Notizie Flash
In occasione di un incontro del gruppo tenutosi a Giacarta il 20 ed il 21 marzo, i membri del G-33 si sono detti disposti a ridurre fino a 12 il numero degli indicatori (il cui uso sarebbe tuttavia orientativo e non vincolante) da utilizzarsi per decidere se assegnare o meno lo status di “prodotto speciale”. Quest’ultimo, applicabile dai soli paesi in via di sviluppo sulla base di criteri inerenti alla sussistenza delle popolazioni e alla sicurezza alimentare, garantisce la possibilità di applicare minori tagli tariffari e mantenere un maggior livello di protezione commerciale.
Tra questi indicatori figurano, ad esempio, la quota di un prodotto nel valore totale della produzione agricola di un Paese o la sua importanza per i settori più vulnerabili della popolazione.
Si tratta di una concessione di natura piuttosto tecnica, ma che potrebbe ciò non di meno avere una grande eco politica, in quanto il G-33 dalla sua nascita ha avuto un ruolo primario nel portare avanti il tema dei prodotti speciali, ritenuto di vitale importanza per i paesi in via di sviluppo. Il G-33 chiede che questi ultimi possano designare fino al 20% delle proprie linee tariffarie come speciali, di cui metà sarebbe completamente esclusa dai tagli tariffari e la restante parte subirebbe tagli non superiori al 10%.
La proposta ha trovato l’appoggio del Brasile, che pure non appartiene al G-33. Sostegno è arrivato anche dal gruppo dei Paesi ACP e dal gruppo delle Small and Vulnerable Economies (o SVE; vi sono inclusi la Repubblica Dominicana, le Barbados, Cuba, le Fiji, Honduras, Mauritius, la Mongolia); quest’ultimo gruppo ha anche presentato un proprio documento, chiedendo minori tagli tariffari e la completa esenzione dei propri prodotti speciali da qualunque obbligo.
Grandi esportatori come Australia, Tailandia ed USA hanno invece affermato che la diminuzione del numero di indicatori operata dal G-33 non riduce i loro timori sulla riduzione dell’accesso al mercato causata dalla presenza dei prodotti speciali.
Controverso documento del Pakistan sui prodotti speciali
Il 10 Aprile il Pakistan, in un dichiarato tentativo di aiutare al raggiungimento di un compromesso sul tema dei prodotti speciali, ha invece scatenato le ire degli altri membri del G-33. La proposta del Pakistan che, al pari di Indonesia e Filippine, fa parte sia del G-33 che del Gruppo di Cairns, prende in considerazione alcune richieste dei grandi paesi esportatori, come Tailandia, Malesia, USA, che si sono da sempre opposti alle richieste del G-33.
Secondo quanto annunciato dal Pakistan, solo quei prodotti che ottengono un punteggio minimo risultante dalla media ponderata dei punteggi ottenuti su dieci indicatori (tra cui la percentuale sulla spesa alimentare, il contenuto calorico, il reddito dei poveri) avrebbero diritto allo status di “prodotto speciale”. Sono inoltre elencati alcuni criteri che impediscono l’assegnazione di tale attributo, come, ad esempio, il fatto che i paesi in via di sviluppo contino per più dell’80% delle esportazioni mondiali. Questo criterio “in negativo” ha scatenato accese proteste, in quanto l’obiettivo dell’istituzione dei prodotti sensibili è la protezione della sicurezza alimentare e dello sviluppo rurale delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, e nessun prodotto dovrebbe essere escluso dal meccanismo a priori. Il Pakistan, in completo disaccordo con quanto presente già nella proposta del G-33 del Novembre 2005 (cioè la possibilità di escludere la metà dei prodotti sensibili da ogni riduzione tariffaria e di non applicare sugli altri riduzioni maggiori del 10%), prospetta che le tariffe di tutti i prodotti sensibili siano invece sottoposte a riduzione, con tagli pari ai due terzi di quelli della formula generale (ma questa percentuale è indicata come oggetto di negoziato). Tra l’altro, per i prodotti speciali non sarebbe possibile applicare il meccanismo speciale di salvaguardia, e i Paesi che designano pochi prodotti sensibili sarebbero “ricompensati” e potrebbero mantenere un maggior grado di protezione sugli stessi.
Come detto, la proposta del Pakistan ha scatenato le ire degli altri membri del G-33, in quanto si muove in direzione opposta alla linea negoziale tenuta finora, e apre la strada a nuove richieste da parte degli altri membri del WTO.
Pubblicato il rapporto WTO che analizza la politica commerciale dell’UE
Il WTO ha pubblicato il consueto rapporto sull’analisi della politica commerciale dell’Unione Europea, che è il maggior importatore ed esportatore mondiale di prodotti agricoli; insieme a USA, Canada e Giappone, l'UE è infatti sottoposta a verifica biennale, a differenza di quanto accadde per gli altri Paesi membri, per i quali l’intervallo di tempo è maggiore.
