Introduzione
Le considerazioni sulla Politica Agricola Comune (PAC) contenute in questo lavoro, si pongono l’obiettivo di arricchire la discussione in atto sul percorso di riforma iniziato ormai quindici anni fa e sui fattori strategici che ne hanno condizionato il processo negoziale. L’approccio che si intende seguire nell’interpretare i tre interventi riformatori succedutisi dal 1992 al 2003 - la riforma MacSharry, Agenda 2000, e la più recente riforma Fischler - prende le mosse da un filone teorico interno alla new political economy, che suggerisce come le determinanti delle public policies possano avere, oltre ad una origine esogena (lobbies, interessi del decisore, caratteristiche del settore di intervento), una matrice endogena derivante dalle relazioni che si vengono a creare a seguito della scelta di determinati strumenti. Il concetto alla base di questa chiave di lettura è quello di path dependency. Con questo termine si vuole evidenziare come, in molte attività umane, sia possibile che la direzione di intervento scelta possa condizionare le opzioni disponibili in futuro e con esse la natura del processo negoziale da cui scaturiranno le successive scelte.
L’applicazione di questo concetto è relativamente recente ed ha portato alla comparsa di una interessante letteratura sul tema (Pierson 2000, Kay 2003), nella quale il concetto di path dependency viene proposto come possibile strumento di valutazione ex-post delle politiche pubbliche. Al concetto di path dependency non vanno attribuite proprietà deterministiche; non siamo alla ricerca dell’ottima soluzione di policy, ma di una chiave di lettura che ci aiuti a restringere il campo delle possibili scelte e delle loro interdipendenze (North, 1990). In questo quadro viene calata l’esperienza di riforma della PAC degli ultimi quindici anni, tentando altresì di individuare come questo percorso abbia gradualmente ristretto le opzioni di riforma attualmente in elaborazione, contribuendo così a configurare una “nuova” politica agricola.
L’obiettivo di questo lavoro è individuare le determinanti endogene delle scelte compiute nel corso dell’evoluzione della PAC. In altre parole, individuare quali sono gli elementi di portata strategica che consentono di comprendere le relazioni tra i diversi momenti riformatori, e quali sono le scelte di policy che hanno maggiormente influenzato, o lo faranno in futuro, il cammino della PAC.
I tentativi di riforma intrapresi nel corso degli ultimi quindici anni sono avvenuti sotto la spinta di differenti pressioni riconducibili a due aree: una interna all’Unione Europea (interessi dei singoli Stati membri, lobbies agricole, altri gruppi di pressione, vincoli di bilancio ecc.); e un’altra esterna, connessa alle dinamiche dei negoziati multilaterali sulla liberalizzazione del commercio (prima GATT, poi WTO). Tali sollecitazioni hanno determinato la necessità di una riforma della PAC; la path dependency si rivela nella misura in cui il ventaglio delle possibili risposte si è progressivamente ridotto, condizionando gli esiti del processo di riforma.
Il meccanismo di azione dalla path dependency, lungi dall’essere deterministico, può essere schematizzato attraverso l’individuazione di una serie di eventi, anche apparentemente poco significativi, che concorrono a determinare una precisa traiettoria di intervento, dalla quale è difficile distaccarsi, e che tende a condizionare le scelte future (Kay 2003).
La riforma MacSharry e lo sviluppo di rigidi equilibri distributivi
Negli ultimi venti anni, il tradizionale intervento comunitario a sostegno dei mercati e dei redditi agricoli ha radicalmente modificato la sua fisionomia. Ciò si è verificato grazie al succedersi di tre interventi riformatori; due dei quali, quello del 1992 e quello del 2003 caratterizzati da una notevole carica innovatrice. Come noto, le scelte operate nel proporre la riforma MacSharry furono essenzialmente dettate dalla sempre più difficile sostenibilità dei tradizionali meccanismi di sostegno del prezzo sul piano finanziario e su quello internazionale. Stante questo quadro di sollecitazioni, si articolò a quel tempo una riforma che poggiava su due direttrici di intervento: avvicinamento dei prezzi comunitari a quelli prevalenti sui mercati internazionali e compensazioni agli agricoltori attraverso pagamenti diretti ad ettaro differenziati per coltura.
