Dieci domande sulla nuova PAC. Intervista collettiva di Agriregionieuropa

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Dieci domande sulla nuova PAC. Intervista collettiva di Agriregionieuropa
a Università di Torino, Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis”
b Università di Roma Tre, Dipartimento di Economia
c Università di Perugia, Dipartimento di Scienze Economiche-Estimative e degli Alimenti
d Centro per lo Sviluppo Agricolo e Rurale (CeSAR)
e Agenzia Regionale Sviluppo e Innovazione Settore Agricolo Forestale
f Università di Trento, Dipartimento di Economia e Management
g Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)

Dopo la pubblicazione il 12 ottobre scorso delle proposte di regolamenti per la PAC del settennio 2014-2020, abbiamo rivolto dieci domande ad alcuni dei maggiori economisti agrari italiani. Raccogliamo qui di seguito le rispettive risposte. Agriregionieuropa è aperta a raccogliere ulteriori commenti.

Domanda: La spesa per la PAC 2014-2020 scenderà rispetto al periodo 2007-2013. In Italia la diminuzione dovrebbe attestarsi intorno al 18% in termini reali. Quale il tuo giudizio?

Corsi
E’ abbastanza ovvio che la prospettiva di riduzione della spesa sia preoccupante rispetto al settore agricolo. Da economisti, però, dovremmo chiederci se la riallocazione dall’agricoltura ad altri settori sia efficiente in termini di benessere collettivo; in altre parole, dovremmo chiederci se le risorse pubbliche spostate in altre direzioni non producano maggiori vantaggi collettivi rispetto a quelli che produrrebbero nel settore primario. Non ho risposte a questa domanda, ma è comunque indubbio che la riduzione della spesa rende ancora più urgente la preoccupazione di usare efficientemente, e in direzione della produzione di beni pubblici, la spesa rimasta all’agricoltura.

De Filippis
La diminuzione, in sé, sarebbe più che accettabile, specie rispetto a quanto paventato da molti prima dell’inizio del negoziato e rispetto a ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi, in un clima di ulteriori tagli al bilancio. Quello che non è accettabile – e che va fatto pesare nel negoziato – è che l’Italia sia, tra i grandi paesi contributori netti, quello di gran lunga più penalizzato. Non ci sono, infatti, buone ragioni perché ciò accada, giacché la causa è frutto di una scelta arbitraria: l’uso della sola SAU come parametro per il calcolo della convergenza e, per giunta, della SAU ammissibile ai premi PAC al 2009; questa, infatti, è inferiore a quella effettiva per i paesi che ancora hanno il criterio storico e, non comprendendo frutta e vigneti, particolarmente penalizzante per l’Italia.

Frascarelli
La diminuzione della spesa della Pac deriva da due tagli. Il primo riguarda il bilancio complessino della Pac, pari ad un -12%; questa diminuzione è rilevante ma prevedibile e comprensibile, se si considera le tante priorità delle altre politiche comunitarie. Il secondo taglio riguarda specificatamente l’Italia e deriva dal processo di convergenza dei pagamenti diretti. I Paesi, come l’Italia, che ricevono attualmente un pagamento medio per ettaro superiore alla media comunitaria, hanno subito una decurtazione a favore dei Paesi con un pagamento medio per ettaro inferiore alla media comunitaria. Questo taglio è inaccettabile per due motivi: primo, perché è calcolato solo sulla superficie agricola, senza tener conto di altri parametri (lavoro, valore aggiunto, ecc.); secondo, perché il metodo di calcolo è sbagliato, in quanto per l’Italia utilizza una superficie inferiore a quelle effettivamente ammissibile.

Giacomini
Ovviamente, un giudizio negativo è la risposta più facile e in linea con le attese del nostro mondo agricolo.
La prima considerazione da fare, però, è che l’effetto della redistribuzione del budget per i pagamenti diretti tra gli Stati membri è responsabile di circa il 6% della riduzione delle risorse destinate all’Italia, mentre il restante 12% deriva dalla contrazione delle risorse finanziarie complessivamente disponibili, che interessa quindi tutti gli Stati membri. Da ciò deriva che la parte maggiore della contrazione del budget è conseguenza della politica di bilancio dell’UE, che continua a diminuire le risorse destinate all’agricoltura, e quindi è un problema generale già affrontato e pare, purtroppo, definitivamente risolto dal Consiglio dei capi di Stato e di Governo e dal Parlamento europeo, mentre la penalizzazione in termini redistributivi dell’Italia rispetto ad altri grandi Stati membri come la Francia e la Germania, è un problema oggetto delle trattative in corso.
Il lavoro di Adinolfi e al. (2011) per il Parlamento europeo, che presenta una serie di scenari di redistribuzione del budget dei pagamenti diretti, dimostra che, pur tenendo conto della mano d’opera e della produzione per paese, le ricadute per l’Italia non sono sempre premianti.

Gios
In relazione all’evoluzione del quadro economico complessivo e della perdita di peso dell’agricoltura, sia come quota del PIL sia in termini di addetti, ritengo che una riduzione del sostegno del 18% sia inferiore alle previsioni.