Il rapporto ha evidenziato come la media semplice delle tariffe per i prodotti agricoli si sia alzata dal 16,5% al 18,6% dal 2004 al 2006, rimanendo ben al di sopra di quanto avviene per i prodotti non agricoli, che nel 2006 fronteggiavano una tariffa media del 4%. Circa il 5,4% delle linee tariffarie agricole presenta inoltre valori superiori al 50%; per alcuni prodotti, il livello di protezione commerciale si attesta tra il 100 ed il 400%.
Il rapporto riconosce l’importanza della Riforma della PAC del 2003, che ha permesso di ridurre le politiche con effetti maggiormente distorsivi sulla produzione (come il sostegno ai prezzi di mercato, i pagamenti sugli output, i sussidi agli input), che nel 2005 rappresentavano il 63,8% del sostegno ai produttori, contro il 71,1% nel 2003. Anche l’ammontare delle restituzioni all’esportazione, che attualmente costituisce ben il 90% dell’insieme dei sussidi all’esportazione notificati al WTO, è destinato a ridursi sostanzialmente al procedere della Riforma.
Nel rapporto si nota infine come l’esistenza di un complesso insieme di accordi regionali e preferenze commerciali unilaterali implichi che solo nove membri del WTO commerciano con l'UE secondo il regime della Clausola della Nazione più Favorita.
Il rapporto è disponibile on line: [link])
L’UE inizia la disputa contro l’India su vini e bevande spiritose
Il 24 aprile, dopo mesi di consultazioni, l'UE ha infine ottenuto la creazione di un panel del WTO contro il regime indiano per l’importazione di vini e bevande alcoliche, nonostante, a causa della verosimile minaccia di essere citata in un processo di disputa, l’India avesse fatto sapere di considerare la possibilità di abbassare le proprie tariffe. Queste possono spingersi fino al 550% del valore del bene, a causa della combinazione dei dazi federali e di quelli imposti dai singoli stati indiani (vedi Finestra sul WTO di febbraio), ben al di là del limite del 150% fissato in sede WTO. Gli interessi in gioco sono notevoli, in quanto l’India rappresenta un mercato in rapida espansione: le esportazioni europee di vino in India sono cresciute enormemente negli scorsi anni, e nel 2005 ammontavano a 43 milioni di euro, di cui 7 di vino. Non è escluso che gli USA, a seguito di un reclamo presentato a marzo, possano dare il via ad un analogo processo di disputa. Le esportazioni statunitensi di vino e alcolici in India sono addirittura cresciute del 200% tra il 2000 ed il 2005.
La guerra delle banane: Ecuador e Colombia citano in giudizio l’UE
Come ampiamente prevedibile (vedi Finestra sul WTO, febbraio 2007). l’Ecuador ha formalmente dato inizio ad una disputa in sede WTO sulle banane. Il 20 marzo i Paesi membri del WTO hanno infatti deciso di stabilire un panel per esaminare se la politica europea di importazione delle banane violi o meno le regole commerciali internazionali, come affermato dall’Ecuador. La Commissione Europea ha espresso disappunto per la decisione del Paese latinoamericano di portare avanti la disputa, in quanto, nelle parole del portavoce Michael Mann, “le consultazioni bilaterali stavano procedendo piuttosto bene”.
Anche la Colombia, il 21 marzo, ha chiesto l’inizio delle consultazioni sulle regole all’importazione della UE per le banane; si tratta del primo passo per l’inizio di una procedura di disputa, che si affianca dunque alla precedente. Dal momento che la Colombia è soltanto un osservatore nella disputa con l’Ecuador, non le sarebbe stato infatti consentito di imporre dazi di ritorsione nel caso di vittoria da parte di questo ultimo.
Sia l’Ecuador che la Colombia condannano l’attuale regime tariffario europeo (che prevede una tariffa unica pari a 176 euro/t ed una quota a tariffa zero pari a 775.000 t per i Paesi ACP) per due motivi: in primo luogo, non garantirebbe completo accesso al mercato ai partner commerciali sotto il regime della Clausola della Nazione più Favorita, il che sarebbe comprovato dal fatto che le esportazioni in Europa dei Paesi ACP, che godono di accesso preferenziale, sono cresciute più di tutte le altre dall’inizio del 2006; in secondo luogo, perché l’attuale tariffa unica eccede la tariffa MFN “in quota” di 75 euro/t presente nelle schedules dell'UE (la tariffa MFN “oltre la quota” nel vecchio regime era assolutamente proibitiva e pari a 680 euro/t). Secondo la Colombia, per poter applicare una tariffa più alta su tutte le banane MFN, rimuovendo la quota, l'UE avrebbe dovuto rinegoziare le sue concessioni tariffarie con tutti i partner commerciali coinvolti.
