Nei giorni 14 e 15 aprile 2005, la Facoltà di Agraria di Perugia ha organizzato un convegno dal titolo “Ricerca nell'area delle Scienze Agrarie: stato dell'arte e prospettive”. Il Convegno, alla luce dei significativi cambiamenti in atto nel sistema universitario e dei decisi mutamenti di ruolo individuati per il settore primario, aveva l'obiettivo di fare incontrare i ricercatori delle Facoltà di Agraria italiane al fine di discutere sulle esigenze generali della ricerca e su quelle puntuali dell'area agroalimentare ed ambientale. Di seguito, una generale sintesi di quanto emerso durante l'incontro, ampliata con alcune considerazioni personali.
Ricerca e sviluppo
La ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica rappresentano il motore dello sviluppo per i prossimi anni. Questa affermazione è diventata il motivo di fondo di qualsiasi dichiarazione inerente alle prospettive di crescita e di sviluppo di sistemi sociali ed economici.
In effetti, la crescente accelerazione dei principi sui quali è fondata la convivenza dell'uomo e, di conseguenza, dell'organizzazione sociale, politica ed economica del mondo stanno determinando incisive modifiche delle modalità tecnico-organizzative dei processi produttivi, delle caratteristiche del mercato del lavoro, del comportamento dei consumatori, del livello di competizione internazionale, dei criteri di intervento dei decisori pubblici. Si stanno evidenziando, inoltre, esigenze per superare la contrapposizione tra espansione dell'economia e localismo politico, per una profonda revisione del dualismo tra pubblico e privato, per determinare una maggiore equità nelle condizioni socio-economiche dell'umanità, per individuare percorsi di sviluppo sostenibile anche in termini ambientali. Si stanno, cioè, modificando i riferimenti dello sviluppo capitalistico dell'epoca moderna.
All'interno di questi eventi e alla luce della complessità e del dinamismo che li caratterizzano, il controllo dei flussi informativi scientifici e tecnologici si sta proponendo come strumento fondamentale di sviluppo. Una nuova mano invisibile, quella della conoscenza, che insieme alla mano invisibile del mercato sta guidando il passaggio verso il nuovo mondo. Un mondo in cui le categorie delle idee e delle conoscenze intellettuali stanno sostituendo quelle delle quantità fisiche, facendo sì che il benessere materiale di un sistema, piuttosto che dalla produzione di merci e di servizi, sia determinato dalla conoscenza.
La scienza, dunque, assume direttamente un valore d'uso nella costruzione della ricchezza ed acquisisce in modo chiaro i connotati di forza produttiva. Si potrebbe dire: a di nuovo, in quanto l'esigenza di conoscere per decidere e per agire è vecchia quanto l'uomo. In realtà, la forma complessa che ha assunto lo sviluppo ed i connessi rapporti interpersonali pongono, oggi più che mai, l'esigenza di supportare in termini strategici questo “modo nuovo di produrre”.
Queste considerazioni sono valide per tutti i settori produttivi; anche per quello agro-alimentare. Anzi, di fronte alla crescente difficoltà che incontrano le nostre imprese del settore ad essere competitive sul mercato internazionale, la direzione strategica di incrementare, per esse, il ruolo della conoscenza risulterà molto realisticamente un fattore di forte vantaggio. Accettare queste considerazioni non significa, comunque, che sia anche facile centrare l'obiettivo di fondare l'economia sulla conoscenza. In effetti, la possibilità di dare origine ad un mutamento radicale del rapporto tra produzione di valore e produzione e gestione della conoscenza rende necessari una serie di adattamenti che, al momento attuale, sembrano tutt'altro che semplici.
La conoscenza è un fattore di aggregazione
In primo luogo, è necessario che l'intero sistema paese inizi a sostenere fermamente la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica. Non basta più parlarne diffusamente soltanto in termini di prospettiva, come sinora si è fatto. La politica, le imprese, il mondo della ricerca devono muoversi in modo concertato in quanto i maggiori impegni per la ricerca che si renderanno necessari potranno essere legittimati soltanto se la società civile, oltre ad essere beneficiaria dei risultati, si sentirà protagonista nelle scelte della comunità scientifica. Avendo, tra l'altro, presente che la funzione della ricerca non può essere quella esclusiva di contribuire alla competitività economica di un paese. E' un ruolo necessario, ma oltre a questa fondamentale capacità, la ricerca deve essere in grado di alimentare l'atmosfera che è alla base dello sviluppo. Non è solo il livello assoluto delle conoscenze scientifiche a rappresentare un elemento di freno o di sviluppo, ma anche la natura e l'entità della ricerca che viene svolta, la varietà delle conoscenze acquisite, il loro grado di diffusione, la disponibilità delle informazioni per migliorare le conoscenze, i linguaggi utilizzati dalle varie discipline, la capacità di comunicazione tra i vari linguaggi, il livello di partecipazione alla conoscenza dei vari soggetti, sociali ed istituzionali e, forse, anche la capacità di autocritica degli stessi scienziati. In sostanza, il livello culturale di un paese ed il suo stato di coesione sociale sono altrettanto importanti per lo sviluppo.
