I rischi della liberalizzazione multilaterale, l’apertura del mercato comunitario*
Il negoziato agricolo WTO, da poco ripreso a Ginevra, potrebbe condurre ad un taglio medio della protezione doganale europea del 54-55%, come richiesto dal G20, gruppo negoziale guidato dal Brasile.
Il mercato comunitario è il primo importatore mondiale di prodotti agricoli e rappresenta l’obiettivo commerciale delle grandi aree di produzione agricole. Verso i Paesi europei è diretto quasi il 50% dei prodotti agricoli esportati nel mondo. I flussi commerciali all’interno dell’Europa ammontano a 320 milioni di dollari (+11% dal 2000 al 2005).
Il mercato comunitario è il primo riferimento di destinazione dell’export agricolo sia per l’Italia che per i Paesi terzi mediterranei (PTM). Entrambi subiscono la concorrenza delle aree emergenti. L'impatto della liberalizzazione potrebbe quindi essere consistente sotto il profilo dell'accesso ai mercati:
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sarà alto per i PTM, che beneficiano di accesso preferenziale al mercato UE, con rischi di marginalizzazione e di erosione delle preferenze. Sebbene, i contingenti tariffari a dazio ridotto offerti dall'UE non siano stati finora pienamente utilizzati, anche a causa dei calendari di importazione o dei limiti quantitativi imposti, o delle oggettive difficoltà logistiche e di trasporto, è in alcuni casi significativo il vantaggio commerciale guadagnato dai PTM nel mercato comunitario in termini di minore dazio pagato, e quindi di prezzo finale, rispetto ad altri Paesi terzi;
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la liberalizzazione multilaterale potrebbe portare indubbi svantaggi anche all’Italia all’interno del mercato comunitario, in quanto già da tempo è in atto il processo di posizionamento dei Paesi agricoli emergenti (Sud America, Sud Africa, Cina) nelle nostre tradizionali piazze di destinazione. Ad esempio, in Germania, dove è diretto oltre il 30% dell'export agricolo italiano, preoccupa la crescente presenza del Brasile, che passa da una quota di mercato del 2,7% nel 1996 a circa l'8% nel 2005, quasi pari alla quota italiana.
In realtà, l’avanzata dei Paesi emergenti può essere letta anche in chiave positiva, come creazione di grandi aree di consumo. America Latina, Asia, Paesi nuovi membri dell'Unione Europea sono i mercati più dinamici, nei quali il consumo alimentare mostra interesse non solo per le commodity ma anche per le produzioni di qualità e a maggiore valore aggiunto. Un'altra grande area di sbocco delle esportazioni agricole è la Russia, dove l'Italia ha subito in questi anni una forte caduta di competitività rispetto a Turchia e Cina. L’incremento dei redditi disponibili e la variazione della dieta alimentare favoriscono scelte di acquisto più vicine al canone occidentale.
Tuttavia, oggi non riusciamo ancora a cogliere la crescita della domanda alimentare mondiale. Nel complesso la quota di mercato dell’Italia rispetto al complesso delle esportazioni mondiali di prodotti agricoli è rimasta costante (2,9%) tra 1997 e 2005.
Le grandi aree emergenti fondano la propria forza competitiva non solo sui numeri (grandi estensioni agricole, grandi quantità) che incidono sulla competitività relativa ai prezzi, ma anche su una forte organizzazione produttiva e logistica e sullo sviluppo tecnologico dei trasporti (ad esempio, la diffusione del sistema di condizionamento in atmosfera controllata ha favorito il commercio marittimo di prodotti deperibili).
La principale area geografica specializzata nelle esportazioni agricole (in termini relativi rispetto alle esportazioni totali dell’area) è l’America centro-meridionale, 26,4%, contro una media mondiale dell’8,4%. Il Sud Africa e il Cile sono oggi tra i Paesi in cui è più alta la quota di prodotto agricolo esportato sul prodotto agricolo totale.
Nuove strategie: una priorità per intercettare la domanda internazionale
Finora, le grandi agricolture emergenti si sono avvalse dei benefici della globalizzazione, mentre le aree di produzione tradizionali ne hanno prevalentemente subito gli effetti negativi. In questo scenario internazionale, nuovo sia sul fronte dell’offerta che della domanda, sono necessarie nuove strategie e opportunità di crescita delle imprese, perchè il posizionamento sui mercati esteri è ormai una condizione necessaria, anche a causa della stazionarietà della domanda italiana (ad esempio, la diminuzione dei consumi di ortofrutta in Italia è pari in volume a circa il 7%).
La sfida del Mediterraneo
Grazie alla centralità geografica dell’Italia nel Bacino Mediterraneo, si può considerare vincente la scelta di creare sinergie produttive e commerciali con i Paesi terzi dell’area mediterranea al fine di accrescere la forza competitiva delle produzioni mediterranee nei mercati internazionali attraverso una valorizzazione delle produzioni tipiche delle sponde Nord e Sud.