Per saperne di più: [pdf], [pdf]
Nuova proposta negoziale dei Paesi da poco entrati a far parte del WTO
I cosiddetti Recently Acceded Members (RAMs), i 15 Paesi che sono entrati a far parte dal WTO dopo il 1996 (ovvero Albania, Armenia, Cina, Croazia, Ecuador, Macedonia, Giordania, Kyrgyzstan, Moldavia, Mongolia, Oman, Panama, Arabia Saudita, Taiwan, e Vietnam), il 13 marzo scorso hanno fatto circolare una proposta in cui chiedono minori obblighi e tempi di implementazione più lunghi rispetto agli altri Paesi in Via di Sviluppo (PVS). La richiesta trova giustificazione nei pesanti impegni da loro già assunti proprio per poter accedere al WTO. I RAMs chiedono di poter applicare tagli tariffari pari alla metà degli altri PVS, mantenendo al di fuori da ogni obbligo le tariffe inferiori o uguali al 10%, e di avere a disposizione un periodo di tempo maggiore per l’implementazione dell’accordo. Nel caso in cui esso si sovrapponga a quello per rispettare gli obblighi derivanti dall’accesso al WTO, viene richiesta la possibilità di attendere 5 anni prima di mettersi in regola con quanto si deciderà nel Doha Round. Alcuni Paesi membri del WTO hanno espresso sostegno alla proposta, ma non è mancato chi, come Messico ed Uruguay, l’ha giudicata eccessiva.
Testo della proposta: [pdf]
Conferenza sul Cotone al Wto
Il 15-16 marzo si è tenuta a Ginevra la Conferenza del WTO sul cotone, alla quale hanno partecipato i ministri dei paesi produttori, ma anche i rappresentanti dei donatori bilaterali e multilaterali, del Fondo Monetario Internazionale, della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, della Banca Mondiale. La Conferenza si è occupata esplicitamente, oltre che degli aspetti commerciali, anche di quelli inerenti allo sviluppo dei Paesi produttori; è la prima volta che questo accade in sede WTO.
Nelle parole di Pascal Lamy, Direttore Generale del WTO, il settore del cotone costituisce una delle “cartine al tornasole” del Doha Round. Si ricorderà che nel 2003 quattro paesi africani produttori di cotone (Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali) avevano lanciato la cosiddetta “iniziativa settoriale sul cotone”, portando alla luce in modo esplicito la drammatica situazione locale causata dai bassi prezzi mondiali, imputabili alla presenza dei sussidi dei paesi sviluppati, in primo luogo gli USA, e chiedendone con forza la completa eliminazione. Nell’accordo quadro del 31 luglio 2004 i Paesi membri del WTO si erano impegnati a trattare il cotone "ambitiously, expeditiously, and specifically" (in modo ambizioso, veloce, specifico) nella trattativa agricola, e a promuovere sforzi per l’assistenza allo sviluppo. Tuttavia, complice lo stallo delle trattative, da allora non molto è stato fatto.
A Ginevra è stata sottolineata la necessità che gli USA rispettino la decisione del 2005 del panel del WTO al termine della disputa iniziata dal Brasile, che ha stabilito che numerosi sussidi sul cotone e i pagamenti per i crediti alle esportazioni sarebbero in realtà distorsivi del commercio, violando gli obblighi commerciali statunitensi. Un altro panel sta attualmente decidendo se gli USA abbiano effettivamente rispettato le decisioni della sentenza.
I presenti alla Conferenza hanno riferito che l’incontro è stato costruttivo, e che ha prevalso un’atmosfera positiva. Tuttavia, hanno anche sottolineato come le aspettative dei Paesi produttori fossero di fatto molto basse, e nessuno avesse anticipato la possibilità di giungere in questa occasione a risultati sostanziali sul tema cruciale dei sussidi statunitensi. Al termine della Conferenza, Lamy ha ammesso che, nonostante l’interesse espresso dai partecipanti sulle varie possibilità di affrontare i problemi della volatilità dei prezzi e della riduzione dei redditi, per ora non vi è consenso né sull’idea della creazione di un fondo compensativo per il cotone né su chi dovrebbe eventualmente finanziarlo.
Per saperne di più: [link]
L’Unione Europea propone accesso libero e senza limitazioni ai paesi ACP nelle trattative per gli Economic Partnership Agreements (EPA)
Il 4 Aprile, durante un incontro a Bruxelles con i rappresentanti dei paesi ACP, l’Unione Europea ha proposto l’immediata l’eliminazione di quote e tariffe alle importazioni provenienti da tutti i Paesi ACP, con le significative eccezioni di zucchero (il regime di dazi e quote all’importazione sarebbe eliminato nel 2015, tenendo però conto della “sensibilità” del prodotto) e riso (il cui periodo di transizione non è ancora stato definito). La proposta estenderebbe quindi a tutti i Paesi ACP quanto accordato ai soli Paesi meno Avanzati con l’iniziativa Everything but Arms (EBA) (per saperne di più: [link]), con la sola eccezione di alcuni “prodotti globalmente competitivi” provenienti dal Sud Africa. Alcune Ong hanno interpretato la proposta come un tentativo di accelerare i negoziati in vista della scadenza, alla fine del 2007, della Clausola in sede WTO che consente l’esistenza di un regime preferenziale tra l'UE ed i Paesi ACP.
L’estensione a tutti i paesi ACP di quanto fino ora accordato solo ai Paesi più poveri pone il rischio la concorrenza che si instaurerà tra tutti gli ACP, sottoposti allo stesso regime, andrà a scapito proprio di questi ultimi.