Verso un modello innovativo del sistema universitario
In secondo luogo, e forse ancora più importante, sarà necessario interpretare in modo innovativo il ruolo e gli atteggiamenti delle strutture alla base della conoscenza; prima tra tutte, quella nelle quali è centrale per la produzione scientifica: l'università. E', quindi, necessario un dibattito profondo e partecipato per individuare il modello universitario che può essere più utile per la nostra società. Cercando, così, di uscire da quello stato di indecisione che oggi caratterizza le prospettive dell'accademia, soprattutto perché è difficile dare risposte efficaci a quesiti quali, ad esempio: l'università deve essere un'istituzione culturale che ha come referente principale la comunità scientifica? Oppure, deve assumere le caratteristiche di agenzia pubblica capace di creare direttamente le condizioni per lo sviluppo? Le attività di ricerca e di didattica devono essere saldamente connesse in tutte le sedi accademiche, o è possibile ipotizzare la presenza di realtà che si occupano solo di formazione ed altre solo di ricerca? Il ruolo degli studenti deve essere esclusivamente quello di apprendere o è possibile ipotizzare un'università che sia una learning community? In mancanza di risposte appropriate, non è possibile fissare in modo certo il ruolo della ricerca nelle università.
Questioni alla base del rinnovamento del sistema ricerca
La possibilità di chiarire il ruolo strategico dell'università è una condizione necessaria per procedere alla razionalizzazione del sistema ricerca, ma non è sufficiente, in quanto è doveroso trovare risposte valide a questioni peculiari dello stesso sistema.
Senza la ricerca di base la tecnologia non migliora
Tra le questioni di rilievo, una prima concerne la distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata. Se l'attività scientifica sia condotta con lo scopo essenziale di far progredire le conoscenze, indipendentemente dalle applicazioni che è in grado di generare, oppure sia realizzata avendo una finalizzazione ben definita, è una questione intrinseca alla ricerca. Anche se è più fondata la posizione di coloro che sostengono che non esiste distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata, ma solo l'applicazione della ricerca.
Non si può, però, disconoscere come, nel corso degli ultimi lustri, la crescente consapevolezza del ruolo strategico che la conoscenza può svolgere per lo sviluppo e per la soddisfazione dei bisogni della società abbia spostato l'attenzione del decisore pubblico verso la ricerca finalizzata, rendendo meno visibile l'intervento diretto per la ricerca di base. Tendenza che, comunque, è sottoposta ad un vivace dibattito critico. Non solo da parte della comunità scientifica, ma anche il decisore europeo evidenzia che il sostegno diretto alla ricerca di base è fondamentale per più di un motivo. Tra questi, perché si riconosce ad essa l'impatto, anche se non immediato, sullo sviluppo e sulla competitività di qualsiasi sistema socio-economico. Le conoscenze che derivano dalla ricerca di base sono considerate come un "bene pubblico", caratterizzate da alta complessità dei problemi trattati e, anche per questo, da costi elevati. Caratteri che, avendo bassa attenzione dal settore privato, richiedono un crescente coinvolgimento del soggetto pubblico. La ricerca di base, inoltre, esercita un ruolo chiave nella formazione dei ricercatori che, soltanto attraverso la sua frequentazione, possono acquisire la conoscenza delle regole e delle tecniche delle varie discipline e potenziare la propria “cassetta degli attrezzi”, al fine di utilizzarla per tutta la carriera. Un beneficio primario per la società.
Per la crescita economica di un paese, dunque, è indispensabile che la ricerca produca innovazione utile e che i ricercatori operino a stretto contatto con il mondo reale, senza però relegare in posizione subordinata la ricerca di base.
I problemi complessi richiedono metodi analitici multidisciplinari
Una seconda questione da affrontare riguarda l'esigenza, spesso non soddisfatta, di ricerca complessa. Di fronte al dinamismo sociale, economico, politico ed ecologico, l'efficacia dei risultati della ricerca si misura in funzione della sua capacità analitica di affrontare la complessità che si trova di fronte. Se il miglioramento della conoscenza si propone in termini complessi, altrettanto complesse devono essere le modalità analitiche attraverso le quali si cerca di incrementarla e, per questo, risulta sempre più urgente abbandonare la concezione meccanicistica e lineare del pensiero razionale che prevale, ancora oggi, nella nostra cultura scientifica. In sostanza, l'esigenza di ricerca interdisciplinare è un dato di fatto ormai indiscutibile. Il vero problema riguarda le modalità attraverso le quali si organizza l'interdisciplinarità.
A tale proposito, esiste un problema di tipo istituzionale. Ad esempio, la struttura universitaria della ricerca è basata sui dipartimenti, che sono istituiti, generalmente, sull'affinità scientifica dei componenti, affinità che è figlia dell'impostazione unidisciplinare che si vorrebbe superare. Sarebbe vantaggioso, quindi, iniziare a pensare ad organizzazioni più flessibili delle istituzioni universitarie, tali che sia facile, per i ricercatori, mettere in comune le conoscenze e lavorare insieme.