E’ possibile ipotizzare l’area Euromediterranea non solo come una zona di libero scambio, ma anche come uno “spazio unico di produzione” per le imprese orientate all’esportazione nel quale ottimizzare i punti di complementarità e ridurre i margini di concorrenza? In sintesi: è possibile considerare vantaggioso, anche per le nostre imprese, attivare accordi di filiera per la destinazione internazionale?
Nuova centralità del Mediterraneo
Assistiamo ad una nuova centralità del Mediterraneo. All’Italia, sia per ragioni geografiche che per le relazioni economiche da tempo instaurate, spetta il compito di porsi al centro di questo processo, fondato sui seguenti elementi:
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la nuova centralità degli obiettivi di Barcellona da parte della Commissione Europea, che ha confermato l’impegno per il raggiungimento dell’area di libero scambio;
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la nuova Politica di vicinato, improntata ad un approccio bilaterale diversificato tramite i Piani di azione e lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI). Ciò da un lato riduce la portata politica del rapporto tra UE e Paesi del Mediterraneo (che passano allo status di Paesi vicini, alla pari dei Paesi dell’Est europeo non candidati all’adesione), dall’altro accresce il pragmatismo e l’efficacia degli interventi;
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l'indubbia centralità politica dell’area, per la soluzione dei conflitti storici e nascenti nell’area;
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la nuova centralità geo-economica del Mediterraneo negli scambi via mare per le produzioni internazionali provenienti dall’Oriente, con destinazione i mercati Nord Europei, dove sono allocati i grandi poli di commercializzazione. Già oggi un settimo delle esportazioni mondiali di prodotti deperibili transita per il Mediterraneo (10 milioni di tonnellate di prodotti, secondo l’Ismea).
L’agricoltura italiana, se sostenuta dal tanto atteso potenziamento della rete infrastrutturale e logistica nel nostro territorio, può trarre vantaggio dalle opportunità che vengono dal mare. Per far sì che l’Italia non sia solo il luogo di transito delle merci e delle persone da Sud a Nord, ma costituisca il luogo della valorizzazione, dell’incorporazione di servizi nel prodotto, in una parola dell’attribuzione di valore aggiunto del prodotto agricolo, anche di altre provenienze, con destinazione verso i mercati internazionali. Gli esperti suggeriscono che per la gestione del trasporto marittimo non occorrono grandi volumi di prodotto, ma è necessario che questo possa essere organizzato in container in grado di avvantaggiarsi dei benefici logistici dell'intermodalità.
Il ruolo-chiave dell’Italia, di carattere logistico e organizzativo, può essere individuato nella creazione di servizi intorno al prodotto, la cui tendenza è verso la personalizzazione e la flessibilità in base alle esigenze del cliente. Ad esempio, la IV gamma, secondo una recente pubblicazione della Commissione europea sugli scenari del consumo alimentare, rappresenta la frontiera del comparto ortofrutticolo fresco, e si attende un suo aumento nelle economie avanzate.
Ruolo chiave dell’agricoltura
L’agricoltura è uno dei motori dello sviluppo economico dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. In molti di questi, come Marocco, Siria, Egitto, il comparto primario rappresenta circa il 20% del Pil e il 30% della forza lavoro occupata. Tali Paesi vivono il problema del deficit alimentare, aggravato dalla crescita demografica e dall’esodo rurale, le cui proiezioni fanno prevedere un rischioso incremento delle importazioni cerealicole nei prossimi decenni.
Le due agricolture
Sia l’Italia che i PTM, pur con caratteristiche profondamente diverse, si caratterizzano per la presenza di due agricolture:
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la prima, più diffusa, di tipo tradizionale, con una limitata dimensione economica delle imprese, a gestione familiare; è una tipologia produttiva scarsamente legata alle dinamiche di mercato, ma fornitrice di servizi socio-ambientali di estrema significatività;
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la seconda, innovativa ed orientata al mercato.
Queste due agricolture hanno bisogno di strumenti di intervento diversi, in termini di misure nazionali, comunitarie ed investimenti pubblici e privati. A queste agricolture competono ruoli sociali diversi.
La liberalizzazione non basta a creare sviluppo
La liberalizzazione degli scambi, sia essa generalizzata con un numero limitato di eccezioni che graduale, da sola non crea sviluppo; se non è accompagnata da misure interne di sviluppo agricolo va a vantaggio delle imprese già strutturate per le destinazioni internazionali.
Occorre l’integrazione economica, occorrono investimenti strutturali per rafforzarla. La creazione di una Banca Euromediterranea dovrebbe favorire la concessione di un canale di finanziamento privilegiato per le opere infrastrutturali a beneficio dei sistemi agricoli. Non dobbiamo dimenticare, infatti, i gravi limiti strutturali che condizionano il futuro dell’agricoltura mediterranea: tra questi, le risorse idriche scarse e male utilizzate, la salinizzazione e desertificazione dei terreni, l'inidonea rete dei trasporti.