Il Ministro dell’Agricoltura francese, Dominique Bussereau, ha espresso le proprie perplessità circa la possibilità che quest’offerta comprometta gli equilibri raggiunti grazie alle riforme degli OCM zucchero e banane, e renda più debole la posizione dell'UE nelle dispute attualmente in corso con Ecuador e Colombia [link].
Vedi anche Finestra sulla PAC
Negoziati EPA: sì ad un accordo prima del 2007?
Il gruppo negoziale dei Paesi dell’Africa Centrale e Occidentale (vedi tabella dell’articolo [link]) ha ribadito la propria volontà di concludere i negoziati per gli Economic Partnership Agreements prima della fine del 2007, lasciando cadere le richieste di estendere la data per la conclusione delle trattative. Questo, però, in cambio della promessa di Bruxelles di impegnarsi a finanziare programmi di assistenza locale per incrementare la capacità produttiva, sostenere l’aggiustamento alla liberalizzazione e facilitare l’implementazione delle nuove regole commerciali. Il nuovo incontro delle rappresentanze negoziali è previsto per luglio prossimo; nel frattempo, le parti si sono impegnate a preparare le rispettive offerte per l’accesso al mercato e la bozza del testo dei futuri accordi.
Al momento Bruxelles reputa estremamente poco verosimile un’estensione di quella clausola del WTO che consente il mantenimento dell’attuale regime di preferenze oltre la fine del 2007; tuttavia, secondo alcuni analisti, altri membri del WTO potrebbero astenersi dal lanciare una disputa formale, anche dopo la scadenza di tale clausola, se fossero ragionevolmente certi del raggiungimento di un accordo in tempi brevi.
Il commercio mondiale aumenta dell’8% nel 2006
Il commercio mondiale internazionale è cresciuto dell’8% nel 2006, secondo quanto riportato nel rapporto del WTO. Si tratta del secondo maggior aumento dal 2000, e di un dato ben superiore a quello dell’incremento del PIL mondiale, che si attesta sul 3,7%. Le esportazioni cinesi, negli ultimi due trimestri dell’anno, hanno superato quelle statunitensi, pure in aumento. La crescita commerciale è stata particolarmente forte per gli esportatori di petrolio e metalli nel medio oriente, nella Confederazione di Stati Indipendenti, e nell’America Centrale e Meridionale, che hanno beneficiato degli alti prezzi presenti sui mercati.
Per saperne di più: [link]
Risolto il problema comunitario con le regole di quarantena australiane
Grazie a consultazioni informali che hanno messo fine ad una disputa che durava dall’aprile 2003, l'UE ha risolto il problema delle regole di quarantena australiane per i prodotti alimentari. Gli esportatori europei lamentavano, in violazione all’Accordo sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie, mancanza di trasparenza, regole troppo rigide (ad esempio per pollame e carne suina), ritardi nei permessi per le importazioni a danno diretto delle esportazioni di pomodori e agrumi. Secondo la Commissione Europea, proprio in questi settori l’accordo ora raggiunto permetterebbe di migliorare sostanzialmente la situazione.
La protezione delle Indicazioni Geografiche
Il 9 febbraio scorso, durante la prima sessione del Comitato Agricoltura dopo la ripresa delle trattative, UE, India, Sri Lanka e Svizzera hanno nuovamente chiesto di sviluppare nei negoziati un accordo per l’estensione della protezione delle indicazioni geografiche. Si tratta di un nodo cruciale per questi Paesi, per i quali proprio l’estensione della protezione delle indicazioni geografiche rappresenterebbe la possibilità di compensare le perdite associate alla liberalizzazione. Ferma opposizione, come di consueto, da parte di Argentina, Australia, Canada, Giappone, USA, per i quali non vi sarebbe alcun mandato negoziale in materia. Secondo l’Argentina, essa non sarebbe neppure di competenza del Comitato Agricolo.
Nuovi accordi di libero commercio
Seguendo le linee della sua nuova strategia commerciale (Vedi Finestra sul WTO, ottobre 2006), l’Unione Europea ha ribadito la propria volontà di concludere Free Trade Agreements con India, Corea del Sud, e l’ASEAN (Association of Sout East Asian Nations), con lo scopo di liberalizzare il commercio di beni e servizi, nonché gli investimenti. Questi tre partner sono stati scelti “perché combinano alti livelli di protezione con un grande potenziale di mercato”. I maggiori vantaggi per le imprese europee sarebbero nell’esportazione di servizi commerciali nei Paesi dell’ASEAN ed in Corea, e di prodotti manifatturieri in India.
Usa e Corea del Sud hanno concluso il 1 aprile un Free Trade Agreement, appena in tempo prima della scadenza del Fast Track statunitense. L’accordo, che dovrà ora essere ratificato in entrambi i Paesi, aumenterebbe il commercio tra i due partner per complessivi 29 miliardi di dollari, abolendo le barriere per molti prodotti industriali, inclusi tessili ed automobili, e liberalizzando ulteriormente servizi e appalti pubblici. Esso garantirà inoltre maggior accesso al mercato agricolo coreano, tradizionalmente molto protetto, con l’eccezione però del riso.