Per realizzare un confronto più aperto è indispensabile allargare gli orizzonti spaziali del dibattito scientifico, verso la dimensione internazionale. Tanto più vasto è lo spazio di riferimento e tanto maggiori sono le possibilità di rintracciare competenze scientifiche utili ad affrontare le questioni complesse; anche perché questo ampliamento di orizzonti permette di far cooperare non solo competenze scientifiche diversificate, ma mette a confronto anche culture multiple e, quindi, metodologie e procedure di analisi che possono integrarsi positivamente.
Affinché la conoscenza si sviluppi in modo complesso è, però, necessario che venga acquisita la consapevolezza che natura, scienza e società non sono entità distinte: la natura con le sue leggi, la scienza con i suoi esperimenti e la società con i propri bisogni. Il gioco tra queste entità è unico. Certo, è un gioco complesso e non causale che sembra proporsi in modo tale che una verità non sia più valida di qualunque altra e che nessuna verità è conquistata una volta per tutte. In questo gioco, lo scienziato deve essere consapevole dell'esigenza di dover svolgere un ruolo innovativo, da reinventare, anche aprendo le porte chiuse all'inizio dell'epoca moderna con l'approccio riduzionista.
Il confronto scientifico internazionale è utile per lo sviluppo locale
L'esigenza di sviluppare centri di eccellenza per la ricerca rappresenta un'altra questione prioritaria. Le peculiarità che dovrebbero essere proprie di un centro di eccellenza sono diverse: produrre risultati utili a definire innovazioni riconosciute dalla comunità scientifica e dall'utenza operativa a livello nazionale ed internazionale, acquisire un'alta visibilità a livello internazionale, essere capace di attrarre risorse finanziarie dal pubblico e dal privato nazionale ed internazionale, dotarsi di risorse umane di riconosciuta qualità scientifica attirando ricercatori da qualsiasi parte del mondo, possedere una struttura organizzativa che permette di seguire il dinamismo della società, essere in grado di mantenere la posizione di eccellenza nel corso degli anni e di inserirsi in modo attivo nelle reti dell'eccellenza.
Al di là delle constatazioni che l'eccellenza non si costruisce per decreto, come a volte potrebbe sembrare, non si ottiene soltanto avendo a disposizione risorse finanziarie maggiori e che la sua definizione ha bisogno, in ogni caso, di strutture operative meno frammentate di quelle presenti, una questione particolare riguarda il modo in cui è possibile rendere conciliabili i caratteri dell'eccellenza sopra ricordati con un sistema di ricerca che vuole sviluppare un proficuo rapporto con il sistema operativo locale.
A tal fine, è necessaria la frequentazione di nuovi modelli organizzativi, in grado di collocarsi efficacemente all'interno del nuovo modello di sviluppo culturale, sociale ed economico che sta caratterizzando la nostra società. Alla base di tale convinzione vi è la consapevolezza del fatto che una delle direzioni di sviluppo più interessanti che si vanno proponendo all'attenzione della società civile è fondata sul ruolo strategico che i sistemi locali possono svolgere per affrontare la dimensione, sfuggente, della globalizzazione. In altri termini, di fronte alla crescente competitività internazionale, la vitalità di ogni sistema e delle sue componenti è correlata al modo in cui si riusciranno a sfruttare le peculiarità territoriali, sociali, economiche e culturali del sistema stesso. Il modo vincente che si intravede è quello di una forte integrazione organizzativa e gestionale di tutte queste componenti. La ricerca non può che avere un ruolo prioritario; l'università, un compito di primissimo piano.
Per la natura delle proprie attività, infatti, l'università deve rappresentare la componente nodale attorno alla quale realizzare il modello di sviluppo ricordato. Nei confronti del sistema locale, deve sviluppare al massimo i rapporti con le istituzioni territoriali, con gli imprenditori locali e con le loro organizzazioni di rappresentanza, con il mondo della scuola e della formazione, con gli enti di sperimentazione pubblici e privati, con le rappresentanze dei consumatori, rapportandosi e confrontandosi con le esigenze degli stessi.
Il legame con il sistema locale può essere reso operativo attraverso la realizzazione di progetti specifici, definiti in modo cooperativo ed attuati in termini collaborativi con le varie componenti del sistema. Progetti indirizzati, ad esempio, a monitorare i fabbisogni formativi e professionali; a realizzare percorsi di alta formazione, di orientamento professionale e di aggiornamento ricorrente; a p omuovere la ricerca finalizzata, la diffusione ed il trasferimento delle innovazioni; ad incentivare la diffusione di servizi di informazione, di consulenza e di assistenza scientifica e tecnologica alle imprese; a far sviluppare attività di laboratorio e di certificazione per rispondere alle sempre più sentite esigenze di qualità della vita dei cittadini; a rispondere alle crescenti esigenze di conoscenza della complessità del sistema; a supportare la creazione di programmi pubblici che siano in sintonia con le attese della collettività.
