Premessa
Il consolidarsi in molte Regioni di una struttura “reticolare”, a causa del prevalere di processi di crescita territorialmente diffusi e che assumono spesso carattere di dispersione poco controllata, ha comportato negli ultimi decenni tassi elevati di consumo di suolo agricolo, esponendolo ad una progressiva aggressione (Socco 2007, Facchinetti et al. 2001). Tale problematica ha assunto per il nostro Paese i connotati di un’emergenza di natura epocale, di un vero “sacco” (Spinelli, 2009).
Con la l.r. n. 56 del 1977 “Tutela ed uso del suolo”, la Regione Piemonte anticipò, almeno formalmente, l’attenzione che il tema della difesa dei suoli agricoli, e per essi dell’agricoltura, ha assunto in sede europea1, individuando nella partecipazione dei cittadini il metodo di formazione delle decisioni di governo del territorio. Tuttavia, il Piemonte, al pari di altre Regioni italiane, ha visto aumentare lo spazio consumato con una tendenza osservata durante gli anni Ottanta e lungi dall’essersi esaurita.
Il lavoro analizza preliminarmente la “risorsa suolo” con riferimento alla sua natura di bene scarso in senso assoluto e di bene comune, nonché al significato che tali attributi assumono in termini di governance della risorsa; viene poi dato conto della vicenda della tutela del suolo agricolo in Piemonte dal punto di vista normativo e degli esiti delle politiche urbanistiche locali negli ultimi vent’anni.
Il suolo risorsa scarsa
Il suolo, come le fonti minerarie ed energetiche, è un bene a scarsità assoluta, di fatto non riproducibile, dati i ritmi e i tempi della pedogenesi. Pertanto il suolo agricolo non può essere considerato solo per le sue caratteristiche produttive (“ricardiane”), le uniche espresse dai prezzi, e quindi il suo valore non è riconducibile al solo valore di scambio. È stupefacente il paradosso della scienza economica “standard”, quella prima di Nicholas Geogescu Roegen che, basata sulla scarsità, ignora la scarsità suprema, quella ecologica, e che, mentre insegna a distinguere tra reddito e capitale, ignora che la sua economia vive sul capitale come se fosse reddito (Ruffolo, 2008).
Ne consegue che la limitatezza fisica della terra costituisce un vincolo assoluto alla crescita senza fine (Petrocchi, 2008), che è necessario abbandonare il mito della indefinita sostituibilità del capitale naturale consumato nei processi produttivi con il capitale prodotto e che la sostenibilità, senza aggettivazioni di sorta, costituisce un imperativo etico.
In una concezione di crescita economica - dove crescita economica è nozione diversa da sviluppo e da sviluppo sostenibile - non vi è alcun limite al trasferimento di suolo originariamente destinato all’agricoltura a qualsivoglia altra attività economica, poiché pressoché ogni altra attività è in grado di generare, rispetto all’agricoltura, “un maggior flusso di reddito per unità di superficie”. Se così stanno le cose, anche l’ultimo ettaro coltivato nella pianura padana potrebbe essere oggetto di edificazione o di infrastrutturazione purché la destinazione alternativa comporti un guadagno netto. Sono pertanto necessarie procedure valutative che, ove applicate a programmi, piani e progetti di tipo territoriale o urbanistico, consentano di superare gli strumenti valutativi tradizionali e il principio di compensazione monetaria.
Il suolo bene comune
La nozione di suolo come bene a scarsità assoluta è “rafforzata” dalla nozione di “bene comune”. Come l’aria e l’acqua, il suolo è bene comune per eccellenza e, come tale, esso va pensato e gestito in chiave di solidarietà sincronica e diacronica.
Nel bene comune, il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di fare parte di una comunità non può essere scisso dal vantaggio che altri ne traggono. La nozione di bene comune non va confusa “né con la somma dei beni privati né con il bene pubblico” (Zamagni, 2007). Le nozioni di “bene pubblico” o di “bene collettivo” sono ancorate ad una visione individualistica: tra le persone coinvolte nell’uso di un bene pubblico non è richiesto alcun rapporto o alcuna “azione congiunta”. Il bene comune è esattamente il contrario: è un rapporto diretto tra persone, mediato dall’uso dei beni, in cui l'interesse di ogni individuo si realizza insieme a quello degli altri, non già contro, come accade per il bene privato, né a prescindere da, come accade con il bene pubblico.
