Introduzione
Il processo Nutrire Torino Metropolitana (Ntm), illustrato in maniera sintetica in questo contributo, muove da un assunto tanto basilare, quanto ancora poco condiviso: il cibo è un bene fondamentale per la vita degli esseri umani, così come l’aria e l’acqua. Questa semplice considerazione basterebbe a giustificare le ragioni per cui di cibo dovrebbero occuparsi non solo i singoli individui e i movimenti della società civile, ma soprattutto le comunità locali. A sostegno di questo assunto le numerose evidenze (compresa l’incidenza crescente di molte malattie cronico–degenerative) che rivelano come anche nei “ricchi” paesi occidentali il cibo di qualità, e le informazioni per fare scelte consapevoli, non siano davvero accessibile a tutti.
La spinta verso le politiche urbane del cibo
Il processo di Ntm e l’obiettivo di un’Agenda Metropolitana del Cibo si collocano, da un punto di vista teorico e metodologico, all’interno del più ampio quadro delle politiche locali del cibo, che si stanno caratterizzando come tema di crescente interesse. A partire da pionieristiche esperienze internazionali (fra cui Toronto, Vancouver, New York, Bristol, etc.) e sulla base di riflessioni scientifiche come quelle di Pothukuchi e Kaufman (1999), Morgan (2009), si stanno infatti moltiplicando gli esempi di strategie urbane alimentari, integrate e territorializzate, capaci di mettere a sistema dimensioni, attori e politiche settoriali del cibo per costruire visioni olistiche e condivise.
La grande proliferazione di queste pratiche, che interessano oggi un numero crescente di città sia del Nord che del Sud del mondo, è accompagnata dalla strutturazione di un’attiva comunità internazionale, animata da un intenso dibattito scientifico (fra gli altri Wiskerke e Viljoen, 2012; Marsden e Morley, 2014) da progetti internazionali, convegni disciplinari, partenariati territoriali e reti tematiche (come la rete Sustainable Food Planning legata all’Association of European Schools of Planning – Aesop; Dansero e Cinà, 2015) non più limitati al solo contesto anglosassone, territorio d’origine del cosiddetto Urban Food Planning (Morgan, 2009).
Per quanto concerne, nello specifico, il contesto italiano, la pianificazione dei sistemi del cibo rappresenta un orizzonte di pratiche istituzionali e di ricerca accademica molto recente, ma in costante crescita. Diverse città fra cui Pisa (Di Iacovo et al. 2013), Torino (Dansero et al. 2015a), Milano (Calori, 2015) stanno avviando processi per la definizione di strategie urbane del cibo. Il loro impegno, come quello di altre città italiane, è rafforzato anche dall’adesione (all’interno della cornice dell’Expo) al Milan Urban Food Policy Pact (Mufpp), il protocollo esplicitamente teso allo sviluppo di sistemi alimentari basati sui principi della sostenibilità e della giustizia sociale. Questo documento rappresenta un passaggio importante in termini politici (con il coinvolgimento delle Nazioni Unite e dell’Anci) e operativi, perché definisce ambiti, senso e possibilità delle politiche alimentari che ogni città o sistema territoriale locale può attivare, adattandoli alle proprie caratteristiche di contesto.
Il caso di Torino Metropolitana
In questo quadro, la Città metropolitana e la Città di Torino si stanno muovendo verso un orizzonte di politiche alimentari urbane attraverso varie iniziative, a diverse scale, che cercano di raccordare progetti istituzionali e pratiche dal basso. Questo nella consapevolezza che le Pubbliche Amministrazioni possiedono le leve più importanti per garantire l’accesso a cibi “buoni, sani, puliti e giusti” e per rendere più “democratica” la scelta dei consumatori all’interno di un sistema alimentare complesso e globale.
