Introduzione
Nel 1975 la Comunità Europea emana la Direttiva n.268 nella quale si identificano per la prima volta a livello comunitario le aree svantaggiate e si dettano le linee guida per garantire a queste un sostegno che compensi i peggiori risultati economici dovuti alla presenza di uno svantaggio di natura ambientale (altitudine, clima, pendenza, fertilità dei suoli…). La ragione per cui si ritiene necessario offrire un aiuto agli agricoltori di queste aree, oltre a voler garantire loro un reddito comparabile a quello delle altre zone, è anche la volontà di voler mantenere l’attività agricola in questi territori marginali, dove diventa ancora più importante la multifunzionalità dell’agricoltura che contribuisce ad obiettivi come la salvaguardia dell’ambiente, la cura del paesaggio, la protezione dai fenomeni di dissesto idro-geologico. In queste aree si registrano infatti peggiori risultati economici dovuti a minori rese per ettaro o per unità di input utilizzati (Terluin et al., 1995). L’impostazione originaria presente nelle prime direttive è stata mantenuta nel tempo quasi inalterata, con l’unica vera modifica che consiste nell’eliminazione della bassa densità di popolazione dai criteri di identificazione di queste zone. In particolare queste possono essere classificate in tre categorie: zone montane, dove lo svantaggio è legato all’altitudine o alla pendenza, zone svantaggiate non montane, nelle quali si possono ad esempio avere problemi di fertilità dei suoli o altre condizioni che limitano la produttività, zone con svantaggi specifici, nelle quali sono comprese aree con caratteristiche peculiari ( in genere di natura ambientale) che incidono negativamente sui risultati dei processi agricoli. Con l’ultima riforma della Pac i criteri di delimitazione delle ultime due categorie sono stati rivisti ed è stato previsto un pagamento specifico anche nel primo pilastro (Zaccarini Bonelli, 2012).
L’indennità per le aziende agricole viene elargita attraverso una specifica misura (la numero tredici nell’attuale programmazione 2014-20) da inserirsi nei Psr, a discrezione delle Regioni1.
Per quanto riguarda l’importanza economica della misura, a livello europeo, essa assorbe il 21% dei fondi del Feasr e le aree classificate come svantaggiate ammontano al 54% della superficie comunitaria, con un progressivo incremento nel tempo dovuto principalmente all’aumento dell’estensione della seconda tipologia di zone svantaggiate (Ieep, 2006). A livello italiano, nella precedente programmazione era classificata come svantaggiata il 61% della superficie nazionale, con una prevalenza delle zone montane (Solustri et al., Finocchio, 2006). In Toscana la percentuale di aree svantaggiate è inferiore rispetto al dato nazionale, ammontando esse al 46% del territorio regionale, ma anche in questo caso la superficie svantaggiata è legata principalmente alla presenza di zone montane, che rappresentano il 72% della Sau svantaggiata regionale.
La presente nota affronta due aspetti specifici: l’applicazione della misura all’interno del contesto toscano e la valutazione della ratio della misura stessa.
Un primo obiettivo è quello di suggerire miglioramenti alla misura 13 del Psr regionale toscano, cercando di renderla più efficace nel raggiungimento degli obiettivi della misura (compensazione di differenze di reddito) e più efficiente in termini di allocazione delle risorse finanziarie per l’intervento. La struttura della misura a favore delle aree svantaggiate messa in piedi dalla Regione Toscana sembra, qualora la si confronti con quanto fatto nello stesso ambito dalle altre Regioni italiane (sia nella programmazione 2007-2014, sia che in quella attuale), poco articolata, sia sul fronte dell’individuazione dei soggetti che possono aver accesso all’aiuto, sia su quello della determinazione degli importi. Nel primo caso infatti, eccezion fatta per una superficie minima da coltivare (1 ha) e per l’impegno a mantenere l’attività produttiva (per 1 anno), tutti gli agricoltori che operano in zone classificate come svantaggiate possono accedere al sostegno. Dal lato dei pagamenti si è deciso invece di assegnare un importo ad ettaro uguale per tutti (diverso a seconda della sub-area, montana o zone svantaggiata non montana, in cui si trovano), dove l’unico elemento di variabilità è dato dalla diminuzione (del 50%) del premio, per le aziende che hanno più di 50 ha in area svantaggiata.