Quando sono in gioco beni di questo tipo, il modello della democrazia rappresentativa - i cui meriti storici sono fuori di ogni dubbio - può non essere più sufficiente per garantire una equa distribuzione dei frutti dello sviluppo. C’è da chiedersi se, allorché si voglia conseguire una reale tutela dei suoli agricoli a partire da quelli delle frange periurbane, soluzioni più efficaci a livello locale non possano piuttosto rifarsi a esperienze di democrazia deliberativa e alla costruzione di partenariati di vario tipo da coinvolgere nella pianificazione degli enti locali, sostenendoli con procedure trasparenti ed efficienti di consultazione e divulgazione delle conoscenze (Socco et al, 2005).
Tutela del suolo e partecipazione in Piemonte
La l.r. n. 56 del 1977 “Tutela e uso del suolo” della Regione Piemonte, sottoposta negli anni a numerose modifiche ed integrazioni ma ancora operante, costituì uno degli atti più qualificanti della Giunta regionale formatasi a seguito delle elezioni del 1975. Tale normativa individuava la programmazione come metodo di governo, la pianificazione come metodo di gestione delle risorse e la partecipazione come metodo di formazione delle decisioni, mirando a determinare una relazione stretta e continuativa fra programmazione regionale e pianificazione territoriale e urbanistica. Essa teneva in somma importanza la tutela del suolo agricolo, prevedendo al comma terzo dell’art. 25 (Norme generali per le aree destinate ad attività agricole) che: “nelle aree destinate ad attività agricole sono obiettivi prioritari la valorizzazione ed il recupero del patrimonio agricolo, la tutela e l'efficienza delle unità produttive, ottenute anche a mezzo del loro accorpamento ed ogni intervento atto a soddisfare le esigenze economiche e sociali dei produttori e dei lavoratori agricoli”. In particolare, veniva indicato che il Piano regolatore generale comunale (PRGC) dovesse essere ricondotto a strumento in grado di ordinare gli insediamenti opportunamente misurati in relazione sia ad ipotesi credibili di incremento quantitativo, sia ad assetti qualitativamente caratterizzati, dotati delle necessarie opere di urbanizzazione tecnica (strade, fognature, acquedotti, ecc.) e sociale (scuole, verde, attrezzature comuni, ecc.), sia, infine, alla qualità delle risorse a disposizione dell’agricoltura e alle necessità di sviluppo delle aziende agricole.
Come si può notare, il concetto di tutela espresso nella norma faceva perno sulla dimensione produttiva del suolo agricolo, non accennando esplicitamente ai connessi valori ambientali e paesaggistici; in tali termini, con particolare riferimento alla possibilità dell’agricoltura di svolgere una molteplicità di funzioni, si sarebbe iniziato a parlare in Europa un decennio più tardi, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Ciò nonostante, per le priorità dichiarate e le modalità operative, la legge regionale piemontese risultava avanzata per i tempi. Purtroppo, però, essa non ebbe il corso atteso dai suoi promotori.
Come accennato, la norma puntava su modalità di formazione delle decisioni di tipo partecipativo che, se gestite correttamente e non ridotte a percorsi di formale ricerca del consenso, risultano essere molto impegnative in termini applicativi. Essa, inoltre, faceva ricorso essenzialmente a strumenti di regolazione dell’espansione urbana di tipo vincolistico che, sotto la spinta di interessi economici e speculativi, vennero progressivamente rimossi. Conseguentemente, si è potuto constatare che in molti casi i PRGC approvati in Piemonte successivamente all’emanazione della legge regionale hanno finito per destinare ad usi extra-agricoli suoli ad elevata produttività e dotati di infrastrutture e impianti a supporto dell'attività agricola, senza una ricerca puntuale di localizzazioni alternative e senza circostanziate motivazioni delle praticate eccezioni.