Il riso è stato escluso anche dall’accordo bilaterale siglato tra Giappone e Tailandia, che eliminerà le tariffe su più del 90% del commercio tra i due paesi nei prossimi 10 anni.
Scheda 1- Nuove proposte del Gruppo di Cairns sui prodotti sensibili e sui prodotti tropicali
Il gruppo di Cairns ha presentato lo scorso marzo le proprie proposte sul tema dei prodotti sensibili e quello dei prodotti tropicali, che saranno sottoposti a tagli tariffari minori rispetto a quanto si deciderà di fare nel caso generale. Si tratta di un evento importante per due motivi: in primo luogo, perché questa è di fatto la prima proposta negoziale a partire dalla ripresa delle trattative, lo scorso 7 febbraio; in secondo, in quanto proprio il gruppo negoziale che riunisce i maggiori esportatori si è pronunciato su questo tema, che di fatto costituisce un ostacolo alla liberalizzazione.
Secondo quanto riportato nella proposta sui prodotti sensibili, il maggior grado di protezione loro accordato grazie a minori riduzioni tariffarie sarà compensato dall’apertura di maggiori quote all’importazione a tariffa ridotta. Il Canada, che storicamente ha sempre cercato di difendere il suo sistema di controllo alle importazioni richiesto per i settori di pollo, uova e latticini, è stato l’unico membro del Gruppo di Cairns a non firmare la proposta. Quest’ultima non contiene ancora nessun accordo sui parametri; l’elemento innovativo è costituito dalla presenza di due sole possibili deviazioni dalla formula standard, per facilitare la trasparenza e la prevedibilità del sistema, corrispondenti a due diversi gradi di eccezione dalla regola generale di riduzione tariffaria. Tuttavia, già gli USA hanno fatto sapere di ritenere troppo poco flessibile un sistema con due sole bande. Il criterio proposto per calcolare l’espansione delle quote è il consumo interno; un principio condiviso da molti ma non dalla UE (Vedi Finestra sul WTO, maggio 2006). Il gruppo di Cairns chiede di porre un limite al numero di prodotti sensibili, per i quali dovrebbe essere previsto comunque un tetto tariffario massimo, seppur con qualche possibilità di eccezione comunque compensata dalla maggiore apertura delle quote. I paesi in via di sviluppo avrebbero a disposizione un periodo di tempo più lungo per implementare le riduzioni tariffarie. La proposta suggerisce di restringere il numero di prodotti sensibili a quelli che già presentano quote tariffarie all’importazione; questo per impedire che i membri del WTO creino nuovi sistemi di quote, dagli esiti imprevedibili. L’espansione delle quote dovrebbe avvenire sulla base della Clausola della Nazione più Favorita, evitando ogni ipotesi di assegnazione diretta per garantire gli interessi di determinati Paesi esportatori, che creerebbe notevoli difficoltà dal punto di vista politico e legale. Gli impegni sulle quote tariffarie già ottenuti in precedenza, inclusi quelli derivanti dall’Uruguay Round, sarebbero mantenuti separati.
La proposta per i prodotti tropicali chiede ai paesi sviluppati la completa eliminazione delle tariffe sui prodotti tropicali o su quelli coltivati come alternativa alle colture illecite, quando le tariffe iniziali siano uguali o inferiori al 25%; se superiori, esse dovrebbero essere ridotte dell’85%. Il gruppo di Cairns propone infine che i prodotti tropicali o alternativi alle colture illecite non possano essere designati come prodotti sensibili. Si tratta di un tema controverso: ad esempio, basti pensare agli interessi che si raccolgono intorno a prodotti come riso, zucchero, tabacco, banane, che toccano direttamente anche i Paesi che godono di preferenze commerciali (si pensi al caso dello zucchero e delle banane tra ACP ed UE).
L'UE, che chiaramente non è d’accordo su questo ultimo punto, ha criticato la proposta del Gruppo di Cairns sui prodotti tropicali perché troppo ambiziosa, e perché include anche prodotti delle zone temperate, come riso, zucchero, cipolle, fiori, tabacco.
Vedi: proposta sui prodotti sensibili, Cairns sensitive [pdf]; proposta sui prodotti tropicali, Cairns tropical [pdf].
Scheda 2- La proposta del Farm Bill statunitense da parte dell’Amministrazione Bush
Lo scorso 31 gennaio, l’Amministrazione Bush ha presentato la propria proposta per il Farm Bill del 2007, la nuova legge sulla politica agricola statunitense che dovrà essere votata entro settembre 2007, prima della scadenza del Farm Bill del 2002. La proposta deve essere ora discussa dal Congresso e sia quanto avvenuto negli scorsi anni che l’attuale divergenza di vedute lasciano presagire l’adozione di importanti cambiamenti.