Henke
La riduzione per l’Italia è mediamente più alta perché l’Italia partecipa al finanziamento della convergenza dei pagamenti diretti a favore dei paesi i cui pagamenti sono sotto la media comunitaria. In linea di principio questo è giusto, perché non c’è motivo per cui i pagamenti siano così eterogenei tra Stati membri.
Non è però tanto logico il criterio scelto dalla Commissione, basato esclusivamente sulla superficie, e per di più sulla superficie definita ammissibile al 2009, penalizzando in questo modo i Paesi che avevano scelto il sistema storico di disaccoppiamento e che hanno una quota importante di produzione di ortofrutta e vite. Di fatto, dunque, l’Italia paga una buona quota del processo di redistribuzione, che peraltro si spalma tra molti beneficiari, con un effetto molto modesto.

Salvatici
La diminuzione della spesa agricola è inevitabile, ma l’Italia potrebbe cercare di limitare le “perdite” contestando la scelta del parametro (SAU) su cui basare il calcolo dei pagamenti diretti.

D.: Come giudichi la scelta di mantenere i due pilastri e di conservare invariata la distribuzione della spesa tra di essi: 75% circa al primo pilastro e 25% circa al secondo?


Corsi
Il mantenimento dei due pilastri è una scelta di continuità (di conservatorismo?). Non corrisponde in realtà ad una divisione in termini di obiettivi: nel primo, accanto all’obiettivo ambientale, vi sono gli aiuti accoppiati; nel secondo, indirizzato allo sviluppo rurale, rientrano misure che più esattamente sono dirette all’aumento dell’efficienza del settore agricolo e all’aumento del suo potere contrattuale nella catena commerciale.

De Filippis
Ragionevole: da un lato, non vedo buone ragioni di stravolgere ancora una volta l’impianto della PAC, togliendo o aggiungendo pilastri; dall’altro, l’ulteriore aumento della dotazione del secondo pilastro avrebbe cozzato con la difficoltà a spendere in maniera decente, sotto il profilo dell’efficienza e dell’efficacia, la relativa spesa; e probabilmente avrebbe popolato gli incubi degli stessi amministratori preposti alla gestione dei Programmi di sviluppo rurale.

Frascarelli
È una scelta giusta. Si attribuisce un rapporto fisso ai due pilastri, abolendo il meccanismo della modulazione. Il 1° pilastro opera su tutta la superficie agricola dell’UE; ha un profilo più ambientale (greening, aree con vincoli naturali) e più sociale (es. la definizione di agricoltore attivo; il capping modulato con il lavoro). Dobbiamo ricordare che il 2° pilastro è cofinanziato e di fatto la spesa pubblica raddoppia. Quindi è un buon equilibrio della spesa tra i due pilastri.

Giacomini
Il mio giudizio è positivo circa il mantenimento dei due pilastri, mentre conservare invariata la distribuzione della spesa tra di essi è la dimostrazione dello scarso coraggio con cui è stata avanzata la proposta di questa riforma, e non è la prima volta nella storia della PAC.
La scelta del secondo scenario, dei tre presentati nella comunicazione della Commissione del novembre 2010, che ispira le bozze di regolamento di questa proposta, rappresenta, di fatto, una rinuncia a puntare sulla politica di sviluppo rurale. D’altra parte, bisogna considerare che le reazioni degli Stati membri di fronte alla riduzione del budget per i pagamenti diretti non prefigurano un terreno fertile per cambiare.

Gios
Il mantenimento dei due pilastri è ragionevole. Per contro avrei ritenuto opportuno un aumento delle risorse destinate al secondo pilastro.

Henke
A mio parere su questo punto la Commissione è stata molto poco coraggiosa: non solo si è mantenuta la struttura a due pilastri, ma si sono “complicate” le relazioni tra di essi. Con il greening del primo pilastro e le misure di gestione nel rischio collocate nel secondo, si ancora di più sfocata la già ambigua distinzione tra politiche di sostegno al mercato e politiche di sviluppo rurale. Il tutto è complicato anche dalla definizione degli aiuti in base ad alcune specifiche categorie: agricoltura biologica, aree svantaggiate, giovani, ecc. A mio avviso, bisognava andare più direttamente verso un superamento della logica dei pilastri, con una serie di obiettivi e misure specifiche sulle quali andava stabilito il livello istituzionale di realizzazione e la possibilità di cofinanziamento.

Salvatici
Si arresta l’aumento delle dotazioni del secondo pilastro che sconta, probabilmente, le difficoltà incontrate nello spendere in modo soddisfacente le risorse già disponibili. La cosa più preoccupante, però, mi sembra sia la confusione (crescente) tra gli obiettivi dei due pilastri.

D.: Come giudichi la scelta di “spacchettare” il pagamento unico in sei tipi di pagamento: base, “green”, addizionale per le aree con vincoli naturali, addizionale per i giovani, piccoli agricoltori e sostegno accoppiato?


Corsi
Di per sé, lo “spacchettamento” andrebbe giudicato positivamente, se ogni pacchetto corrispondesse a specifici obiettivi diversificati. Il mio maggior dubbio riguarda il pagamento di base. Se fosse legato ad una condizionalità “forte” (cioè a pratiche agricole benefiche per l’ambiente che non sarebbero svolte in assenza del pagamento) non avrei obiezioni. Temo fortemente che si traduca in un pagamento con un legame relativamente debole con azioni dell’agricoltore; questo avrebbe il risultato di trasferire il pagamento alla rendita e ai valori fondiari (un risultato particolarmente pericoloso per i paesi dell’Est, dove si avrà un forte aumento dei pagamenti ad ettaro). Sul pagamento “green” i maggiori dubbi riguardano la natura delle azioni richieste, che sembrano essere troppo ridotte di numero e che rischiano di creare una distorsione a sfavore delle piccole aziende (che più difficilmente possono diversificare la produzione, ma potrebbero adottare altre pratiche rispettose dell’ambiente non comprese fra quelle previste).

