Impresa agricola e innovazione: cosa si cela dietro questo binomio

Impresa agricola e innovazione: cosa si cela dietro questo binomio

Premessa

Il binomio impresa agricola e innovazione è stato sempre considerato la chiave del successo delle imprese e, nel complesso, dell’intero sistema agricolo. Nel corso del tempo si sono modificati i contenuti dell’apporto innovativo sia in termini di percorsi tecnologici che di obiettivi produttivi, tuttavia, l’accezione dell’innovazione quale indirizzo privilegiato per lo sviluppo è rimasta il tema cruciale.
Un altro elemento ricorrente, quando si affronta l’argomento, riguarda la distanza (o presunta tale) fra il contesto dell’impresa agricola e il contesto che produce innovazioni (i sistemi pubblici e privati della ricerca) e la necessità di mettere in relazione o collegamento questi ambiti per far sì che il “trasferimento dell’innovazione” avvenga con rapidità ed efficienza. In questa ottica vanno, quindi, interpretati i numerosi interventi finanziati dalle istituzioni pubbliche italiane per la messa in campo di risorse umane e strumentali (i divulgatori, gli animatori, i servizi per la difesa integrata alle colture, i parchi tecnologici ecc.) per svolgere un ruolo di interfaccia fra ricerca e imprese. Questi interventi hanno comportato e comportano ancora un importante investimento finanziario.

Le componenti del dibattito

Più di una verifica sperimentale dell’efficacia delle iniziative promosse ha evidenziato, tuttavia, in contesti anche molto diversi (Europa, PVS, Stati Uniti), che porre l’accento soltanto sull’innovazione, supponendo una sua intrinseca positività, fa sottostimare l’importanza del contesto aziendale. In quest’ambito, l’innovazione è efficace solo se risponde a specifiche esigenze tecnico-economiche e se valorizza le competenze e le capacità che l’impresa ha saputo tesaurizzare nel tempo (U. Nitsch, A. van den Ban, 2000). Il rischio, anch’esso verificato sperimentalmente, è quello di rendere vani sia gli interventi di produzione che quelli di trasferimento dell’innovazione con costi per la collettività anche molto alti.
In concomitanza, quindi, con l’affermarsi degli approcci dal basso allo sviluppo, si sono diffuse, già dalla metà degli anni Novanta, iniziative di promozione della ricerca che hanno enfatizzato il ruolo delle imprese mediante: a) la preventiva e specifica analisi della domanda di innovazione; b) la partecipazione delle imprese stesse (diretta o mediata da organismi di rappresentanza) alle attività di ricerca; c) la realizzazione di iniziative di diffusione delle informazioni nella fase dell’immediata conclusione delle ricerche.
E’ tema del dibattito recente il noto “paradosso europeo” secondo il quale l'Europa, pur essendo prima nella produzione di pubblicazioni scientifiche rispetto agli USA e al Giappone, è all'ultimo posto per numero di brevetti depositati. La vera debolezza europea risiederebbe, quindi, nell'insufficiente capacità di trasformare la conoscenza tecnologica e scientifica in effettive opportunità imprenditoriali (APRE). Per alcuni autori (Dosi, Sylos Labini, 2005), invece, le evidenze del "paradosso europeo" sono molto deboli in quanto:

  • la valutazione di eccellenza scientifica europea si basa su una lettura superficiale dei dati relativi alle pubblicazioni scientifiche;
  • il punto di forza degli Stati Uniti non sono le più strette relazioni fra università e industria, ma l’esistenza di istituzioni (universitarie e non) che generano ricerca fondamentale ad alto livello da cui, più di altre forme di ricerca, deriverebbero le innovazioni tecnologiche alla base della cosiddetta economia della conoscenza.

Gli stessi autori evidenziano inoltre che, per trasformare in opportunità per l’impresa le innovazioni, non è così importante promuovere il collegamento fra ricerca e imprese quanto promuovere intorno ad esse un contesto che faciliti e renda allettante l’investimento innovativo.

Un caso di studio realizzato in Piemonte

La Regione Piemonte nel 2005 ha affidato dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria il compito di realizzare una verifica sulla propria attività di promozione della ricerca e dell’innovazione con particolare riferimento ad alcune delle più importanti innovazioni prodotte con il finanziamento regionale. La valutazione (Tabella 1) è stata eseguita da un gruppo di ricercatori dell’INEA, che si occupa da tempo delle tematiche relative all’innovazione in agricoltura.