Le discussioni sul Farm Bill si svolgono in parallelo con la ripresa ufficiale dei negoziati del WTO, e chiaramente sono unite a doppio filo con la strategia negoziale USA. Da un lato, molti agricoltori e membri del Congresso vorrebbero prolungare le generose condizioni garantite dal precedente Farm Bill; dall’altro, ignorare le richieste di UE, India, Brasile di mantenere i sussidi ben al di sotto della soglia di 22,5 miliardi di dollari, proposta dagli USA nei negoziati WTO, sarebbe un chiaro segno di non interesse nella trattativa multilaterale. Inoltre, uno degli obiettivi primari dei legislatori statunitensi è sicuramente quello di mettersi al riparo da ulteriori dispute, dopo l’esito sfavorevole di quella iniziata dal Brasile contro i pagamenti statunitensi sul cotone, nel 2005; nell’introduzione alla proposta del Farm Bill il segretario all’agricoltura Mike Johanns ha detto di voler rendere la spesa agricola "more equitable, predictable and better able to withstand challenge" (più equa, prevedibile ed in grado di sostenere eventuali sfide). Al momento, già il Canada ha iniziato una disputa contro i pagamenti USA perché violerebbero gli accordi internazionali in quanto distorsivi del commercio (vedi Finestra sul Wto, febbraio 2007).
La nuova proposta dell’amministrazione Bush consentirebbe una riduzione della spesa agricola di circa 17,5 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni, imputabile, però, più che ad un reale cambiamento delle politiche adottate, principalmente agli alti prezzi delle commodities agricole, che rendono meno necessario l’utilizzo degli strumenti esistenti di sostegno ai mercati. Attualmente, infatti, i produttori di mais, cotone, grano, riso e soia ricevono più del 90% di alcuni pagamenti cruciali basati sul sostegno dei prezzi: in breve, il governo USA stabilisce dei prezzi soglia per i produttori e copre mediante una serie di meccanismi la differenza con i prezzi sul mercato, senza alcun legame con i costi di produzione.
Come noto, la distribuzione della spesa agricola statunitense è tutt’altro che equa (si calcola che nel 2005 le imprese agricole con un fatturato superiore ai 250.000 dollari abbiano percepito il 54% dei pagamenti, pur rappresentando il 9% del totale): la proposta suggerisce quindi di limitare l’ammontare complessivo di sussidi che può essere percepito dalle imprese agricole con reddito superiore ai 200.000 dollari l’anno (la misura coinvolgerebbe circa 71.800 agricoltori su un totale di 2 milioni).
Per quanto riguarda il tentativo di rendere alcuni sussidi meno distorsivi dei mercati, ad esempio per i marketing assistance loan (prestiti di assistenza al mercato) le soglie di prezzo non sarebbero più fisse, bensì pari all’85% del prezzo medio di mercato nei 5 anni precedenti. Un cambiamento, questo, che secondo molti commentatori è assai poco rilevante.
Anche i pagamenti anticiclici sarebbero destinati a cambiare: si attiverebbero infatti non in base all’andamento dei prezzi ma del reddito per ettaro della coltura. In questo modo, non sarebbero più incoraggiate le produzioni elevate (che attualmente invece permettono di beneficiare in misura maggiore del sostegno). Tuttavia, i prezzi applicati sarebbero ancora quelli del Farm Bill del 2002, anche qui vanificando buona parte degli effetti della riforma.
Secondo numerosi analisti, sarebbe quindi semplicemente la presenza di prezzi più favorevoli sui mercati mondiali a consentire di ridurre l’ammontare della spesa e di affermare che la nuova legge costerebbe 10 miliardi di dollari in meno; gli altri 7,5 deriverebbero dall’eliminazione dei cosiddetti “ad hoc disaster aid” accordati agli agricoltori negli ultimi 5 anni.
Altre misure comprese nella proposta riguardano la rimozione delle limitazioni delle scelte colturali necessarie per percepire i pagamenti diretti. Infatti, per ottenere il pagamento era possibile coltivare un certo numero di colture ma non ad esempio ortofrutticoli; secondo quanto stabilito dal panel del WTO nella disputa con il Brasile, questo significa in sostanza un legame, seppur indiretto, con la produzione, il che non consente loro di essere collocati nella scatola verde (non è irrealistico pensare che anche i pagamenti disaccoppiati della Riforma Fischler della PAC potrebbero incorrere in un problema simile…).
Nel caso del cotone, inoltre, un ulteriore problema potrebbe essere rappresentato dal fatto che, a differenza di quanto avviene per le altre colture, le alte rese ed i bassi prezzi rendono improbabile una diminuzione della spesa, e proprio in un settore che riveste un’importanza speciale nelle trattative (vedi notizie flash).
L’Amministrazione propone infine di destinare nei prossimi 10 anni 5 miliardi di dollari al settore dell’ortofrutta (includendo il sostegno alla ricerca e a programmi di acquisto da parte delle scuole), virtualmente fino ad ora escluso dai pagamenti, e 7,8 miliardi di dollari per i programmi per la conservazione ambientale, tra cui quelli per la maggior protezione delle aree umide e la qualità delle acque. Altre risorse sarebbero allocate nella ricerca per le nuove fonti di energia, in linea con la volontà di sostituire l’uso dei combustibili fossili con i biocarburanti. Considerando la somma di questi pagamenti, che sarebbero classificati in sede WTO come non distorsivi, in realtà la spesa del nuovo Farm Bill supererebbe di 5 miliardi di dollari quella del precedente.
