso le proprie perplessità riguardo al continuare i negoziati solo in alcune aree, mentre nelle altre resterebbero bloccati. All’indomani della sospensione del Doha Round, in un suo comunicato la Fao ha fortemente criticato l’approccio utilizzato fino ad ora nelle trattative, improntato sul free trade e non sul fair trade; il loro collasso potrebbe essere l’occasione per tentare di reimpostarle, adottando una maggiore attenzione ai problemi dei paesi più poveri (in primo luogo la sicurezza alimentare e la salvaguardia dei redditi dei piccoli agricoltori).
La ferma opposizione statunitense ai tagli ai sussidi agricoli è dovuta alla volontà dell’amministrazione Bush di non ledere gli interessi della potente lobby dei farmers statunitensi prima delle elezioni del Congresso che avranno luogo a novembre. Secondo alcuni analisti, solo allora le trattative potrebbero riprendere; lo stesso Mandelson ha ipotizzato, per fine anno, un’incontro di livello ministeriale. Nei mesi seguenti sono inoltre previste altre importanti scadenze elettorali: alla fine del 2006 sarà eletto il primo ministro giapponese, ed elezioni presidenziali avranno luogo in Francia e Brasile nel 2007.
La situazione potrebbe quindi sbloccarsi nella “finestra” lasciata aperta tra le elezioni del Congresso di metà novembre e la rinegoziazione del Farm Bill statunitense. Le attuali disposizioni del Farm Bill scadono con il raccolto del 2007, e, per fare in modo che la nuova legge sia pronta per il raccolto del 2008, esso dovrà essere rinnovato entro la prima metà del 2007, in tempo per le semine di settembre. Ciò significa che la rinegoziazione del Farm Bill dovrebbe aver luogo tra gennaio e marzo. La revisione del Farm Bill potrebbe risolversi in un suo semplice rinnovo; inoltre, secondo alcuni, se la sua durata dovesse estendersi oltre i due anni, sarebbe evidente lo scarso interesse degli Usa nella riuscita del Doha Round. In parallelo, tra dicembre e marzo, dovrebbe riprendere il dibattito sul negoziato Wto, in modo da sottoporre le schedules al Congresso entro marzo o aprile; a metà del 2007 scade infatti la Trade Promotion Authority, che consente al Presidente di negoziare per conto del Congresso. Se questa non venisse estesa per qualche mese, in modo appunto da poter approvare le schedules, le trattative potrebbero rimanere in stallo fino al 2009, come ha suggerito la stessa Susan Schwab, capo della delegazione negoziale Usa.
Complesse sono anche le prospettive per l’evoluzione della PAC; il “controllo sullo stato di salute” del 2007/08, ed il riesame intermedio al 2008/09 di tutte le spese e le risorse, concordato nell’ambito delle prospettive finanziarie, avranno luogo in un contesto internazionale per ora poco chiaro. Inoltre, dato che la possibilità che le concessioni effettuate dalla Ue nelle trattative di Doha vengano implementate in tempi brevi è di fatto molto scarsa, la Commissione deve decidere se vuole e può andare avanti con il suo programma di riforma senza la (comoda?) giustificazione della pressione del Wto.
Mandelson ha affermato che rispettare in blocco le richieste del G-20 implicherebbe una perdita per l’agricoltura europea nell’ordine dei 20 miliardi di dollari l’anno (pari tuttavia al solo 6% dell’output agricolo della UE-25); un’affermazione che ha scatenato accese proteste da parte degli agricoltori, ma che ha avuto il preciso scopo politico di far capire come le attuali concessioni europee costituiscano un vero limite negoziale.
Alle proteste francesi (nelle parole del ministro francese per l’Europa Catherine Colonna “l’Unione non sarebbe in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini”) si affiancano però gli interessi dei settori lattiero caseari olandesi e danesi, i sostenitori più attivi di una ripresa delle trattative, interessati ad aumentare le esportazioni verso paesi terzi.
Per quanto riguarda il sostegno interno, come risulta dal Reg. CE 1156/2006, tra gli aiuti comunitari solo 3,763 miliardi di euro vengono ancora erogati in forma accoppiata alla produzione, contro i 32,559 che vengono distribuiti in forma disaccoppiata; il tasso di disaccoppiamento medio è pari allo 89,64%. Se il tetto alla scatola blu sarà fissato pari al 2,5% del valore della produzione agricola (per la Ue, circa 6,6 miliardi di euro) non vi sarebbe sostanzialmente alcun problema per rispettare tale limite.
