Non vi sono purtroppo novità nei negoziati del World Trade Organization (WTO). Lo scorso luglio, nell’ultima riunione prima della pausa estiva del Trade Negotiating Committee, Pascal Lamy, il Direttore generale del WTO, ha affermato che “ciò che stiamo vedendo oggi è la paralisi della funzione negoziale del WTO [...]. Ciò che stiamo affrontando é l’incapacità del WTO di adattarsi e alle nuove priorità del commercio globale, quelle che non possono essere risolte con accordi bilaterali” ([link]). Si tratta di affermazioni molto dure, ma che rendono bene l’idea della situazione attuale.
Già lo scorso maggio, una volta riconosciuta l’impossibilità di portare a termine entro il 2011 le trattative per il single undertaking (ovvero, un accordo unico che comprenda tutte le materie oggetto di trattativa), Lamy aveva ventilato la possibilità di provare ad ottenere comunque una early harvest (letteralmente, “raccolta anticipata”) entro la fine dell’anno.
Si tratterebbe di un accordo su un ristretto numero di temi di cruciale interesse per i Paesi Meno Avanzati (PMA, in inglese Least Developed Countries, LDCs), con l’impegno di proseguire comunque nei negoziati per il single undertaking. In particolare, potrebbero essere inclusi nell’early harvest l’accesso al mercato duty free e quota free, cioè senza alcuna tariffa e senza limitazioni, per tutte le importazioni provenienti dai PMA; il miglioramento delle regole d’origine; una deroga a favore dei PMA nel settore dei servizi; un “passo avanti” nel settore del cotone. In quest’ultimo caso, resta però estremamente dura la posizione degli USA, che chiedono uno sforzo nella riduzione dei sussidi nel settore del cotone anche a paesi emergenti come Brasile e Cina (vedi Finestra sul WTO marzo 2011).
Nelle trattative si è parlato, poi, di un eventuale pacchetto LDC-plus, comprendente anche alcuni punti importanti per i paesi sviluppati e per i quali i negoziati sarebbero già oggi ad uno stadio più avanzato: ad esempio, i sussidi nel settore della pesca, la trade facilitation, il trattamento speciale e differenziato per i paesi in via di sviluppo, il sostegno alle esportazioni, le misure per gli accordi regionali e le regole sul commercio di beni e servizi ambientali.
Tuttavia, é chiaro che si tratta di temi tutt’altro che risolti, e che negoziare dei pacchetti con un numero ristretto di misure rende ancora più improbabile trovare una soluzione di equilibrio: ognuno dei paesi membri cercherà infatti di introdurvi misure che controbilanciano le proprie concessioni (basti pensare all’eliminazione dei sussidi all’esportazione, un gettone negoziale cruciale per l’UE).
Il tempo a disposizione per trovare un accordo è estremamente limitato. Con l’approssimarsi della fine dell’anno, vi é dunque il rischio concreto che non si riesca a raggiungere un accordo non soltanto sull’LDC-plus, per il quale le trattative sono state già dall’inizio difficilissime, ma neppure sull’early harvest.
Da più parti si sottolinea come il perdurare dell’attuale crisi nei negoziati metta a rischio la stessa credibilità del WTO, ed è purtroppo ormai chiaro che selezionare temi specifici apparentemente meno controversi, ampliare l’agenda negoziale o perfino “sospendere” temporaneamente il Round potrebbero rivelarsi soluzioni controproducenti (si veda anche Matthews, 2011 [link]).
I paesi membri, di ritorno dalla pausa estiva ed in vista della prossima riunione ministeriale “regolare” di dicembre, si chiedono ora quali siano le opzioni possibili per il Doha Round. La prossima settimana si riunirà il gruppo del G-11 (Australia, Argentina, Brasile, Canada, Cina, EU, India, Giappone, Mauritius, Sud Africa, USA).
Per gli USA i negoziati sembrano giunti ad un punto morto. Temi chiave restano la liberalizzazione delle tariffe industriali, in cui gli Stati Uniti chiedono maggiori sforzi a Brasile, India e Cina, e i sussidi agricoli nei paesi sviluppati (vedi Finestra sul WTO giugno 2011).
Parallelamente, continuano anche le trattative sui temi “non Doha” da includere nell’agenda della ministeriale. È chiaro, infatti, che è necessario non soltanto cercare una soluzione all’impasse attuale, ma anche definire la strada per intraprendere le nuove sfide emerse nei dieci lunghi anni del Doha Round, durante i quali si sono attuati profondissimi cambiamenti a livello economico e politico su scala globale. Un compito tutt’altro che semplice, e con profonde implicazioni sia per il Doha Round che per il WTO.
*Quanto scritto è esclusivamente di responsabilità dell’autrice e non riflette in alcun modo la posizione dell’UFAG