Da tempo questo territorio si propone in modo sempre più esplicito e consapevole come meta di turismo culturale in cui la componente eno-gastronomica (caratterizzata anche da una forte spinta verso l’innovazione, da un lato e la ridefinizione dei rapporti città-campagna, dall’altro) gioca un ruolo molto importante in un’ottica di sviluppo locale e di competizione urbana. Si pensi, in questo senso, alle produzioni di qualità (vino, cioccolato, prodotti da forno) di tipo artigianale e industriale; alla presenza diffusa di mercati alimentari (fra cui quello urbano di Porta Palazzo) e alle relative competenze e saperi che costituiscono un capitale – materiale e immateriale – di grande rilievo. Il processo di auto riconoscimento di queste dotazioni, unito alla presenza di soggetti forti e molto attivi, ha generato un insieme di importanti iniziative, che vanno dalla promozione e tutela dei prodotti e delle produzioni (il Paniere dei Prodotti della Provincia, i Maestri del Gusto della Camera di commercio) agli eventi tematici di grande richiamo (fra cui il Salone del Gusto, Terra Madre e Cioccolatò) che contribuiscono a rafforzare - anche a livello internazionale - l’immagine di una Torino metropoli del gusto. Da questa dimensione di “qualità esclusiva” legata a una nicchia di gourmet (inizio degli anni 2000), il sistema urbano-metropolitano è successivamente approdato a una più solida e urgente richiesta di accesso a cibo di qualità a prezzi equi. Una consapevolezza che si collega a nuove opportunità e nuovi savoir faire per l’agricoltura del territorio provinciale. Questo anche per l’esistenza di due caratteristiche che rendono peculiare il sistema alimentare torinese (metropolitano e regionale): Torino è una città di media grandezza (di poco al di sotto del milione di abitanti) che, pur rappresentando un considerevole bacino di consumo, mantiene connessioni di prossimità fisica con un territorio dalle grandi potenzialità produttive agricole.
L’elemento di reale innovazione rispetto al passato è rappresentato dalla progressiva presa di coscienza della multidimensionalità del cibo, delle relazioni che esso intrattiene con molti ambiti di policy, della necessità di passare da politiche settoriali a una strategia di sistema, olistica e integrata anche da un punto di vista territoriale.
In questo senso, diversi soggetti hanno cominciato a rendersi conto dell’esistenza di un sistema alimentare complesso, all’interno del quale sono gli attori e la forma delle relazioni negoziali a decidere ciò che si mangia, più dell’effettiva disponibilità di risorse territoriali, e a ragionare esplicitamente di rapporto cibo-città/città metropolitana/regione, di territorializzazione della filiera agroalimentare, di sistema del “cibo locale” e di “sistema locale” del cibo. Questa nuova fase, connotata da una forte partnership tra il rinnovato soggetto pubblico della Città Metropolitana e l’Università, muove da nuove consapevolezze legate alle grandi opportunità sia del contesto locale, sia delle relazioni con i territori sovralocali più ampi.
In primo luogo è stato fondamentale il progressivo riconoscimento della moltitudine di iniziative e progettualità in parte spontanee, in parte stimolate da politiche pubbliche e da organizzazioni di produttori o consumatori – avviate dalla città e dal suo territorio negli ultimi anni (Dansero e Puttilli, 2013). Si spazia dai temi dell’agricoltura urbana e periurbana, alla salute pubblica ed educazione alimentare, con progetti legati alla ristorazione collettiva, in particolare scolastica, in termini sia di capitolati d’appalto in cui si privilegiano i prodotti bio e locali, sia di sensibilizzazione e di vera e propria educazione alimentare; si va dall’insieme di iniziative nel campo dei mercati, degli spacci aziendali in città e dei nuovi modi di trasformare il cibo da parte delle aziende agricole, alle relazioni fra Gruppi d’Acquisto e agricoltori, alla valorizzazione dei prodotti tipici; si studiano e si applicano soluzioni innovative per la razionalizzazione delle filiere corte, per il recupero del cibo in eccedenza e, più in generale, per aumentare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del sistema agroalimentare in tutte le sue fasi. Inoltre, soprattutto in quest’ultimo anno, complice anche la risonanza mediatica dell’Expo, vi sono stati innumerevoli momenti di confronto e avanzamento, teorico e metodologico, ma anche di tipo più divulgativo, di carattere nazionale e internazionale.