È invece la struttura tariffaria dell’Unione l’ostacolo principale al procedere dei negoziati; la tariffa agricola media (più elevata per i prodotti di base della PAC) è del 20%, contro il 4% dei beni non agricoli. Nonostante le riforme della PAC, la metà del supporto agli agricoltori è ancora sotto forma di sostegno al prezzo, in particolar modo nel settore della carne ed in quello lattiero-caseario.
La complessità della situazione attuale rende difficile prevedere cosa succederà nei prossimi mesi; le voci più ottimiste parlano di una ripresa del Round entro il 2006 o nei primo mesi del 2007; se ciò non dovesse avvenire, la situazione potrebbe rimanere in stallo addirittura fino a tutto il 2008.
Da più parti si susseguono inviti per riprendere i negoziati, e vengono espressi i timori di un ritorno al protezionismo e di una crisi del sistema commerciale multilaterale. A Singapore, durante il meeting annuale che raggruppa i ministri della finanza di tutto il mondo e i rappresentanti di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, Pascal Lamy ha rinnovato il suo invito a tradurre in azioni concrete gli interessi collettivi, vincendo le resistenze degli elettorati interni.
Finestra sul WTO n.4
La questione Ogm: il panel Wto conferma le condanne per la Ue
Il 19 settembre è stato pubblicato il rapporto finale del panel del Wto sulla presunta moratoria europea de facto contro gli Ogm in vigore tra il 1999 ed il 2003. Il rapporto (il cui contenuto era stato diffuso alle parti coinvolte - Usa, Argentina, Canada e Ue - già ad aprile [link alla news], condannando la Ue, conferma largamente le conclusioni dell’interim report, a sua volta già diffuso a febbraio da alcune Ong (Friends of the Earth Europe (FOEE) e Institute for Agriculture and Trade Policy (IATP)). Nel rapporto finale viene peraltro definita “inaccettabile” tale diffusione; l’episodio ha dato origine ad un’aspra contestazione da parte delle Ong coinvolte, che hanno ribadito la necessità di rendere più trasparente il processo del meccanismo di soluzione delle dispute. Mentre il governo e gli agricoltori statunitensi hanno accolto molto positivamente la notizia della condanna, al contrario la Ue ha mostrato solo scarso disappunto, in quanto non vi sarebbe nessuna influenza sulle attuali norme e procedure comunitarie. Il panel ha valutato tre temi: la cosiddetta moratoria europea de facto contro gli Ogm; il fallimento della Ue nell’approvare un certo numero di specifici prodotti Ogm; i divieti di sei paesi europei (Francia, Germania, Austria, Italia, Lussemburgo e Grecia) al commercio e all’importazione di alcuni prodotti Ogm già approvati dalla Ue. Il panel ha concluso che vi è effettivamente stato un “ritardo ingiustificato” nel completare le procedure europee per l’approvazione degli Ogm, contravvenendo all’Accordo sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie; tuttavia, il sistema delle dispute nel Wto non consente di imporre compensazioni “retroattive”; il vantaggio ottenuto da Usa, Canada e Argentina non è quindi economico. Per quanto riguarda i divieti nazionali, a meno che non venga prodotta sufficiente evidenza scientifica, essi dovranno essere rimossi. Infine, la sola differenza significativa della versione finale del report rispetto all’interim è la richiesta di eliminare gli eventuali aspetti della moratoria ancora in atto. In quest’ultimo, il panel si era invece limitato ad affermare come essa fosse già cessata, appunto nel 2003. Questo cambiamento in parte avalla una recente affermazione del capo della delegazione negoziale statunitense al Wto, Susan Schwab, secondo la quale, nonostante dal 2003 ad oggi la Ue abbia consentito l’ingresso ad una manciata di prodotti Ogm, la moratoria permane tuttora, e provoca enormi ritardi nell'ottenimento delle autorizzazioni. Greenpeace, FOEE e IATP, insieme ad altre Ong, hanno criticato la decisione del panel, in quanto metterebbe a rischio il Protocollo di Cartagena e il principio di precauzione, ed anche il fatto che il panel non abbia deliberatamente tenuto in considerazione altri trattati multilaterali nel prendere la sua decisione; tuttavia il panel ha esplicitamente affermato di non averlo ritenuto necessario, nonostante sarebbe stato possibile.