Prendendo spunto dal modo in cui la misura è articolata invece in Friuli-Venezia Giulia si è deciso di analizzare lo svantaggio per orientamento tecnico-economico, con l’intento di vedere se la minore redditività delle attività agricole nelle aree svantaggiate fosse un fenomeno diffuso per tutti i comparti interni al settore primario e se li interessasse tutti con la stessa intensità.
L’evidenza empirica mostra che nelle aree svantaggiate si registra, in media, una minore redditività delle attività produttive. È verosimile che questa differenza sia imputabile a quei fattori chiamati in causa dalla legislazione europea (pensiamo al clima, alle forti pendenze o ai problemi di fertilità dei suoli), sui quali l’uomo non può intervenire così da eliminarli o quantomeno da renderne nullo l’effetto. Tuttavia, sono solamente questi fattori i discriminanti del differenziale che si osserva quando si confrontano i risultati economici delle aziende delle due aree? Oppure possono essere presenti anche altri elementi, per esempio il fatto che nelle due aree si trovino aziende con caratteristiche socio-strutturali differenti, che incidono sul livello di redditività? È infatti noto che le cause dei minori redditi nelle aree svantaggiate sono di diversa natura, e spesso interdipendenti tra loro (Terluin et al., 1995). Un secondo obiettivo della nota è proprio quello di dare una risposta a queste due domande, stimando una misura quantitativa delle due componenti, lo “svantaggio territoriale” e la “differenza in caratteristiche socio-strutturali”. La questione presenta una certa rilevanza pratica. Immaginiamo infatti che si rilevi la presenza quasi esclusiva dello svantaggio territoriale così come inteso fino ad oggi dalla legislazione comunitaria: in questo caso il versamento di una indennità sembrerebbe realmente l’unico modo per conservare l’agricoltura in queste aree. Se invece ci trovassimo nel caso opposto, in cui la differenza di redditività tra le due aree fosse dovuta semplicemente al fatto che le aree svantaggiate hanno strutture produttive meno efficienti, o una popolazione con caratteristiche (età, sesso, titolo di studio…) diverse da quella delle altre aree, si potrebbe allora pensare ad impostare una politica ad hoc che vada ad incidere direttamente sui fattori strutturali. Entrambi gli obiettivi sono perseguiti nel resto della nota che è articolata nel seguente modo: la sezione 2 presenta i dati utilizzati e i metodi utilizzati, la sezione successiva discute i risultati prima per il primo obiettivo e quindi per il secondo, chiudono la nota alcune considerazioni conclusive.
Dati e metodi
Per entrambe le sezioni del lavoro sono stati usati i dati relativi alle aziende toscane inseriti nella banca dati Rica-Inea relativi all’anno 20122, che sono stati elaborati con “R” (R Development Core Team, 2008) e “Stata” (Stata Corp., 2009). La suddivisione tra zone svantaggiate e non svantaggiate è stata operata sulla base dell’apposito indicatore presente nel database e sono state incluse nel primo gruppo solamente le zone identificate come “totalmente svantaggiate”3.