Il nuovo schema di intervento si configurava così come una forma di sostegno parzialmente disaccoppiato. I punti cardine della riforma furono completati attraverso un nuovo impegno nella riduzione delle sovra produzioni, una limitazione alle importazioni sovvenzionate e una maggiore attenzione ai problemi ambientali.
Il sostegno diretto al reddito portò con sé una differente distribuzione dell’onere finanziario della riforma: se prima il trasferimento di reddito all’agricoltura veniva essenzialmente finanziato dai consumatori attraverso la leva del prezzo, a seguito della riforma tale onere veniva sostenuto prevalentemente dai contribuenti attraverso il bilancio comunitario. Sul piano politico, la portata strategica della MacSharry va individuata proprio nella modifica del meccanismo di finanziamento della PAC, con due importanti implicazioni: la maggiore sensibilità politica alla questione distributiva e il legame sempre più stretto tra bilancio comunitario e riforma della PAC.
In primis, i flussi finanziari tra gli Stati membri indotti dalla PAC divennero pubblicamente evidenti e politicamente sensibili, dando vita ad un nuovo e fondamentale vincolo al processo di riforma, quello distributivo. In realtà, la PAC già comportava una consistente redistribuzione del reddito trasferendolo dalle aree di consumo/importazione a quelle di produzione/esportazione (Koester 1977); tuttavia tali trasferimenti erano poco trasparenti, filtrati dai meccanismi del sostegno al prezzo e sostenuti più o meno inconsapevolmente dai consumatori. La loro valenza politica era inoltre decisamente attenuata dalla rapida crescita del reddito e dalla progressiva contrazione della sua quota destinata ai consumi alimentari; ma anche dalle oggettive difficoltà di un’azione di lobby da parte delle organizzazioni dei consumatori.
Non è un caso che l’unico paese che esercitò una marcata opposizione alla logica del sostegno al prezzo, il Regno Unito, fu quello che in concomitanza con il suo ingresso nella Comunità registrò un sensibile aumento dei prezzi alimentari.
La visibilità dei flussi finanziari e dei trasferimenti di reddito indotta dalla riforma del 1992, associata al parziale disaccoppiamento del sostegno e all’indebolimento delle sue giustificazioni, fecero emergere con maggiore forza la questione distributiva che si articolava su due livelli: sproporzione nell’impegno di risorse tra politiche agricole e altre politiche europee, disparità di trattamento tra diversi Paesi e tra differenti comparti agricoli.
La seconda rilevante implicazione della MacSharry consisteva nella nuova interdipendenza che si instaurava tra la PAC e il bilancio comunitario. Prima della riforma del 1992 il bilancio UE non influenzava nel merito le scelte di politica agricola, al contrario erano le scelte effettuate in ambito PAC che condizionavano prepotentemente la dimensione e la struttura del bilancio comunitario. La scelta originaria di sostenere i prezzi e non i redditi, unitamente ai principi di garanzia pressoché illimitata e di preferenza comunitaria, determinarono una condizione in cui la spesa agricola si configurava come automatica e “obbligatoria”; ogni aumento di spesa PAC determinato dalla modifica dei prezzi istituzionali veniva automaticamente coperto, pregiudicando la possibilità di promuovere altre politiche di spesa. Ciò ha costituito l’oggetto del contendere tra Consiglio dei Ministri Agricoli e Parlamento Europeo alla base di un grave e ripetuto conflitto interistituzionale sfociato alla fine degli anni Ottanta con l’istituzione e il varo di una programmazione pluriennale della spesa (le cosiddette Prospettive finanziarie).
A seguito della riforma del 1992, il trasferimento dell’onere della PAC sul bilancio e l’evidenza dei flussi finanziari ad esso associati, congiuntamente con la disciplina di bilancio imposta dal meccanismo delle Prospettive finanziarie, hanno considerevolmente mutato nell’UE il rapporto tra scelte di bilancio e scelte di politica agraria; da unidirezionale (le scelte di politica agraria incidono sul bilancio) esso diventa bidirezionale (anche i problemi di bilancio incidono sulle scelte di politica agraria).