Il report del Wto, pubblicato il 29 settembre 2006 (“European Communities - Measures affecting the approval and marketing of biotech products” (DS291, DS292 e DS293)) è disponibile sul sito del Wto:
-conclusioni: [pdf]
-versione completa: [pdf]
I nuovi accordi di partenariato economico
La discussione sui nuovi EPA (Economic Partnership Agreements, Accordi di Partenariato Economico) è iniziata nel settembre 2002, nell’ambito dell’accordo di Cotonou, che regola le relazioni tra la Ue ed i paesi Acp. L’accordo dovrà essere raggiunto entro la fine del 2007, quando scadrà l’accordo di Cotonou. Lo scopo è aiutare i paesi Acp a sviluppare le relazioni commerciali a livello regionale, per poi giungere ad una graduale integrazione nell’economia globale. I negoziati sono molto difficili: ogni paese può infatti scegliere di liberalizzare prodotti diversi, indipendentemente dagli altri.
L’Ong Oxfam ha duramente criticato il modo di procedere dei negoziati, in quanto i nuovi accordi non farebbero che esporre gli Acp alla concorrenza dei prodotti europei, mettendo a repentaglio lavoro, industrie, servizi pubblici. L’Unione ha rigettato le accuse, affermando che lo scopo degli EPA è proprio garantire prima la presenza di reti commerciali regionali, per poi gradualmente procedere ad aperture nei confronti dei paesi sviluppati.
Il Cile rientra nella Andean Community of Nations
Dopo 30 anni di assenza, il Cile è rientrato a far parte della Andean Community of Nations (CAN), che raccoglie paesi come Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù (e da cui il Venezuela si è ritirato da qualche mese, per poi entrare a far parte del Mercosur). L’accordo contribuirà a far aumentare il commercio tra la CAN ed il Cile, che già nel primo semestre del 2006 sarebbe cresciuto del 38%, e permetterà alla CAN di entrare in trattative per un accordo di libero commercio con la Ue. Il Cile ha già all’attivo più di 50 accordi di libero commercio, incluso uno con la Cina, ed è membro associato del Mercosur. A quanto pare, l’entrata del Cile nella CAN avrebbe destato dissapori nei paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, e Venezuela), i quali ritengono che essa contribuirebbe a creare una sorta di divisione Atlantico-Pacifico nel continente, e non ad aumentare l’integrazione regionale.
Incontro del 20-22 settembre del Gruppo di Cairns
Ministri e rappresentanti di alto livello del Gruppo di Cairns, incontratisi proprio nell’omonima località australiana, hanno chiesto di non ritardare l’inizio delle trattative oltre novembre; non sono peró stati in grado di ottenere nessun nuovo risultato. Gli Usa e la Ue non hanno accettato il cosiddetto compromesso australiano del “five and five”, secondo cui la Ue dovrebbe tagliare le sue tariffe agricole del 5% (oltre il 50% proposto in via non ufficiale), mentre gli Usa dovrebbero limitare i sussidi agricoli a 5 miliardi di dollari in meno rispetto all’attuale offerta di 22,7 miliardi.
I membri del gruppo di Cairns si trovano su posizioni contrastanti circa il tema dell’accesso al mercato: per esempio, Indonesia e Filippine fanno parte del G-33, gruppo negoziale che vorrebbe l’estensione ad almeno il 20% dei prodotti dello status di special product, mentre Malesia e Tailandia temono che una così alta percentuale possa causare restrizioni alle loro esportazioni. Vi è la necessità di stabilire una linea unica anche per quanto riguarda il meccanismo speciale di salvaguardia e la liberalizzazione dei prodotti tropicali.
Il caso del cotone: gli Usa bloccano la richiesta del Brasile di creare un compliance panel
Nella riunione del 28 settembre il Dispute Settlement Body (DSB) ha creato un panel Wto allo scopo di accertare la conformità tra i sussidi statunitensi sul settore del cotone con quanto stabilito nella disputa risalente a 18 mesi fa. Gli Usa, il 1 settembre, avevano bloccato la costituzione del panel dopo una prima richiesta del Brasile, ma le regole del Wto proibiscono di farlo una seconda volta.