Verso il sistema internazionale, rafforzando la dimensione universale della formazione e della ricerca che le è propria, l'università può svolgere un significativo ruolo per promuovere all'esterno la cultura, le conoscenze scientifiche e tecnologiche del sistema locale e per far acquisire all'interno dello stesso sistema le conoscenze e le innovazioni utili allo sviluppo. In termini operativi, la definizione di accordi quadro utili a realizzare scambi culturali, scientifici e formativi sia per i docenti che per gli studenti, il rafforzamento delle relazioni con gli centri di prestigio internazionale, una particolare attenzione alle realtà, non solo accademiche, dei paesi emergenti, il coinvolgimento in tali azioni dei soggetti del mondo operativo, sono alcuni degli interventi verso i quali dovranno essere dedicati spazi specifici.
Così facendo, cioè individuando i centri di ricerca come indispensabili anelli di congiunzione tra locale e globale, si possono creare numerose opportunità per frequentare in modo più spedito la strada di avvicinamento all'eccellenza.
L'economia della conoscenza ha bisogno di risorse
La qualità e la quantità delle risorse umane costituiscono questioni indicate, giustamente, come discriminanti per il successo di un sistema di ricerca. Centrale, dunque, definire un'efficace strategia per la valorizzazione del capitale umano. Una strategia che dedichi azioni specifiche alla formazione dei ricercatori, al loro accesso nei centri di ricerca, alla trasparenza delle carriere e alle modalità ed entità delle retribuzioni di ricercatori. Altrimenti, i giovani potrebbero non essere attratti dal “mestiere di ricercatore” e la fuga dei cervelli potrebbe essere la manifestazione più evidente. Non che, in un mondo globale, si auspichi un vincolo agli spostamenti dei ricercatori: i membri della comunità scientifica possono andare dove ritengono più opportuno. Anzi, non manca occasione per sottolineare come la bassa mobilità dei nostri ricercatori rappresenti una condizione da superare. Sta il fatto però che se il sistema nazionale non riesce ad essere attrattivo per i ricercatori le condizioni di arretratezza superano quelle di sviluppo.
Il sistema italiano ha un numero di soggetti che si dedicano alla ricerca decisamente inferiore a quello di alcuni paesi simili. Per ogni 1000 lavoratori, meno di 3 operano nella ricerca; nei paesi europei più importanti (Francia, Germania ed Inghilterra) l'indicatore sale a 6. Tra l'altro, con un età avanzata; in Italia, i ricercatori che hanno un'età compresa tra 24 e 34 anni è circa il 5%, mentre quelli con un'età compresa tra 24 e 44 anni sono circa il 29%. Valori bassi, rispetto alla situazione internazionale, ma anche decisamente inferiori a quelli che, ancora in Italia, si rilevavano alla metà degli anni ottanta, quando i ricercatori con età compresa tra 24 e 34 anni erano il 13%, mentre quelli con un'età compresa tra 24 e 44 anni rappresentavano poco meno del 60%.
Il problema è preoccupante in quanto l'impegno, la capacità di sopportare lo sforzo e la stessa ambizione di un ricercatore sono caratteri più decisi nei giovani; mentre, nei meno giovani, non sempre la maggiore esperienza riesce ad essere messa a frutto per il miglioramento della ricerca. Se continuasse questa tendenza verso la senilizzazione, si potrebbe determinare un vuoto strutturale nell'organico dei ricercatori, difficilmente colmabile in tempi brevi, in quanto la formazione dei ricercatori richiede tempo.
La questione della disponibilità delle risorse finanziarie è altrettanto importante; soprattutto se si fa riferimento al fatto che la ricerca, sempre più complessa, è caratterizzata da costi crescenti. La percentuale del prodotto interno lordo che viene impegnata nella ricerca dal sistema Italia è pari a 1,10%, contro il valore medio dell'Europa, pari a 2,05%. Senza considerare le situazioni di punta, come la Svezia (4,20%) o la Finlandia (3,50%). Un ritardo notevole, che risulta molto lontano dall'impegno fissato a Lisbona, accettato anche dall'Italia, secondo il quale si dovrebbe raggiungere, al 2010, il 3%. Dietro il dato generale, però, si cela una situazione ben più articolata. Così, se si esamina come si ripartisce quell'1,10% del pil tra le spese effettuate per la ricerca dal settore pubblico e dal settore privato, si evidenzia che il primo ha investito una quota pari a 0,54%, non discostandosi molto da valore medio europeo, pari allo 0,69%, mentre il segmento privato ha investito lo 0,56%, a fronte dell'1,36% medio europeo. Sicuramente, il sistema pubblico della ricerca può e deve adoperarsi per migliorare l'efficacia della propria spesa, ma è evidente che un salto di qualità deve avvenire, in primo luogo, da parte del mondo delle imprese.