Per la prima parte è stato preso a riferimento quanto fatto nell’impostazione della misura 13 dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. In questa regione l’indennità è riservata solamente ad alcuni settori, individuati mediante un’analisi che compara la redditività degli stessi nelle aree svantaggiate ed in quelle non svantaggiate. Inoltre, sempre sulla base di questa analisi, vengono determinati dei massimali di aiuto per ogni indirizzo produttivo, per poi individuare un importo specifico per ogni azienda a seconda di fattori quali altitudine, pendenza, dislivello medio e radiazione globale. Nel nostro caso, vista la minore importanza che queste aree hanno in Toscana, si è ritenuto sufficiente condurre solamente un’analisi sugli indirizzi produttivi. Per prima cosa si sono dunque considerati nove indirizzi, prendendo spunto dalla nuova classificazione tipologica (De Gaetano, 2012): seminativi, ortofloricoltura, viticoltura, altre coltivazioni permanenti, zootecnico (erbivori), zootecnico (granivori), policoltura, poliallevamento, miste colture-allevamento. Per esprimere la redditività dell’attività produttiva si è scelto come indicatore il reddito netto per ettaro, il quale si determina sottraendo alla produzione lorda vendibile tutti i costi espliciti, cioè tutte le uscite monetarie che l’imprenditore deve effettivamente sostenere. Nel nostro caso, tuttavia, a questo indicatore sono state tolte tutte le entrate derivanti dagli aiuti di matrice nazionale e comunitaria, sia perché le due zone possono in molti casi avere regimi di aiuto diversi, sia perché si vuole confrontare solamente la “capacità aziendale” di produrre reddito, indipendentemente dal sostegno derivante da politiche settoriali. Infine è da sottolineare che un’analisi preliminare sulla numerosità delle aziende operanti in ogni indirizzo produttivo ha portato ad escludere dal lavoro (limitatamente a questa parte) le aziende con poliallevamento (in Toscana non sono presenti nelle aree non svantaggiate) ed a prendere nota della bassa numerosità di aziende per il settore zootecnico in cui si allevano granivori (14 in totale).
Per la seconda parte, che risponde all’obbiettivo di individuare le ragioni dello svantaggio, ci si è avvalsi di un metodo che viene utilizzato per l’analisi della discriminazione nel mercato del lavoro. Il modello di scomposizione Blinder-Oaxaca (Blinder, 1973; Oaxaca, 1973) prevede la scomposizione di una differenza, che in origine era quella del salario percepito da due gruppi di popolazione, in due componenti, una “spiegata” (Q) ed una “non spiegata” (U), dovuta quindi alla discriminazione. Nel nostro caso la differenza in questione è quella tra la redditività delle due tipologie di aree considerate, mentre le due componenti sono rispettivamente la parte dovuta alle caratteristiche che andremo ad inserire nel modello e quella dovuta allo svantaggio territoriale, così come definito nella legislazione comunitaria.
Nel procedimento originario elaborato da Oaxaca si imposta innanzitutto una regressione lineare per ciascuno dei due gruppi, utilizzando come variabile dipendente quella sulla quale si osserva la differenza che si vuole indagare. Il valore delle due componenti nella quale la differenza osservata è divisa (“spiegata” e “non spiegata”) si ottiene a partire dai valori delle variabili indipendenti inserite nel modello e dai rispettivi coefficienti di regressione, come stimati nelle due regressioni.
L’ipotesi che si fa in questo caso è quella di avere discriminazione (o svantaggio nel nostro caso) solamente “a sfavore” di un gruppo, tuttavia in molte circostanze è difficile poter affermare l’assenza di una componente discriminatoria che agisca “a favore” del gruppo con l’outcome migliore (Jann, 2008). Per questo motivo ulteriori approfondimenti di questa tecnica hanno portato all’introduzione di un set di coefficienti non discriminatori, facenti cioè riferimento ad una ipotetica situazione in cui non è presente discriminazione di alcun genere, né a favore di un gruppo né a sfavore dell’altro.
Il valore di questi coefficienti, non essendo direttamente disponibile, deve essere stimato, e per farlo sono stati proposti diversi metodi. In questo modo si può poi passare ad identificare, all’interno della componente non spiegata del modello, quanta parte sia dovuta a fattori che agiscano a sfavore di un gruppo (UB), piuttosto che a favore dell’altro (UA).