Nel marzo 2005, il panel Wto aveva confermato che i sussidi statunitensi al cotone e i programmi di credito alle esportazioni violavano gli obblighi Wto e creavano, distorcendo i prezzi internazionali, “serio pregiudizio” agli interessi commerciali del Brasile. Il DSB fissò le scadenze del 1 luglio e del 21 settembre per modificare le misure oggetto della disputa. All’indomani delle due scadenze, il Brasile chiese la possibilità di imporre retaliatory measures (dazi di ritorsione), complessivamente per 4 miliardi di dollari, poi sospese in seguito alla promessa di Washington di implementare le riforme richieste. Washington fa notare di aver cancellato i pagamenti ai trasformatori ed agli esportatori statunitensi; il Brasile ritiene però che la riforma dei crediti all’esportazione intrapresa finora dagli Usa sia inadeguata, punta il dito contro il permanere dei marketing loans e dei pagamenti anticiclici (non compatibili con le regole Wto; per questo gli Usa cercano di metterli al riparo in una nuova scatola blu) e chiede che le misure oggetto di disputa vengano quindi riesaminate. [link alla scheda].
Divieto di importare nella Ue carni bovine trattate con ormoni: seconda udienza pubblica del panel
Nell'ormai lontano 1990, Usa e Canada hanno portato in giudizio con successo la Ue per il divieto di importare carne bovina trattata con ormoni, sulla base che non fosse giustificato da appropriata valutazione del rischio. Nel 1999, Usa e Canada hanno ricevuto il diritto di imporre sanzioni commerciali contro la Ue. Nel 2005, la Ue ha presentato nuova evidenza scientifica in un tentativo di convincere Usa e Canada ad eliminare i rispettivi dazi di ritorsione, ed ha poi chiesto la creazione di un nuovo panel. Tutti e tre i paesi hanno chiesto che le udienze fossero aperte al pubblico. Dopo la prima udienza pubblica del 1 settembre 2005, anche in questa seconda, che ha avuto luogo il 2 ed il 3 ottobre, la procedura è stata trasmessa nei quartieri generali del Wto a Ginevra da telecamere a circuito chiuso; tuttavia, come nel 2005, pochi delegati hanno partecipato all’udienza.
Contaminazione di riso Ogm
Giappone e Ue hanno imposto restrizioni e controlli a tappeto sulle importazioni di long grain rice dagli Usa dopo l’annuncio da Washington, il 18 agosto scorso, che le derrate commerciali erano state contaminate da una varietà non approvata per il consumo umano. Bayer CropScience, che produce il riso in questione, (LLRICE601, tollerante ad un erbicida), ha informato l’United States Departement of Agriculture (USDA) e la Food and Drug Administration (FDA) che tracce del riso erano state rinvenute già dal 31 luglio. Stando a quanto si dice, la Bayer sarebbe stata a conoscenza dell’inquinamento addirittura da gennaio scorso. USDA ed FDA hanno ribadito che non ci sono rischi per la salute umana, la sicurezza alimentare, l’ambiente, ma hanno anche ammesso di non sapere quanto sia diffusa la contaminazione. Il 23 agosto, la Ue ha deciso di richiedere che le importazioni di long grain rice dagli Usa siano certificate LLRICE601-free da parte di laboratori accreditati. Il Giappone ha messo al bando il riso quasi immediatamente, ma le sue importazioni si concentrano prevalentemente su short e medium grain rice, non incluse nel bando.
Accordo Usa-Colombia
Il 24 agosto scorso, il Presidente Bush ha notificato al Congresso statunitense che firmerà un accordo di libero commercio con la Colombia, che ha da poco rimosso tutte le restrizioni alle importazioni di carne, imposte in relazione alla Bse (l’encefalopatia spongiforme bovina, il cosiddetto "morbo della mucca pazza”). La Colombia accetterà quindi animali di tutte le età, purché abbiano passato l’approvazione dalle autorità per la sicurezza alimentare statunitense. Sono una ventina i paesi che hanno ancora misure in atto contro la Bse; rimuovere queste barriere è una priorità per gli Usa, le cui esportazioni di carne bovina sono ridotte alla metà di quanto erano nel 2003.
Dato che a fine anno scadranno le preferenze unilaterali statunitensi per i paesi delle Ande, gli esportatori di Colombia e Perù rischiano di vedere ridotto il loro accesso al mercato statunitense se gli accordi di libero commercio non entreranno in vigore prima di allora.