De Filippis
Scelta buona, in linea di principio: si possono discutere le soglie, ma certo rende più selettivo il sistema. Ovviamente, si tratterà di sfruttare bene questa opportunità, il che in Italia non è successo in passato in casi analoghi.

Frascarelli
L’obiettivo va nella giusta direzione, ma si possono ottenere gli stessi risultati con una minore complessità. Ad esempio, il pagamento per i giovani agricoltori è insignificante e si possono ottenere migliori effetti con un potenziamento della relativa misura del 2° pilastro. Idem per i pagamenti per le aree svantaggiate. Gli effetti del pagamento ecologico (greening) si potevano ottenere con un innalzamento della condizionalità di base. In sintesi, lo spacchettamento va nella giusta direzione, ma rischia di essere troppo complesso e burocratico.

Giacomini
Il giudizio è positivo se questo significa permettere agli Stati membri di disporre di gradi di libertà che possano consentire di meglio distribuire il pagamento unico all’interno di ciascuno in base alle specificità nazionali, tuttavia ciò non appare possibile, al momento, per il pacchetto più consistente destinato al “green”. Si spera soltanto, che gli Stati membri, in particolare il nostro, non rinuncino a questa possibilità come è stato fatto con il famoso art. 69 della riforma 2007/2013.

Gios
La ritengo una soluzione ragionevole anche se il rischio è quello di aumentare i costi burocratici e di arrivare, in diversi casi, a somme irrisorie per il singolo intervento.

Henke
Anche in questo caso, siamo di fronte ad una scelta giusta nel principio ma poco efficace nella realizzazione. Il progetto di rendere il pagamento unico più rispondente all’idea di un pagamento per comportamenti o per specifiche situazioni va nella direzione di chi ha sollecitato una maggiore finalizzazione degli aiuti diretti. Nella prima formulazione della proposta di riforma si parlava di un sistema di pagamenti “a strati”, con elementi che si aggiungevano a seconda dell’impegno preso dagli agricoltori e delle condizioni di svantaggio. Nell’attuale formulazione non è più così: il pagamento green è una sorta di super-condizionalità, mentre il pagamento di base si determina per residuo in funzione dell’eventuale applicazione e del livello degli altri pagamenti. Più che di strati, si può parlare di un puzzle, ma il punto sostanziale è che è sparita ogni traccia di approccio contrattuale nella determinazione dei pagamenti diretti.

Salvatici
Da tempo, era evidente la necessità di articolare i pagamenti diretti, rendendoli più selettivi e dandogli una nuova legittimità. La nuova articolazione dovrà trovare concreta attuazione a livello nazionale e regionale: nella PAC futura aumentano i margini di manovra, e quindi la responsabilità, dei governi nazionali.

D.: Le proposte per la nuova PAC impongono la progressiva regionalizzazione dei pagamenti base e il loro livellamento sul piano nazionale o regionale entro il 2019. Come giudichi questa scelta?


Corsi
Il passaggio alla regionalizzazione era inevitabile per ragioni di equità e di giustificazione dei pagamenti diretti stessi. Ciò non toglie che creerà notevoli resistenze, perché implica una redistribuzione non marginale del sostegno. Con i limiti prima indicati nella nuova struttura del sostegno, si tratta comunque di un passaggio positivo, anche se ovviamente da attuare con gradualità.

De Filippis
Era stata già annunciata dall’Health check ed è sacrosanta. Politicamente difficile da gestire, ma sacrosanta.

Frascarelli
È una scelta inevitabile. Il modello storico, basato sui diritti pregressi, è difficile da giustificare: non si capisce il motivo per cui agricoltori che esercitano attività agricole analoghe debbano percepire pagamenti diretti molto differenziati, o addirittura nessun pagamento (ad esempio gli agricoltori che non hanno titoli), creando disparità di concorrenza. Il fatto che tali pagamenti derivino da una diversa situazione produttiva nel periodo 2000-2002, non giustifica il permanere di tali differenze. La regionalizzazione rende i pagamenti diretti più equi e giustificabili.

Giacomini
Come è stato detto tante volte, continuare con il criterio storico non è più possibile. Quando il disaccoppiamento è stato introdotto aveva senso sul piano politico collegare il pagamento unico alla compensazione per i redditi perduti a causa dell’abbandono delle misure di mercato, anche se era in contraddizione con l’obiettivo per cui il disaccoppiamento era stato ideato. Proprio per questa ragione e per il tempo passato che non permette più di collegare il pagamento unico alla compensazione, è doveroso passare alla regionalizzazione del pagamento di base e al suo livellamento sul piano nazionale e regionale, la domanda che ora si pone però è: quale è l’obiettivo del pagamento di base?

Gios
Una scelta inevitabile dal punto di vista finanziario. Positiva in relazione alla possibilità di una maggiore flessibilità, ma negativa in termini di equità in conseguenza del rischio di penalizzare le regioni in cui la necessità di interventi è più elevata.

Henke
La strada verso un livellamento dei pagamenti diretti era già aperta e non dobbiamo meravigliarci oggi di questa scelta. Peraltro i tempi sono sufficientemente lunghi per evitare effetti dirompenti sul sistema nazionale e nelle regioni. Credo che sia giusto superare pienamente la distribuzione dei pagamenti diretti basata su una fotografia del passato e rendere i pagamenti omogenei, ma ancora meglio sarebbe differenziare con più forza le componenti del pagamento unico a seconda delle caratteristiche locali dell’agricoltura, del tipo di produzioni e dell’effettivo contributo alla produzione di beni pubblici.