Tabella 1- I progetti oggetto di studio

Il processo valutativo ha utilizzato un approccio di analisi sia quantitativo che qualitativo che ha comportato: a) lo studio approfondito delle ricerche e dei loro risultati mediante i materiali prodotti e le interviste ai ricercatori referenti; b) la realizzazione di 25 interviste a testimoni significativi dei comparti produttivi e delle strutture di consulenza; c) la somministrazione di 250 questionari ad imprenditori agricoli; d) la realizzazione di 6 gruppi focus di cui 5 con i tecnici consulenti d’impresa e 1 con i funzionari dell’ufficio regionale che gestisce i finanziamenti.

I risultati

Fra le innovazioni studiate la più diffusa tra le imprese è l’utilizzo, nell’impianto dei vigneti, di cloni selezionati secondo una metodologia rigorosa e controllata che, oltre agli obiettivi di qualità produttiva e adattamento ambientale, si pone come finalità generale la scelta e la verifica di ceppi esenti da virosi. L’89% delle imprese contattate ha impiantato cloni certificati e, a quanto risulta dalle interviste con esperti e dal gruppo focus con i tecnici, c’è una netta preferenza verso le selezioni operate in Piemonte dall’Università e dal CNR.
L’altra attività di ricerca e sperimentazione con un’elevata percentuale di diffusione è quella che prevede la predisposizione di liste di orientamento varietale per la frutticoltura, con l’obiettivo di orientare i frutticoltori nella scelta delle varietà da utilizzare per i nuovi impianti. La percentuale di imprenditori che ha usufruito dei risultati del progetto, tra quelli contattati, è pari al 79,5 % e, in generale, il giudizio formulato da esperti, tecnici e imprenditori rispetto all’attività di sperimentazione della struttura regionale di ricerca coinvolta, il CRESO, è particolarmente positivo (“..tengo il volume del CRESO sempre sul trattore…”).
La diffusione delle innovazioni prodotte dagli altri progetti si colloca ad un livello inferiore:

  • la media della diffusione delle innovazioni, che mette in relazione sistemi colturali a diverso impatto ambientale, è pari al 26,6% (la riduzione nell’uso dei concimi è pari al 35,5%, la riduzione nell’uso di diserbante è pari al 31%, la riduzione delle lavorazione è pari soltanto al 13%);
  • le liste varietali proposte dall’intenso lavoro che il CRESO realizza anche nel settore orticolo sono utilizzate dagli imprenditori contattati nel 46% dei casi;
  • i miglioramenti nella tecnica di caseificazione proposti dal progetto relativo alla caratterizzazione della Toma piemontese sono stati acquisiti soltanto nel 18,6% dei casi, anche se la media penalizza alcune operazioni della caseificazione che sono state acquisite in maggior misura come i sistemi di refrigerazione del latte (40%) e la salatura a secco (20%).

Analizzando il contesto in cui sono state calate le innovazioni e, volendo usare la terminologia utilizzata nello studio, “i percorsi dei risultati della ricerca scientifica”, è interessante evidenziare come le cause della maggiore o minore diffusione siano molto più complesse di quelle che possono apparire ad una prima valutazione.
Un primo gruppo di elementi che entrano in gioco riguarda la relazione fra le caratteristiche dell’innovazione e il contesto territoriale e imprenditoriale di applicazione (Tabella 2).

Tabella 2 - Innovazioni ed elementi di contesto

Come si può notare tutti i progetti sono partiti da obiettivi di sviluppo e da potenzialità indiscusse del settore, tuttavia, quelli con la maggiore diffusione dei risultati (selezioni clonali e frutticoltura) hanno avuto come referente un sistema imprenditoriale vivace e ben strutturato dal punto di vista associativo. Al contrario, la zona del Canavese e gli areali orticoli piemontesi scontano una realtà imprenditoriale meno organizzata e con caratteristiche strutturali e culturali meno aperte all’innovazione e che, quindi, non riesce ancora a cogliere i segnali positivi della richiesta turistica (Canavese) e delle potenzialità economiche di alcuni prodotti (orticoltura). Il settore cerealicolo e quello zootecnico caseario legato alla Toma, pur avendo estremo bisogno di un intervento radicale che restituisca un minimo di redditività alla produzione, sono frenati da una tradizione culturale molto radicata (..il terreno pronto per la semina deve essere perfetto…) e da problematiche strutturali legate ad aspetti che, nelle scelte delle imprese, possono venire prima delle innovazioni proposte, quali ad esempio il parco macchine per le aziende cerealicole e l’ammodernamento e la messa a norma delle stalle per le zootecniche.
Un altro aspetto di interesse che emerge dalla ricerca riguarda l’analisi delle modalità di ideazione, gestione e divulgazione delle ricerche, aspetto di grande interesse per la regione Piemonte in considerazione dell’impegno che essa profonde nell’attività di selezione e verifica in itinere dei progetti di ricerca.
La Tabella 3 sintetizza con quattro items e con pochi indicatori qualitativi gli elementi ritenuti importanti dal gruppo di ricerca ai fini della valutazione delle caratteristiche che possono rendere i progetti intrinsecamente dotati di un maggiore potenziale di diffusione: coinvolgimento di altri soggetti del sistema della conoscenza, modalità di verifica della domanda di innovazione, attivazione di piattaforme di negoziazione, scelta degli strumenti di comunicazione.