L’entrata della Russia nel Wto ad un punto morto?
La Russia è l’unica grande economia non ancora facente parte del Wto, e da ormai tredici anni è in attesa del via libera per l’accesso. Ogni singolo membro del Wto deve avallare i termini per l’ingresso e può iniziare trattative bilaterali con speciali richieste; gli Usa sono l’unico paese a dover ancora raggiungere un accordo bilaterale con Mosca. Nonostante l’ottimismo durante il G-8 di San Pietroburgo lo scorso luglio, problemi su copyrights ed accesso ai mercati bancari ed assicurativi hanno bloccato le trattative. Non essere membro del Wto lascia la Russia senza protezione legale per le proprie esportazioni (la Russia non può ad esempio vincere un caso anti dumping ); recentemente, da Mosca sono arrivate dichiarazioni forti (come il fare marcia indietro sugli obblighi già adottati se i tempi si protrarranno ancora) e segnali di stanchezza sulla lunga attesa.
La riforma dell’Ocm banane
I coltivatori di banane francesi, spagnoli e portoghesi riceveranno 280 milioni di euro l’anno per compensare le perdite associate alla modifica del regime delle banane; il Collegio della Commissione Europea ha approvato la versione finale della DG-Agri, che include pagamenti a Martinique, Guadalupe, Canarie e Madeira per circa 40 milioni di euro in più rispetto all’offerta iniziale. Nella proposta gli attuali sostegni accoppiati alla produzione vengono sostituiti da pagamenti disaccoppiati; le sole regioni d’oltremare (reponsabili della maggior parte della produzione comunitaria) continueranno a ricevere aiuti accoppiati. Saranno gli stati membri a decidere come spendere gli importi; se questi decidessero semplicemente di continuare a garantire compensazioni per gli scarsi raccolti, metterebbero in difficile posizione la Ue, che durante il Doha Round si è a lungo schierata contro gli analoghi “pagamenti anticiclici” statunitensi. La Ue-25 è il più grande consumatore mondiale di banane; il 16% proviene dalla Ue stessa (ma solo il 2% da territori continentali, ovvero Cipro, Grecia, Portogallo); il 67% è importato dall’america latina ed il 17% dai paesi Acp.
Scheda 1 - Doha Round sospeso, aumenteranno le dispute?
In una lettera aperta ai ministri del commercio di tutto il mondo, pubblicata dall’Herald Tribune il 27 luglio 2006, Pascal Lamy ha avvertito come il recente fallimento avrebbe già dato inizio a due fenomeni che mettono a rischio il sistema multilaterale, ovvero una maggiore attenzione ad accordi bilaterali o regionali, e un aumento dei tentativi di assicurarsi attraverso il meccanismo di soluzione delle dispute quanto non può essere ottenuto con i negoziati. Secondo alcuni esperti, eventuali decisioni del panel Wto contrarie agli interessi dei grandi paesi membri potrebbero addirittura portare in futuro all’indebolimento del loro supporto per tale meccanismo. Nelle parole di Pascal Lamy, “spostare la priorità dai negoziati alle azioni legali potrebbe danneggiare il fragile equilibrio che esiste tra l’interpretazione delle regole esistenti e la creazione di nuovi e più importanti accordi commerciali”.
Nel 2004, il Brasile, allo scadere della clausola di pace, vinse due importanti dispute, aventi come oggetto i sussidi statunitensi ai coltivatori di cotone e quelli europei nel settore dello zucchero. Secondo l’Oxfam, sussidi agricoli statunitensi ed europei per oltre 13 miliardi di dollari l’anno sono attualmente in contrasto con le regole del Wto (come i sussidi statunitensi sul mais e quelli europei su frutta e verdura trasformata), e potrebbero essere bersaglio di nuove cause da parte dei paesi in via di sviluppo.