Salvatici
Anche in questo caso si tratta di una scelta che era matura da tempo. Vale la pena di sottolineare che si tende ad uniformare il pagamento di base, mentre dovrebbero differenziarsi le altre componenti dei pagamenti che vanno a compensare determinate categorie e comportamenti.

D.: Come giudichi la soluzione del pagamento “green”? una novità positiva o uno specchietto per le allodole?


Corsi
In linea di principio, la scelta di legare il sostegno ad una esternalità positiva prodotta va nella giusta direzione. Come al solito, il diavolo sta nei dettagli: fuor di metafora, il problema è come verranno definiti nella versione definitiva i requisiti per ottenere il pagamento. Le attuali indicazioni sono limitate di numero e abbastanza grossolane, anche se si può capire la preoccupazione della Commissione rispetto alla verifica degli impegni e al costo dei controlli.

De Filippis
Principio giusto in astratto, anch’esso ampiamente annunciato, ma non ben presentato nell’attuale situazione di crisi, dove il ricorso al greening può essere per molti contro-intuitivo. Inoltre, come strumento per la produzione di beni pubblici è declinato malissimo, riducendosi ad una condizionalità rinforzata, basata su vincoli discutibili e discutibilmente omogenei a livello UE, e disegnata in modo chiaramente strumentale a un successivo compromesso al ribasso.

Frascarelli
L’obiettivo politico di una Pac più orientata ai beni pubblici va nella giusta direzione. Dal punto di vista dello strumento, l’attuale pagamento ecologico (greening) è uno specchietto per le allodole. Si potevano ottenere gli stessi risultati con il rafforzamento della condizionalità di base. Inoltre, il modo con cui è stato declinato il greening è pessimo, soprattutto per l’Italia, basti pensare che un pascolo irlandese rispetta il greening, mentre un oliveto pugliese non rispetta il greening.

Giacomini
A mio avviso, il giudizio sul pagamento “green” non si può dare se non si considera che per beneficiare del pagamento di base è obbligatorio adottare le misure previste dal “green”. Non sono d’accordo che il “green” sia solo una condizionalità rafforzata, perché considero, invece, che il “green” assieme agli altri pacchetti (zone con vincoli naturali, giovani agricoltori, piccoli agricoltori e quota per pagamenti accoppiati) sia stato introdotto proprio per marcare gli obiettivi del nuovo pagamento unico regionalizzato. Gli obiettivi sono l’ambiente, con misure definite rigidamente e rese obbligatorie dal “green”, pena la mancata erogazione del pagamento di base (si può parlare anche di corrispettivo per la produzione di “beni pubblici”), e il sostegno del reddito attraverso la combinazione dei diversi pacchetti che formano il pagamento unico.
Si può discutere, invece, sulla percentuale del pagamento unico da destinare al “green” e sulla rigidità delle misure imposte; in particolare, sarebbe opportuno lasciare agli Stati membri la fissazione dei parametri per l’applicazione di queste ultime in linea con le specifiche realtà nazionali, eventualmente da sottoporre all’approvazione della Commissione. Mi pare però, che sostenere che oliveti, vigneti, agrumeti e frutteti siano comparabili con i prati stabili in termini di ricaduta ecologica, sia un po’ eccessivo!!

Gios
Il principio è in sé positivo, ma rischia di trasformarsi, al lato pratico in un vincolo inutile e controproducente dal momento che è formulato in maniera burocratica e senza adeguata consapevolezza delle implicazioni anche ecologiche della multifunzionalità dell’agricoltura.

Henke
In generale, giudico positivamente la spinta verso la differenziazione dei pagamenti diretti e la remunerazione di beni pubblici. Quanto il greening risponda a questa logica è, a mio avviso, molto discutibile per diverse ragioni. In primo luogo, ritengo che sia stato un errore abbandonare l’approccio contrattuale e trasformare il greening in una supercondizionalità. In più, sarebbe stato meglio lavorare su un’integrazione tra misure del primo e del secondo pilastro, secondo scelte effettuate a livello nazionale e condivise con la Commissione. Molto osservatori temono, infatti, che il greening possa di fatto neutralizzare l’efficacia delle misure agroambientali. Terzo, trovo molto complicato il quadro che emerge da questa riforma, con una condizionalità e un greening che si “sommano” ma non “parlano” tra loro.

Salvatici
Teoricamente giusto, ma è scarsamente credibile che le esternalità ambientali possano essere determinate a Bruxelles per tutta l’UE. Anche l’idea di un ammontare unico è criticabile: ci sono ampi margini per una maggiore applicazione del principio di sussidiarietà.

D.: Qual è il tuo giudizio sulla definizione di “agricoltore attivo”


Corsi
La esclusione degli “agricoltori non attivi” deriva da una scarsa chiarezza sugli obiettivi. Se l’obiettivo è –come dovrebbe essere, a mio parere – pagare la produzione di esternalità positive, la percentuale di reddito agricolo è assolutamente irrilevante, mentre il contributo andrebbe commisurato all’esternalità prodotta. La definizione di “agricoltore attivo” sembra derivare piuttosto da un obiettivo di sostegno al reddito degli agricoltori e, sotto questo punto di vista, l’esclusione dei “non attivi” è giustificabile; vale però la considerazione che la PAC non è lo strumento più adatto per una politica di sostegno dei redditi bassi.