Scheda 3- Crawford Falconer fa il punto sullo stato dei negoziati
In un documento rilasciato il 30 Aprile scorso, il Presidente del gruppo negoziale per l’agricoltura, il neozelandese Crawford Falconer, ha evidenziato quelli che lui stesso ha definito i “centri di gravità” di un possibile accordo. Si tratta in realtà di quei temi sui quali le posizioni negoziali dei vari paesi membri sono già molto vicine tra loro, mentre restano aperti gli innumerevoli altri punti di disaccordo nei negoziati.
Per quanto riguarda il sostegno interno, secondo quanto riportato nel documento, gli Usa dovrebbero tagliare i sussidi della scatola gialla del 60% e l’UE del 70%; il tetto sui pagamenti della clausola de minimis sarebbe ridotto del 50% rispetto ai valori attuali (per i paesi sviluppati, esso passerebbe dal 5 al 2,5% del valore della produzione agricola interna); lo stesso avverrebbe per il limite da porre ai pagamenti che rientrano nella scatola blu. Falconer ha ribadito come sia “inconcepibile” che i Paesi membri accettino l’offerta statunitense di tagliare il sostegno interno distorsivo del commercio di circa il 53%, fino a raggiungere la soglia di 22 miliardi di dollari, che è ben al di sopra di quanto da loro speso attualmente.
Circa l’accesso al mercato, Falconer ha indicato che il “centro di gravità” della riduzione media tariffaria si collocherebbe tra la posizione degli USA (che hanno indicato un valore del 66%) e quella europea (originariamente pari al 39%, poi spintasi fino a circa il 50%). La formula scalare da utilizzarsi sarebbe quella indicata nella proposta del G-20, che prevede la presenza di quattro bande in cui le tariffe, classificate in base alla loro entità, sarebbero sottoposte a tagli via via maggiori. I paesi in via di sviluppo dovranno operare tagli sulle tariffe pari ai due terzi rispetto a quelli attuati dai paesi sviluppati.
Per quanto riguarda il numero dei prodotti, sul totale delle linee tariffarie, che potranno essere classificati come sensibili, il “centro di gravità” si collocherebbe tra una soglia minima dell’1% (come chiesto da USA, G-20 e gruppo di Cairns, tutti grandi esportatori) e un valore massimo del 5%, al di sotto da quanto richiesto dal G-10 e dall’UE (rispettivamente 15% ed 8%). Falconer ipotizza che i tagli da applicarsi sui prodotti sensibili siano compresi tra uno e due terzi di quelli presenti nella formula standard.
Per quanto riguarda i prodotti speciali, sarebbe invece possibile designarne un numero compreso tra il 5% e l’8% del totale delle linee tariffarie. Questo tema è molto controverso; attualmente, infatti, vi sono posizioni assai contrastanti, e le accese discussioni che sono seguite il tentativo di compromesso del Pakistan (vedi notizie flash) hanno portato Falconer ad affermare che, su queste basi, è del tutto improbabile che si arrivi ad un consenso. Gli USA sono disposti ad accettare non più di cinque linee tariffarie, mentre il G-20 spinge a che il 20% dei prodotti possa essere designato come sensibile.
Falconer presenta infine “un’idea radicale” per quanto riguarda l’approccio da utilizzare nei paesi in via di sviluppo, che consiste nell’utilizzo di una formula che fissi il livello di riduzione media tariffaria sul totale di tutti prodotti, e un valore minimo di quella da attuarsi sul singolo prodotto (invece dell’approccio attualmente seguito nei negoziati: scelta di una formula generale e poi delle relative eccezioni, come i prodotti speciali). In questo modo, ciascun Paese potrebbe applicare il livello di riduzione minima proprio sui prodotti su cui vuole lasciare un maggior livello di protezione. Tale approccio, in sostanza lo stesso utilizzato nell’Accordo Agricolo dell’Uruguay Round anche per i paesi sviluppati, presenterebbe il vantaggio di essere più semplice e trasparente. Per saperne di più: [link]
Scheda 4- La seconda parte del documento di Falconer
Crawford Falconer, che presiede il gruppo negoziale per l’agricoltura, lo scorso 25 maggio ha pubblicato la seconda parte del documento che fa il punto sullo stato dei negoziati [link].
La prima, si ricorderà (vedi scheda 3) era stata resa nota il 30 aprile, e trattava i temi dell’accesso al mercato, del sostegno interno, dei sussidi alle esportazioni.
Questa “seconda rata” riguarda invece una serie di temi secondari, per i quali, analogamente a quanto fatto in precedenza, Falconer tenta di trovare i “centri di gravità” per un possibile accordo. Ancora una volta, i punti di disaccordo superano di gran lunga quelli su cui c’è convergenza, e i contorni di una possibile intesa sono piuttosto sfuocati.