Occorre immaginare il Mediterraneo come macroarea produttiva e di consumo
A livello internazionale vincono le macro aree, i Paesi-continente, grandi produttori e grandi mercati di consumo (Sud America, Cina e India). L’area mediterranea va considerata come grande area geografica, al pari delle macro aree, pienamente inserita nell'economia mondiale.
Si tratta di dar vita ad una delle più grandi realtà economiche del mondo, un insieme di circa 40 Paesi, comprendente, nelle proiezioni demografiche, 600-800 milioni di consumatori. Secondo i dati della Banca Mondiale già al 2003 la popolazione del Mediterraneo (sponda Nord e Sud insieme) era pari ad oltre 450 milioni di persone.
Prendendo a riferimento le prime voci di esportazione agricola, in particolare ortofrutta, di ciascun Paese del Mediterraneo (Nord e Sud), si può giungere ad un valore approssimativo esportato in complesso dall’area di oltre 8,8 miliardi di dollari.
Lo sforzo di immaginare l'area mediterranea nel suo insieme è il presupposto per ipotizzare una strategia produttiva e commerciale vincente per tutti i soggetti che vi partecipano. Gli obiettivi da raggiungere sono: acquisire una posizione migliore sui mercati internazionali e competere con le grandi produzioni delle aree emergenti, partendo da questi presupposti:
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diversi Paesi mediterranei, come Turchia, Marocco, Tunisia, Israele, sono già oggi grandi produttori agricoli orientati all’esportazione, in particolare nell'ortofrutta fresca;
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i mercati di destinazione dei prodotti italiani e dei Paesi del Mediterraneo sono spesso coincidenti e si concentrano prevalentemente in Europa;
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i calendari di commercializzazione per i principali prodotti esportati sono solitamente anticipati di diverse settimane rispetto all’offerta italiana.
Concorrenzialità o similarità
La similarità delle produzioni agricole e delle destinazioni di mercato ha indotto in passato a guardare con diffidenza all’apertura degli scambi. E’ questa anche la filosofia alla base dell’applicazione dei contingenti tariffari previsti dagli Accordi di Associazione in ambito Euromed.
In realtà, se si analizzano gli indici di somiglianza delle esportazioni agricole dell'Italia e degli altri Paesi mediterranei verso il mondo (per tipologia e volume di prodotto esportato), la concorrenza proviene dai produttori europei, Francia, Spagna e la candidata Turchia, piuttosto che dai PTM.
La strategia
Attraverso le varie forme di integrazione con le imprese mediterranee, gli operatori italiani (imprese private e associazioni di produttori), come già avviene per Francia e Spagna, possono trarre diversi vantaggi:
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aumento della massa critica anche in parziale contro-stagionalità, rispetto al calendario di produzione italiano, e possibilità di una fornitura ininterrotta di approvvigionamento dei canali distributivi internazionali (caratteristica ritenuta fondamentale da parte della GDO nella scelta dei fornitori di prodotto fresco);
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ampliamento della gamma dei prodotti ortofrutticoli per i mercati esteri.
Per i Paesi del Mediterraneo, l’interazione con le imprese italiane può fornire il necessario apporto tecnologico e di know-how, oltre che un modello organizzativo aziendale necessario al raggiungimento di obiettivi commerciali e l’adeguamento ai parametri qualitativi europei.
E’ evidente come un percorso commerciale comune presuppone, da parte delle imprese partner, il soddisfacimento dei criteri qualitativi e l'allineamento agli standard igienico-sanitari previsti dalla normativa comunitaria. Qualsiasi strategia di filiera implica la realizzazione di investimenti mirati, finanziabili anche all’interno dei Piani di Azione previsti dalla Politica di Vicinato, per omogeneizzare i sistemi di qualità, la certificazione e la tracciabilità dei metodi di produzione.
Le azioni, da realizzare attraverso intese tra produttori italiani e mediterranei, potrebbero ad esempio favorire la gestione concordata dei calendari di produzione e di commercializzazione per le produzioni a destinazione estera. Il successo della vendita di prodotto ortofrutticolo fresco proveniente dall’emisfero Sud (in particolare Sud America e Sud Africa) in periodi dell’anno alternativi all’offerta comunitaria nei grandi mercati del Nord Europa, come Regno Unito e Norvegia, e in Russia è un indicatore della tendenza del mercato comunitario verso il consumo in contro-stagionalità.
Come noto, si può dialogare con la GDO internazionale solo se si garantisce la continuità temporale e qualitativa degli approvvigionamenti. Occorre quindi:
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accrescere la massa critica del prodotto esportato;
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valorizzare le produzioni mediterranee in modo unitario e renderle riconoscibili anche attraverso l’attribuzione di marchi commerciali;
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qualificare il prodotto, esaltare le tipicità, operare la promozione in associazione con l’identità culturale e territoriale del Mediterraneo;
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adottare strategie di differenziazione della produzione (ad esempio, potenziamento del biologico).
Note
* Relazione presentata alla Conferenza Economica Nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori “Agricoltura Mediterranea: l’impegno che produce pace e sviluppo” – Lecce, 29 Marzo 2007