Contestualmente, vi è anche la presa di coscienza del ruolo strategico della nuova dimensione metropolitana, in cui alla città capoluogo si affiancano poli secondari forti e consolidati dal punto di vista economico-funzionale, culturale e con specifici rapporti urbano-rurali ed esperienze innovative per la loro gestione, come accade per il Pinerolese, l’Eporediese, il Canavese, etc.
Tutte queste (e molte altre) esperienze e consapevolezze sono però in cerca di una cornice comune, che non solo sappia metterle a sistema e fare massa critica, valorizzandone interdipendenze e sinergie, ma che rappresenti un contesto politico-istituzionale coerente di riferimento con priorità precise sulle scelte alimentari e sulla necessità di puntare a una qualità accessibile, diffusa e sostenibile del cibo.
Ntm: un processo aperto
In questo contesto, davvero ricco di energie e di contenuti, l’esperienza di “Nutrire Torino Metropolitana”- il processo di governance alimentare frutto della collaborazione fra Città metropolitana e Università di Torino – rappresenta il punto di svolta verso un orizzonte più strutturato di politiche del cibo e pianificazione dei sistemi alimentari. Ntm, infatti, raccoglie, integra e valorizza l’eredità di tutte le esperienze locali e sovralocali che hanno ricadute dirette e indirette sul cibo, fra cui anche due processi di governance alimentare della città di Torino: il progetto Torino Smile e il Tavolo Torino Città del Cibo all’interno del III Piano Strategico della città. Senza approfondire1 , in questa sede, la storia e gli esiti di questi progetti - molto diversi, per ambizioni, obiettivi, soggetti coinvolti, ritaglio territoriale, legittimità politica – è importante osservare come essi abbiano rappresentato una buona occasione di ricognizione preliminare dei temi potenzialmente strategici per la città e, ancora di più, di costruzione della leadership che ha successivamente organizzato e guidato il terzo e più strutturato processo di Ntm.
Ntm nasce come percorso teso alla costruzione di una strategia alimentare sistemica, condivisa e partecipata. Il suo primo obiettivo concreto è quello di co-progettare e dare attuazione a un’Agenda Metropolitana del Cibo, che non sia solo un documento di principi, ma nemmeno un rigido masterplan: l’idea è arrivare a una mappa di proposte e temi d’azione che fornisca motivazioni, conoscenza, indicazioni, primi indirizzi progettuali verso un obiettivo concreto di qualità alimentare, quotidiana, diffusa e accessibile a tutti.
Figura 1 – Le fasi del processo
Fonte: elaborazione propria
La prima fase di questo percorso (Figura 1) è stata strutturata in un ciclo di tre incontri partecipati, secondo una logica il più possibile inclusiva in rapporto agli obiettivi da raggiungere e alle attività previste.
Il primo evento, dal titolo “conoscersi”, a cui hanno partecipato oltre un centinaio di attori del sistema alimentare, è stato pensato e organizzato come una sorta di happening con l’obiettivo di stimolare l’interesse e la riflessione sulla necessità di una politica alimentare integrata e, contestualmente, dare visibilità al capitale di esperienze e pratiche innovative attive sul territorio metropolitano.
Al secondo evento, dal titolo “confrontarsi”, erano presenti più di cento operatori della produzione e della distribuzione piemontese, consumatori, esperti e tecnici delle istituzioni che si sono confrontati - per la prima volta tutti insieme - sulle grandi sfide imposte dalla prospettiva di città che mangiano e territori che producono, all'interno di uno scenario contemporaneamente globale e locale.
Il terzo incontro, che ha chiuso la prima fase del processo con la restituzione ai partecipanti dei risultati delle giornate precedenti, ha dato avvio a un confronto strutturato per la costruzione della politica alimentare metropolitana. In quest’ottica, agli oltre cento partecipanti è stato chiesto di convalidare otto temi di lavoro, da intendersi come possibili ambiti concreti di azione per lo sviluppo futuro del sistema alimentare metropolitano: (i) educazione e formazione; (ii) informazione e conoscenza; (iii) distribuzione e piattaforme logistiche; (iv) public procurement; (v) semplificazione; (vi) premi e incentivi alla qualità; (vii) pianificazione territoriale; (viii) nuove forme di governance.