Basandosi su quanto sopra, sono stati stimati tre modelli, diversi per indicatore di redditività, caratteristiche considerate o metodo di scomposizione adottato. Per quanto riguarda gli indicatori di redditività, ne sono stati scelti due (reddito netto per ettaro e prodotto netto aziendale per ettaro) facenti riferimento alla redditività del capitale fondiario. In tutti i casi sono stati tolti gli aiuti e sono state eliminate dall’analisi tutte quelle aziende che presentavano valori dei tre indicatori negativi, con l’intento di considerare solamente le realtà produttive in grado di generare reddito; inoltre gli indicatori sono espressi all’interno dei modelli in forma logaritmica.
Nei modelli sono state considerate le variabili ritenute in grado di descrivere meglio alcuni fattori che possono essere origine dello svantaggio (tipo di processo produttivo, quantità e tipo di risorse impiegate, dimensioni aziendali…). Tali variabili sono riportate in tabella 1.
Tabella 1 - Variabili strutturali incidenti sui risultati economici delle aziende agricole e loro collocazione all’interno del database Rica
* ricavate mediante elaborazione di altre variabili
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
I primi due modelli sono stati stimati secondo il metodo di scomposizione originario, utilizzando quindi i coefficienti del gruppo di aree non svantaggiate come set di coefficienti non discriminatorio. Il motivo di questa scelta è che ci sembra plausibile che lo svantaggio di cui ci stiamo occupando si mostri solamente come un fattore che investe negativamente le aree definite svantaggiate, e che la situazione “standard” sia quella delle altre zone. Tuttavia nell’ultimo modello, si è scelto di introdurre un set di coefficienti non discriminatorio stimato a partire da una regressione impostata sull’intero campione, comprendente le aziende di entrambe le aree (Neumark, 1988), per verificare la robustezza della precedente assunzione e confrontare i risultati ottenuti.
Risultati
Nella tabella 2 si riportano i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati per la prima parte del lavoro, dove l’obiettivo è quello di mettere a confronto i risultati economici nelle aree con e senza svantaggio per i diversi indirizzi produttivi.
Tabella 2 - Differenziali di redditività per ogni Ote tra le aziende con e senza svantaggi
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
Aree svantaggiate4
Per prima cosa è necessario evidenziare che i risultati ottenuti debbano essere considerati più indicativi che non conclusivi, visto che i valori della deviazione standard (σ) ed i valori-p, usati per determinare la significatività dei risultati stessi, sono piuttosto alti. Studi su numeri più grandi potrebbero quindi essere utili a chiarire la situazione. Tuttavia possiamo notare come per la maggior parte dei settori la redditività risulti effettivamente minore per le aziende che operano in aree svantaggiate, pur con la presenza di alcune eccezioni. Si tratta del caso del settore viticolo e di quello dei granivori, che mostrano un trend opposto. Al fine di indagare la natura di questo risultato le aree svantaggiate sono state scomposte in aree montane ed aree con altro tipo di svantaggio. I risultati di questo ulteriore passaggio sono riportati in tabella 3 ed in tabella 4.
Tabella 3 - Differenziali di redditività per ogni Ote tra le aziende montane svantaggiate e le aziende non svantaggiate
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
Tabella 4 - Differenziali di redditività per ogni Ote tra le aziende non montane svantaggiate e le aziende non svantaggiate
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
Si osserva dunque che quanto emerso in precedenza a livello dei settori viticolo e zootecnico-granivori, sia dovuto esclusivamente ai risultati di questi settori in aree svantaggiate diverse da quelle montane, mentre nelle zone montane tutti i comparti produttivi presentano una redditività inferiore rispetto alle aree non svantaggiate. Per le aziende viticole è poi da rilevare che di quelle che agiscono in aree classificate come totalmente svantaggiate, alcune sono collocate in zone dove è possibile la produzione di vini Doc e Docg (Montalcino, Greve in Chianti, Scansano…) con conseguente incidenza sulla redditività dell’attività. Per ciò che riguarda i granivori invece, come ricordato in precedenza, l’analisi su quest’ultimo settore è stata condotta su numeri oltremodo esigui.
