Introduzione
Cosa debba intendersi per settore agricolo, sia in senso stretto, sia includendovi le attività produttive della caccia, della silvicoltura e della pesca, non ha una risposta univoca, né a livello delle statistiche ufficiali (contabilità economica nazionale, contabilità economica europea, censimenti etc.), né in altri contesti pubblici, come ad esempio nella normativa tributaria.
Si tratta in sostanza di definire il concetto di produzione da un lato e di produttore agricolo dall’altro.
Per quanto riguarda il primo punto i principali problemi possono essere così sintetizzati:
- in primo luogo lo stesso concetto di prodotto agricolo presenta delle ambiguità in relazione alle operazioni di trasformazione che possono essere compiute sia a livello della stessa azienda che produce la materia prima, sia presso altre aziende che non la producono. Il prodotto finale è lo stesso ma le modalità di produzione sono diverse. Si tratta principalmente del confine tra il settore agricolo ed il settore alimentare, di cui gli esempi più noti sono l’olio ed il vino;
- in secondo luogo occorre specificare la collocazione di tutta una serie di attività che sono a valle della produzione agricola vera e propria (c.d. attività di supporto), ma che potrebbero riferirsi anche altri contesti;
- infine si tratta di risolvere il problema, meramente tecnico, del trattamento della produzione congiunta di beni agricoli e non agricoli. Mentre infatti, i beni e servizi prodotti, sono sempre merceologicamente identificabili, non è garantito che siano altrettanto separabili i relativi costi; di conseguenza, comunque lo si risolva, si avrà sempre un elemento di disomogeneità nel calcolo del valore aggiunto del settore;
Peraltro, fino a questo punto, si è di fronte a questioni sostanzialmente di mera classificazione; ben diverso è invece il nodo relativo al problema, se nel settore agricolo debbano essere compresi tutti i beni e servizi di natura agricola da chiunque prodotti, oppure soltanto quelli prodotti da chi può essere classificato come imprenditore agricolo nel senso economico del termine1.
In effetti una peculiarità dei beni agricoli, che non si riscontra in quasi nessun altro settore economico, sta nel fatto che possono essere prodotti anche in assenza di qualsiasi forma organizzativa e persino in modo del tutto spontaneo (i frutti selvatici, il miele delle api e via dicendo). Scegliere l’una o l’altra soluzione significa ipotizzare due diversi scenari; il primo ha riguardo alla disponibilità complessiva dei beni e servizi agricoli, il secondo soltanto a quelli riferibili a un determinato modo di produzione, all’interno di un sistema economico a carattere prevalentemente monetario.
Come questi problemi siano stati risolti nell’ambito delle diverse rappresentazioni ufficiali del sistema economico dell’agricoltura2 è l’oggetto di questo lavoro.
La classificazione delle attività economiche e la struttura del settore agricolo
Lo schema ufficiale che identifica la struttura merceologica dell’intero sistema economico viene elaborato a livello dell’Unione Europea e va sotto il nome di “Classificazione delle Attività Economiche” (Ateco) la cui ultima versione è stata pubblicata nel 2007 (Istat, 2009). Essa costituisce la base per la costruzione dei conti economici nazionali a livello di settore economico (branca di attività).
Tale schema viene utilizzato per la elaborazione di due distinte versioni del conto economico dell’agricoltura, relativamente alla produzione ed al valore aggiunto: il c.d. Quadro Centrale che rileva ai fini della costruzione dei Conti economici nazionali ed il Conto Satellite che rileva ai fini della costruzione dei conti del settore a livello UE (Cea) (Istat, 2011a e Istat, 2012).
Nel Quadro Centrale la produzione agricola è considerata nel suo insieme complessivo, indipendentemente dal modo di produzione e dalla natura economico-giuridica del produttore3. Le tavole relative, elaborate, più o meno contestualmente ai conti economici nazionali, sono pubblicate nel datawarehouse dell’Istat (Istat, 2013b) sia a livello nazionale che regionale; i valori sono calcolati ai prezzi base e sono disponibili ai prezzi correnti, ai prezzi dell’anno precedente e a valori concatenati, con il 2005 come anno di riferimento.
