In cosa consiste questa misura e come si giustifica?
Si tratta in un aiuto a fondo perduto erogato ad aspiranti giovani imprenditori in agricoltura. Come è noto, questo intervento è attivato nell'ambito della PAC praticamente fin dalla sua nascita; ha resistito alle trasformazioni che la PAC ha subito nel corso della sua circa quarantennale operatività. Gli aiuti al primo insediamento sono concettualmente concepiti congiuntamente ed in sinergia con quelli per il prepensionamento degli agricoltori anziani, anche se le due misure sono tra loro distinte ed indipendenti. Queste misure sono tutt'ora presenti nella PAC senza aver subito cambiamenti sostanziali. Per quanto riguarda gli aiuti ai giovani, l'entità del finanziamento nel tempo è cresciuta fino ai 40 mila Euro attualmente previsti dalla nuova proposta di regolamento per lo sviluppo rurale (del Consiglio, luglio 2004).
Gli obiettivi di questa misura sono molteplici, anche se intimamente collegati. In breve, si vuole: favorire l'ingresso di imprenditori giovani e l'avvicendamento generazionale; porre un argine alla continua contrazione del numero delle aziende con conseguente abbandono di terreni, inutilizzo di risorse produttive e impoverimento del tessuto sociale nei contesti rurali; ma si intende anche favorire l'ammodernamento strutturale e tecnologico, nonché gestionale, delle aziende per migliorare la competitività del settore.
Qui si vogliono mettere in evidenza alcuni elementi di potenziale inefficacia di questa misura, e, più in generale i suoi effetti indesiderabili dal punto di vista redistributivo, nonché la contraddittorietà rispetto al più ampio quadro delle misure dedicate al settore primario.
Quale è la rilevanza del problema?
Nell'Unione a 15 l'agricoltura soffre incontestabilmente di una forte presenza di imprenditori anziani (poco meno del 30% ha più di 65 anni) e di una scarsa presenza di giovani (meno di un quarto è sotto i 44 anni) anche se il dato medio nasconde significative differenze tra paesi, con l'area mediterranea che si trova nella situazione più problematica. I giovani che avviano un'attività in agricoltura sono sempre meno e questo non fa che accentuare gli squilibri demografici e condannare il settore ad una contrazione inerziale in quanto i pensionamenti sono strutturalmente più numerosi dei nuovi ingressi. Questa mancanza di giovani forze penalizza il settore anche sotto il profilo della carica progettuale, e della capacità di cambiamento ed innovazione; e, in definitiva, della sua efficienza e competitività.
Quali sono le cause di questo stato di cose?
Come è noto, lo squilibrio demografico in origine è causato dalla fuoriuscita di manodopera dal settore nel corso dello sviluppo economico. Successivamente, tra i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, quelli che prendono la strada dell'agricoltura sono sempre meno, sia a causa della minore redditività del settore sia a causa delle difficoltà di accesso. Soffermiamoci su questo punto. Le difficoltà di avviare un'impresa in agricoltura sono dovute dalla necessità di un ingente capitale iniziale ma anche alla difficoltà di trovare sul mercato terreni idonei, per collocazione, quantità e qualità. La scarsità di terre coltivabili è particolarmente sentita in vaste aree di un continente densamente abitato come l'Europa. Inoltre la funzione residenziale di molte aziende agricole ne rende ancora più scarsa l'offerta per le finalità produttive.
Ma è proprio la stessa PAC che - come ricorda anche Sotte nell'editoriale - ha contribuito non poco ad irrigidire il mercato fondiario. Questo è accaduto tanto con l'intervento di sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli; che, successivamente, con l'erogazione di sussidi proporzionali alle superfici coltivate. In entrambi i casi il valore dei terreni finisce per includere questa forma aggiuntiva di rendita. In particolare, con l'ultima riforma questa rendita è legata sempre più (e sempre più direttamente) al possesso dei terreni, ed alla titolarità del diritto a ricevere aiuti e, dunque, è sostanzialmente indipendentemente dall'attività produttiva, dei terreni e del percettore dell'aiuto.