De Filippis
L’esigenza di limitare la platea dei beneficiari della PAC mi sembra più che legittima; la definizione basata sull’ammontare degli aiuti è risibile, così è discutibile definire “attivo” chiunque riceva meno di un certo ammontare di aiuti. Meglio lasciare libertà agli Stati membri per dare definizioni più stringenti.

Frascarelli
L’accusa di concedere i pagamenti diretti della Pac a beneficiari non agricoli era stata evidenziata dalla Corte dei Conti europea in una recente relazione speciale. Oltre ai casi più eclatanti, come gli aeroporti o i centri sportivi che così potranno essere esclusi dai pagamenti diretti, la definizione di agricoltore attivo – prevista dalla proposta del 12 ottobre 2011 – è molto poco selettiva e permette a quasi tutta la platea degli attuali beneficiari della Pac di rimanere nel sistema dei pagamenti diretti. Si ipotizzava di escludere gli agricoltori non professionali e gli assenteisti che vivono di rendita. Invece, non saranno esclusi gli agricoltori non professionali, cioè coloro che vivono prevalentemente di altri redditi, né saranno esclusi gli agricoltori che – pur rispettando la condizionalità – hanno disattivato (abbandonato) la coltivazione dei terreni. La proposta della Commissione appare come una mera risposta alla Corte dei Conti, senza un vero obiettivo di politica agraria. È necessario individuare criteri più selettivi, magari da definire a livello nazionale.

Giacomini
Ritengo che limitare la qualifica di “agricoltore attivo” al rapporto (> 5%) tra pagamenti diretti ricevuti e reddito extra agricolo del beneficiario sia troppo poco.
Voglio osservare tuttavia che, non essendo necessaria tale qualifica per beneficiare di pagamenti diretti di importo complessivo inferiore a 5000 euro, rientrerebbe in questa classe nel nostro paese circa l’85% delle aziende e che per pagamenti diretti di almeno 5000 euro solo gli imprenditori con redditi extra-agricoli superiori a 100 mila euro perderebbero la qualifica di “agricoltore attivo”. Forse è opportuno che per definire la qualifica di “agricoltore attivo” vengano adottati altri parametri, se si vuole restringere il numero dei beneficiari con più di 5000 euro di pagamenti diretti, sempre che questo venga sentito come un problema di equità dei trasferimenti pubblici.
Forse varrebbe la pena di preoccuparsi di estendere la qualifica di “imprenditore attivo” anche sotto il limite dei 5000 euro di pagamenti diretti, dato che escludere l’erogazione di pagamenti diretti solo se inferiori a 100 Euro (art. 10, paragrafo 1, della proposta di regolamento) per azienda è veramente troppo poco se si vuole dare un minimo di finalizzazione all’erogazione del pagamento unico.

Gios
Ritengo che si sarebbe potuto evitare di percorrere una strada che rischia di tradursi in semplice aumento degli aspetti burocratici senza alcun apprezzabile risultato operativo.

Henke
A mio avviso è uno dei punti più deboli dell’attuale proposta e mi aspetto che sarà modificata in corso di discussione. È giusto in linea di principio assicurare il sostegno a chi “fa agricoltura”, ma il criterio adottato è molto discutibile e vedo almeno due problemi. Il primo riguarda il riferimento alle “entrate non agricole”, che ingloberebbe anche redditi aziendali di natura extra-agricola. Questa definizione va contro la spinta alla diversificazione che è stata uno dei punti forti del sostegno pubblico degli ultimi anni. L’altro problema è che l’attuale definizione metterebbe fuori dal sostegno molta agricoltura part-time e pluriattiva che è sempre stata considerata come una “stampella” forte del settore primario, grazie alla quale sopravvivevano realtà produttive, sociali e di presidio del territorio che altrimenti sarebbero scomparse. Ciò mi sembra in contraddizione con il supporto alla produzione di beni pubblici da parte del settore primario.

Salvatici
Abbastanza assurda l’idea di mettere insieme l’ammontare dei pagamenti ricevuti e il reddito complessivo. Mi sembra denoti un perdurante equivoco che accompagna la PAC soprattutto dopo l’introduzione dei pagamenti diretti: se si remunerano dei comportamenti ritenuti desiderabili, perché dovrebbe interessarci il reddito di chi li percepisce?

D.: Piccoli agricoltori: sono appropriate le proposte che li riguardano?


Corsi
Indubbiamente una semplificazione era auspicabile, e nella decisione si è tenuto molto in vista la riduzione del carico burocratico. Tuttavia l’esenzione dei partecipanti allo schema per i piccoli agricoltori da tutti gli obblighi lo configura direttamente come una politica rivolta al reddito, e fa perdere il riferimento ai benefici ambientali. E’ difficile dire se i guadagni in termini di minore spesa burocratica siano maggiori o minori dei costi in termini di maggiore impatto ambientale, che peraltro nei singoli paesi e regioni saranno probabilmente tanto maggiori quanto maggiore è il peso delle piccole aziende sul totale.

De Filippis
Mi sembrano fin troppo “indulgenti” nei confronti della categoria. Un po’ più di coraggio nel ridurre la pregiudiziale favorevole ai “piccoli” non guasterebbe.