Si può anche sostenere che sulle scelte dei PRGC abbia influito la mancanza di una pianificazione territoriale di area vasta, capace di indicare la realizzazione di insediamenti misurati in relazione a ipotesi credibili di incremento quantitativo.
Tuttavia, la legge regionale 56/77 ha fatto cultura.
Consumo di suolo in Piemonte
Come accennato, nonostante l’avanzata legislazione urbanistica in vigore, anche in Piemonte negli anni passati e recenti si è assistito ad un uso intenso della risorsa suolo a seguito di diffusi fenomeni di disseminazione insediativa (sprawl), che hanno prodotto esiti significativi in termini di sottrazione all’uso agricolo di superfici investite da nuovi processi di urbanizzazione, dispersa e a bassa densità, con manifestazione di intrusione di funzioni “urbane” all’interno di aree e di pertinenze agricole (Ferlaino, 2009). Lo sprawl anche in Piemonte è l’effetto, a parità di condizioni, dell’aumento nel tempo del numero delle famiglie, dei cambiamenti degli standard abitativi e delle preferenze abitative, sempre più orientate verso stili di vita “rururbani”, con il necessario e conseguente ampliamento continuo dei bacini della pendolarità per lavoro2. Altri fattori quanti-qualitativi riguardano: (a) la progressiva sostituzione nei centri storici di attività terziarie alle residenze; (b) i minori costi di edificazione ex novo su spazi verdi extra-urbani rispetto ai costi di recupero e di adeguamento del patrimonio immobiliare esistente; (c) le strategie localizzative dell’offerta residenziale da parte degli operatori immobiliari che nei territori extra-urbani trovano più ampie opportunità e minori vincoli urbanistici; (d) il diffondersi di grandi centri commerciali periferici, basati su un comodo accesso tramite l’automobile.
Stando ai dati del Censimento Generale dell’Agricoltura, fra il 1990 e il 2000 la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) del Piemonte si è ridotta del 4,3%3. Il decremento della SAU è da interpretare come ascrivibile a dinamiche di naturalizzazione e inselvatichimento nelle aree marginali connotate dall’abbandono delle attività agricole e, a tutti gli effetti, come consumo irreversibile di suolo agrario nelle aree caratterizzate da fenomeni di concentrazione insediativa. Nei comuni piemontesi caratterizzati da tali fenomeni di concentrazione4 il decremento della SAU nel decennio fra i due censimenti è stato pari all’1,6% (Baldini e Chirico, 2008).
Il report regionale sul consumo di suolo (Regione Piemonte, 2009) riferisce di una perdita complessiva di 19.042 ettari negli anni compresi fra il 1991 e il 20055. Tale dato corrisponde ad un consumo irreversibile di quasi quattro ettari di territorio al giorno con epicentro della cementificazione situato tra la provincia di Torino e quella di Asti. Stando alle informazioni fornite dalla Regione Piemonte, nel periodo considerato l’incremento del consumo di suolo per la costruzione di nuove edificazioni è avvenuto a fronte di una dinamica demografica relativamente stabile (Tabella 1).
Tabella 1 - Consumo di suolo, variazione del consumo di suolo e popolazione in Piemonte (1991-2005).
Fonte: Regione Piemonte, 2009
Ai dati sul consumo di suolo si può aggiungere un’informazione utile a verificare la “qualità” dei suoli consumati misurata in termini di ‘capacità d’uso’, vale a dire in riferimento alle loro potenzialità produttive in ambito agro-silvo-pastorale. L’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (IPLA) ha cartografato i suoli dell’intero territorio a scala regionale 1:250.000 producendo la “Carta di capacità d’uso dei suoli” (IPLA, 1982). Incrociando i dati cartografici relativi alle prime tre classi di capacità d’uso con il consumo di suolo deriva che nell’intervallo 1991-2005 si sono persi in Piemonte 1.915 ettari di suoli di 1° classe (pari all’1,89% della classe), 6.877 ettari di suoli in 2° classe (1,93%) e 5.792 ettari di suoli di 3° classe (1,85%) (Fila-Mauro, 2009).