I temi di Ntm
I primi due temi, “educazione e formazione” e “informazione e conoscenza”, traducono un assunto che si è rilevato trasversale a tutto il processo, cioè la necessità di costruire (o ricostruire) una cultura del cibo, perché “solo se conosco, posso scegliere”. Alla base di questi due temi, fortemente interconnessi e in parte sovrapponibili, l’idea che l’educazione, l’informazione e la promozione della qualità (soprattutto nutrizionale) siano in grado di innescare percorsi e meccanismi virtuosi, fra cui un probabile aumento della richiesta di prodotti più sani e sostenibili, imponendo al mercato una nuova domanda e nuovi standard. Per quanto concerne il primo tema, nello specifico, emerge con forza la proposta di realizzare percorsi educativi da inserire in tutti i livelli e ordini di scuola, con l’obiettivo di un continuum formativo che vada dalle scuole del pre-obbligo e obbligo, fino alle superiori e l’università. Fra le proposte più concrete c’è infatti la costruzione di un programma pedagogico di educazione nutrizionale con l’inserimento di ore specificatamente dedicate, in stretta connessione alle attività di educazione fisica; ma anche la distribuzione nelle scuole di un frutto di stagione al posto della classica merendina confezionata, così come già avviene in alcune sperimentazioni condotte dal Mipaf; e ancora attività di formazione dei formatori per costruire le competenze necessarie, a oggi ancora poco presenti.
Il secondo tema si focalizza invece sui limiti e le opportunità delle attività di promozione e marketing, soprattutto dei prodotti locali, promossi sia dal settore pubblico che da quello privato. In quest’ottica, uno degli elementi di criticità più volte evidenziato riguarda la correttezza delle informazioni sulla qualità che vengono veicolate al pubblico, e la conseguente necessità di chiarezza e trasparenza: se l'obiettivo è accrescere la capacità di scelta, occorre rendere più trasparenti ed esplicite le caratteristiche di qualità dei prodotti attraverso etichettature, meccanismi di tracciabilità, ma anche educazione e formazione agli addetti ai lavori.
Il terzo tema, “distribuzione e piattaforme logistiche”, è emerso come uno dei nodi focali per la creazione di sistemi alimentari più sostenibili ed equi. Gli attori coinvolti hanno infatti più volte sottolineato la necessità di strutturare nuovi luoghi di incontro fra domanda e offerta (come i local e regional food hub statunitensi) funzionali ai consumatori ma soprattutto ai piccoli produttori, che avrebbero l’opportunità di fare massa critica attraverso una gestione consorziata (per filiera o comparto produttivo) della fase distributiva. Questo tipo di piattaforma (anche di piccole dimensioni o di matrice esplicitamente sociale) sposta in parte l’attenzione dalla ricerca di modalità per integrare la produzione locale all’interno della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo), alla necessità di una migliore organizzazione dei produttori locali per rendere più efficace la distribuzione dei propri prodotti, in ragione di logiche e modelli organizzativi ritenuti da molti difficilmente conciliabili. Tuttavia, il rapporto fra produzione locale e Gdo resta un tema centrale, teso fra posizioni più radicali, che separano nettamente i canali alternativi e tradizionali e visioni più possibiliste, che invocano forme di collaborazione, soprattutto in termini di stoccaggio dei prodotti. Una seconda questione concerne invece il tema della gestione delle piattaforme locali che, secondo alcuni soggetti, dovrebbe comunque essere indirizzata verso forme più spinte di partnership fra pubblico e privato anche mutuando - quando possibile - esperienze virtuose di distribuzione alternativa scalate in un’ottica esplicitamente imprenditoriale.