Il governo brasiliano [link alla news] sta cercando di ottenere l’assenso dal Wto per imporre retaliatory tariffs del valore di un miliardo di dollari sulle importazioni Usa, in quanto i loro pagamenti statunitensi non sarebbero conformi a quanto stabilito dal panel Wto nel 2004; secondo alcune fonti, il Brasile sarebbe pronto anche ad intraprendere ulteriori azioni legali. La Ue ha annunciato il 29 luglio che avrebbe iniziato una disputa con l’India per le sue tariffe su vini e bevande alcoliche. In gioco vi sono chiaramente interessi commerciali considerevoli: nel primo caso, l’enorme importanza del settore del cotone in alcuni paesi in via di sviluppo (si pensi che il 60% circa della popolazione del Benin - pari a 7 milioni di individui - vive della produzione di cotone, che rappresenta il 70% dei guadagni dalle esportazioni; e 25 mila produttori statunitensi ricevono 4 miliardi di dollari di sussidi ogni anno); nel secondo, il mercato indiano dei vini, in rapida espansione.
Anche la discussione sul disaccoppiamento del cotone, attualmente in atto nell’Unione (in seguito alla decisione della Corte di Giustizia Europea, che in settembre ha dato ragione alla Spagna nel ritenere insufficiente una percentuale di accoppiamento del 35%), potrebbe causare problemi: se dovesse aumentare la percentuale di aiuti accoppiati, i quattro produttori africani di cotone (Benin, Burkina Faso, Ciad, Mali; per approfondimenti sulla 'questione del cotone', [link]) potrebbero dar vita ad iniziative legali.
Scheda 2- Nuovi accordi bilaterali
Come paventato dallo stesso Lamy, una delle conseguenze della sospensione del Doha Round è l’aumento del numero di accordi bilaterali (Free Trade Agreements, FTA); in essi, è indubbio il vantaggio dei paesi più forti, che possono facilmente dettare le loro condizioni. Secondo alcuni, gli accordi bilaterali possono essere considerati come l’estensione della politica protezionistica del paese più forte più che una tappa verso la liberalizzazione; ma anche molti piccoli membri hanno cominciato a segnalare la loro preferenza per accordi bilaterali, a fronte di un organo multilaterale impotente. Il giudizio degli analisti sugli accordi bilaterali non è unanime, e lascia aperta una serie di interrogativi: è vero che le conseguenze sono ad esclusivo vantaggio dei paesi più ricchi o no? Gli accordi bilaterali aiutano o ostacolano il fallimento del Round? Quali ne sono le implicazioni?
Alla fine del 2005, non meno di 250 accordi di libero scambio sono stati notificati al Wto; una cifra enorme, se paragonata con i 30 di tutti gli anni novanta.
Da parte europea sono in atto le trattative con la Corea, il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Venezuela), l' ASEAN (10 paesi del Sud-Est Asiatico), la Russia, L'India, alcuni paesi della penisola arabica (per aver più informazioni sulla politica commerciale dell'Unione Europea [link]). Mandelson ha espresso il proprio favore all’accesso nel WTO del Vietnam (un’economia emergente, con una popolazione di 83 milioni di individui, che esporta prevalentemente frutti di mare e caffé), in vista di un futuro FTA. Mandelson ha recentemente affermato che la Ue utilizzerà gli accordi bilaterali per “testare” misure ritenute troppo delicate per essere inserite nei negoziati multilaterali, come gli investimenti, le politiche per la concorrenza, gli appalti pubblici; argomenti, questi, lasciati cadere nel 2003 a causa della ferma opposizione dei paesi in via di sviluppo. Ha poi ribadito di considerare gli accordi bilaterali come complementari, e non un passo indietro, rispetto alle trattative del Doha Round.
Il ministro del commercio indiano ha reso noto di essere pronto a firmare accordi bilaterali con Ue e Giappone.
Gli Usa, dal canto loro, starebbero mettendo in atto una politica di espansione della loro egemonia economica attraverso gli accordi bilaterali di libero scambio su pressione delle potenti lobbies interne. Accordi sono stati siglati ad esempio con Israele, Canada e Messico (NAFTA), Singapore, Cile, Australia, Marocco, i paesi dell’America Centrale (CAFTA), ma anche numerosi paesi del Medio Oriente tra cui Oman, Giordania, Marocco, Bahrein. L’attaccamento statunitense ai principi del multilateralismo non è notoriamente molto profondo; tuttavia, è evidente che nessun accordo bilaterale sarà mai in grado di ottenere vantaggi paragonabili con quelli di un accordo multilaterale, come ad esempio rimuovere la competizione dovuta ai sussidi europei alle esportazioni agricole, o limitare l’azione delle state trading enterprises canadesi.
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