Il danno prodotto da tali dinamiche non si limita alla perdita di produzione agricola, di qualità del paesaggio e di disponibilità di spazi aperti, ma attiene anche al complesso delle funzioni svolte dal suolo agricolo: produzione di biomassa, stoccaggio, filtraggio e trasformazione di nutrienti, riserva di biodiversità e protezione nei confronti dell’impermeabilizzazione e dei dissesti dei versanti: un aspetto di particolare importanza in una regione come quella piemontese, con ben 651 comuni a rischio idrogeologico su 1.209.
Conclusioni
La tutela dell’agricoltura e delle risorse agricole potrebbe rappresentare una delle chiavi per arginare i complessi processi d’espansione delle aree metropolitane e delle città, nella misura in cui queste intendano muoversi con la serietà che, parafrasando il celebre articolo di Garrett Hardin The Tragedy of the Commons pubblicato su Science nel 1968, la “tragedia” del consumo di suolo richiede. Tale intento dovrebbe essere perseguito in termini di cooperazione con la campagna, nella dimensione territoriale della sostenibilità e sviluppando nel modo più efficiente possibile gli strumenti di democrazia partecipativa o deliberativa eventualmente messi in campo. Operativamente, sulla base della considerazione del suolo agricolo come bene comune, e non bene di consumo, la pianificazione urbanistica potrebbe contenere i processi dispersivi, riorientando le spinte all’addensamento, creando parchi urbani e inner green belt, ed integrando a sistema il verde urbano e il verde periurbano (Socco et al, 2005). La positiva sinergia che potrebbe verificarsi tra strumenti urbanistici ‘diversamente orientati’ e strumenti integrati di sviluppo delle aree periurbane fondati sulla vlorizzazione della multifunzionalità dell’agricoltura è evidente (CSC, 2007).
La legge regionale piemontese del 1977 aveva colto con grande anticipo l’esigenza di limitare il consumo di suolo agricolo, citando tra le proprie finalità all’art. 1, comma 4 “la piena e razionale utilizzazione delle risorse, con particolare riferimento alle aree agricole ed al patrimonio insediativo ed infrastrutturale esistente, evitando ogni immotivato consumo di suolo”. Piena consapevolezza di tale esigenza è stata sancita a livello nazionale trent’anni più tardi. Nel Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 all’art. 135 (Pianificazione paesaggistica), comma 4, lettera c) si fa infatti specifico richiamo alla necessità di prescrizioni e previsioni in ordine “alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio”.
Molto avanzata nei principi fondanti, la l.r. 56/77 accennava, inoltre, alla necessità della salvaguardia del patrimonio naturale in genere e prevedeva provvedimenti cautelari a tutela dell’ambiente e del paesaggio. Ciò nonostante, le azioni di tutela previste erano ancora imperniate sulla considerazione del suolo agricolo come sola risorsa economico-produttiva, non giungendo a coglierne compiutamente la dimensione di bene comune. Il mancato riconoscimento di tale dimensione, che tuttavia venne intuita, visto il suggerimento al ricorso di metodologie di formazione delle decisioni di tipo partecipativo, è forse una delle cause che hanno contribuito al perseverare a livello locale di comportamenti di tipo speculativo.
Recentemente la Provincia di Torino ha predisposto il nuovo Piano Territoriale di Coordinamento a livello provinciale (PTCP2). Tra gli obiettivi e linee strategiche del PTCP2 emerge che “la terra è una risorsa”, che occorre privilegiare interventi di riorganizzazione del territorio basati su riuso, riqualificazione e riorganizzazione del sistema degli insediamenti produttivi e commerciali, che occorre abbandonare il processo di implementazione, valutato spesso solo per l'entità quantitativa di edificato e per gli introiti che apportano alla fiscalità locale. Particolare attenzione è stata dedicata alla redazione delle norme tecniche di attuazione da cui deriva l'efficacia del PTCP2 ai fini del contenimento del consumo di suolo. All’uopo, è stato elaborato un sistema di norme, che persegue la finalità del recupero e del riutilizzo del patrimonio edilizio esistente e concretamente penalizza i Comuni che hanno consumato più suolo negli anni passati, assumendo il principio che il suolo non urbanizzato, definito in accordo con i Comuni, ha un alto valore ed è pertanto inedificabile. Sarà interessante verificare se alle dichiarazioni di principio seguiranno comportamenti coerenti.