Le tavole hanno un dettaglio per prodotto, inclusi i servizi di supporto, ai fini del calcolo della produzione complessiva ed un dettaglio per tipologia di beni ai fini del calcolo dei consumi intermedi. I totali della produzione, e del relativo valore aggiunto, distinti per gli aggregati tradizionali dell’agricoltura, inclusa la caccia, della silvicoltura e della pesca transitano poi nei conti nazionali ossia nelle tavole per branca di attività economica, in cui sono disponibili anche ai prezzi al produttore ed al costo dei fattori (Istat, 2013a).
Nel Quadro Centrale, seguendo sostanzialmente quanto indicato nella classificazione ufficiale delle attività economiche, la distinzione tra prodotti agricoli e prodotti che derivano dalla trasformazione dei primi (per lo più prodotti alimentari) viene effettuata secondo due distinti ed in parte concorrenti criteri:
- in primo luogo deve verificarsi una condizione di separabilità, lato costi, tra “materia prima” e prodotto trasformato; se ciò non è possibile il valore dei prodotti trasformati, viene aggiunto al valore della produzione agricola in senso stretto; si tratta delle cosiddette “attività secondarie positive”, che includono la trasformazione del latte, della frutta, della carne e delle attività agrituristiche, che in un certo senso rappresentano una “trasformazione” dell’intera attività dell’azienda agricola; vale anche il contrario: prodotti agricoli “nati” in imprese non agricole e non separabili dalle altre attività dell’impresa stessa vengono imputati alle altre branche dell’attività economica (c.d. attività secondarie negative);
- in secondo luogo anche se esiste la possibilità di una separazione tra le due tipologie di prodotti, si tende almeno nei casi più significativi a classificare nel settore agricolo quei prodotti che derivano dall’utilizzo di “materie prime” prodotte dalla stessa azienda che le trasforma. Gli esempi più noti sono costituiti dall’olio e dal vino, classificati nel settore agricolo se prodotti con olive e uve proprie o altrimenti nel settore alimentare.
Il Quadro Centrale quindi si presenta come esaustivo dal punto di vista della produzione e quasi esaustivo per quanto riguarda il valore aggiunto, per la presenza della attività secondarie negative anche se il loro peso è abbastanza modesto; nel periodo 2002 -2012 sono state pari in media al 2% della produzione totale. Altrettanto si può dire per le attività secondarie positive (intorno al 3%).
Pertanto ci si trova di fronte ad una pluralità di produttori: l’impresa nel senso tradizionale del termine, le piccolissime “imprese” (aziende con Sau inferiore a 1 ettaro e produzione vendibile inferiore a 2066 euro), gli orti familiari, i piccoli allevamenti familiari etc..
Si tratta di realtà economiche abbastanza diverse e se il peso dei piccoli può essere modesto, ma l’Istat non pubblica alcuna disaggregazione in merito, non c’è dubbio che siano stati amalgamati mondi che potrebbero avere obiettivi e comportamenti molto differenti (Cristofaro, 2013).
E’ superfluo dire che anche le altre variabili non incluse tecnicamente nel quadro centrale, come l’occupazione, i redditi da lavoro dipendente, gli ammortamenti etc. seguono gli stessi criteri4.
Il Conto Satellite racconta invece un’altra storia5; l’ottica è quella di privilegiare l’impresa, anche se questa viene identificata con criteri meramente dimensionali e forse non potrebbe essere altrimenti.
Di conseguenza dal Conto Satellite sono escluse le produzioni ed i costi relativi alle piccolissime aziende, come sopra definite, agli orti familiari, ed ai piccoli allevamenti familiari.