Il quarto tema “public procurement” è stato declinato sia in termini di valenza educativa, formativa e di salute pubblica, sia come importantissima leva per la produzione e il consumo di prodotti locali. In generale si ritiene che la scarsa presenza di prodotto locale nelle mense non sia dovuto a un problema di accessibilità e rifornimento, ma alle scelte dei gestori. Tuttavia, alcuni soggetti rivelano l’inconciliabilità fra i grandi numeri della ristorazione collettiva e le produzioni di qualità, proponendo come soluzione parziale il ricorso a reti cooperative fra produttori. In quest’ottica è stata vagliata anche l’opportunità di un ruolo più importante, soprattutto a livello formativo e di indirizzo, della Città Metropolitana. Un’altra importante questione riguarda le tariffe della ristorazione, in particolare scolastica. L’idea è che una mensa collettiva di qualità debba necessariamente avere dei prezzi maggiori. In quest’ottica si ritiene necessario trovare nuovi equilibri fra una maggiore disponibilità a spendere del committente e prezzi più bassi dei prodotti, da ottenere attraverso diversi accorgimenti che vanno dalla razionalizzazione logistica/utilizzo di piattaforme ad hoc, alle sinergie di filiera o di comparto, all’aumento dei volumi, eccetera.
I soggetti coinvolti nel processo hanno più volte invocato il quinto tema, “semplificazione normativa e burocratica”, come area di necessario e urgente miglioramento, senza però formulare proposte concrete e sufficientemente articolate. Tuttavia, due questioni, più di altre, sembrano scontare un minor grado di indefinitezza. La prima relativa alla necessità di semplificare le procedure di certificazione volontaria, in particolare per quanto riguarda l’agricoltura biologica, per contenere i prezzi della qualità e le procedure di certificazione richieste dalla Gdo, per le quali si è proposto un servizio di orientamento e accompagnamento alle imprese. La seconda legata alle procedure di public procurement, per le quali da un lato si è proposto di rivedere le norme (nazionali, europee) in un’ottica di maggiore peso della qualità rispetto al prezzo; dall’altro sono stati richiesti tavoli di confronto con le autorità competenti e gli organismi di controllo della qualità igienico-sanitaria (Asl, laboratori...) e della qualità contrattuale, per attivare interpretazioni omogenee della norma (sottratte così all’arbitrato del singolo controllore) per evidenziare i costi occulti di gestione e sviluppare un confronto sui capitolati d’appalto. Una sollecitazione puntuale e di merito riguarda il Registro Unico dei Controlli, inteso come una buona idea dai presupposti sbagliati. In questo senso è emersa la necessità di definire l’oggetto della semplificazione (controlli Pac, sicurezza alimentare, sanità animale, marchi di qualità, evasione fiscale) e ripartire dal livello nazionale: i sistemi informativi del Ministero delle Finanze, dell’Agricoltura, dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e della Sanità non dialogano tra loro, “sarebbe opportuno che il livello nazionale cominciasse a coordinare i sistemi e i suoi organi di controllo”.
Anche il sesto tema, “premi e incentivi alla qualità”, per quanto ricorrente e trasversale ai diversi gruppi di lavoro, sconta un certo grado di indeterminatezza nelle proposte. Propedeutico alla sua trattazione è stato il confronto sul concetto stesso di qualità alimentare, delle varie accezioni che ne connotano la natura multidimensionale (nutrizionale, organolettica, nutraceutica, ambientale e territoriale, tecnologica) al cui interno si intrecciano fattori oggettivi, ma anche soggettivi. Sul piano delle proposte emerge in generale la richiesta di premiare chi fa bene (sburocratizzazione per le produzioni di qualità e di piccola scala; defiscalizzazione dei prodotti meno processati, incentivi fiscali ai produttori maggiormente “solidali” e più virtuosi) e, viceversa, penalizzare chi fa le cose male (aumento dell’iva dei prodotti più processati e meno sani). Emerge anche la richiesta di sostegno economico ai produttori per la vendita diretta e la proposta di usare la ristorazione collettiva come ambito strategico per la produzione locale, per esempio attraverso l’attivazione di “buoni pasto locali” che incentivino i consumatori all’acquisto e i privati a garantire un'offerta locale.