Un aspetto interessante riguarda poi la quantificazione dello svantaggio: vediamo infatti come lo svantaggio incida sui risultati dei diversi comparti produttivi in maniera differente, per quanto le situazioni più problematiche siano diverse a seconda del tipo di svantaggio considerato.
Visti i risultati della prima sezione del lavoro che sostanzialmente confermano la presenza dello svantaggio, si è cercato di dare una misura quantitativa all’eventuale incidenza sui risultati economici di una serie di caratteristiche socio-strutturali, il tutto attraverso la costruzione di tre modelli basati sulla scomposizione Blinder-Oaxaca. Il modello A, che utilizza come indicatore il reddito netto per ettaro, individua come spiegata dalle caratteristiche considerate la maggior parte della differenza di redditività, mentre l’altra componente, quella identificata con lo svantaggio, ha un ruolo più marginale. Indagando nel dettaglio (Tabella 5) notiamo che la componente spiegata è dovuta in misura quasi esclusiva agli orientamenti tecnico-economici, mentre l’effetto delle altre caratteristiche socio-strutturali è convogliato principalmente nella parte non spiegata del modello. Quest’ultima constatazione rimane valida per tutti gli altri modelli presi in considerazione, nonostante le differenze tra gli indicatori utilizzati, le caratteristiche incluse ed il metodo di scomposizione utilizzato.
Tabella 5 - Risultati della decomposizione binaria secondo il metodo “Blinder-Oaxaca” per la variabile ln(Reddito Netto/Sau)
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
Il secondo modello (B) differisce dal primo per avere come indicatore di redditività il prodotto netto aziendale per ettaro. Il prodotto netto aziendale, rispetto al reddito netto, ha il vantaggio di non essere influenzato dalla forma di conduzione dell’azienda (capitalistica, coltivatrice diretta…), in quanto non include le remunerazioni dei soggetti conferenti i fattori della produzione (Salvioni et Aguglia, 2014). In questo modello (Tabella 6) la situazione si presenta simile a quella osservata in precedenza, con la maggior parte della differenza dovuta a fattori non inclusi nel modello (83,8%).
Tabella 6 - Risultati della decomposizione binaria secondo il metodo “Blinder-Oaxaca” per la variabile ln(Prodotto Netto Aziendale/Sau)
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
L’ultimo modello considerato è stato costruito utilizzando un set di coefficienti non discriminatori estratto con una regressione sull’intero campione iniziale di aziende. Per un miglior confronto dei risultati è stato impostato specularmente al modello A, con lo stesso indicatore di redditività (reddito netto per ettaro) e le stesse caratteristiche socio-strutturali. Ciò che si è ottenuto (Tabella 7) è stata ancora una volta una netta prevalenza della componente spiegata, che ammonta all’80% della differenza di redditività totale, ed ancora una volta sono gli orientamenti tecnico-economici a determinare per la maggior parte tale componente.
Tabella 7 - Risultati della decomposizione binaria secondo il metodo “Blinder-Oaxaca” per la variabile ln(Reddito Netto Aziendale/Sau) con set di coefficienti non discriminatori
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
L’uso del set di coefficienti non discriminatori ci ha permesso di suddividere ulteriormente la componente non spiegata in due parti delle quali una rappresenta l’entità dei fattori che agiscono “contro” le aree svantaggiate (lo svantaggio), mentre l’altra la quantificazione di eventuali fattori (sempre non spiegati) che agiscono invece “a favore” delle aree non svantaggiate, migliorandone la redditività. Operando in questo modo si è visto (Tabella 8) che la seconda componente può ragionevolmente essere considerata nulla. Ciò suggerisce la presenza esclusiva di uno svantaggio che affligge le zone classificate come svantaggiate ed avvalora la scelta fatta nei precedenti modelli di utilizzare come coefficienti quelli del gruppo di aziende non svantaggiate.