Purtuttavia anche con queste restrizioni il mondo descritto nel Conto Satellite è tutt’altro che omogeneo, perché non tutte le “imprese” hanno lo stesso peso, né gli stessi obiettivi (Arzeni A., Sotte F., 2013)
Non sono peraltro queste le uniche differenze del Conto Satellite rispetto al Quadro Centrale; a livello di prodotto nel primo sono inclusi il vino e l’olio prodotti dalle cooperative di trasformazione ed è escluso il contoterzismo puro6.
Peraltro, fatte tutte le somme e sottrazioni, il valore aggiunto aggregato non risulta molto diverso; come si può vedere dalla tabella 1, i valori del Quadro Centrale, per il periodo 2002 – 2011, sono stati sempre superiori a quelli del Conto Satellite, con uno scarto tra il 2% ed il 3%, con una tendenza ad ampliarsi negli ultimi anni.
I dati del Quadro Centrale come quelli del Conto Satellite sono disponibili anche a livello regionale, ma soltanto ai prezzi base.
Tabella 1 - Agricoltura e caccia, valore aggiunto ai prezzi del produttore (Valori correnti in milioni di euro)
Fonte: Istat ed Eurostat
Dal valore aggiunto al reddito d’impresa
I dati di contabilità nazionale, per ciascun settore di attività economica, sia a livello nazionale che regionale (Istat, 2013e), permettono, come è noto, la ripartizione del valore aggiunto tra i redditi da lavoro dipendente da un lato ed il risultato lordo di gestione dall’altro, anche se questa variabile non è formalmente esplicitata. Per il solo livello nazionale, non essendo disponibili gli ammortamenti a livello regionale, è anche possibile calcolare il risultato netto di gestione (Istat, 2013f).
Viene poi normalmente elaborata, nell’ambito delle “misure di produttività”, la distribuzione del valore aggiunto lordo tra redditi da lavoro (dipendente ed autonomo) e redditi imputabili al fattore capitale per il solo livello nazionale (Istat, 2013c).
Tali elaborazioni peraltro non vanno aldilà dell’aggregato Acsp, e soprattutto sono solo indirettamente collegate con un concetto di reddito d’impresa in senso aziendale del termine. In altre parole sono adatte soltanto ad analisi di natura macroeconomica, malgrado il dettaglio dei beni e servizi venduti ed acquistati, di cui si è detto in precedenza.
Un passo avanti verso una maggiore considerazione, a livello delle statistiche economiche, dell’impresa come unità centrale della struttura della produzione è compiuto nell’indagine sui risultati economici delle aziende agricole, effettuata annualmente dall’Istat in collaborazione con l’Inea (Istat, 2013d). Si tratta di un’indagine campionaria i cui risultati vengono estrapolati a livello dell’universo di riferimento e di cui darà conto in maniera più ampia l’articolo di Irene Tommasi e Massimo D’Orazio in questo stesso numero.
Comunque le sue caratteristiche principali possono essere così sintetizzate:
- l’indagine riguarda un campione di aziende agricole, ossia comprese nella divisione 01 della Classificazione delle attività economiche, con Sau superiore a 1 ettaro e produzione vendibile superiore a 2066 euro; si tratta quindi di un insieme a mezza strada tra il Quadro Centrale (mancano i piccoli) e il Conto Satellite (mancano le cooperative di trasformazione);
- i dati coprono il periodo 2003 – 2011;
- le variabili prese in considerazione sono la produzione, il valore aggiunto, i redditi da lavoro dipendente, i contributi alla produzione, i contributi sociali a carico dei lavoratori indipendenti, le unità di lavoro, il numero delle aziende;
- tutte queste variabili si ritrovano anche nei dati della contabilità nazionale, con l’eccezione dei contributi sociali, ma nell’indagine ne viene fatta un’analisi per classi di fatturato, per classi di unità di lavoro, per Ote, per forma di conduzione, per forma giuridica, per tipologia di attività e per ripartizione geografica.