Frascarelli
La scelta di erogare i pagamenti diretti ai piccoli agricoltori è una scelta importante. Da più parti era paventata l’ipotesi di eliminare la platea dei piccoli agricoltori dai benefici della Pac. Invece, il pagamento ai piccoli agricoltori promuove il loro ruolo; una scelta che va nella giusta direzione. Lo strumento è un po’ complesso, ma non è facile trovare soluzioni che garantiscano equità e semplificazione.

Giacomini
Potrebbero essere appropriate se fosse aumentata la soglia minima di 100 euro (art. 10, paragrafo 1) prevista per avere diritto all’erogazione dei pagamenti diretti e se venisse richiesto anche sotto i 5000 euro di pagamenti diretti la verifica del requisito di “agricoltore attivo”.
Per il resto, è molto opportuno che i “piccoli agricoltori” godano di un regime semplificato per beneficiare del pagamento unico.

Gios
Ritengo che si tratti di proposte demagogiche con ridotte ricadute operative.

Henke
In generale è positivo uno strumento che semplifichi l’accesso agli aiuti per i piccoli agricoltori, anche se va approfondito il rapporto tra questo strumento e la determinazione di eventuali soglie minime di accesso. I valori forfetari determinati sono molto bassi e possono risultare solo un minimo contributo alla sopravvivenza per aziende destinate a scomparire. Inoltre, nella proposta i piccoli agricoltori ottengono anche l’esclusione dai vincoli di greening. Se, da una parte, si può ragionevolmente ritenere che il ruolo dei piccoli agricoltori sia più positivo che negativo rispetto all’impatto ambientale dell’attività agricola, il messaggio sottinteso può essere discutibile se si pensa al greening come un’effettiva remunerazione della produzione di beni pubblici.

Salvatici
Un gran numero di pagamenti è per importi che difficilmente possono avere un impatto significativo su chi li riceve: bisognerebbe avere il coraggio di riconoscerlo.

D.: Qual è il tuo giudizio sulle maggiori novità nella nuova politica di sviluppo rurale (dagli Assi alle priorità, integrazione con la politica regionale nel contratto di partenariato, approccio basato sui risultati, possibilità dei sottoprogrammi tematici, ridotto menu di misure, network per l’innovazione, ecc.)?


Corsi
Il passaggio dagli assi alle priorità va giudicato positivamente, così come il tentativo di maggiore integrazione con la politica regionale; questo sperabilmente contribuirà a rendere il secondo pilastro maggiormente una politica di sviluppo rurale piuttosto che una politica agricola. La definizione dei programmi e sottoprogrammi richiederà maggior impegno da parte delle amministrazioni, tanto più in relazione all’istituzione di maggiori incentivi (la “performance reserve”) e controlli.

De Filippis
Per quello che si può capire, sembra un impianto più flessibile, quindi da guardare con favore. In linea di principio, ben venga il maggior coordinamento con le altre politiche territoriali, anche se in alcune realtà potrà creare conflitti. In Italia le Regioni dovrebbero convincersi dell’opportunità di lanciare un programma di coordinamento nazionale, sull’impianto complessivo dei programmi di sviluppo rurale e su alcuni temi specifici, difficilmente gestibili dalle Regioni stesse in ordine sparso.

Frascarelli
Queste novità sono tutte interessanti e portano sicuramente ad un miglioramento rispetto alla politica dello sviluppo rurale 2007-2013. Tuttavia la vera criticità della politica di sviluppo rurale è la capacità di programmazione e gestione da parte degli Stati membri e delle Regioni.
Il 2° pilastro della Pac è, teoricamente, la migliore politica per l’agricoltura e le zone rurali; tuttavia, gli scarsi risultati degli ultimi dieci anni mostrano tanti limiti e perplessità. È una politica più burocratica del 1° pilastro, non è esente da situazioni di rendita, con difficoltà di gestione, pagamenti molto ritardati, difficoltà di spesa. I miglioramenti proposti per il periodo di programmazione 2014-2020 sono importanti, ma già l’attuale programmazione avrebbe consentito di ottenere buoni risultati in termini di innovazione, programmi tematici e network. I maggiori problemi della politica di sviluppo rurale risiedono nella scarsa capacità di gestione e programmazione delle Istituzioni italiane. Se non si migliora in questa direzione, a nulla serviranno le novità che ci vengono da Bruxelles.

Giacomini
Il passaggio dagli assi alle priorità può essere considerata una innovazione nella misura in cui ha permesso di ridurre le misure e di renderle più organiche.
Le maggiori novità riguardano, soprattutto, il rafforzamento dell’approccio programmatorio attraverso l’introduzione dei cosiddetti programmi tematici, che possono contribuire ad evitare che la politica di sviluppo rurale ricada, attraverso l’esasperato frazionamento delle misure, nella vecchia politica delle strutture. Altri aspetti innovativi sono l’introduzione di misure del tutto nuove che segnano il superamento di alcune incertezze che lungamente hanno caratterizzato l’azione della Commissione, tra queste bisogna segnalare l’estensione, in particolare, attraverso l’OCM unica, a tutti i comparti delle organizzazioni di produttori (OP) e delle organizzazioni interprofessionali (OI), in precedenza frenate per timore di creare pericoli alla concorrenza, e della gestione dei rischi anche attraverso la stabilizzazione dei redditi mediante la contribuzione a fondi di mutualizzazione, altro tipo di intervento su cui la Commissione è stata in precedenza molto incerta. Da sottolineare che l’art. 28, “Costituzione di associazioni di produttori”, della bozza di regolamento sullo sviluppo rurale potrebbe introdurre qualche elemento di confusione rispetto alla scelta di sviluppare le OP, salvo non si provveda a una integrazione che potrebbe permettere di disporre di risorse per lo sviluppo delle OP anche fuori del settore ortofrutticolo.
Un’altra misura innovativa riguarda la “cooperazione”, vale a dire l’incentivazione di ogni forma di cooperazione tra almeno due soggetti, che consente di estendere a diverse fattispecie di collaborazione tra più operatori l’impostazione dei programmi integrati di filiera introdotti nel precedente periodo di programmazione.