Tabella 3 - Caratteristiche relazionali dei progetti

Di nuovo si può notare che le performance migliori sono ottenute dai progetti le cui innovazioni si sono diffuse maggiormente.
Va evidenziato il caso studio relativo al progetto di ricerca “Selezioni varietali per la frutticoltura” che può essere ricondotto in maniera esemplare al modello di relazione proposto da U. Nitsch negli anni Novanta modello che, a suo parere, risponde meglio del modello di diffusione ad una efficace applicazione delle innovazioni presso le imprese. Infatti, la conduzione della ricerca frutticola non avviene secondo il classico procedimento a cascata che prevede la produzione di conoscenza in sedi diverse e lontane dalla produzione agricola e la sua promozione presso le imprese mediante modalità e strumenti improntati al convincimento degli utenti, ma passa attraverso: a) un’analisi contestuale e partecipata delle problematiche realizzata da ricercatori e imprenditori (Tavolo per la programmazione dell’offerta), b) uno sviluppo della sperimentazione che prevede fasi specialistiche (ricercatori) e fasi di confronto (sperimentazioni territoriali, Comitato tecnico “innovazione di prodotto”), c) una fase applicativa gestita da esperti (i tecnici divulgatori) che interagiscono periodicamente con i ricercatori sia per raccogliere informazioni sia per riferire ulteriori problematiche.
Si segnalano, inoltre, le buone caratteristiche dei progetti cerealicolo e orticolo ai quali tuttavia non ha corrisposto una diffusione adeguata dei risultati presso le imprese agricole. Altro elemento di interesse è l’ambito degli strumenti di comunicazione e divulgazione sulla cui qualità quasi tutti i progetti hanno lavorato poco o con competenze meno esperte rispetto agli altri aspetti del progetto.

Una proposta di interpretazione

Una considerazione che emerge con evidenza dalla breve illustrazione dei paragrafi precedenti (per maggiori dettagli si rimanda al testo integrale della ricerca di prossima pubblicazione) è che il successo di una innovazione e la conseguente ricaduta positiva sulle imprese e sui territori rurali dipende effettivamente da un complesso di fattori di diversa natura dei quali l’attività scientifica e le modalità con le quali vengono prodotte le innovazioni è soltanto una delle componenti.
In realtà, per promuovere la competitività e l’ammodernamento dell’agricoltura utilizzando la leva dell’innovazione, occorre mettere in campo interventi e strumenti di diversa natura:

  • una rigorosa analisi dei bisogni costantemente aggiornata;
  • chiari obiettivi di sviluppo;
  • un’attività di ricerca coerente con l’analisi dei bisogni e gli obiettivi di sviluppo che punti all’eccellenza scientifica;
  • iniziative per la promozione o il rafforzamento delle reti fra i soggetti coinvolti;
  • attività di valorizzazione del capitale umano che a vario titolo è coinvolto nel processo di innovazione;
  • interventi coerenti di politica delle strutture e dei mercati.

Altro aspetto rilevante è la combinazione efficace delle azioni suddette, in quanto il buon esito della diffusione di una o più innovazioni è correlato proprio al coordinamento degli interventi di promozione. E’ necessaria una regia che gestisca l’intero processo innovativo, o parti dello stesso, tenendo conto dei contenuti, delle modalità e dei tempi con i quali le altre componenti del sistema produttivo e dei diversi sistemi relazionali intervengono nell’attività di promozione. Tale ruolo dovrebbe far parte dei compiti di governance delle istituzioni pubbliche che, sovrintendendo all’applicazione delle politiche di sviluppo e coordinando programmi, procedure e tempi, sono collocate nella posizione migliore per realizzarlo.

Riferimenti bibliografici

  • Dosi G., Llrena P., Sylos Labini M. (2005) : “Science-Tecnology-Industry links and the “European Paradox”: some notes on the dynamics of scientific and technological research in Europe” LEM Working paper 2005/02
  • Nitsch U. (2000): “Dalla diffusione delle innovazioni all’apprendimento comune” in Caldarini C., Satta M. (a cura di) Metodologia della divulgazione. Il fattore umano nello sviluppo agricolo, INEA – CIFDA Sicilia Sardegna.
  • Van den Ban A. W (2000). “Divulgazione agricola e scienze della divulgazione” in Caldarini C., Satta M. (a cura di) Metodologia della divulgazione. Il fattore umano nello sviluppo agricolo, INEA – CIFDA Sicilia Sardegna.
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