La stretta interdipendenza che si determina tra i due livelli di scelta trova evidente riscontro nella sequenza temporale che caratterizza i due momenti decisionali e nelle caratteristiche del processo negoziale (nella funzione obiettivo dei negoziatori), modificando la natura degli accordi. Il processo sequenziale che ha portato alla riforma del 2003 è emblematico del primo aspetto. L’accordo di Bruxelles del 2002 tra Schröeder e Chirac sul finanziamento della PAC ha creato le condizioni per le proposte della Commissione in merito alla revisione di medio termine della PAC e per il varo dei regolamenti di riforma nell’anno successivo. La riforma del 2003 ha profondamente condizionato e complicato le trattative sulle Prospettive finanziarie 2007-2013, congelando di fatto la spesa per il I pilastro e rendendo necessario per l’accordo un ridimensionamento degli stanziamenti sullo sviluppo rurale rispetto a quanto precedentemente proposto.
Lo stesso clima politico, le caratteristiche della trattativa sulla PAC, e l’atteggiamento dei rappresentanti degli Stati membri sono essenzialmente focalizzati sulle implicazioni finanziarie delle misure oggetto di discussione piuttosto che sui loro effetti sull’agricoltura europea. In ogni paese, i media valutano il risultato di un accordo in termini di ammontare del trasferimento finanziario dal bilancio comunitario a favore dell’agricoltura nazionale. I rappresentanti degli Stati membri si recano a Bruxelles come in una qualsiasi trattativa finanziaria, valutando le differenti opzioni sulla base delle simulazioni in termini di trasferimenti finanziari e il loro stesso potere contrattuale resta strettamente legato alla posizione netta del proprio paese nel bilancio UE.
La conseguenza di tutto ciò sulla natura delle scelte di politica agraria è evidente. Soprattutto a seguito del rafforzamento delle politiche regionali e di coesione, la PAC diventa il luogo dove attenuare gli squilibri finanziari nazionali e recuperare almeno in parte i trasferimenti a favore delle aree in ritardo di sviluppo. Essa pertanto tende sempre più a perdere i connotati di una politica agraria per assumere quelli di una politica di riequilibrio finanziario. I principali contributori netti al bilancio UE, infatti, non potendo recuperare risorse sulle politiche regionali per loro natura redistributive, per migliorare il loro saldo finanziario devono assicurarsi un solido sostegno sulle Organizzazioni Comuni di Mercato (OCM) di loro prevalente pertinenza (1).
Da Agenda 2000 alla riforma Fischler: la rinazionalizzazione come grimaldello per riformare la PAC
Gli equilibri distributivi consolidatisi in oltre 30 anni di PAC e divenuti espliciti con la riforma del 1992 hanno costituito un evidente vincolo a significativi avanzamenti del processo di riforma. La portata riformatrice di Agenda 2000 si è esaurita, infatti, nella formulazione di obiettivi innovativi intesi a rilanciare la competitività dell’agricoltura, promuovendo il suo carattere multifunzionale e le sinergie con l’ambiente, il paesaggio e lo sviluppo delle aree rurali. Ben pochi passi avanti invece si sono realizzati sul fronte degli strumenti, ma ciò in un quadro di path dependency è da ritenersi per nulla casuale.
Le scelte effettuate con la riforma MacSharry e il consequenziale irrigidimento del vincolo distributivo non consentivano l’adozione di strumenti di intervento che permettessero di “riaccoppiare” il sostegno ai nuovi obiettivi della PAC, ridistribuendolo in funzione del loro raggiungimento. Il rafforzamento delle politiche di sviluppo rurale (il cosiddetto secondo pilastro della PAC), così come radicali modifiche nelle modalità di sostegno dei redditi e dei mercati agricoli (primo pilastro), si sono pertanto rivelati politicamente inaccessibili dal momento che avrebbero necessariamente modificato gli equilibri distributivi preesistenti (Sorrentino, Cioffi, 1997). In chiave path dependency, il processo di riforma avviato nei primi anni novanta imponeva dunque ad Agenda 2000 di ridimensionare i suoi ambiziosi obiettivi all’interno di piccoli adattamenti tecnici della riforma del 1992.