Gios
Si tratta, in generale, di strumenti positivi, anche se la combinazione degli stessi con la regionalizzazione rischia di aumentare il divario tra il sostegno assicurato a chi opera in regioni gestite con efficienza e altre aree.

Henke
Il giudizio è complessivamente positivo. Riguardo al superamento degli assi, credo che ciò comporterà una maggiore flessibilità e incisività nelle scelte delle misure, anche grazie alla riduzione del numero delle misure stesse. L’integrazione con le altre politiche strutturali rappresenta una proposta auspicabile per la necessità di coordinamento tra fondi e tra tavoli istituzionali. Il network per l’innovazione pone l’accento su un tema di grande importanza, incoraggiando il dibattito, la diffusione della conoscenza e lo scambio di esperienze. In sintesi, tutto ciò dovrebbe servire a migliorare l’efficacia delle politiche di sviluppo rurale. Un possibile punto debole della nuova politica di sviluppo rurale può essere quello della difficoltà gestionale, ma questo aspetto riguarda particolarmente paesi con debolezze e complessità istituzionali come il nostro, non tanto l’impianto della politica in sé.

Salvatici
Si tratta di iniziative condivisibili, ma occorre sperare che le amministrazioni locali siano in grado di sfruttare le novità.

D.: Una novità della nuova PAC dovrebbe essere l’introduzione della politica per la gestione dei rischi collocata nel secondo pilastro. Come giudichi questa politica?


Corsi
La grande novità di questi ultimi anni è la crescente volatilità dei mercati; inoltre il cambiamento climatico ha reso più frequenti gli eventi estremi. E’ quindi ragionevole prevedere una politica per la gestione dei rischi. Quanto questa sia efficiente andrà peraltro giudicato sulla base della sua implementazione pratica, che attualmente non è chiara.

De Filippis
Può andare, ma proprio questo è un tema su cui le Regioni dovrebbero sperimentare la capacità di cooperare e programmare insieme la normativa e l’interlocuzione con le compagnie di assicurazione.

Frascarelli
La gestione del rischio è una politica interessante, con grandi aspettative; è uno dei pochi strumenti per contrastare gli effetti negativi delle calamità naturali, della volatilità dei prezzi e dei redditi. Le calamità naturali sono divenute più frequenti in conseguenza dei cambiamenti climatici. Analogamente la volatilità dei prezzi è un fenomeno ormai strutturale e drammatico per le imprese agricole. Tuttavia occorre fare un’osservazione. La gestione del rischio per le calamità naturali è un’esperienza consolidata in Italia. Invece la gestione del rischio sui prezzi e sui ricavi non trova ancora strumenti affidabili in Italia. Pertanto c’è il pericolo di mettere a punto una politica che non trova strumenti adeguati. La scelta di posizionare tale politica nel 2° pilastro è sbagliata, in quanto la gestione del rischio è tipicamente una politica del 1° pilastro, ma le incertezze sugli strumenti da adottare – di cui parlavo sopra – non hanno consentito di adottare una politica a carattere diffuso e orizzontale e hanno costretto la Commissione a posizionare la gestione del rischio nel 2° pilastro, cioè in un ambito locale e sperimentale.

Giacomini
Il mio giudizio è totalmente positivo, soprattutto perché introduce dopo tante incertezze da parte della Commissione, e mantenute anche nell’Health check, la stabilizzazione dei redditi mediante la contribuzione a fondi di mutualizzazione. E’ un tema che è stato poco enfatizzato nei commenti finora apparsi sulla nuova PAC, ma che può diventare uno strumento importante per ridurre i rischi di mercato; richiede però, una forte co-responsabilizzazione nella gestione da parte degli Stati membri e degli stessi potenziali beneficiari ed è questa forse la ragione per cui non ha sollecitato l’interesse che, credo, meriti.

Gios
Molto positivamente. Tuttavia la collocazione nel secondo pilastro appare non congrua.

Henke
La collocazione di questo strumento nel secondo pilastro è, a mio avviso, uno dei punti più deboli del pacchetto di nuove proposte, perché la sua collocazione più naturale sarebbe nel primo pilastro. Probabilmente il fatto che sia stata inserita nel secondo pilastro attiene alla possibilità di mantenere la misura facoltativa per gli Stati membri, o comunque di vedere direttamente coinvolti gli Stati membri attraverso il cofinanziamento. Tuttavia la natura più decentrata del secondo pilastro, non solo in Italia ma anche in altri Paesi, tende ad indebolire molto lo strumento alla nascita, perché la complessità delle misure di gestione del rischio avrebbe richiesto un forte e diretto coinvolgimento degli Stati membri, attraverso dei piani nazionali.

Salvatici
Le politiche pubbliche in questo campo sono assai difficili (si veda cosa succede negli Stati Uniti) ed è bene che la Commissione si sia mossa con molta cautela. E’ però difficile capire perché si sia deciso di introdurre le nuove misure nel secondo pilastro.