Il settimo tema, “pianificazione territoriale”, è emerso in modo diretto solo in alcuni momenti e in alcuni tavoli, in stretta relazione alla presenza di esperti che hanno collegato il ragionamento sulla qualità e sulla produzione locale con la pianificazione e la gestione del territorio. In generale il riferimento più diretto è alla logistica in relazione all’organizzazione del territorio, ma anche agli spazi per l’agricoltura urbana o a proposte relative ai mercati (proposte peraltro già in essere, da cui si evincono notevoli differenze nella conoscenza del sistema da parte degli intervenuti ai tavoli).
Infine, l’ottavo e ultimo tema relativo alle “nuove forme di governance” è emerso in relazione alla necessità di lavorare a un maggiore coordinamento e programmazione tra chi produce, chi distribuisce, chi consuma e le autorità pubbliche. Uno degli aspetti di fondo è la modalità “reticolare” e processuale che queste forme dovrebbero avere, attraverso il coinvolgimento di cittadini e stakeholder da attivare per aggregare le varie esperienze esistenti, senza però creare ulteriori sovrastrutture. In prima istanza è emersa l’esigenza di definire l’oggetto di queste nuove forme di governance (di cosa ci si deve occupare? degli obiettivi dell’agenda strategica? della messa in rete di buone pratiche? del monitoraggio delle politiche alimentari?) e i soggetti (chi fa cosa” chi governa il processo?). Queste esigenze muovono dalla necessità di costruire un sistema di governance integrata e partecipata che sappia sviluppare e rendere efficace il dialogo fra attori privati, fra pubblico e privato e il coinvolgimento della società civile verso una migliore “pianificazione alimentare per categorie merceologiche sulla base del reale livello di autosufficienza alimentare”. In questa direzione è stato proposto un maggiore collegamento tra le diverse istituzioni che si occupano di cibo ai vari livelli, da orientare verso un’unica figura di riferimento (un assessorato al cibo o un Food Policy Council) capace di mettere a sistema le diverse esperienze avviate nel contesto torinese, anche in un’ottica multiscalare (Regione, Ministeri, come il Mipaaf e il Mise, la Sanità) e di dialogo tra le grandi aree urbane della Pianura Padana.
I prossimi passi
Il portato di questo primo intenso processo partecipato costituisce un capitale di conoscenza, di informazioni e di prospettiva davvero importante. Il passo successivo sarà approfondire gli otto temi mantenendo modalità partecipative, come quelle dei tavoli di lavoro (seconda fase, cfr. figura 1) e condensarli in un documento operativo (fase tre, cfr. figura 1). A questi tavoli tematici si affiancheranno anche dei tavoli territoriali, in una logica policentrica di sistema alimentare metropolitano come rete di sistemi locali del cibo (Pinerolese, Chierese, Valsusa, Eporediese, etc…). I tavoli tematici e territoriali, oltre a essere momenti di approfondimento, saranno anche occasioni di co-progettazione pubblico – privata su esperienze e buone pratiche, in alcuni casi preesistenti rispetto al processo di Ntm. Una volta definita nel dettaglio, anche sulla base delle esperienze già in atto, l’Agenda sarà posta all’attenzione delle istituzioni locali e consentirà di fare emergere altre idee, progetti, esperienze innovative, che potranno essere accompagnate e sostenute attraverso fondi europei o regionali o sponsorizzazioni pubbliche e private. L’Agenda sarà inoltre parte integrante del Piano strategico di cui nei prossimi mesi si doterà la Città metropolitana di Torino.
Conclusioni
Le conclusioni di questo scritto non possono che essere interlocutorie, poiché riguardano un processo aperto e dinamico, dagli esiti non facilmente prevedibili. Questo progetto implica infatti importanti e stimolanti sfide, di natura diversa, alcune di tipo più teorico-metodologico, altre di governance del sistema, altre ancora legate davvero alla sostanza stessa del progetto e ai suoi obiettivi, come l’accesso a un cibo di qualità.