L’effetto della path dependency emerse in maniera evidente in occasione della Mid term review del 2003. La consapevolezza del sostanziale fallimento di Agenda 2000 sul fronte degli strumenti di intervento si contrapponeva al complesso quadro di sollecitazioni alle quali l’agricoltura europea era sottoposta sul piano interno e internazionale. Quella che doveva essere una revisione di medio termine poteva costituire l’occasione per una sostanziale riforma della PAC, così come era nei disattesi auspici di Agenda 2000. Il presupposto era però quello di individuare lo strumento per by-passare se non risolvere il vincolo distributivo, divenuto evidente e politicamente sensibile con la riforma del 1992. La Mid term review venne quindi articolata su sei punti fondamentali: disaccoppiamento totale, condizionalità obbligatoria, modulazione e rafforzato impegno per le aree rurali, disciplina finanziaria, riforma di alcune OCM (latte, riso, foraggi essiccati, tabacco, olio di oliva). Ma la vera portata strategica di quella che è oggi nota come la riforma Fischler è stata l’effettiva, ancorché parziale, rinazionalizzazione dell’intervento. Se non sul piano del finanziamento, che resta integralmente a carico del bilancio comunitario, di certo sul piano della formulazione e gestione degli interventi la responsabilità viene trasferita all’interno degli Stati membri, pur nell’ambito di un quadro di riferimento ben definito. La scelta di disaccoppiare totalmente l’aiuto dalla produzione su base storica ha determinato, di fatto, il congelamento delle dotazioni finanziarie destinate ai singoli Stati membri, e ha consentito di distribuire ai Paesi “fette della torta” (i cosiddetti massimali nazionali) tali da non alterare significativamente gli equilibri consolidati nei decenni precedenti.
La distribuzione agli Stati membri di massimali da amministrare all’interno dei propri confini trasferiva perciò la questione politico-distributiva dal livello comunitario a quello nazionale. Nella misura in cui si voleva effettivamente riformare la PAC e re-direzionare il sostegno in funzione degli obiettivi già formulati in Agenda 2000, si sarebbero in ogni caso rese necessarie scelte politiche che avrebbero penalizzato alcune aree e alcuni soggetti a favore di altre aree e altri soggetti. La novità era che tali “dolorose” scelte si sarebbero dovute effettuare all’interno dei confini nazionali, ad opera dei governi nazionali e senza una diretta copertura politica da parte di Bruxelles. Gli ampi margini di manovra concessi ai governi nazionali nella fase di implementazione della riforma Fischler si configurano pertanto come una necessaria contropartita per il decentramento della questione distributiva. Non a caso, in sede di accordo sulla riforma della PAC, i governi nazionali chiamati ad effettuare scelte politiche presumibilmente sempre più difficili, hanno preteso margini di manovra che non erano affatto presenti nella proposta di riforma della Commissione.
In chiave path dependency, la rinazionalizzazione diventa il grimaldello per aggirare la questione distributiva in sede di Consiglio dei Ministri europeo e si configura come il fulcro attorno al quale è stato possibile articolare tutta la riforma della PAC. Il margine di manovra concesso rappresenta la contropartita per la scelta di trasferire il vincolo distributivo ai governi nazionali. Nella fase del negoziato successiva alla presentazione delle proposte di riforma della Commissione sono stati definiti gli strumenti ai quali i governi potevano ricorrere per determinare la distribuzione degli aiuti. L’applicazione della condizionalità, il destino delle somme tagliate con la modulazione, il grado di disaccoppiamento (parziale/totale), il mantenimento di un sostegno accoppiato per specifici settori (art. 69), la possibilità di perequare l’aiuto tra tutti gli agricoltori all’interno di determinate macroaree (la cosiddetta regionalizzazione), rappresentano le leve attraverso le quali i massimali nazionali vengono ripartiti e costituiscono gli strumenti di gestione del vincolo distributivo all’interno degli Stati membri (2).