D.: In sintesi, quali sono a tuo giudizio l’aspetto più positivo e quello più negativo delle proposte di nuova politica agricola per il periodo 2014-2020?


Corsi
L’aspetto più positivo è lo spostamento in direzione di un maggior legame dei pagamenti diretti con la produzione di esternalità positive; possiamo criticarne le modalità, ma è indubbiamente un grosso passo in avanti, che permette di abbandonare un criterio indifendibile come quello storico. Accanto a questo metterei anche le misure a favore di Ricerca e sviluppo, assieme alla migliore definizione delle politiche di sviluppo rurale. Non vedo un aspetto fortemente negativo, se non quello della timidezza nell’andare verso il cambiamento, che rischia di lasciare spazio a modificazioni decisamente più negative nella negoziazione successiva (ad esempio, ad una impostazione che richieda puramente e semplicemente trasferimento di reddito senza contropartite alle aziende - magari a quelle precedentemente maggiormente beneficiate- o addirittura verso il riaccoppiamento).

De Filippis
L’aspetto più positivo è il tentativo di rendere selettivo il sistema di pagamenti diretti, nel quadro di un ragionevole processo di regionalizzazione a livello nazionale e del mantenimento del disaccoppiamento come principio guida; gli aspetti più negativi sono un meccanismo di convergenza squilibrato che non accontenta nessuno e, soprattutto, una declinazione pessima del greening, che è la caricatura della produzione di beni pubblici e che, dunque, rischia di travolgerlo. Più in generale, è poco rassicurante la sensazione di una proposta politicamente debole, frutto di una navigazione a vista e di tante modifiche dell’ultima ora, che rende vulnerabile la PAC nel successivo negoziato sul bilancio.

Frascarelli
Gli aspetti più positivi sono la regionalizzazione e lo spacchettamento dei pagamenti in più componenti.
Gli aspetti più negativi sono la convergenza dei pagamenti diretti, l’attuale definizione di greening e di agricoltore attivo, nonché l’indeterminatezza delle politiche di mercato, compresa la gestione del rischio.

Giacomini
L’aspetto positivo della riforma Ciolos (si potrà chiamare cosi ??), a mio avviso, è che segna un passo avanti rispetto alle precedenti politiche per affermare e consolidare il ruolo che l’agricoltura svolge nella produzione di beni pubblici, concorrendo a giustificarne il sostegno attraverso i trasferimenti diretti. In questo contesto, si possono capire le ragioni, ma si deve constatare, che la politica di sviluppo rurale continua ad essere fortemente penalizzata rispetto alle risorse assegnate al I° pilastro.
L’aspetto negativo della riforma Ciolos è che sembra anche questa, come la precedente, ma in maniera molto più evidente, perche proposta nel mezzo della più grave crisi mondiale, completamente staccata da questa, a meno che non si considerino i pagamenti diretti una forma di sussidio sociale, che non è certamente l’obiettivo per cui sono stati concepiti.

Gios
Aspetto più positivo: riduzione nel menù di misure. Aspetto più negativo: ulteriore burocratizzazione.

Henke
In generale, il mio giudizio sulla proposta di riforma è moderatamente positivo, ma credo che siamo di fronte ad un pacchetto ancora piuttosto instabile, che potrebbe modificarsi non di poco in fase finale di approvazione. Il giudizio positivo è più rispetto all’approccio che non riguardo al merito degli strumenti: trovo giusto il principio dello spacchettamento del pagamento unico, è condivisibile una PAC più “verde” e una politica di sviluppo rurale più integrata come le altre politiche strutturali. Come tutto ciò si possa realizzare, attraverso gli strumenti messi in campo, è una questione a mio avviso tutta da verificare.

Salvatici
E’ molto positivo che si cerchi, finalmente, di indirizzare i pagamenti diretti per conseguire un qualche obiettivo; ma la gestione prevista da Bruxelles continua ad essere basata sul parametro più facilmente osservabile, la superficie fondiaria, e i tentativi di associare a tale parametro le esternalità ambientali sembrano assai dubbi. Più in generale, è assai negativo che non ci si occupi di molto altro in aggiunta ai pagamenti diretti e, in parte, dello sviluppo rurale. Sembra incredibile, ad esempio, che nel discutere della riforma della politica agraria di un soggetto così grande e importante come l’UE non si menzionino questioni come la situazione dei mercati internazionali dei prodotti agricoli, gli accordi commerciali, i bio-combustibili…da vent’anni, ormai, la PAC è come “schiacciata” dalla sua componente finanziaria più rilevante: i pagamenti diretti.

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Commenti

Concordo pienamente con il Prof. Frascarelli soprattutto sugli aspetti positivi che sono la regionalizzazione e lo spacchettamento dei pagamenti in più componenti.
Gli aspetti negativi sono la convergenza dei pagamenti diretti, l'attuale definizione di greening e di agricoltore attivo, nonché l'indeterminatezza delle politiche di mercato, compresa la gestione del rischio

Commento originariamente inviato da 'Bonino Mario' in data 13/01/2012.

Una critica a organizzazioni di settore (sindacati agricoli, cooperative, ecc...) che non hanno voluto coinvolgere direttamente gli agricoltori nel dibattito sulla nuova PAC. E' un errore pensare sempre che l'agricoltore è un ignorante e che non merita di essere coinvolto nelle decisioni che lo riguardano.
Grazie invece a voi che in questo modo ci date voce.

Commento originariamente inviato da 'Giuliano' in data 13/01/2012.