Riferimenti bibliografici
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- CSC (2007), La valorizzazione della cintura verde della città di Asti - Il Parco Agricolo periurbano. Relazione di ricerca, Comune di Asti, Asti
- Facchinetti M., Fedeli V., Oliva F. (2001), “Diffusione urbana”, atti del convegno Dalla città diffusa alla città diramata, Facoltà di Architettura di Torino, 15-16 novembre 2001
- Ferlaino F. (2009), “La rivoluzione territoriale: metodi ed interpretazioni”, in 1958-2008 Cinquant’anni di ricerche IRES sul Piemonte, IRES Piemonte, Torino, pp. 259-290
- Fila-Mauro E. (2009), “I campi fotovoltaici in relazione al consumo di suolo e agli aspetti paesaggistici”, relazione al convegno Uniamo le energie, Regione Piemonte, Torino 7-11 ottobre 2009
- IPLA (1982), Capacità d'uso dei suoli in Piemonte ai fini agricoli e forestali con carta scala 1:250.000, Ipla, Torino
- Petrocchi R. (2008), “Crescita, energia, agricoltura”, Rivista di Economia Agraria, Anno LXIII, n. 4, pp. 469-482
- Regione Piemonte (2009), Il monitoraggio del consumo di suolo in Piemonte, Report Regionale 2/10/2009 [link]
- Ruffolo G. (2008), Il capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, collana Gli Struzzi
- Socco C. (2003), “Per una città sostenibile”, in Detragiache A. (a cura di), Dalla città diffusa alla città diramata, Franco Angeli, pp. 342-373
- Socco C., Cavaliere A., Guarini S. M., Montrucchio M. (2005), La natura nella città. Il sistema del verde urbano e periurbano, Franco Angeli
- Socco C. (2007), “Ma lo sviluppo delle città è sostenibile? Consumo del suolo e delle altre risorse ambientali”, relazione al convegno Per uno sviluppo a misura dell’uomo, Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, Torino 13 gennaio 2007
- Spinelli B. (2009), “Il grande sacco dell’Italia”, La Stampa, 4 ottobre 2009
- Zamagni S. (2007), L'economia del bene comune, Città Nuova, collana Idee, Roma
- 1. Si vedano la “Strategia tematica per la protezione del suolo” (COM (2006) 231 final) e la proposta di direttiva quadro per la protezione del suolo del Parlamento Europeo e del Consiglio (COM (2006) 232 final).
- 2. Con evidenti conseguenze sugli ecosistemi agricoli, con incrementi più che proporzionali nei costi di trasporto, nell’utilizzo del mezzo di trasporto privato e quindi nell’inquinamento ambientale nelle varie forme (Ferlaino, 2009).
- 3. In generale, la contrazione della SAU piemontese sarebbe inferiore a quella media del nord Italia pari al 6,3%.
- 4. Si considerano qui i comuni che nel lungo periodo (dal 1951 al 2001) hanno conosciuto un incremento della popolazione accessibile nel breve raggio del 10% (Baldini e Chirico, 2008).
- 5. Nello specifico il report regionale si riferisce al consumo di suolo derivato da: “aree edificate e relative pertinenze (marciapiedi, strade urbane e piazze e piccoli giardini) sommate alle aree destinate a cave, parchi urbani, impianti sportivi e tecnici, espressi in percentuale rispetto alla superficie territoriale di riferimento (regione, provincia)”. Non è conteggiata, poiché non disponibile al momento della stesura del report, la componente di suolo attribuibile alle infrastrutture viarie extraurbane.