Conclusioni
Il percorso delineato individua nella riforma MacSharry un punto di svolta fondamentale per l’evoluzione della PAC. Le decisioni prese in quella occasione hanno portato alla luce i rapporti di forza, in termini di distribuzione delle risorse finanziarie, esistenti tra i diversi Stati membri. Questa nuova condizione associata al nuovo rapporto della PAC con il bilancio, permette di individuare un legame di path dependency che connette la riforma del 1992 con i due interventi successivi. Il fallimento di Agenda 2000 è ascrivibile proprio alla presenza di rigidi vincoli distributivi. Solo successivamente, la rinazionalizzazione realizzata con la riforma Fischler, trasferendo le scelte distributive ai governi nazionali, è riuscita ad aggirare tale vincolo nelle trattative in sede comunitaria. In questo senso, la riforma del 2003 non ha intaccato la distribuzione tra paesi, ma ha trasferito il conflitto distributivo all’interno degli Stati membri. Il successo dell’operazione in termini di portata riformatrice dipenderà dalla capacità dei governi nazionali e locali di utilizzare gli ampi margini di manovra offerti dai regolamenti comunitari per ridisegnare una politica agricola coerente con i nuovi obiettivi.
Resta infine da chiedersi quanto e come la riforma del 2003 e la rinazionalizzazione dell’intervento a sostegno dei redditi agricoli possa condizionare i prossimi appuntamenti negoziali e in ultima istanza le traiettorie di sviluppo delle politiche agricole europee. Ancora una volta la PAC appare destinata a rivelarsi come una politica fortemente dipendente da dinamiche di path dependency. E’ evidente che i percorsi seguiti da alcuni Stati membri in fase di implementazione della riforma, nella misura in cui si configurano come difficili soluzioni di compromesso tra articolati interessi interni, diventeranno rigidi vincoli che condizioneranno decisamente il corso delle future trattative sulla PAC. La diversificazione delle scelte effettuate tenderà a riflettersi nelle posizioni negoziali assunte dai vari Stati membri, rendendo ancor più impegnativa la ricerca di un accordo. Le scelte compiute con la Mid term review se da un lato mettono al riparo da spiacevoli sorprese in termini di ripartizione delle risorse finanziarie tra paesi, dall’altro non consentono di porre le basi per una progettualità comune in ambito agricolo.
Una opinione che comincia a diffondersi è che con la riforma del 2003 si sia intrapreso un percorso difficilmente reversibile che riporterà le scelte di politica agraria all’interno dei confini nazionali, permettendo così un progressivo disimpegno finanziario da parte del bilancio dell’UE. Le resistenze di natura economica sul piano della concorrenza e della parità di trattamento non appaiono tali da contrapporsi a questa tendenza, soprattutto nella misura in cui il sostegno finanziario all’agricoltura assume un carattere integralmente disaccoppiato.
Resistenze più significative potrebbero prodursi sul piano politico. Da un lato, la tecno-burocrazia comunitaria potrebbe difficilmente alienare competenze che fino ad oggi sono state un carattere distintivo del suo sviluppo. In questo senso, il processo di semplificazione della PAC, individuato come uno degli obiettivi qualificanti della Commissione, potrebbe essere interpretato come un tentativo di ridurre nell’Health check, previsto per il 2008, il ventaglio delle possibili scelte applicative della riforma lasciate agli Stati membri. D’altro lato, i nuovi paesi membri potrebbero esercitare una forte opposizione alla rinazionalizzazione, proprio nel timore che essa possa condurre ad un fisiologico e progressivo smantellamento dei trasferimenti finanziari dal bilancio europeo all’agricoltura.
Note
(1) Non è casuale a questo proposito la rigida difesa dei pagamenti del I pilastro che garantiscono il mantenimento di un sostegno elevato ai produttori “continentali”, quasi integralmente a carico del bilancio comunitario a seguito della riforma del 1992.
(2) In effetti, la condizionalità potrebbe apparire relativamente neutrale ai fini della distribuzione degli aiuti. Tuttavia le sue modalità di applicazione a livello nazionale possono porre vincoli all’attività produttiva differenziati a seconda della sua localizzazione ma anche del tipo di prodotto. In questo senso, le scelte in materia di condizionalità possono avere ricadute sia pure indirette sulla distribuzione degli aiuti e del reddito tra gli agricoltori.
Riferimenti bibliografici
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