Il documento ha ricevuto reazioni contrastanti da parte dei negoziatori: alcuni rappresentanti dei paesi in via di sviluppo lamentano come sia sbilanciato a favore dei paesi sviluppati, mentre questi ultimi ritengono che in qualche caso vada oltre quanto sono disposti a concedere.
Di seguito vengono riassunti in breve i principali punti trattati.
Meccanismo speciale di salvaguardia: Falconer prende atto di come vi sia consenso sul principio che i paesi in via di sviluppo possano ricorrere ad un meccanismo di salvaguardia speciale, che consenta loro di tutelarsi, mediante l’imposizione temporanea di maggiori livelli tariffari, nei confronti di aumenti improvvisi o diminuzione nei prezzi delle importazioni. Il meccanismo riguarderebbe beni prodotti internamente, o loro sostituti. Tuttavia, manca ancora l’accordo su come e quando far attivare il meccanismo, e come disciplinare l’aumento tariffario. Secondo Falconer, ad ogni modo dovrebbe essere garantita ai paesi in via di sviluppo maggior flessibilità rispetto al meccanismo di salvaguardia attualmente esistente. Quest’ultimo può essere usato anche dai paesi sviluppati e, a tale proposito, nel documento si nota come l’opzione di utilizzarlo anche da parte di questi ultimi non sia al momento esclusa dai negoziati, anche se, nell’opinione di Falconer, dovrebbe essere in ogni caso sostanzialmente ridotta.
Questo punto ha chiaramente sollevato le critiche dei rappresentanti dei paesi in via di sviluppo e dal Gruppo di Cairns, che rifiuta qualunque tentativo di compromesso sulla materia e chiede l’abrogazione dell’attuale meccanismo di salvaguardia.
Prodotti tropicali: Come riportato nell’Accordo Quadro del 31 luglio 2004, le tariffe dei prodotti tropicali dovranno essere sottoposte a tagli maggiori rispetto agli altri prodotti. Falconer riporta una recente proposta di ridurre a zero tutte le tariffe comprese tra lo 0 e il 25%, e dell’85% quelle maggiori di tale soglia (che comunque potrebbe essere ridotta). Il livello minimo di riduzione corrisponderebbe a quello massimo previsto dalla formula generale. Al momento, non vi è però alcun progresso sulla definizione di una lista di prodotti tropicali ai fini di questa clausola.
Scatola verde: A parte alcune modifiche “tecniche”, per ora non sembra che la scatola verde sarà sottoposta a sostanziali cambiamenti. Tali modifiche riguardano per lo più l’inclusione di alcune misure di cui possono avvalersi i paesi in via di sviluppo poco o per nulla controverse (come ad esempio i programmi di riforma fondiaria, le spese per gli ammassi per la sicurezza alimentare), mentre non considerano la possibilità di disciplinare quelle misure dei paesi ricchi che attualmente sono collocate nella scatola verde ma potrebbero avere effetti più che minimamente distorsivi dei mercati.
Paesi Meno Avanzati (PMA): facendo seguito a quanto stabilito nella Conferenza Ministeriale di Hong Kong (vedi Finestra sul WTO marzo 2006), Falconer rende esplicito per i prodotti agricoli che “i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo che ritengono di essere in grado di farlo offriranno accesso libero e senza limitazioni ad almeno il 97% delle importazioni provenienti dai paesi meno avanzati”.
Cotone: Falconer propone di utilizzare la stessa formula di cui al punto precedente, ovvero “i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo che ritengono di essere in grado di farlo offriranno accesso libero e senza limitazioni alle importazioni di cotone provenienti dai paesi meno avanzati”.
Recently acceded members (RAMs), membri di recente ingresso nel WTO: vengono definiti come tali quei i membri che sono entrati a far parte del WTO a partire dalla conclusione dell’Uruguay Round (1994), ad eccezione di quelli facenti parte delle Comunità Europee e dei Paesi Meno Avanzati. Il documento riporta come vi sia un certo consenso a prevedere per loro un trattamento diverso rispetto agli altri paesi in via di sviluppo. Per Arabia Saudita, Vietnam e Macedonia, gli ultimi tre Paesi entrati a far parte del WTO, non dovrebbe essere previsto alcun obbligo
Tariff escalation: riguardo a questo tema, le considerazioni di Crawford Falconer sono state addirittura definite “caustiche”, in quanto ha affermato, senza giri di parole, come non soltanto si sia a malapena discusso sull’argomento, ma anche che sia ormai destinato ad essere lasciato cadere dalle trattative.
Tariff simplification: Falconer nota come, a questo punto dei negoziati, la mancanza di progresso sul tema implica che non è più possibile che in un eventuale accordo le tariffe da rispettare saranno espresse in termini ad valorem
Erosione delle preferenze: nel documento si nota come questo sia un problema che riguarda sostanzialmente i settori delle banane e dello zucchero, per i quali le preferenze garantite dalla UE ai Paesi ACP sarebbero messe a rischio da una serie di fattori oltre all’attuale negoziato WTO. Falconer ha affermato che la soluzione realistica al problema sarebbe costituita da un accordo specifico al di fuori della trattativa del WTO, scatenando le proteste dei Paesi esportatori esclusi dal regime di preferenze.