Una prima sfida è rappresentata dalla necessità di connettere processi diversi, attori e azioni che si stanno consolidando sui diversi fronti del sistema del cibo. A tal fine, una premessa indispensabile è quella di costruire conoscenza e rappresentazioni del sistema alimentare, per esempio attraverso il progetto di Atlante del Cibo di Torino Metropolitana (Dansero et al. 2015b) con l’obiettivo di aumentarne la visibilità, raccogliendo, integrando e sistematizzando le informazioni disponibili, rendendole comunicabili e accessibili e accrescendo in tutti gli attori la consapevolezza del sistema del cibo e della sua complessità.
Una seconda e più complessa sfida è pensare e costruire una strategia policentrica e multiscalare per il territorio della più vasta Città Metropolitana italiana, integrando scale microlocali di progetti e azioni, con quelle comunali, metropolitana e regionale, riferimento fondamentale per le politiche agricole e i relativi fondi europei. Per quanto concerne, nello specifico, la sostanza e gli obiettivi del progetto, occorre interrogarsi più a fondo sul senso, le possibilità e i limiti di un’azione locale, pensando le politiche alimentari locali come un nuovo e inesplorato spazio di azione politica e di interazione di una pluralità di soggetti pubblici, del mercato e della società civile.
Nutrire Torino Metropolitana è, infatti, un processo in divenire, che vuole far assumere agli attori del sistema alimentare la consapevolezza collettiva di esistere e di essere “irrimediabilmente” connessi gli uni agli altri.
La complessità, la ricchezza e l’ambivalenza delle relazioni dei sistemi alimentari necessitano infatti della definizione di un percorso, un fil rouge che agevoli la cooperazione tra pubblico e privato e costruisca collegamenti virtuosi tra i soggetti pubblici delle diverse scale istituzionali. Il traguardo è l’Agenda Metropolitana del Cibo, un documento non solo di principi, né solo di azioni puntuali, ma una mappa per navigare nel mare degli interessi contrapposti, mantenendo ferma la barra del timone verso il costante miglioramento della qualità del cibo quotidiano per tutti, un cibo sano, equo, pulito, buono. Contestualmente, l’Agenda sarà anche un piano di lavoro per mettere ordine nelle cose che si vogliono cambiare e in quelle che cambiano ogni giorno, spinte dall’azione individuale di ciascuno.
Con questo lavoro si vuole dare legittimità a un bisogno primario, che riguarda tutti, quotidianamente e personalmente e su cui le scelte individuali nella ricerca di benessere possono avere peso e imprimere nuove e più realistiche prospettive al cammino verso una nuova etica dello sviluppo.
Questo permetterà di fondare un nuovo spazio, una “casa” in cui sieda la società civile, gli operatori economici e i vari portatori d’interesse, le istituzioni, il mondo della ricerca, dell’istruzione e della formazione: una nuova area istituzionale che rimetta al centro uno dei bisogni primari dell’umanità e la capacità decisionale dei cittadini, grandi e piccoli, e degli operatori, soggetti attivi della civitas.
Sebbene profondamente connesse alle caratteristiche del contesto locale e alla forma specifica che questo processo ha assunto, le sfide di Nutrire Torino Metropolitana e le azioni messe in atto per affrontarle possono costituire prime indicazioni per un approccio metodologico alla pianificazione alimentare. In quest’ottica Ntm rappresenta un interessante laboratorio di politiche alimentari che, insieme alle altre esperienze nazionali, contribuisce alla costruzione di una “via italiana“ alla pianificazione dei sistemi urbani e metropolitani del cibo.
Riferimenti bibliografici
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- Wiskerke S.C. e Viljoen A. (2012), (a cura) Sustainable food planning: evolving theory and practice, Wageningen Academic Publisher, Wageningen
- 1. Per maggiori informazioni si vedano: http://www.torinosmartcity.it/idee/idea-27/ e www.torinostrategica.it.