Per chi opera nell'area delle scienze agrarie, il problema delle risorse finanziarie sembra ancora più complesso. E' difficile, infatti, attivare forme di partnership con le imprese, almeno con quelle della fase agricola. I motivi: per troppo tempo è stato assente un modello culturale che abbia favorito una forma collaborativa tra imprese e ricerca; l'innovazione tecnologica nel settore ha, spesso, la connotazione di innovazione non brevettabile; la ricerca in alcuni dei settori dell'agroalimentare ha assunto la natura tipica dei settori maturi. Ciò nonostante, si deve avere il coraggio di promuovere forme di partnership per avere la possibilità di adeguarsi in tempi veloci agli argomenti che la società individua come strategici ed altamente competitivi, quali la salubrità alimentare, le tecnologie per la produzione sostenibile e le biotecnologie. Per questo, è necessario superare le forti inerzie che si rilevano all'interno delle strutture istituzionali della ricerca in funzione della stratificazione dei poteri consolidati e, per contro, che tutti i soggetti che sono interessati allo sviluppo della conoscenza e delle innovazioni facciano squadra. Le università, gli imprenditori innovatori, i finanzieri illuminati, ognuno nel rispetto delle proprie autonomie, hanno la possibilità, tutti, di trarre vantaggi aggiuntivi da un comportamento cooperativo, piuttosto che da un atteggiamento di non confronto.
Migliorare il ruolo della scienza attraverso la valutazione
Ultima questione, ma non per importanza, è la valutazione della ricerca. Se è vero, come lo è, che il sistema ricerca è fondamentale per lo sviluppo sociale, culturale ed economico di un paese, è essenziale ottimizzare l'efficienza e l'efficacia del sistema stesso. A tal fine, la funzione della valutazione è prioritaria, tanto quanto lo è la programmazione delle linee di ricerca. Anzi, nella logica della programmazione strategica, la valutazione diventa il momento basilare per l'organizzazione di tutto il sistema. In sostanza, è necessario che la valutazione si manifesti nelle forme ex-ante, in itinere ed ex-post. Così che sia possibile, da una parte, verificare se si creano soluzioni di discontinuità tra domanda ed offerta di conoscenza, permettendo la messa a punto di interventi fattibili di correzione e, dall'altra, attribuire le risorse a chi produce ricerca di qualità. Rispetto all'esigenza di tali comportamenti, in Italia si registra un significativo ritardo che connota negativamente il nostro sistema rispetto a quelli dei maggiori paesi industrializzati. Diventa non più procrastinabile la messa a punto di un rigoroso ed efficace sistema di valutazione della ricerca.
Come è facile intuire, sono numerose ed impegnative le azioni da intraprendere per valorizzare il ruolo della ricerca, affinché essa possa diventare agente di riferimento per lo sviluppo nei prossimi anni. Per quanto attiene alla ricerca nel campo delle scienze agroalimentari, sono ancora più complessi i processi di avanzamento per ottimizzare i risultati, in quanto, oltre alla necessità di trovare risposte efficaci alle questioni generali ricordate, la stessa ricerca dovrà essere in grado di affrontare il profondo cambiamento in atto nel settore.
La ricerca nel settore agroalimentare
La ricerca scientifica è stata sicuramente il maggiore artefice del progresso del sistema produttivo agroalimentare, capace di rispondere agli obiettivi che la società europea si era imposti diversi decenni fa. Sostenere il reddito degli operatori del settore e garantire un elevato grado di approvvigionamento alimentare interno, sono le mete raggiunte dal sistema Europa; anche grazie alle numerose ed efficaci innovazioni proposte dalla ricerca. Alla luce dei profondi mutamenti sociali ed economici in atto, il modello agroalimentare fondato sull'incremento della produttività quantitativa dei fattori utilizzati sta, però, evidenziando negli ultimi anni diversi sintomi di inadeguatezza.
Si potrebbe dire, più che dei sintomi, tanto che l'Unione Europea, nel corso degli ultimi dieci anni, ha individuato un percorso di sviluppo del settore centrato su un deciso rinnovamento degli obiettivi da raggiungere. Migliorare la competitività di tutte le imprese, garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti, garantire un equo tenore di vita ai produttori agricoli e la stabilità dei redditi agricoli, potenziare il ruolo degli agricoltori nella gestione delle risorse naturali e del paesaggio, stimolare fonti occupazionali complementari o alternative per la popolazione rurale, contribuire alla coesione economica, sono le nuove mete per l'agroalimentare europeo. Finalità per il raggiungimento delle quali non dovrà venir meno il ruolo della ricerca scientifica, tenendo presente, però, che il passaggio da un'agricoltura centrata sull'incremento delle produttività ad una che deve esercitare un ruolo multifunzionale propone ai ricercatori nuovi scenari di indagine e nuovi problemi, per affrontare i quali è richiesto anche un rinnovamento degli interessi degli operatori del sistema scientifico. A tale proposito, si deve sottolineare che le Facoltà di Agraria, grazie alla varietà di competenze professionali presente al loro interno, presentano un potenziale importante per fornire risposte efficaci ai nuovi problemi del settore. Soprattutto, se i ricercatori saranno capaci di dialogare in modo interdisciplinare per affrontare con successo la complessità che è insita nei nuovi ruoli ai quali è chiamata a rispondere l'agricoltura.