L’indagine peraltro non definisce un reddito aziendale in senso tecnico del termine, ma si limita a ritoccare il “risultato lordo di gestione” della contabilità economica nazionale aggiungendo i contributi alla produzione e sottraendo i contributi sociali. Non vengono infatti presi in considerazione né gli ammortamenti, che pure sono una variabile particolarmente “sensibile” nel settore agricolo. né gli aspetti finanziari, come ad esempio gli interessi passivi; di conseguenza non è possibile distinguere le aziende a seconda che siano in utile o in perdita, fenomeno quest’ultimo di qualche rilevanza, come si vedrà in un altro contesto (Cristofaro, 2014).
Riferimenti bibliografici
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Arzeni A., Sotte F. (2013), Imprese e non-imprese nell’agricoltura italiana, Gruppo 2013 Working Paper n.20
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Cristofaro A. (2013), Proprietà della terra ed impresa agricola: i nodi della politica tributaria, Agriregionieuropa, n. 33
-
Cristofaro A. (2014), Produzione, produttori e redditi: cosa dicono le statistiche tributarie, Agriregionieuropa, n. 36
-
Istat (2009), Classificazione delle attività economiche Ateco 2007, Roma [link]
-
Istat (2011a), La revisione dei conti nazionali in generale e della branca agricoltura [link]
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Istat (2012), Valore aggiunto ai prezzi base dell’agricoltura per regione, anni 1980 – 2011. Nota informativa [link]
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Istat (2013a), Aggregati dei conti nazionali annuali per branca di attività economica [link]
-
Istat (2013b), Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto di agricoltura, silvicoltura e pesca [link]
-
Istat (2013d), I risultati economici delle aziende agricole (Rica-Rea) [link], [link]
-
Istat (2013e), Aggregati dei conti territoriali per branca di attività economica [link]
-
Istat (2013f), Investimenti fissi lordi, stock di capitale e ammortamenti per branca proprietaria [link]
-
Istat (2013g), Sequenza dei conti per settore istituzionale [link]
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Rocchi B., Stefani G. (1997), L’agricoltura nei settori istituzionali e nelle branche dei nuovi sistemi di contabilità nazionale, Economia agro-alimentare, n.1
-
Rocchi B., Stefani G. (2000), I conti economici dell’agricoltura toscana, Edizioni Regione Toscana
- 1. Almeno nella definizione standard di chi organizza i fattori di produzione (capitale e lavoro) per produrre beni e servizi ed affronta i rischi del mercato, come figura implicitamente o esplicitamente in qualunque manuale di microeconomia.
- 2. Con il termine agricoltura si intende sempre, se non diversamente specificato, l’aggregato Agricoltura, Caccia, Silvicoltura e Pesca (Acsp), corrispondente alla sezione A della Classificazione delle attività economiche più il gruppo 55.20.52 (attività di alloggio connesse alle aziende agricole) che fa parte della sezione I (attività dei servizi di alloggio e di ristorazione).
- 3. Per un ampia analisi del trattamento del settore agricolo secondo le metodologie della contabilità economica nazionale cfr. Rocchi B., Stefani G. (2000).
- 4. Si noti che i dati del Quadro Centrale (produzione, consumi intermedi, valore aggiunto) si riferiscono al periodo 1980-2012, (Istat, 2013b) mentre per le altre variabili i conti nazionali coprono il periodo 1990-2012 (Istat, 2013a).
- 5. L’Istat non pubblica ufficialmente il Conto Satellite, i cui dati peraltro figurano, come si è detto, nel conto economico dell’agricoltura, elaborato a livello europeo (Eurostat, 2013).
- 6. Si noti che questa impostazione contrasta con quanto indicato nella classificazione delle attività economiche, che includono l’olio e il vino prodotto dalle cooperative nel settore alimentare ed il contoterzismo tra le “attività di supporto” del settore agricolo.
Commenti
Gaspare Scarpinato
Sab, 16/03/2019 - 12:46
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