Infine, i regimi di successione ereditaria vigenti in molti paesi concorrono alla crescente polverizzazione dei fondi; questa, a sua volta, scoraggia il ricambio generazionale e, viceversa, induce all'abbandono della proprietà.
D'altra parte i terreni migliori e le aziende più redditizie difficilmente arrivano sul mercato in quanto in queste realtà il più delle volte, il ricambio generazionale avviene in seno alle stesse famiglie: è qui che si verifica quel “circolo virtuoso” per il quale le aziende più grandi e redditizie sono un prerequisito all'avvicendamento generazionale ma al tempo stesso la presenza di imprenditori giovani darebbe nuove e migliori prospettive alle aziende aiutandole a crescere in dimensioni ed efficienza.
Come agisce l'erogazione dell'aiuto ai giovani in questo contesto?
In Italia, il valore medio di un ettaro di superficie agricola è di circa 15 mila Euro, valore che sale a 25 mila Euro, sempre come dato medio, per i terreni che si trovano in pianura (INEA, 2002). Queste cifre rendono evidente la sproporzione che esiste tra l'importo dell'aiuto e il fabbisogno di capitale per costituire un'impresa agricola. L'aiuto, dunque, non può rappresentare in alcun modo un incentivo di per sé sufficiente ad entrare nel settore. Questo importo, per quanto di per sé indubbiamente consistente, non può “fare la differenza” rispetto ad investimenti che sono dell'ordine dei milioni di Euro, e consentire a giovani che altrimenti non potrebbero, di diventare imprenditori agricoli.
Nelle regioni italiane del Centro-Nord (fuori obiettivo 1), nel triennio 2000-2002 per finanziare questa misura sono stai erogati circa 250 milioni di euro (INEA). Approssimativamente possiamo dire che si tratta di circa 3.000 nuove imprese finanziate ogni anno. Non è un numero irrilevante: chi ha percepito il premio? Attualmente, purtroppo informazioni ufficiali sufficienti a fornire una casistica rappresentativa non sono disponibili. Tuttavia, se si concorda che 25-30 mila Euro non sono una cifra sufficiente a consentire a chi altrimenti non potrebbe di avviare un'attività in agricoltura, si deve concludere che il premio è stato utilizzato da giovani che già possedevano gli ingenti capitali necessari ad avviare l'attività, visto che questi sono di alcuni ordini di grandezza superiori al premio. In altre parole, i beneficiari dell'aiuto finirebbero per essere quei giovani che si trovano nelle situazioni virtuose nelle quali l'avvicendamento generazionale sarebbe in ogni caso avvenuto, oppure quei giovani fortunati possessori della quasi totalità del capitale necessario. A questo proposito sarebbe auspicabile che le amministrazioni rendessero disponibili informazioni sufficienti per consentire una valutazione di queste ipotesi che allo stato sembrano le uniche plausibili.
Infatti, se questa ipotesi fosse verificata se ne dovrebbe concludere che dal punto di vista dell'obbiettivo di attivare ingressi addizionali di giovani imprenditori in agricoltura questa misura rappresenta un fallimento. Si tratta di una cifra che non può attivare risorse aggiuntive nel settore. Ma vi è una conseguenza negativa anche di tipo distributivo: il premio finisce per rappresentare un vero e proprio “regalo” a giovani già favoriti da una posizione di partenza di particolare privilegio.
Un'ultima osservazione. Il sostegno all'agricoltura viene sempre più motivato con le funzioni sociali e le esternalità positive svolte dal settore, tanto che gli aiuti erogati sono condizionati, sempre più, all'adozione di comportamenti desiderabili. Se è interesse generale che l'agricoltura europea continui ad esistere ed a svolgere queste funzioni, perché non chiedere uno sforzo specifico aggiuntivo in questa direzione ai giovani che aiutiamo a divenire agricoltori?