Dalle innovazioni per la produzione agroalimentare…
Una rassegna veloce, sicuramente parziale e non esaustiva, delle esigenze verso le quali la ricerca deve trovare soluzioni efficaci non può che partire dalle esigenze del settore rispetto al suo ruolo tradizionale, quello della produzione. Infatti, nonostante il ruolo multifunzionale, spazi rilevanti si propongono ancora per la ricerca delle produzioni agro-zootecniche che, in ogni caso, dovranno tener conto delle nuove sfide scientifiche che lasciano intravedere le biotecnologie agrarie ed agroalimentari. La ricerca, riguardo all'utilizzo delle biotecnologie, dovrà dare risposte neutrali e convincenti sull'efficacia delle stesse e sulla loro capacità di non incidere negativamente sulla sostenibilità delle risorse naturali e sulla sicurezza alimentare. Tenendo conto, in ogni caso, del dibattito in atto sulla possibilità di mantenere un grado di competitività delle produzioni agroalimentari non solo attraverso l'efficienza delle imprese e dei sistemi, ma anche sfruttando la varietà e la qualità delle nostre produzioni, della nostra cultura e dei nostri territori. Alcuni temi: incrementare la produttività, migliorando le difese contro patogeni e le avversità ambientali, le interazioni piante microbi, soprattutto per l'azoto-fissazione, ridurre i costi e facilitare le pratiche agronomiche; migliorare la composizione e la qualità dei prodotti finali, sino ad arrivare alla coltivazione di piante capaci di produrre beni non alimentari (vaccini, componenti del sangue, vitamine, ormoni e enzimi terapeutici di origine umana o animale, cosmetici e bio-plastiche). Ma anche la realizzazione di modelli di simulazione dei processi produttivi come metodologia di ricerca e di indirizzo delle decisioni politiche.
Con l'intento di superare le problematiche che hanno accompagnato gli anni di fine secolo, nel settore zootecnico, la ricerca dovrà approfondire le conoscenze su sicurezza e qualità delle derrate di origine animale, capacità nutrizionale dell'alimentazione dei capi allevati, tecniche di allevamento sostenibili, miglioramento genetico e salvaguardia della biodiversità, condizioni sanitarie e benessere degli animali, allevamenti tradizionali e non nelle aree marginali.
Soluzioni importanti si attendono dalle ricerche dei settori dell'ingegneria agraria, indirizzate, ad esempio, a valorizzare le tecniche aziendali di irrigazione a basso consumo idrico, a promuovere sistemi di regolazione e controllo delle macchine per ridurre le perdite di prodotto e per migliorarne la conservazione lungo tutta la filiera, a facilitare l'introduzione di sistemi elettronici di controllo e gestione delle macchine e degli impianti, promuovendo i metodi dell'agricoltura di precisione, a realizzare strutture ed infrastrutture efficaci, anche in termini di sostenibilità ambientale.
Le ricerche per la difesa delle produzioni hanno lo scopo primario di contenere gli impatti sull'uomo, sull'ambiente e sulle stesse produzioni. Per questo, è fondamentale proporre principi dotati di elevata efficacia nei confronti delle specie bersaglio, ma a basso rischio ambientale e che non lascino residui nei prodotti vegetali; l'impiego di antagonisti biologici in alternativa al mezzo chimico; l'individuazione di geni di resistenza delle piante ai patogeni; l'uso di sostanze capaci di indurre resistenza nelle piante coltivate. In questo ambito, sono attese risposte efficienti per contrastare il trend positivo delle perdite da avversità biotiche (più del 40% della produzione agricola mondiale), connesse all'intenso sviluppo dell'agricoltura monoculturale su vaste superfici e alle introduzioni di nuovi organismi dannosi a seguito degli intensi scambi del commercio internazionale. Un'esigenza forte, da soddisfare per rispondere adeguatamente all'incremento della domanda mondiale di alimenti, connessa all'evoluzione demografica mondiale e, soprattutto, al miglioramento del livello di sviluppo in molte aree del pianeta.