Tabella 8 - Valori delle componenti che formano la parte non spiegata del modello
Fonte: elaborazione su dati Rica, 2012
Conclusioni
La prima parte del lavoro ha messo in mostra come dall’analisi della redditività dei singoli indirizzi produttivi emergano alcune peculiarità che potrebbero costituire la base per un miglioramento della struttura della misura 13 per come si presenta nell’attuale Psr della Regione Toscana. Una prima considerazione è quella che per alcuni settori produttivi nelle aree svantaggiate non montane non si verifica una minore redditività rispetto alle aree non svantaggiate, per cui si potrebbe pensare di limitare innanzitutto l’aiuto solamente dove si hanno peggiori risultati economici. Nello specifico si potrebbe escludere dal sostegno la viticoltura ed eventualmente le aziende zootecniche allevanti granivori (nelle aree svantaggiate non montane), se le analisi su un campione più grande confermassero quanto emerso in questa sede. Inoltre, dato che le differenze tra i valori dell’indicatore nelle due tipologie di aree (svantaggiate e non svantaggiate) non sono costanti per tutti i settori produttivi, un’altra soluzione potrebbe essere quella di assegnare importi diversi per i differenti indirizzi tecnico-economici, così che sia compensata in maniera più coerente la differente incidenza dello svantaggio. Questi due accorgimenti, sebbene molto semplici rispetto all’operato di regioni come il Friuli-Venezia Giulia, ci sembrano in grado sia di migliorare l’efficienza della misura in questione, garantendo un investimento di risorse laddove queste sono maggiormente necessarie, sia la sua equità nei confronti dei beneficiari.
La seconda parte fornisce alcune indicazioni molto interessanti. La prima è che delle due componenti (spiegata e non spiegata dalle caratteristiche) è sempre la prima ad avere il ruolo preponderante (non scende mai sotto l’80%). In conseguenza a ciò si può prendere in reale considerazione l’idea di impostare delle politiche che vadano ad agire sulle caratteristiche socio-strutturali considerate, così da appianare la differenza di redditività dovuta a queste. Qui però entra in gioco un’altra considerazione, legata al fatto che la componente spiegata è determinata, in tutti i modelli, prevalentemente dagli orientamenti tecnico-economici, riflettendo quanto già emerso nella prima parte del lavoro. Questo conferma che è la presenza di comparti produttivi diversi nelle due aree che spiega buona parte della differenza di redditività e che, nel caso si decidesse di impostare le politiche sopra ricordate, questi dovrebbero essere il target. Tuttavia è noto che esistono interdipendenze tra il fattore climatico-naturale e quelli strutturali (Terluin et al., 1995) ed in particolare che alcune colture hanno bisogno di condizioni particolari e che certe aree non possono, per loro conformazione o clima, essere adatte a certi tipi di coltivazione, per cui il reale “spazio di manovra” che si ha a disposizione nell’incidere sugli orientamenti tecnico-economici potrebbe essere più limitato rispetto a quanto appare.
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Zaccarini Bonelli C. (2012), Riforma Pac. Un doppio sostegno per le zone svantaggiate, Pianeta Psr, n.6
- 1. In Italia, tutte le Regioni, con l’unica eccezione della Puglia, hanno attivato la misura a favore delle aree svantaggiate.
Ogni Regione ha inoltre facoltà di attivare una o più delle tre sottomisure disponibili (aree montane, aree svantaggiate non montane, aree con svantaggi specifici) e di determinare, previa giustificazione, l’ammontare dell’indennità. - 2. Per informazioni sulla struttura della banca dati si consulti il sito: www.bancadatirica.inea.it
- 3. Si tratta quindi della classificazione in vigore nella programmazione 2007-14.
- 4. Sono comprese tutte le tipologie di aree totalmente svantaggiate. In Toscana, secondo dati Artea, le aree classificate come svantaggiate (totalmente o parzialmente) ricoprono circa il 72% della superficie regionale; tra queste le aree montane rappresentano circa il 64% del totale.