Gli obiettivi della qualità, della sicurezza e della rintracciabilità degli alimenti lungo tutta la filiera produttiva rendono necessario un impegno crescente dei ricercatori. A tal fine, è importante la definizione di tecniche analitiche rivolte alla descrizione dei parametri estrinseci della qualità e tipicità di un prodotto. Centrale, lo studio nutrizionale degli alimenti, con lo scopo di renderli più rispondenti alle esigenze del consumatore, e le innovazioni di processo volte a migliorare la sicurezza alimentare, con specifica attenzione alla ricerca di modi validi di uso della biodiversità per migliorare processi industriali. Le innovazioni, in ogni caso, dovranno essere realizzate con la finalità di mantenere inalterate le caratteristiche sensoriali dei prodotti. L'esigenza di rendere il prodotto tracciabile dovrà tendere a definire dei marker analitici oggettivi che possano superare e/o integrare le procedure di rintracciabilità “documentale” attu lmente applicate al settore e che permettano di proteggere le produzioni nazionali dalla pirateria commerciale e da altre forme di imitazione. Un impegno particolare dovrà essere rivolto alla valutazione dei sempre più numerosi prodotti alimentari, estremamente manipolati dall'industria, per i quali risulta difficile individuare non solo la tracciabilità, ma anche la natura delle componenti agricole. In questo ambito, per il controllo della sicurezza e dell'origine degli alimenti, un ruolo deciso può essere svolto dalla messa a punto di sistemi di monitoraggio microbiologico.
In ogni caso, le risposte che i ricercatori sapranno dare al mondo reale dovranno essere non solo efficaci in termini tecnici, ma anche efficienti dal punto di vista economico. Per questo, è indispensabile il confronto costante di coloro che seguono le innovazioni tecnologiche con chi si dedica alla ricerca socio-economica. Questi ultimi, dovranno dare risposte a diverse questioni; a titolo di esempio, la possibilità di ridurre i costi di produzione per migliorare il grado di penetrazione nei mercati internazionali; di valorizzare i prodotti tipici e quelli di qualità, cercando di sfruttare la varietà e la peculiarità del territorio; di compendiare le esigenze crescenti di sicurezza del consumatore con un prezzo dei prodotti che risulti accettato tanto delle imprese che dai consumatori; di valutare le direzioni più efficienti e più efficaci per la produzione agricola e per quella industriale rispetto alle dinamiche predominanti della distribuzione commerciale; di valutare in modo quantitativo i compensi che la società deve corrispondere alle imprese per le esternalità positive che generano sul territorio. In questo periodo, di fronte allo stato di incertezza che si registra per le produzioni tradizionali, un'attenzione specifica deve essere rivolta a valutare la possibilità di introdurre e di valorizzare nuovi prodotti, ma anche alla possibilità di valorizzazione di quelli che, comunemente, sono chiamati prodotti secondari. Il contributo della ricerca nel campo sociale ed economico dovrà, inoltre, porre attenzione alle questioni inerenti alle azioni di politica economica a tutti i livelli e per ambiti diffusi: le relazioni internazionali, le politiche ambientali, quelle territoriali e regionali, rendendo sempre meno settoriale il ruolo dei ricercatori di questo segmento di ricerca.
…alle innovazioni per la multifunzionalità
Di certo, di fronte alle mutate esigenze delle nostre società ed al ruolo multifunzionale attribuito al settore primario, un posto di primo piano assumono le ricerche rivolte a migliorare il livello di sostenibilità ambientale delle attività agroalimentari e dei sistemi rurali. Le nuove conoscenze dovranno puntare su innovazioni utili a determinare un ambiente che conservi il massimo di naturalità. Migliorare la comprensione dei meccanismi alla base della crescita e dello sviluppo delle colture; approfondire la conoscenza della dinamica della sostanza organica del terreno e lo studio della dinamica dell'azoto e del fosfato nel sistema suolo-pianta e la loro dispersione nell'ambiente; valorizzare ed ottimizzare la risorsa idrica ai fini irrigui; comprendere a fondo le risposte dell'organismo vegetale a situazioni di fluttuazioni e stress nutrizionali nonché a condizioni ambientali avverse; migliorare l'efficienza nell'uso degli elementi nutritivi; elaborare adeguate strategie di gestione integrata della flora infestante; mettere a punto strutture edili e tecnologie di allevamento per il benessere degli animali.
La ricerca, oltre che verso la sostenibilità delle attività produttive, può fornire un importante contributo anche per la gestione sostenibile dei sistemi territoriali. Alcuni temi, a titolo di esempio: la valorizzazione delle aree protette e dei parchi ed il rapporto funzionale di queste aree con l'agricoltura; la messa a punto di sistemi di monitoraggio ambientale efficaci ed efficienti attraverso l'uso di bioindicatori; la definizione di modelli previsionali e gestionali del sistema idro-meteorologico; lo studio di innovazioni rivolte a incrementare la risorsa idrica disponibile attraverso l'uso a scopo irriguo di acque non convenzionali; la verifica delle possibilità e dei limiti del riciclo di biomasse e/o della produzione agricola al fine dei bio-combustibili, in entrambi i casi per sopperire al crescente costo dei combustibili tradizionali e per fornire risposte operative alle regole disposte dal protocollo di Kyoto; lo studio di tecnologie relative ai trattamenti e alla gestione degli effluenti di origine animale ed al riciclo dei reflui del sistema agricolo-industriale; le analisi rivolte a mantenere un adeguato equilibrio delle biodiversità; le biotecnologie per ottenere organismi efficaci per il biorisanamento dell'ambiente inquinato dai composti diversi.
Valutare e valorizzare le potenzialità endogene dei territori rurali, è uno dei principali obiettivi socio-economici dei prossimi anni. Le azioni da intraprendere allo scopo hanno natura prevalentemente politica, ma il contributo di ricercatori è tutt'altro che secondario. La conoscenza e la valutazione delle opportunità e dei limiti delle componenti fisiche, ambientali ed antropiche del territorio e le interrelazioni tra di esse costituiscono un terreno di confronto importante per i ricercatori da frequentare seguendo un approccio multidisciplinare. I vantaggi che si potrebbero ritrarre: il primo, la possibilità di rafforzare il metodo del confronto tra competenze scientifiche diversificate. Il secondo, la possibilità di partecipare in modo attivo al processo decisionale delle istituzioni, evitando che le scelte vengano effettuate con riferimento esclusivo alla discrezionalità politica, troppo spesso condizionata dal criterio del consenso, piuttosto che dal potere della conoscenza.
Bisogna cambiare rotta
Sono, dunque, molte le domande alle quali si deve rispondere per far avanzare le conoscenze nel settore agroalimentare e, grazie ad esse, per garantire allo stesso settore la vitalità necessaria per confrontarsi in modo efficiente con il sistema internazionale. Senza disconoscere l'impegno già oggi profuso dal sistema della ricerca, è evidente, in ogni caso, che la possibilità di fare anche dell'agroalimentare un settore fondato sulla conoscenza, rende necessario un salto qualitativo della ricerca specifica. Ma la capacità di risposta potrebbe non essere esaustiva, se il sistema della ricerca non riuscirà a superare le inerzie e, soprattutto, i limiti che lo caratterizzano. I tempi necessari al cambiamento non saranno sicuramente brevi. Così come, generalmente, tutt'altro che brevi sono in agricoltura i tempi che intercorrono tra il momento in cui si definisce la domanda di innovazione e quello in cui le imprese possono disporre operativamente della risposta. La natura biologica delle sue attività richiede sperimentazioni che non possono essere realizzate in tempi brevi.
Il fattore tempo costituisce l'elemento che alimenta il circolo vizioso nel quale sembra essersi messo il sistema agroalimentare nazionale. Avendo necessità di risposte immediate, il mondo operativo giudica come non efficienti le indicazioni che provengono dalla ricerca che ha bisogno di tempi di risposta maggiori. La ricerca, da parte sua, si allontana dai problemi del mondo reale non ottenendo un adeguato riconoscimento. Ma questo stato non può continuare; l'esigenza di superarlo è sempre più evidente. Per questo è fondamentale che si definisca un confronto non episodico e non casuale tra mondo operativo e sistema della ricerca, anche pagando un prezzo iniziale: quello di avere una quantità di risposte non alta nei primi tempi. Il confronto, in ogni caso, deve essere rivolto non solo a trovare soluzioni alle questioni che via via si pongono, altrimenti il circolo vizioso non si riuscirà mai a rompere, soprattutto di fronte al dinamismo che caratterizza la società attuale. In confronto, invece, deve essere utile a cercare di anticipare la comparsa delle questioni concrete, esaminando le tendenze dei cambiamenti sociali ed economici e verificando la possibilità di trasformare le conoscenze che si evolvono in tecnologie utili.
E' indispensabile frequentare questa direzione. Non solo per rispondere alle domande fatte dal sistema reale, ma perché tale scelta deve essere alla base di un rinnovamento strategico del comportamento delle imprese agroalimentari. Sino ad ora, infatti, la strategia dell'agroalimentare europeo è stata quella di produrre beni per il consumo interno, avendo una particolare attenzione per l'esportazione degli stessi prodotti. Certo, nella logica della globalizzazione, il commercio internazionale ha sempre più una forte connotazione strategica, ma non è possibile non vedere la crescente difficoltà che incontrano i beni agroalimentari a trovare collocazione, soprattutto quelli che non sono caratterizzati da elementi di specificità o di tipicità. Bisogna, quindi, pensare a modificare la strategia del settore, considerando la produzione agricola, oltre che come strumento per soddisfare la domanda interna, quale mezzo per potenziare lo sviluppo di innovazioni tecnologiche all'interno delle varie filiere agro-alimentari. Sono le innovazioni tecnologiche realizzate per l'agricoltura, l'industria e la distribuzione che dovranno rappresentare il punto di forza per l'esportazione. E' indispensabile operare per definire costantemente nuove tecnologie ed essere, così, sempre tra i primi al mondo. Lo slogan potrebbe essere: “meno spazio all'esportazione di beni maturi, maggiore apertura all'export di beni innovativi”. Si dovrà, cioè, qualificare il settore diffondendo sul circuito internazionale tutti i saperi codificati e contestuali incardinati dentro le varie filiere agro-alimentari. Se iniziamo a frequentare questa direzione, forse potremmo essere pronti quando termineranno, come è probabile, anche gli ultimi interventi di tutela delle imprese del settore.
Il ruolo della ricerca scientifica, per questo, non può essere dimenticato come ancora oggi avviene.